CAPORALATO E LAVORO NERO NELLA “CIVILE” BOLZANO: SETTE INDAGATI PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
SFRUTTAMENTO DEGLI IMMIGRATI: 41 LAVORATORI IN NERO, 15 ORE DI LAVORO AL GIORNO PER 500 EURO AL MESE, MINACCE E RITIRO DEI DOCUMENTI
I finanzieri della Tenenza di Egna (Bolzano) hanno recentemente concluso, su delega della Procura della Repubblica di Vicenza, un’indagine di polizia giudiziaria che ha portato alla luce un preoccupante fenomeno d’illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro posto in essere mediante comportamenti di prevaricazione nei confronti di numerosi lavoratori, nonchè violazioni alle norme di sicurezza e fattispecie di evasione fiscale.
Le Fiamme Gialle altoatesine, dopo approfondite indagini, hanno accertato l’impiego di 41 lavoratori “in nero” e denunciato sette persone (residenti a Vicenza) per i reati di associazione per delinquere e intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (“Caporalato”).
Attraverso società aventi sede nelle province di Vicenza, Trento, Verona e Milano, i soggetti denunciati reclutavano lavoratori, soprattutto stranieri (pakistani, indiani e algerini), i quali venivano impiegati, prevalentemente nella zona sud della provincia di Bolzano, per la consegna di volantini pubblicitari “porta a porta”, utilizzando biciclette messe a disposizione dai datori di lavoro.
I lavoratori, costretti a vivere in situazioni degradanti, venivano trasportati, mediante dei furgoni fatiscenti e insicuri, sui luoghi di lavoro, ubicati in tutto il territorio della provincia bolzanina ed erano continuamente sorvegliati, anche tramite sistemi GPS.
Gli stessi venivano impiegati per più di 15 ore al giorno (per sei giorni alla settimana), percependo uno stipendio compreso tra i 500 e i 700 euro al mese. Tra i denunciati vi è anche un finto consulente fiscale.
L’OPERAZIONE
L’attività di controllo ha preso le mosse dal monitoraggio di alcuni lavoratori, soprattutto stranieri, domiciliati sia nella bassa atesina che in altre zone della provincia di Bolzano e di Trento, i quali venivano impiegati, prevalentemente nella zona sud della provincia bolzanina, per la consegna di volantini pubblicitari “porta a porta”. Per gli spostamenti e le consegne, i lavoratori utilizzavano biciclette messe a disposizione dai datori di lavoro.
I preliminari accertamenti effettuati, sia con riferimento agli orari di lavoro che alle anomale modalità di svolgimento del “rapporto” d’impiego, hanno condotto i militari ad eseguire più approfondite indagini, che hanno consentito d’individuare una società (con sede a Vicenza) la quale aveva reclutato un numero elevato di lavoratori, di nazionalità pakistana, indiana e algerina.
I responsabili di tale società , come hanno dimostrato le successive investigazioni, avevano creato un sistema ad hoc, costituito da ulteriori 4 ditte individuali e da 4 società (riconducibili sempre agli stessi soggetti), il cui principale scopo era quello di allargare il proprio giro d’affari mediante l’impiego di manodopera completamente “in nero”.
Queste società e ditte individuali, tutte operanti nel settore della pianificazione e promozione pubblicitaria, hanno sede nelle province di Vicenza, Trento, Verona e Milano.
I lavoratori, privi di mezzi di sussistenza alternativi e costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie, venivano reclutati, principalmente, nella zona di Rosà (VI) e trasportati, mediante dei furgoni fatiscenti e insicuri (sovente anche causa di gravi incidenti stradali), sui luoghi di lavoro ubicati in tutto il territorio provinciale.
Gli addetti, in sella alle biciclette che venivano loro fornite, erano costretti a lavorare in condizioni indecorose e sotto continua sorveglianza (dal momento che seguivano tragitti prestabiliti), erano “affidati” al controllo di un capo squadra, venivano monitorati tramite sistemi GPS, erano impiegati anche per più di 15 ore al giorno (per sei giorni alla settimana) e percepivano uno stipendio compreso tra i 500 e i 700 euro al mese.
Come se non bastasse, i lavoratori erano sottoposti a continue minacce di licenziamento ovvero di percosse, soprattutto in caso di rivelazione, alle forze dell’ordine, delle reali condizioni di lavoro.
Ai lavoratori in tal modo sfruttati, in alcune circostanze venivano trattenuti i documenti, quali la carta d’identità o il permesso di soggiorno, al fine di mantenere saldo il rapporto di patologica subordinazione e condizionamento psicologico.
(da agenzie)
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