Ottobre 5th, 2019 Riccardo Fucile IN ATTESA DEL PIANO DI DELTA, ALTRO ESBORSO IN UN POZZO SENZA FONDO… NEGLI ULTIMI 10 ANNI BUTTATI 10 MILIARDI
Il conto di Alitalia prevede altri 350 milioni di soldi pubblici per far partire il piano di Delta. Il Messaggero spiega oggi che l’attuale piano potrebbe non bastare proprio alla luce dei numeri che offre:
Al Mef sanno bene che negli ultimi 10 anni i tentativi di salvataggio del vettore tricolore costato ai contribuenti quasi 10 miliardi — hanno avuto una logica stand-alone, di attesa, e un focus solo sulla riduzione dei costi, piani, da quello Fenice ad Etihad, che non sono mai riusciti a garantire profittabilità .
Da qui il continuo ricorso alla cassa integrazione, al taglio delle rotte, con il rischio di mettere in pericolo, a cadenze regolari, gli 11mila posti di lavoro tra piloti, hostess e personale di terra.
Per gli advisor l’attuale piano, quello che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dovrebbe esaminare nelle prossime ore, ha una logica «prevalentemente stand-alone, con conseguenti risultati economico-finanziari insoddisfacenti, coerenti con la debolezza del posizionamento industriale e di mercato».
Come dire che la frenata (Atlantia dovrebbe investire 365 milioni in un progetto a cui non crede) c’entra fino a un certo punto con il nodo concessione. Anche perchè, sostengono sempre i consulenti, il rilancio del vettore tricolore non può non passare per una ulteriore iniezione di risorse pubbliche per perfezionare l’operazione.
Nel dossier finito sul tavolo di Patuanelli c’è scritto nero su bianco che anche chiudendo entro i termini prestabiliti, ovvero il 15 ottobre, Alitalia avrà comunque bisogno di ricevere altre risorse per arrivare al closing e perfezionare la cessione.
Si tratta, secondo le prime stime, di circa 350 milioni. Per continuare a volare e non portare i libri in tribunale.
(da “NextQuotidiano“)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile LA COMPAGNIA DI BANDIERA ENTRA DI NUOVO IN FASE DI STALLO… E’ CHIARO CHE SE A UNO REVOCHI LE CONCESSIONI PRIMA DI UNA SENTENZA DEL TRIBUNALE NON PUOI ASPETTARTI CHE BUTTI I SOLDI DALLA FINESTRA PER SALVARE ALITALIA
A stupire è lo stupore. Atlantia, la holding della famiglia Benetton, ha scritto una lettera al neo-ministro dello Sviluppo Economico (e del Lavoro) Stefano Patuanelli in cui ha messo in evidenza come l’ingresso nelle quote azionarie di Alitalia non possa che essere condizionato da una certezza: la conferma (o meno) delle concessioni autostradali ad Aspi (controllata dal gruppo).
Il Mise ha risposto dicendo di non esser disposta ad accettare ricatti, ma la trattativa (ora) potrebbe portare all’ennesimo rinvio della scadenza prevista per martedì 15 ottobre.
«Il permanere di una situazione di incertezza in merito ad Autostrade per l’Italia o ancor più l’avvio di un provvedimento di caducazione — si legge nel testo redatto e spedito dal gruppo Atlantia -, non ci consentirebbero, per senso di responsabilità riconducibile sia alle risorse finanziarie necessarie che alla tutela degli interessi dei nostri circa 40 mila azionisti italiani ed esteri, dei circa 31 mila dipendenti del gruppo e di tutti gli stakeholders, di impegnarsi in un’operazione onerosa di complessa gestione ed elevato rischio».
La caducazione a cui si fa riferimento nella lettera inviata al Mise non è altro che la revoca della concessioni autostradali che sono ancora nelle mani di Aspi.
Alitalia, dunque, entra nuovamente in una fase di stallo. Nel prosieguo della lettera al Mise, inoltre, Atlantia fa riferimento a un salvataggio della compagnia di bandiera e non a un rilancio.
In soldoni: si può effettuare un piano solo a breve termine per evitare il fallimento totale, ma senza l’impegno a irrorare le casse dell’azienda per anni garantendone il rilancio sul mercato.
