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BERLUSCONI, 24 ANNI DI PROMESSE TRADITE SUL FISCO E CON LUI LA PRESSIONE FISCALE ERA AUMENTATA

DALLE “DUE SOLE ALIQUOTE IRPEF” ALL’ABOLIZIONE DELL’IRAP E BOLLO AUTO, NEL 1994 VOLEVA UNA FLAT TAX AL 30% E SOLO 10 TASSE.. PER POI DIRE: “NON HO LA BACCHETTA MAGICA”

Gli alleati che lo “lasciano solo“. I bastoni tra le ruote delle “opposizioni“. Le “gestioni avventuristiche del passato” che hanno fatto aumentare il debito pubblico. E ovviamente i paletti europei, l’”ottusità ” dei parametri di Maastricht.
Insomma, una congiura. Che ha impedito a Silvio Berlusconi, puntualmente, di rispettare la principale promessa fatta agli italiani a partire dal 1994: “Meno tasse“. In vista del 4 marzo il leader di Forza Italia ha rispolverato la flat tax, prospettata per la prima volta 24 anni fa e mai realizzata. Ma la lista degli annunci rimasti lettera morta è lunghissima. Come le giustificazioni ex post: “Non dipende da noi”, “le cifre non consentono di fare ciò che vorremmo fare”, “sono rimasto solo”.
Risultato: gli elettori devono puntualmente accontentarsi di manovre “senza nuove tasse”. Mentre l’impegno a ridurle viene di volta in volta rinviato.
Parlano i numeri: dalla sua discesa in campo l’ex Cavaliere ha governato per oltre 9 anni e la pressione fiscale complessiva, dopo aver toccato un minimo del 39,1% nel 2005 (dati Ocse), ha ricominciato a salire fino a superare il 43% nel 2012.
Oggi è al 40,3 per cento, contro il 38,7% del 1994.
In mezzo c’è stata, en passant, la condanna definitiva per frode fiscale dell’uomo che oggi sostiene di voler mandare “in galera gli evasori”. E aggiunge: “La prima moralità  della politica per noi è quella di mantenere gli impegni presi con gli elettori durante la campagna elettorale”.
“Andare verso una sola aliquota Irpef non superiore al 30%“, ridurre le aliquote Iva a due e “le attuali 200 tasse a non più di 10″.
Febbraio 1994, La neonata Forza Italia presenta il suo programma elettorale in 45 punti e sul fronte fiscale le idee sono chiarissime: meno tasse per tutti.
Il Polo delle libertà  vince le elezioni e in primavera il patron di Fininvest Silvio Berlusconi forma il suo primo governo.
Antonio Martino, che l’ex Cavaliere identifica come l’ispiratore della flat tax, finisce però al ministero degli Esteri, mentre all’Economia approda Giulio Tremonti.
Dell’aliquota unica si perdono le tracce. “Gli alleati non ci consentirono di realizzarla”, spiegherà  ex post Berlusconi. Il quale, varando la sua prima finanziaria, si limita a rivendicare: ”Non ci saranno nuove imposte, tasse o aumenti di aliquote”.
Del resto il grosso delle maggiori entrate è atteso dal “concordato di massa“, monstrum che comprende un maxi condono edilizio e una sanatoria fiscale su imposte dirette e Iva per il periodo 1989-1993.
Nel dicembre 1994 arrivano le dimissioni, dopo l’invito a comparire notificato all’allora premier durante il G7 di Napoli e il passaggio della Lega all’opposizione in polemica con la riforma delle pensioni proposta dall’esecutivo.
Per il Caimano inizia la traversata nel deserto. E cosa c’è di meglio che stare l’opposizione — ci resterà  fino al 2001 — per giurare che “Se il Polo vince fermeremo le tasse” (intervista a Il Tempo, 5 marzo 1996). Franco Modigliani, premio Nobel per l’Economia che sarebbe scomparso nel 2003, dalle pagine del Corriere avverte gli italiani: “Non fatevi infinocchiare. Non bevete le promesse demagogiche o irrealistiche sul fisco. E ricordatevi di Ronald Reagan: ha vinto promettendo agli americani meno tasse e una riduzione del deficit. Oggi è considerato il peggior presidente del dopoguerra”.
