Luglio 27th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALL’ETOLOGO ENRICO ALLEVA: “SIAMO NOI A DOVERCI RICORDARE COME SI CONVIVE CON GLI ORSI”
“Papillon ha una fortissima motivazione a tornare libero perchè sa di potercela fare. Per questo non mi stupisce che sia evaso una seconda volta. Il dibattito, più che su come limitare questa sua maestria e plasticità comportamentale, dovrebbe concentrarsi su come recuperare quei pilastri di tolleranza che regolavano la convivenza tra uomini e orsi generazioni addietro, nell’Italia contadina. E soprattutto non dobbiamo dimenticare che se abbiamo rivoluto gli orsi nelle montagne del Trentino è stato per tutelare un ecosistema il cui equilibrio dovrebbe starci a cuore”.
Enrico Alleva, etologo e accademico dei Lincei, presidente della Federazione italiana scienze della natura e dell’ambiente, non vuole partecipare alla tifoseria da stadio che rumoreggia attorno alla vicenda di M49, in arte Papillon, l’orso evaso per la seconda volta dal Centro faunistico del Casteller.
A lui interessa che gli umani capiscano che è ora di tornare a scuola dai nostri nonni, smettendoci di sentirci padroni del mondo.
Professor Alleva, Papillon è evaso di nuovo: questa volta ha divelto la rete di protezione che lo teneva rinchiuso. Il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, ha assicurato che verrà localizzato presto perchè provvisto di radio-collare. Il ministro Costa chiede che non venga rinchiuso e assolutamente non abbattuto; la Coldiretti chiede di garantire la sicurezza di cittadini e stalle. La stupisce questa evoluzione?
“Non è facile prevedere tecnicamente la maestria e la plasticità comportamentale di animali selvatici tutto sommato poco noti, anche perchè elusivi, come sono gli orsi. Non mi stupisce più di tanto che Papillon, avendo una fortissima motivazione a tornare libero (cosa che non succede negli animali nei giardini zoologici e nei bioparchi), sia in qualche modo riuscito a farcela. In generale, il problema di gestire questi animali detti problematici è legato a quanto poco le popolazioni locali conoscono della storia naturale e dell’etologia di queste specie (è un discorso che vale per l’orso come per il lupo e tanti altri animali)”.
Cosa ci insegna la tenace voglia di libertà di Papillon?
“Sulla fuga posso dire che un animale che già una volta è riuscito a escogitare un sistema per scappare, certamente sarà molto motivato a tentare tantissime strategie. Un animale abituato a stare in gabbia ovviamente non conosce questa possibilità , quindi utilizzare i sistemi messi a punto in tanti anni nei giardini zoologici non è l’approccio giusto. Questi sono animali che hanno una prestanza fisica diversa rispetto a quelli cresciuti in cattività , magari presi da piccoli, un po’ rachitici, o già vecchi”.
Nelle ultime settimane sono stati segnalati diversi incontri ravvicinati, tra cui un’aggressione. Si denunciano attacchi a malve e a bivacchi di esemplari in cerca di cibo. Come è possibile la convivenza tra umani e orsi?
“La gestione di questi animali più problematici non è semplice; probabilmente ci sarebbe bisogno di un monitoraggio continuo. Di sicuro è necessario uno sforzo per ri-alfabetizzare le popolazioni locali della specie umana. Se l’Italia rurale – quella del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, per non parlare di ancora prima — si basava su una cultura contadina per cui il contatto con queste specie era tradizionale e veniva raccontato fin da bambini, le generazioni di oggi non hanno idea di quali sono i pilastri della reciproca tolleranza tra uomini e orsi. Oggi il cittadino metropolitano non ha più questa continuità di antropologia culturale, e quindi si spaventa, ha reazioni qualche volta troppo intrusive, è troppo curioso, vuole fare foto e video… Non mi sento di fare una anamnesi degli incontri riportati di recente, anche perchè i racconti sono sempre pittoreschi e menzogneri, soprattutto nelle enfatizzazioni dei media. Comunque diciamo che il lupo di Cappuccetto Rosso non c’è più, il concetto di paura ancestrale fa parte di una cultura delle favole che non si incontra più con la tradizione rurale, e quindi perde d’impatto”.