Il ministro Stefano Patuanelli ha replicato a questa lettera dicendo di non voler sottostare a ricatti. Ora, però, il Mise è chiamato a trovare una soluzione per evitare l’ennesimo rinvio di una storia infinita.
La revoca delle concessioni autostradali, infatti, è una delle promesse fatte dal Movimento 5 Stelle (e digerita anche dal Partito Democratico) ai suoi elettori.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2019 Riccardo Fucile SE SALTA IL GOVERNO, QUALE MINISTRO DELL’ECONOMIA A SETTEMBRE VALUTERA’ IL SALVATAGGIO?
Se salta il governo salta anche il piano per Alitalia. 
Spiega oggi Marco Patucchi su Repubblica che non è dato sapere se e quale ministro dell’Economia a settembre si accomoderà ad ascoltare l’offerta e il piano industriale definitivi della cordata, con Ferrovie dello Stato pivot, che dovrebbe mantenere in volo la compagnia di bandiera.
A Via XX Settembre in queste ore ci si concentra esclusivamente sulla matassa della manovra, da districare per evitare il tracollo dei conti pubblici del Paese.
La scadenza del 15 settembre per l’offerta vincolante su Alitalia, dunque, resta scritta nell’agenda e Fs, Atlantia e Delta tirano dritto come se lo strappo di Salvini non ci fosse stato: in fondo il percorso dell’operazione per ora prescinde da provvedimenti governativi.
Sta di fatto, però, che la prima bozza di piano industriale concepita quando il gruppo Benetton non era ancora della partita, potrebbe essere modificata sostanzialmente.
Se le Fs puntano all’integrazione tra trasporto aereo e su rotaia (in soldoni, ad esempio, un biglietto unico per un turista che arriverà in aereo a Roma e proseguirà in treno per Firenze o per Venezia), Atlantia guarda al rilancio dei ricavi di Alitalia con il rafforzamento delle rotte intercontinentali (Stati Uniti in primis) e al miglioramento dei servizi di terra della compagnia. Obiettivi collegati alla necessità di salvaguardare i ricavi garantiti ad Adr dall’aeroporto di Fiumicino.
Senza contare l’innegabile riflesso dell’operazione Alitalia sui rapporti tra Autostrade (società del gruppo Benetton) e lo Stato: ancora ieri l’altro i ministri grillini (uscenti) minacciavano il ritiro della concessione autostradale, mentre però in Borsa il titolo Aspi era l’unico a festeggiare la caduta del governo.
Sullo sfondo Delta, osservata con sospetto dai sindacati perchè portatrice di interessi in qualche modo competitivi con quelli di Alitalia.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 15th, 2019 Riccardo Fucile ATLANTIA ENTRA IN ALITALIA E DI MAIO FESTEGGIA, GENOVA E’ ORMAI LONTANA
Nuova Alitalia, atto primo. Atlantia entra nella cordata di salvataggio. 
Luigi Di Maio può solo prenderne atto. E “festeggiare” a denti stretti. Dopo un anno in cui i 5 stelle si sono scagliati contro i Benetton per il crollo del ponte Morandi a Genova, la capriola, politica, di contenuto e di immagine è compiuta.
E quindi benvenuti a bordo.
In un post su Facebook il capo politico del Movimento ribadisce che Autostrade e la revoca della concessione è altra cosa, ma il dato dell’oggi dice che i Benetton sono entrati nella cabina di comando di Alitalia. E questo dato è stato metabolizzato. O tale deve apparire.
Ma restano i contraccolpi che può generare, dentro e fuori il Movimento, da oggi in avanti. A maggior ragione che l’ingresso di Atlantia ha un prezzo: il rinvio. Perchè se Fs ha deciso che sarà Atlantia, e solo Atlantia, ad affiancarla insieme al Tesoro e all’americana Delta nella squadra dei cavalieri bianchi, l’ha potuto fare accogliendo una manifestazione di interesse. Che, essendo tale, è soggetta a trattativa. E le trattative si tirano dietro interessi da tutelare e rivendicazioni. Il pallino ce l’hanno in mano i Benetton.