L’appello lascia il tempo che trova. Berlusconi attacca la Finanziaria di Romano Prodi che “punisce i redditi del ceto medio”. Nella primavera 1998 chiama i “moderati” alle urne per le amministrative e la sua ricetta, accanto a “buona amministrazione” e sicurezza, resta “meno Stato e meno tasse, per avere maggiore competitività  e nuove aziende”.
Un anno dopo si inventa il Tax Day per lanciare la “campagna antitasse” del Polo mentre prende il via la campagna per le Europee.
“Se e quando torneremo maggioranza, nei primi 100 giorni daremo nuovamente il nostro sostegno alle imprese e detasseremo gli utili reinvestiti”, giura dal Palasport di Verona in collegamento audio con 100 città .
Poi annuncia che le aliquote saranno due, “una basica del 23%” e “dai duecento milioni in su, come aliquota massima quel terzo che è stato dettato dal nostro senso di giustizia, il 33 per cento di aliquota massima”.
Segue il “preciso impegno” a abolire “un’imposta odiosa“, quella di successione, che “nasce da una precisa ideologia contro la proprietà , e ha aliquote punitive”.
Nel 2000 si apre la marcia verso le politiche dell’anno successivo.
Nasce la Casa delle Libertà  e il programma di aggiorna: non più dieci tasse, si corregge Berlusconi, ma “solo otto”, via quella di successione, “due aliquote per le persone fisiche, una sola aliquota per le imprese”.
Nel maggio 2001 il leader della coalizione di centrodestra sostiene che è ”assolutamente legale” l’utilizzo di società  estere per pagare meno tasse. Scoppia la polemica.
La sera dell’8 maggio a Porta a porta sottoscrive il famoso Contratto con gli italiani. Che, sul fronte fiscale, recita: “Esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui”, “riduzione al 23% per i redditi fino a 200 milioni di lire annui”, “riduzione al 33% per i redditi sopra i 200 milioni di lire annui”, “abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni“.
Nel maggio 2001 la Casa delle libertà  vince le elezioni.
A settembre c’è da approvare la Finanziaria e il premier Berlusconi, incontrando le parti sociali, allarga le braccia e ammette: ”Abbiamo rinunciato per il momento e per necessità  a un segnale forte di riduzione della pressione fiscale”.
“Non ho la bacchetta magica”, è la chiosa. Niente aliquota massima al 33%, insomma. Ma un contentino c’è: viene abolita l’imposta di successione.
L’Espresso calcola in 9,8 miliardi il risparmio per ognuno dei suoi cinque figli. A dicembre l’allora Cavaliere rivendica: il governo ”pur operando in ristrettezza non ha aumentato le tasse, cosa quasi miracolosa”.
Nel 2002 il piano sulla riforma Irpef sembra decollare: viene varato un ddl delega che prevede, seppure “a tappe”, l’approdo alle agognate due aliquote, oltre alla rimodulazione dell’Irap, al calo dell’aliquota per le imprese e alla proroga dello scudo fiscale sui capitali esportati.
A maggio c’è il primo sì della Camera. Nel marzo 2003 il ddl è legge. Ma a quel punto il progetto si arena. L’intesa con la Lega non si trova, gli alleati discutono per mesi, il vicepremier Fini frena sostenendo che basta mantenere l’impegno “entro fine legislatura”. A luglio il ministro dell’Economia Tremonti si dimette.
Nel frattempo la luna di miele con gli elettori è finita: il governo ha in cantiere una riforma delle pensioni che alza i requisiti per lasciare il lavoro.