Ma cosa fare in caso di incontro con un orso? Quali comportamenti sono assolutamente da evitare?
“C’è una regola fondamentale: quando un essere della specie Homo sapiens incontra un orso o un lupo chi ha più paura non è Homo sapiens perchè l’uomo è un vero pericolo per quelle specie. Quindi il nostro problema è che abbiamo davanti un animale spaventato e quindi potenzialmente irritabile. Occorre – suggerisce Alleva – trattarlo in modo che non pensi che lo stiamo per aggredire, perchè nella sua mente l’uomo è un predatore. Poi se ci sono i cuccioli ovviamente non bisogna mettersi tra la mamma e i cuccioli ma questo ormai è una banalità . Ma soprattutto se ci si accorge che un orso prende troppa confidenza con i cassonetti dei rifiuti bisogna segnalarlo alle autorità e su questo c’è un’attività della Federazione italiana scienze della natura e dell’ambiente nei confronti delle stesse autorità ”.
Il comportamento umano, insomma, è da considerarsi in molti casi il principale indiziato…
“L’umanità è diventata sempre più ricca, affluente e sprecona. Per questi animali la crescente e massiccia produzione di immondizia diventa un richiamo, un’attrattiva. Questo discorso vale soprattutto per quegli esemplari particolarmente curiosi ed esplorativi dotati di un basso livello di neofobia, come diciamo noi etologi. Sono animali che mostrano poca paura per le novità e con i quali gli incontri, soprattutto in presenza di disattenzioni umane, rischiano di farsi più frequenti. Come sanno bene nelle zone abituate a gestire gli orsi — ad esempio nel parco di Yellowstone, Yoghi e Bubu insegnano — quando gli animali tendono a diventare troppo poco spaventati e ad accorciare le distanze, quella è la fase in cui intervenire prima che succeda qualcosa. Lì ad esempio c’è una cultura in cui ti insegnano cosa attrae un orso, dall’odore del dentifricio all’effluvio delle provviste del campeggiatore, e si impongono regole molto ferree, come l’istituzione di zone in cui, nelle stagioni riproduttive, i turisti non hanno accesso o hanno accesso limitato”.
Crede che da noi gli esperti non siano tenuti nella giusta considerazione?
“Bisognerebbe ascoltare di più gli esperti competenti. Può succedere che ci siano degli attriti tra gli amministrazioni locali e i tecnici. Da presidente della Federazione Italiana Scienze della Natura e dell’Ambiente, devo dire che se chi governa i territori tenesse in maggiore considerazione gli esperti, molti problemi sarebbero risolvibili.
Auspico che si possa usare questo momento di contrasto anche per diffondere una cultura. Ci si scorda che alcuni grossi mammiferi si sono spostati in Italia quando c’è stata la guerra in Jugoslavia, e hanno capito che il rischio di finire in un campo minato era molto elevato. Spesso ci si dimentica delle ragioni che spingono gli animali a spostarsi. Le attività umane, in maniera diretta o indiretta, hanno sempre un ruolo”.
Il progetto di ripopolamento dell’orso in Trentino sta avendo successo, è considerato un modello a livello europeo. Vuole sottolineare il perchè?
“Purtroppo l’Europa ha delle nazioni come la Romania o la stessa Francia o la Svizzera dove le organizzazioni che si occupano di pastorizia sono molto ascoltate, mentre l’impegno ad esempio del Wwf in Italia ha promosso una tradizione di zoofilia e militanza per la biodiversità . E’ un punto importante perchè se una specie passa il confine, cosa che normalmente fa, rischia di sentirsi molto protetta da una parte e dunque di fidarsi eccessivamente di quelle popolazioni lì, mentre sa che dall’altra parte farebbe una pessima fine. Non va mai scordato che questi predatori sono dei regolatori molto importanti delle popolazioni di prede. I botanici o chi si occupa del naturale rinnovarsi dei boschi sa che alcune specie di caprioli o di cervi divorano in maniera sistematica tutti gli alberi giovani, impedendo al bosco di rinnovarsi visto che anche gli alberi muoiono di vecchiaia. Non sono specie che stanno lì solo perchè ci piace l’idea che siano lì, a farsi avvistare dal turista col binocolo: sono elementi chiave di regolazione degli ecosistemi, senza i quali poi si verificano degli squilibri. Fanno parte della storia naturale delle zone in cui sono tornati”.