Il salvataggio di Alitalia ha tempi lunghi, metà settembre almeno. Solo dopo la riscrittura del piano industriale e solo se questa riscrittura sarà ritenuta sufficiente, allora la holding dei Benetton metterà sul piatto i circa 350 milioni necessari per completare la caccia al tesoro che in totale arriva a 1 miliardo.
Per capire quanto ancora la soluzione definitiva sia lontana basta sapere che le quote dentro la cordata saranno definite solo in un secondo momento. Atlantia è disposta a entrare con il 35-40%, ma i numeri arriveranno dopo.
La decisione di scegliere Atlantia come quarta gamba della cordata di salvataggio è stata presa da Fs nel corso di un consiglio di amministrazione lunghissimo, durato oltre quattro ore e mezza. Fonti qualificate raccontano di una riunione nella quale si sono sondate fino all’ultimo particolare tutte e quattro le manifestazioni di interesse arrivate domenica pomeriggio a Mediobanca, l’advisor delle Ferrovie.
Solo Atlantia ha superato il test di affidabilità . Fuori invece Claudio Lotito e German Efremovich, socio di maggioranza della colombiana Avianca. E fuori anche il gruppo Toto, il cui ingresso era caldeggiato da Di Maio per bilanciare l’ingresso di Atlantia. Hanno prevalso altre logiche, strettamente finanziarie e di mercato.
Era nota la preferenza di Fs per Atlantia perchè le Ferrovie, che entreranno nella cordata con il 35% (versando quindi circa 350 milioni), hanno sempre vincolato il proprio investimento a un’operazione di natura industriale forte, con un partner dal profilo industriale altrettanto di peso.
Delta ha formalizzato negli scorsi giorni la scelta di avere a fianco solo Atlantia. Al netto del largo fronte politico a sostegno (da Matteo Salvini a Giovanni Tria fino al premier Giuseppe Conte), Atlantia si è imposta soprattutto per i suoi numeri, il suo business e l’affidabilità riconosciuta dagli operatori di mercato.
Il gruppo Toto, come si diceva, non entrerà nella cordata. E questa esclusione dice una cosa importante per la partita che si aprirà da oggi fino al giorno in cui Fs riterrà idonei i tempi per lanciare la proposta di acquisto di Alitalia, dando quindi vita alla newco. Dice che il potere contrattuale dei Benetton cresce. A dismisura. Atlantia si siederà al tavolo con Fs e chiederà di riscrivere il piano industriale fino ad ora abbozzato dalle Ferrovie e da Delta.
Deve tutelare Aeroporti di Roma, la società che ha in pancia e che gestisce l’aeroporto di Fiumicino. La lista dei desiderata è lunga. Include vision, strategia, fino al personale che dovrà avere la nuova Alitalia.
Le rotte, ad esempio, è un capitolo del piano industriale che va riscritto perchè Atlantia vuole spostare la nuova compagnia aerea verso quelle a lungo raggio.
Quindi Cina, Stati Uniti, Canada. Non i Balcani o rotte a breve e medio raggio.
Poi i servizi, che si vuole ai livelli di Adr. Fiumicino è l’hub di riferimento di Alitalia, che vale circa il 28% dei ricavi aeronautici di Adr (in calo costante da dieci anni).
Se Alitalia ritorna a crescere e il traffico si intensifica tutto ciò può avere un effetto positivo su tutta l’economia dell’aeroporto. E qui si apre il tema dei servizi a terra, che nello scalo romano impiegano attualmente migliaia di lavoratori. Anche sugli esuberi bisognerà trattare.
Il primo tassello per la nuova Alitalia è stato posizionato. Chiude una parte di una partita più grande, quella appunto tra i 5 stelle e i Benetton. Quelli che erano ritenuti I carnefici diventano i salvatori della patria.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 10th, 2019 Riccardo Fucile SERVONO SOCI PRIVATI ENTRO SETTEMBRE… L’AZIENDA PERDE UN MILIONE AL GIORNO
Come prima, più di prima: da qualche settimana Alitalia perde più di un milione di euro al giorno. Senza una rapida ricapitalizzazione, a fine settembre – escludendo le somme vincolate per garanzie e royalties – la ex compagnia di bandiera avrà una disponibilità di cassa di 150 milioni.