Dopo lo sciopero generale di aprile le macchine si fermano, ma la riforma Maroni — quella che impone l’aumento da 57 a 60 anni dell’età  anagrafica a partire dal 2008 — si farà  comunque l’anno dopo.
E’ “urgente e ineludibile“, spiega in un messaggio tv a reti unificate Berlusconi — che oggi intende abolire la legge Fornero — ricordando l’invecchiamento progressivo della popolazione e avvertendo che la spesa sarebbe cresciuta “in maniera continuativa fino al 2030”, “una situazione non sostenibile”
“Se io lavoro e lo stato mi chiede il 33% è una richiesta corretta. Se mi chiede il 50 e passa mi sento moralmente autorizzato ad evadere per quanto posso”. 17 febbraio 2004: il presidente del Consiglio Berlusconi, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, giustifica l’evasione fiscale.
Il 22 aprile 2005 verrà  chiesto il suo rinvio a giudizio nel processo Mediaset sulla compravendita dei diritti tv, che si concluderà  nel 2013 con una condanna definitiva a 4 anni di reclusione per frode fiscale.
Di lì, per effetto della legge Severino, la sua decadenza da senatore e l’incandidabilità . In autunno all’Economia torna Tremonti e il taglio dell’Irap previsto dalle bozze messe a punto dal predecessore Domenico Siniscalco salta. In compenso ci sono “aiuti alle famiglie”, vedi un bonus bebè da 1000 euro per i nati nel 2005 (no, non l’ha inventato Renzi) e sconti fiscali per le ristrutturazioni immobiliari (grande classico, sempre prorogati).
L’Irpef viene ribattezzata Ire e sulla carta si prevedono le famose due aliquote, ma i decreti attuativi non verranno mai varati e nel maggio 2005 la delega scadrà . Il 21 settembre Berlusconi si era sfogato: ”Sono rimasto l’unico a volere il taglio all’Irpef sui redditi personali. Sembra strano visto che è una misura essenziale per la ripresa dei consumi, degli investimenti, della fiducia”.
“Avete capito bene, aboliremo l’Ici sulle prime case”. Il 3 aprile 2006, all’ultimo faccia a faccia televisivo con Prodi prima delle politiche, Berlusconi estrae dal cappello l’abolizione dell’imposta sulla prima casa. Il 7 aprile è sicuro: “Domenica e lunedì vinceremo perchè non siamo coglioni”. Vince l’Unione. Che ripristina la tassa sulle successioni e donazioni di alto valore. Berlusconi annuncia lo “sciopero fiscale”.
Nel gennaio 2008 Prodi cade. L’avvicinamento alle urne parte con il freno a mano tirato: “Niente miracoli” perchè la situazione “è molto, molto difficile”, anticipa il Cavaliere. Ma “cercheremo di ridurre in 5 anni la pressione fiscale sotto il 40% del Pil”. Come? Abolizione dell’Ici, detassazione degli straordinari e della tredicesima (”interventi che faremo nel primo consiglio dei ministri”), ritocchi dell’Iva e progressiva abolizione dell’Irap, introduzione progressiva del quoziente familiare, abolizione delle tasse di successione e sulle donazioni reintrodotte da Prodi. In aprile si vola più alto e spunta la pazza idea — “un sogno” — di anticipare di un mese il ‘tax freedom day’, il giorno dell’anno a partire dal quale i contribuenti lavorano per sè e non per il fisco.
Nonchè l’impegno di “abolire gradualmente, nel corso degli anni, la tassa sul bollo per auto, moto e motorini”. Puntuale ritorna anche l’obiettivo della “progressiva abolizione dell’Irap”, accompagnato da “versamento Iva dovuto solo dopo il reale incasso della fattura e riforma degli studi di settore“. Più che abbastanza: la coalizione di centrodestra vince con il 46,8% dei vot
All’indomani del voto, il 16 aprile, la musica cambia radicalmente: “Ci saranno misure impopolari“, riconosce il Caimano.
