CASE E CEMENTO DOVE SCORREVANO I FIUMI, EPPURE LA GENTE SI STUPISCE DELLE ALLUVIONI
CONTINUIAMO A NEGARE L’EVIDENZA, PIU’ NATURA SIGNIFICA PIU’ SICUREZZA
Un brivido deve essere corso dietro la schiena di chi era presente nel novembre del 1966 quando l’acqua dell’Arno ha lambito le arcate di Ponte Vecchio, superando il primo livello di guardia a tre metri, innalzandosi oltre tre metri e mezzo e sfiorando i 1.100 metri cubi d’acqua al secondo. Gli stessi brividi provati a Sesto Fiorentino,
ricordando l’alluvione in Toscana del 2023, e gli stessi di chi a Faenza ha già visto ripetersi per due volte, nel 2023 e nel 2024, eventi che in teoria dovevano essere plurisecolari. Chissà se basteranno a capire che siamo entrati nei territori inesplorati della crisi climatica, quelli delle perturbazioni meteorologiche a carattere violento che vedono il Mediterraneo centrale come l’“hot spot” climatico più critico d’Europa. Cosa che significa più calore, ma anche più eventi estremi. Eventi meteo che non dobbiamo confondere con il clima, ma che bene si inseriscono nella tendenza al riscaldamento globale e alla estremizzazione climatica.
Rischio idrogeologico
Osservando le reazioni della popolazione, non si riesce a cogliere quale sia il grado di comprensione del rischio idrogeologico che si corre nell’Italia peri-appenninica del Terzo Millennio. Sembra sempre che le persone cadano dalle nuvole, come se abitassero nella steppa caucasica e non in un Paese geologicamente giovane e attivo, sede di ogni tipo di rischio naturale. E siamo sempre caduti dalle nuvole, fino da quando abbiamo iniziato a gonfiare oltre misura borghi e cittadine di case, costruzioni e infrastrutture che hanno rotto quell’accordo che in passato veniva sottoscritto con la natura: vivere in una zona resa più pericolosa disboscando, a patto di lavorare costantemente quel territorio, spezzandoti la schiena ogni giorno. E invece case su case, interi quartieri, infrastrutture, fiumi soffocati con il cemento, asfalto dovunque, salvo poi meravigliarsi che l’acqua tracimi ovunque, quando in poche ore si concentra la quantità che in passato cadeva in mesi. Salvo poi guardare inebetiti l’ennesima frana colare giù dalle montagne e domandarsi perché proprio a loro.
Per questa scarsa consapevolezza del territorio, per aver costantemente varcato i confini del rischio, per aver sacrificato tutto al dio denaro, siamo qui ad aver paura dei fiumi e delle montagne ogni autunno e ogni primavera. E siamo qui a negare ciò che è sotto gli occhi di tutti, che non è assolutamente normale il numero, la frequenza e soprattutto il contenuto energetico degli eventi meteorologici di questi anni, ragione per cui siamo in piena crisi climatica. E siamo qui a fare ancora riferimento all’inizio del XX secolo per stabilire il periodo di ritorno delle piene, quando quelle statistiche sono ormai carta da archivio e tutto va riportato agli ultimi venti o trent’anni, scoprendo che di plurisecolare o millenaria non c’è più alcuna ricorrenza e bisogna parlare di decenni o addirittura di anni. Non abbiamo ancora capito che il fiume si riprenderà sempre il territorio che noi avevamo colonizzato e che quando ci sono le case e l’acqua nello stesso luogo, nel posto sbagliato ci sono le case, non l’acqua.
Restituire il territorio ai corsi d’acqua
E via così, negando, minimizzando, chiedendo lo stato di emergenza, ma assolutamente senza fare alcun passo indietro, senza provare a restituire territorio e natura ai corsi d’acqua e alle montagne senza tenerli nell’attuale stato di costante aggressione predatoria. Non c’è niente da fare: nessuno in questo Paese sembra voler fare ciò che andrebbe fatto in termini di recupero della natura e di consapevolezza delle persone, nessuno che capisca che più natura significa più sicurezza e che le opere non sempre risolvono i problemi (nel caso dell’Arno sì) e che, in qualche caso, li aggravano. Ma soprattutto nessuno che voglia incorporare all’interno dei propri orizzonti culturali il limite cui tutti i viventi sono sottoposti, quello imposto dall’ambiente naturale. Non dovremmo dimenticare che le nostre società esistono solo grazie a un temporaneo consenso geologico soggetto a essere ritirato senza tanto preavviso.
Mario Tozzi
(da lastampa.it)
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