Quanto basta per costringere l’ente per l’aviazione civile a disporre la messa a terra degli aerei per ragioni di sicurezza. Non si tratta di previsioni menagrame, ma dei numeri in mano ai commissari che da due anni si avvicendano alla guida della società e ai quali La Stampa ha avuto accesso.
La compagnia ieri si è affrettata a ricordare che a giugno sono aumentati traffico e passeggeri, ma qualunque sforzo non regge di fronte a un’azienda che dopo il fallimento dell’alleanza araba resta troppo piccola per competere con i grandi vettori e troppo grande per competere con le low cost.
È per questo che Luigi Di Maio, sempre più preoccupato, ieri ha rilanciato l’unica soluzione al momento disponibile per il salvataggio: la rinazionalizzazione.
Ecco cosa facevano trapelare ieri fonti del ministero dello Sviluppo: «Si conferma la chiusura lunedì prossimo senza rinvii». Ci sarà una nuova società «con la maggioranza assoluta di Ferrovie e ministero del Tesoro». Le stesse fonti omettono però di dire tutta la verità sulla vicenda: le probabilità che Alitalia diventi completamente pubblica al momento sono vicine allo zero. Vediamo perchè.
Il ministero del Tesoro, al quale i fondi non mancano, può investire al massimo 145 milioni di euro: lo dice esplicitamente una norma del decreto crescita.
Ipotizzando un aumento di capitale non inferiore al miliardo, si tratta di circa il 15 per cento. L’impegno di Ferrovie, spinta di forza al tavolo dal governo, non è comunque disponibile ad investire più del 35 per cento delle quote. Il resto dovrà venire dai privati, e non solo perchè mancano i fondi: difficile immaginare che l’Antitrust europeo dica sì a una completa nazionalizzazione.
L’americana Delta, partner di Alitalia in Sky Team, è disposta a mettere fra il 10 e il 15 per cento delle quote, ed evitare così l’uscita dall’alleanza.
Sul tavolo Di Maio ha altre tre carte, anche se poco credibili. Il primo è l’azionista di maggioranza della compagnia colombiana Avianca, Germà¡n Efromovich, appena estromesso dalla presidenza con un blitz di United Airlines e Kingsland.
Sono interessati Carlo e Riccardo Toto, ma anche loro non godono di grande credibilità presso la compagnia: su di loro pende un’azione di responsabilità per aver dato in leasing aerei a prezzi superiori a quelli di mercato.
L’ultimo pretendente è il patron della Lazio Claudio Lotito, il quale però non avrebbe le garanzie necessarie a un investimento significativo: per dare una speranza all’ennesimo rilancio occorrono soldi ed esperienza nel settore.
Il convitato di pietra sono la famiglia Benetton e Atlantia, azionisti di maggioranza di Aeroporti di Roma e con le spalle abbastanza larghe per un investimento di quel tipo.
Il problema in questo caso sono i pessimi rapporti con il governo, e in particolare i Cinque Stelle dopo la vicenda di Ponte Morandi.
Le battute recenti di Di Maio – «un’azienda decotta» – e le minacce del ministro dei Trasporti Toninelli di revoca della concessione non hanno contribuito a migliorare il clima. Ferrovie, il suo advisor Mediobanca e Delta spingono perchè si siedano al tavolo, Atlantia aspetta un segnale distensivo da parte del premier, che ha promesso di prendere in mano il dossier. È probabile che ciò avvenga rapidamente. Alitalia dà ancora lavoro a più di undicimila persone, senza contare le aziende minori che le ruotano attorno negli hangar e negli aeroporti di tutta Italia.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2019 Riccardo Fucile IL FALLIMENTO DI LEGA E M5S DOPO TANTE CHIACCHIERE: LA MAGGIORANZA RESTA IN MANO PUBBLICA
Le Ferrovie e il Tesoro, cioè lo Stato. Tradotto: i soldi degli italiani.
