CASO LUSI: COLPIRNE UNO NON PER EDUCARNE MA PER SALVARNE CENTO
SI COMINCIA SEMPRE DAL TESORIERE: EFFETTO GRILLO E PAURA DEI FORCONI… IL PRIMO (E UNICO) A PAGARE NEL PALAZZO RIDOTTO A CITTADELLA ASSEDIATA
Da qualcuno bisognava cominciare. Magari ti puoi chiedere perchè Lusi sì e Belsito no, per dire. Oppure perchè no il Trota.
Ma da qualcuno bisognava cominciare. E in faccende così, in genere, si comincia dai tesorieri. Anche Tangentopoli – iniziata per caso con Mario Chiesa, il «mariuolo» – si mostrò per quel che era grazie ai tesorieri: e Severino Citaristi, storico e mite custode delle casse Dc, settantadue avvisi di garanzia e un arresto (giusto nel giugno di 18 anni fa) ne divenne infatti il simbolo. Stavolta tocca a Luigi Lusi, un’infanzia da scout e una faccia da allegrone.
Lusi è accusato di aver sottratto per “suo beneficio” oltre 22 milioni di euro dalla cassaforte della Margherita, nei dieci anni in cui ne è stato tesoriere.
Ieri sera, qualche istante prima delle 20,30 – in una calura che ancora toglieva il fiato, e con la stessa grisaglia che aveva un’ora prima al Senato – Luigi Lusi è entrato nel carcere di Rebibbia. Aveva salutato moglie e figli prima di recarsi a Palazzo Madama: e per evitare tragedie a casa si è costituito, prendendo di sorpresa perfino gli inquirenti.
Ha dovuto attendere un po’ che uomini della Guardia di Finanza arrivassero e gli notificassero l’ordinanza di custodia cautelare: poi gli hanno preso le impronte digitali, lo hanno fotografato di fronte e di profilo, e lo hanno condotto nella cella che gli era stata preparata.
Nell’aula del Senato, un paio di ore prima, aveva parlato senza lasciarsi mai andare alla retorica, a una frase pietosa o a cose del tipo “Ho un onore da difendere”.
Quel che gli premeva difendere era la logica: com’è possibile che nessuno al vertice del mio partito sapesse niente, si accorgesse di niente, sospettasse di niente, tanto che ora tocca solo a me rispondere di tutto questo?
E difendeva la legittimità di un cattivo pensiero: mi hanno indagato a marzo per appropriazione indebita, ma per potermi arrestare ci hanno aggiunto a maggio – l’associazione a delinquere, vi pare normale tutto ciò?
Poi, affinchè buon intenditor intenda, un lungo richiamare «patti fiduciari disconosciuti», «comune assenso nella gestione dei flussi finanziari», «rapporti di fiducia ora messi in discussione»…
Non c’è stato niente da fare.
E diciamo pure che ci vuole una discreta sfortuna a finire – inaspettatamente – nella parte di «agnello sacrificale».
Tra i pochi a dire no all’arresto di Lusi (il Pdl ha pilatescamente deciso di non votare…) si sono infatti distinti i nomi dei senatori Sergio De Gregorio, Alberto Tedesco e Marcello Dell’Utri, che agnelli sacrificali non lo sono diventati per un pelo.
Altri tempi, anche se alcuni casi sono recentissimi.
Quello di Luigi Lusi, infatti, è senza alcun dubbio il primo arresto – se possiamo dir così – dell’«era Grillo».
Ieri, al Senato, se ne mormorava nervosamente alla buvette. E qualcuno parlava addirittura di «effetto Grillo»: proprio come una ventina di anni fa si temeva quello di Di Pietro.
L’«effetto Grillo» sarebbe il punto di caduta, la trasformazione dallo stato gassoso a quello solido, di un discredito e di una sfiducia – nei confronti della politica quasi tout court – che vengono da molto lontano.
Ora, però, quei sentimenti si sono trasformati in rabbia, hanno trovato un volto attraverso il quale rappresentarsi ed ogni difesa, ogni argine – nell’accerchiatissima cittadella politica – è ormai impossibile.
«Se il Senato non vota per l’arresto, si rischia che la gente venga qui con i forconi», aveva avvisato Rutelli; «Dobbiamo evitare il linciaggio», aveva concordato qualcun altro.
Ieri, a voto di condanna espresso, Enzo Carra – storico portavoce di Arnaldo Forlani, arrestato a sua volta, uno insomma che sa di che parla – ha tradotto il tutto in un’immagine spietata e melanconica: «Il Senato ha votato contro il suo Schettino: un uomo solo muoia perchè tutti gli altri vivano».
Dunque, da qualcuno bisognava cominciare: e al Senato hanno deciso di cominciare da Luigi Lusi.
Che naturalmente se lo merita per gli spaghettini al caviale, le ville, le case e le vacanze lussuose: tutte naturalmente a spese della Margherita – secondo le accuse – e cioè a spese nostre, o almeno di quelli che pagano le tasse.
Il problema, per qualcuno, potrebbe consistere nel fatto che – dopo che hanno cominciato loro – adesso possa cominciare lui, Lusi: uno che avrà pure la faccia da allegrone ma non sembra disposto a portare la croce da solo, a trasformarsi – insomma – nel Primo Greganti del terzo millennio.
Già nell’aula del Senato (discorso dattiloscritto, quindi a lungo preparato) aveva fatto intendere che – Grillo o non Grillo – nessuno poteva giocare a fare Alice nel paese delle meraviglie: «Non si è mai visto un gruppo dirigente disconoscere ordinarie modalità gestionali». «E quante telefonate da Rutelli per sottrarre firme alla richiesta di voto segreto».
«Qualcuno, in quest’aula, è in evidente conflitto d’interessi: e per correttezza dovrebbe non votare».
Poi una obliqua citazione: «Come scrive il poeta, cos’è un ricordo? Niente, non puoi vederlo, non puoi toccarlo. Eppure, non puoi cancellarlo… ».
Ricorda qualcosa Luigi Lusi? E’ questo quel che gli viene chiesto fuori dall’aula, a sentenza ormai emessa.
Ha detto ai magistrati tutto quel che sapeva?
Prima di rispondere, si concede – fedele al personaggio – una battuta: «Sapete ora dove devo andare… Fatemi andare, altrimenti diranno che sto facendo altri otto viaggi alle Bahamas».
Poi però risponde: «No, non ho detto tutto. Ci sono una marea di approfondimenti che, se i giudici vogliono, sono disposto a fare».
Ognuno la può intendere come vuole.
Il sospetto è che non pochi, però, la stiano intendendo assai male…
Federico Geremicca
(da “La Stampa“)
Leave a Reply