Cosa si sente di dire a chi chiede la reclusione o addirittura l’abbattimento di questi animali?
“Generalmente queste specie, se sono governate con un minimo di saggezza, non danno grandi problemi. I casi più fastidiosi possono essere prevenuti, anche se non al 100%. Cedere alle soluzioni apparentemente più semplici non è mai una buona idea. Prendiamo un branco di lupi: se si abbattono alcuni esemplari, è possibile che il branco, indebolito, sia più propenso a prendere di mira le pecore. La Federazione italiana scienze della natura e dell’ambiente, con le sue Società di Botanica, Etologia e di Ecologia, è a disposizione degli amministratori locali proprio per fornire quei consigli tecnici che poi diventano una sorta di ventaglio di opzioni per decidere. La natura è interconnessa, dobbiamo rimparare le sue leggi fondamentali”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 7th, 2019 Riccardo Fucile
ERA STATA SALVATA DALL’ALLEVAMENTO-LAGER DURANTE IL BLITZ DEGLI ATTIVISTI ANTI-VIVISEZIONE
E’ morto il Beagle diventato simbolo della lotta contro Green Hill, l’allevamento di cani destinati alla vivisezione a Montichiari (Brescia), fotografato nel giorno della liberazione dei cuccioli mentre viene fatto passare attraverso il filo spinato.
Vita, questo il nome della cagnolina, se n’è andata a causa di una malattia dopo aver trascorso anni felici, amata e accudita dalla sua famiglia umana.
La foto di Vita che ha fatto il giro di tutti i giornali e i siti online è stata scattata il 28 aprile 2012, quando un gruppo di attivista ha scavalcato la recinzione dell’allevamento-lager in provincia di Brescia per liberare decine di beagle.
Erano riusciti a far passare sotto il filo spinato i cuccioli e a portarli via nascosti sotto le felpe e dentro le borsette.
Fra questi c’era anche ‘Vita’, che ha avuto la fortuna di vivere una vita felice lontana dal canile e che resterà per sempre il simbolo della lotta contro Green Hill.
Sulla pagina Facebook della Leal (Lega Antivivisezionista) è stato pubblicato un post in ricordo della cagnolina, con la sua foto nel giorno del salvataggio: “Vita rimarrà nella storia della liberazione animale e nei cuori di tutti.
Anche lei come il cucciolo con le orecchie al vento, immortalato in un’altra famosa foto, sarà testimone di un momento di intelligente strategia e straordinaria unione” si legge nel post.
La proprietaria del cane ha risposto ai tanti commenti di compianto degli utenti postando le foto degli ultimi anni di Vita, che da cucciola grande come una mano era ormai diventata adulta.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
IL PASTORE TEDESCO DEI VIGILI DEL FUOCO SOFFRIVA DI UNA MIELOPATIA DEGENERATIVA
Ludovica, Edoardo e Samuel. Ma non solo. Sono i nomi di tre bambini, ma ce ne sarebbero tanti altri, salvati dal cane Falco.
Ludovica, Edoardo e Samuel erano rimasti incastrati nella sala da biliardo dell’hotel Rigopiano, travolto da una valanga il 18 gennaio 2017, e a portarli fuori di lì ci aveva pensato il pastore tedesco dei vigili del fuoco che poi, un anno dopo quell’intervento, fu colpito da una malattia degenerativa. E per cui il suo padrone è stato costretto a sopprimerlo.