Il governo mantiene la promessa di togliere l’Ici, ma in cambio Tremonti vara la Robin Tax sugli utili delle imprese energetiche e di banche e assicurazioni.
Che verrà  in gran parte pagata dai consumatori, come rilevato dall’Authority per l’energia, e nel 2015 sarà  dichiarata incostituzionale. L’obiettivo di portare la pressione fiscale sotto il 40% diventa “di legislatura”, quindi in teoria c’è tempo fino al 2013.
Prima vanno tagliate le spese della pubblica amministrazione, spiega Berlusconi nel giorno in cui il capo dello Stato Giorgio Napolitano firma il lodo Alfano che sospende ogni procedimento penale a carico del premier per tutta la durata del mandato.
Non solo: serve il federalismo fiscale che ridurrà  le spese inutili.
Intanto è iniziata la crisi finanziaria — “passeggera“, tranquillizza il Cavaliere — e gli effetti iniziano a sentirsi anche su quella reale. Il pacchetto anticrisi del governo delude e i consumi crollano, come il pil. “Dobbiamo avere fiducia“, è la ricetta del presidente del Consiglio.
Ad aprile c’è il terremoto dell’Aquila, servono fondi per l’emergenza e la ricostruzione. “Senza mettere le mani nelle tasche degli italiani”, assicura il governo. Nel 2009 arriva un nuovo scudo fiscale. E l’annuncio di un taglio dell’Irap che non arriverà  per mancanza di coperture
Nel gennaio 2010 per ribaltare il tavolo non resta che rispolverare vecchie promesse: una riforma tributaria come quella immaginata nel ’94, con due sole aliquote.
Un sistema “che non obblighi i contribuenti a rivolgersi al commercialista“. Ma il primo consiglio dei ministri dell’anno è una doccia (gelida) di realtà : “L’attuale situazione di crisi non permette nessuna possibilità  di riduzione delle imposte. E’ fuori discussione poter pensare a un taglio”, ammette il capo del governo. E’ lo showdown.
Tremonti cerca di metterci una pezza promettendo una riforma fiscale complessiva entro il 2013. A patto che il pil inizi “ad avere andamenti stabili sul 2%”. Purtroppo non succederà . A maggio “il rigore dei conti” è la “priorità  assoluta”. La manovra estiva del 2010, che introduce tra l’altro la tassa di soggiorno, non basta. L’Ocse segnala che l’Italia è salita al terzo posto tra i Paesi industrializzati per peso del fisco.
Alle amministrative del 2011 il centrodestra perde Milano, nonostante le promesse di “una metropoli con meno tasse per tutti”.
Tremonti avverte che la riforma fiscale non si può fare in deficit ma Berlusconi non molla: “Tre sole aliquote, più basse, un sistema di detrazioni e deduzioni snello e trasparente e in tutto 5 imposte raggruppando le attuali”, promette a giugno, dimezzando il totale delle tasse rispetto a quanto promesso nel 1994.
Ma la Ue incalza sul pareggio di bilancio e la riduzione del debito pubblico.
Ad agosto il governo approva una manovra che taglia i fondi agli enti locali, aumenta le accise sul tabacco e la Robin Hood tax sul settore energetico ma soprattutto introduce un contributo di solidarietà  a carico di dipendenti, autonomi e pensionati con redditi alti.
“Il nostro cuore gronda sangue, era un vanto del governo non avere mai messo le mani nelle tasche degli italiani ma la situazione mondiale è cambiata”, lacrima Silvio.
Le opposizioni insorgono. Per mettere a posto i conti si parla di un nuovo condono o in alternativa di una patrimoniale, la nemesi del berlusconismo.
Nel novembre 2011 lo spread arriva a 574 punti. Lo Stato italiano rischia il crac. La sera del 12 novembre 2011 Berlusconi sale al Quirinale e dà  le dimissioni.
La pressione fiscale, comunica l’Ocse, è al 43%. Contro il 38,7% del 1994.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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