BRUTO, MACHIAVELLI E LE FAIDE DEMOCRISTIANE: L’ETERNA LOTTA PER IL POTERE
IL DELITTO PERFETTO NON ESISTE
Doveva, ma non sarebbe mai potuto essere un Letticidio dolce. O almeno, ci hanno provato.
Ma poichè il delitto perfetto non esiste, dall’ipocrita riconoscenza «per il notevole lavoro svolto», nel giro di una mezzoretta si è passati a evocare la giraffa squartata coram populo nello zoo di Copenaghen.
La preziosa immagine si deve all’onorevole Pippo Civati, che del partito-killer è divenuto ieri il capo della maggioranza, e che sempre riguardo alla defenestrazione del presidente del Consiglio ha cinematograficamente evocato l’horror di Shining e, con indubbio scatto di fantasia, «una Dc splatter».
Quest’ultima entità è come ovvio uno studiatissimo controsenso. Nel farsi fuori l’un l’altro, a partire dall’affare Montesi (1953-54) e per il successivo quarantennio, i capi democristiani non scherzavano affatto. Erano lotte crudeli, le loro, e anche tragiche maledizioni, macchinazioni e strumentalizzazioni — basti pensare alle code di paglia che per anni e anni spuntavano periodicamente attorno al caso Moro.
Il principio generale vale anche per il buon Letta, cioè per la vittima di oggi: chi si mette in politica e conquista il potere sa di dover rinunciare a sonni tranquilli. Però al momento di toglierlo, questo benedetto potere, anche le forme sono importanti. A loro modo un indizio di civiltà , certo molto relativo, ma pur sempre corrispondente a uno stile, perfino a un’estetica del cinismo.
Così vuole la leggenda che Giulio Andreotti non si stupì poi tanto, anzi forse fu addirittura orgoglioso allorchè, godendosi in una saletta cinematografica riservata Il Padrino-parte terza, notò sullo schermo un gangster che strangolando un suo ex sodale con un apposito filo di nylon, gli sussurrava all’orecchio: «Il potere logora chi non ce l’ha».
E dunque, per tornare all’oggi, al grottesco sanguinolento della giraffa danese e alle copiose lacrime di coccodrillo versate da tanti durante la direzione del Pd, è irresistibile richiamare la perenne lezione di Niccolò Machiavelli: «A uno principe è necessario saper bene usare la bestia e l’uomo». Almeno da questo punto di vista il giovane Renzi ha dimostrato di non aver molto da imparare.
I leoni e le volpi sono sempre lì, belli affamati. Ma ieri al Nazareno è stato il giorno dei poeti. Il vento in faccia, le strade nel bosco, la statura che si alza fino al cielo. Oh, che squisitezza d’animo! E quanta generosa gratitudine per Letta, anzi per «Enrico» come lo chiama il suo imminente successore — quando non lo chiama meno simpaticamente «il Nipote».
«Apprezzamento», comunque, da parte di Speranza; «riconoscimento non formale» secondo Fassino, pure disposto a ravvisare con una certa partecipazione nel presidente «un turbamento personale e umano».
Il trepido Orfini si è forse sbilanciato: «Risultati straordinari», compreso il «capolavoro» di aver determinato una scissione nel berlusconismo. Mentre Bettini è stato solenne: «La sua sobrietà », «la sua onestà », «il suo senso dello Stato».
Ma anche questi toni, insieme alla veloce determinazione con si è svolto il colpo di palazzo e la mancanza di qualsiasi e preventiva «macchina del fango», renderanno questo ennesimo assassinio politico difficile da dimenticare, e in ogni caso impossibile da rubricare all’insegna del «killing him softly with their song», come da fortunato brano anni 70-90.
Qui semmai la canzone è la solita e spietata che ha a che fare con il potere.
Gli analisti della stampa internazionale, primi fra tutti gli inglesi, cercano e trovano facili agganci con la storia romana, donde «Matteo Brutus Renzi ». Per poi magari rivolgersi, un domani, al bacio di Giuda — anche se all’ultimo piano del Nazareno nessuno per la verità ha estratto la spada per tagliare l’orecchio a qualche esagitato esecutore di giustizia venuto ad arrestare il leader d’Israele.
Letta d’altra parte non è Gesù, proprio no. Ma anche per questo, freschi di lettura del suggestivo «Machiavelli, Tupac e la Principessa» di Adriano Sofri (Sellerio), si può tantare di racchiudere quanto accaduto con la massima: «La via de lo inferno era facile, poichè si andava allo ingiù e a chiusi occhi».
E insomma, si avrebbe qualche scrupolo a richiamare le deposizioni e i tradimenti ai danni di De Mita, Occhetto, Prodi o Veltroni. Ora, Renzi potrà riderne o schernirsi, i twitter sono senz’altro efficaci nella loro istantaneità e alcuni suoi lasciano anche il segno, ma il cuore della faccenda, più che nei poeti di pronta citazione, sta scolpito nei grandi classici.
Per cui non paia incredibile che di fronte all’ipotesi di togliersi di torno — dopo tanti altri — anche l’«amico Enrico», qualcuno o magari qualcuna non gli abbia fatto la terribile domanda che Lady Macbeth rivolge al suo maritino nel momento decisivo: «Hai paura ad essere nell’azione e nel coraggio quello che sei nel desiderio?».
Per poi dispensargli il grazioso consiglio e risolutivo: «Appari come il fiore innocente, ma sii la serpe che vi si nasconde sotto». E Machiavelli, in diverso contesto, ma fino a un certo punto: «Il veleno che vi è sotto».
Perchè anche di questo è fatto il potere. Serpenti, veleni, lacci, stiletti, frecce, spade e altri ameni utensili. Chi fa politica deve saperlo, e in genere lo sa.
Ma il gentile pubblico non pagante ha pur sempre il sacrosanto diritto di scandalizzarsene.
Che forse è meglio di fregarsene del tutto come verrebbe naturale quando i personaggi appaiono tragiche caricature.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica”)
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