Lo schema a cui sta lavorando Luigi Di Maio per il salvataggio di Alitalia, arrivata nel frattempo all’infelice traguardo del giorno 800 sotto la gestione dei commissari, ha lo stampo della nazionalizzazione.
Si cerca ancora il quarto partner, i Benetton e Atlantia restano sotto coperta ma non fuori, anzi in queste ore sta crescendo il pressing di Fs e Mediobanca perchè siano della partita. Chi è ufficialmente in lizza, intanto cerca di accreditarsi come il migliore.
Ma dietro queste dinamiche che ancora non hanno una forma compiuta e a meno di una settimana dall’ennesima scadenza dei termini, il dato politico, che è anche economico e di immagine, dice di un piano di rilancio tutto caricato sulle spalle del pubblico.
Dice di un asset che non attrae gli operatori del settore, le soluzioni di mercato, l’idea che Alitalia possa essere un affare da non lasciarsi sfuggire.
I tempi stringono e Di Maio non può permettersi un altro rinvio. Sarebbe il quinto in pochi mesi, la certificazione dell’incapacità della politica – e in questo caso del suo ruolo da ministro dello Sviluppo economico – di farsi intermediario pesante in un dossier che è un pezzo del sistema Paese.
Perchè Alitalia non è formalmente la compagnia di bandiera da tempo (leggere la stagione della metarmofosi con Etihad), ma tutto quello che si tira dietro, in termini di immaginario collettivo, va dritto all’idea della compagnia degli italiani in un mercato interno caratterizzato dall’influenza delle low-cost straniere.
Alcune fonti del suo ministero hanno tratteggiato all’Ansa lo scheletro della cordata di salvataggio che sta coordinando Fs. Impostazione nota da settimane, se non da mesi, con una variazione però importante.
Le Ferrovie, secondo questo schema, sarebbero pronte a scendere in campo nella nuova Alitalia con il 35%, aumentando la quota prevista fino ad ora, a cui si affiancherebbe il 15% del Tesoro. Il totale fa 50%, che nell’assetto definitivo dovrebbe essere portato leggermente più in alto, quanto basta per determinare chiaramente la natura della maggioranza.
Che sarà , come si diceva, pubblica.
Delta dovrebbe confermare il suo 10-15% mentre si cerca il quarto partner, quello che dovrà sobbarcarsi circa il 35-40% del nuovo azionariato mettendo sul piatto fino a 300 milioni.
Una maggioranza in mano allo Stato perchè Fs è una partecipata dal Mef al 100% e il Tesoro è ovviamente anch’esso Stato.
Sono soldi pubblici, ma anche responsabilità e decisioni in capo non a operatori del settore ma ai manager di Stato, con tutti i rischi che questa configurazione può assumere visto il vizio che la politica ha avuto in passato di mettere bocca su scelte e strategie.
Il 15 luglio si avvicina e Di Maio vuole chiudere la partita. Resta ancora in campo il punto interrogativo sull’identikit del quarto partner. I contatti sono in corso, attraverso faccia e faccia tra i manager e i rispettivi advisor, tra Delta e i tre pretendenti, cioè il gruppo Toto, Claudio Lotito e l’imprenditore colombiano German Efromovich, l’azionista della compagnia sudamericana Avianca. Lotito sembra partire svantaggiato anche in base alle dichiarazioni di Di Maio che ha invitato il presidente della Lazio a presentare garanzie di solidarietà finanziaria. E poi ci sono i dubbi di Delta sull’ingresso di Efromovich in Alitalia. A
vianca infatti fa parte dell’alleanza Star Alliance, concorrente di Sky Team di cui fa parte il vettore statunitense. La caccia al quarto cavaliere bianco è ancora confusa. Atlantia resta alla porta. Non ha presentato alcuna proposta, ma la partita si gioca su più piani, impatta sulla questione delicata della concessione di Autostrade, intercetta sensibilità diverse dentro al governo, visto che la Lega vedrebbe di buon auspicio un suo ingresso. Oltre che per Fs e per Mediobanca, anche secondo Delta sarebbe il partner ideale. Almeno per oggi, però, non se fa nulla. Mancano però ancora sette giorni.
Con un’incertezza così ampia, le carte possono mischiarsi facilmente.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 11th, 2019 Riccardo Fucile LE BALLE DEI SOVRANISTI MENTRE OGNI GIORNO LA COMPAGNIA PERDE 1,2 MILIONI DI EURO DEGLI ITALIANI
Nelle casse di Alitalia sono rimasti 450 milioni entrati anche grazie ai biglietti venduti oltre che
ai robusti finanziamenti pubblici.
Ma nessuno si presenta per entrare nella cordata che le Ferrovie dello Stato stanno approntando.
Oggi governo, commissari e Ferrovie dello Stato, in una riunione che si tiene al ministero dello Sviluppo, decideranno di rinviare il termine per la presentazione di offerte vincolanti.
La crisi rischia così di avvitarsi fino a compromettere la sopravvivenza stessa della compagnia in amministrazione straordinaria che a 25 mesi dall’avvio del commissariamento non trova soluzioni adeguate per il rilancio.
Spiega Repubblica:
Al momento, infatti, manca ancora all’appello il 40% dei soci pronti a fondare la Nuova Alitalia: Delta ha indicato Atlantia come partner ideale dell’operazione e il governo italiano, nonostante la chiusura maturata dopo il crollo del Ponte Morandi, non può certo ignorare del tutto questa preferenza. Ecco perchè a quattro giorni dalla scadenza fissata per presentare delle offerte vincolanti (il 15 giugno), l’esecutivo e in particolare Luigi Di Maio, debole regista fin qui della crisi, deve indicare rapidamente una via di fuga.
L’unica percorribile passa per una pax con il gruppo infrastrutturale guidato da Giovanni Castellucci. A quel punto, però, serviranno dei mesi per mettere a fuoco la strategia di rilancio e per ricucire un rapporto tra le parti. Ecco perchè il rinvio di almeno un mese dei termini, appare oggi come la principale via di uscita.
Sullo sfondo rimane Lufthansa, la compagnia tedesca il cui maggiore sponsor era Armando Siri, che nel frattempo è stato cacciato dal ministero a causa di un’indagine per corruzione.
Di fronte, dunque, si intravedono solo tre strade.
La prima: una newco orfana dei Benetton e di Lufthansa, tirata su in fretta e furia con Delta, Fs, un fondo di investimento italiano e una mini cordata di imprenditori nazionali (mini per potenza di fuoco e credibilità industriale), senza andare troppo per il sottile pur di chiudere per il momento il dossier.
La seconda: rinvio di almeno un mese. Una soluzione che metterebbe tutti davanti all’ennesima brutta figura.
La terza ipotesi, una apertura dei 5Stelle a Atlantia o a Lufthansa, è quella che piace meno al Movimento. Ma questa rimane, probabilmente, la via più veloce per salvare il soldato Alitalia.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 29th, 2019 Riccardo Fucile L’AUTHORITY PER L’ENERGIA: “UTILIZZO SOMME DALLA CASSA SIA UNA TANTUM, POI VANNO RESTITUITE”
Evitare ripercussioni negative sulle bollette di famiglie e imprese dal sostegno per Alitalia. 
Lo chiede l’Autorità dell’Energia (Arera) in una segnalazione a Parlamento e Governo, in cui afferma che l’utilizzo di 650 milioni dalla Cassa energetica (Csea) a favore della compagnia aerea sia una tantum e che queste vengano poi restituite.
Togliere fondi alla Csea non consente di fatto all’Authority di intervenire per mitigare le variazioni periodiche delle tariffe energetiche, ed evitare rincari per le famiglie.
Secondo l’Authority, sarebbe opportuno che la norma prevista nel Decreto Crescita per la continuità del servizio della compagnia “venisse modificata nell’iter di conversione, per assumere il carattere di straordinarietà (una tantum), con riferimento esclusivo all’anno 2019, introducendo un termine di restituzione delle somme disponibili presso i conti della Cassa per i servizi energetici e ambientali”.
Nella segnalazione inviata a Parlamento e Governo si spiega come all’interno del Decreto Crescita ci siano due articoli (37 e 50) che “prevedono la possibilità di utilizzare 650 milioni di euro”, presenti sui conti della Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA), “per la copertura finanziaria in favore della continuità del servizio di Alitalia”.
Secondo l’Autorità riducendo la disponibilità della CSEA si andrebbero a comprimere “i margini di flessibilità ” utili alle varie “esigenze di copertura finanziaria degli oneri generali di sistema” che potrebbero verificarsi nel caso in cui avvengano dei cambiamenti nei “costi di generazione o di approvvigionamento dell’energia”. In questo caso le ripercussioni andrebbero ad abbattersi sull’intero sistema tramutandosi quindi “in un incremento improprio dei prezzi dell’energia per le famiglie e per le imprese, qualora ciò dovesse tradursi in un aumento dei corrispettivi a copertura degli oneri generali, con possibili effetti sfavorevoli sul ciclo economico generale”.
In conclusione, sottolinea Arera: “L’Autorità continuerà a determinare i corrispettivi a copertura degli oneri generali perseguendo, in via prioritaria, la tutela dei clienti finali e l’efficiente funzionamento del settore elettrico”.
Codacons, si associa all’allarme di Arera: “Gli italiani rischiano di subire un incremento delle tariffe di luce e gas a causa del Decreto Crescita del Governo che, per salvare Alitalia, prevede di ricorrere ai fondi accantonati attraverso le bollette energetiche pagate dalle famiglie”
(da agenzie)
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Maggio 19th, 2019 Riccardo Fucile PERDITA DI 1.150.196 EURO AL GIORNO
Qualche tempo fa Alitalia comprò pagine e pagine di giornali per segnalare che aveva
migliorato di molto la puntualità dei suoi voli tanto da diventare “prima al mondo per puntualità ”.
Purtroppo per ragioni di spazio (…) nella pubblicità non si segnalava quanto costasse agli italiani la puntualità di Alitalia, visto che per raggiungere quei meravigliosi risultati si stava impiegando (come da 30 anni a questa parte) denaro pubblico.
Ettore Livini su Repubblica rimedia alla piccola dimenticanza di via della Magliana e segnala che attualmente la società vola in profondo rosso e brucia sul fronte operativo 330 mila euro al giorno, che sommati ad ammortamenti e interessi sul prestito ponte garantito dallo Stato portano le perdite quotidiane a quota 1,1 milioni: nel dettaglio 1.150.196 euro ogni 24 ore:
Alitalia viaggia ancora controcorrente: il modello di business — concentrato sul breve e medio raggio — non funziona, i prezzi del carburante sono saliti di quasi 100 milioni. E ogni 24 ore di decolli e atterraggi nelle casse della società entrano 8,4 milioni ma ne escono (a livello di perdite nette) circa 9,5.
La spunta voce per voce nasconde diverse sorprese.
Il costo degli stipendi del personale ad esempio, contrariamente a quanto si pensi, pesa solo per il 17% delle uscite totali (1,6 milioni al giorno) ed è in linea con quello dei concorrenti.
La bolletta più salata è quella del carburante — cifra condizionata dalla variabile indipendente del prezzo del greggio — costato nel 2018 2,2 milioni ogni giorno, 100 mila euro in più rispetto al prezzo del pieno del 2017. Somma che quest’anno dovrebbe essere simile.
Alitalia ha chiuso il 2018 con una perdita operativa di 121 milioni di euro. Molto meglio dei 282 dell’anno precedente, ma una cifra che non fotografa per intero il buco della compagnia: a completare il bilancio ci sono gli ammortamenti (le rate di spese annue per contabilizzare gli investimenti più importanti come gli aerei) pari nel 2017 in media 53 milioni a trimestre — 580 mila euro al giorno — e gli interessi.
Solo quelli sul prestito ponte sono 252 mila euro ogni 24 ore. Cifre che non vanno a mangiarsi per ora la liquidità del gruppo — in cassa c’erano a fine febbraio 483 milioni più circa 190 di depositi — ma che fanno parte integrante del buco della società e finiranno in mano o ai nuovi acquirenti (improbabile) o ai liquidatori della bad-company che resterà dopo la cessione.
(da “NextQuotidiano”)
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