Ad annunciare la morte di Falco, il cane eroe che salvò i tre bambini dalle macerie di Rigopiano, è stato Fabrizio Cataudella, vigile di Latina che con lui ha lavorato per nove anni. Falco era affetto da una mielopatia degenerativa che non gli ha lasciato scampo e che nell’ultimo periodo lo aveva privato dell’uso delle zampe posteriori.
Come racconta il suo padrone, sopprimerlo è stato necessario per impedirgli ulteriori sofferenze vista l’impotenza di fronte a un peggioramento impossibile da bloccare o rallentare.
“Siamo stati operativi in interventi delicati, dove spesso sentivamo addosso la responsabilità di dare una risposta a chi da noi aspettava buone notizie”, ha scritto Fabrizio su Facebook annunciando la morte di Falco e ammettendo che forse, avrebbe potuto compierlo prima quel gesto. Ma non ne aveva avuto il coraggio.
Perchè per uno “abituato a stare tra boschi e campi aperti”, “non era più una vita degna” quella a cui la paralisi delle zampe lo costringeva.
L’eroe a quattro zampe di Rogopiano si è addormentato ma i “suoi bambini”, quelli da cui, paziente, si lasciava accarezzare come ricorda Fabrizio, restano la testimonianza migliore di ciò che Falco ha rappresentato e di tutto quello ha contribuito a realizzare. Ludovica, Edoardo e Samuel.
Assieme a tanti, tanti altri.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile
L’INFERMIERA DEL TURNO DI NOTTE: “MAI VISTO TANTO AMORE”… IN UN MONDO DOVE PREVALE L’EGOISMO, CI INSEGNANO COSA VUOL DIRE LA SOLIDARIETA’ E LA RICONOSCENZA
Hanno atteso il loro proprietario per tutta la notte fuori dall’ospedale. Uno accanto all’altro. Senza disturbare.
Protagonisti di questa storia, che ha fatto il giro del mondo grazie a una foto postata sui social, sono i quattro cani di Cesar, un senzatetto di Rio do Sul, in Brasile.
§«Non avevamo mai visto nulla di simile – ha scritto su Facebook Cris Mamprim, che stava facendo il turno di notte all’Ospedale Regional Alto Vale quando è arrivato il paziente. «I cani, pur essendo randagi sembravano tutti ben nutriti».
*Cesar, spiega ancora Cris Mamprim, ha infatti raccontato di aver smesso di mangiare per potersi occupare dei suoi animali.
«Lui è una persona semplice – spiega l’infermiera- che adesso ha bisogno di aiuto per superare la fame, il freddo e il dolore. Non so come sia la sua vita, il perchè viva per strada, e non voglio nemmeno saperlo e giudicare, ma ammiro il rispetto e l’amore che ha per i suoi animaletti. Vederli così, aspettare alla porta, mostra solo quanto siano ben curati e amati. Oh se tutti fossero così».
Gli infermieri hanno deciso di far entrare gli animali e di dare loro del cibo.
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile
E’ MORTO NELLO STESSO CIMITERO IN CUI SONO CUSTODITE LE SPOGLIE DEL SUO PADRONE
Una storia di amore e fedeltà di quelle che toccano le corde più profonde del cuore, anche di chi non ha mai provato l’affetto profondo che può legare un essere umano al suo cane.
È la storia di Capità n, un incrocio di pastore tedesco che, per oltre 10 anni è rimasto a vegliare accanto alla tomba del suo padrone, a Villa Carlos Paz, nella provincia di Còrdoba. E che proprio lì, dove sono custodite le spoglie del suo amico umano, ha fatto il suo ultimo respiro.
La straordinaria storia di questo cane aveva fatto il giro dei media locali, e non solo, negli scorsi anni tanto da guadagnarsi la fama di ‘Hachiko dell’Argentina’, con un chiaro riferimento all’Akita bianco che ha commosso tutto il Giappone, travalicando i confini nazionali, anche grazie al film (Hachiko – Il tuo migliore amico) diretto da Lasse Hallstrà¶m, con Richard Gere.
Capità n fu trovato nel 2005 da Miguel Guzmà¡n che decise di regalarlo al figlio Damià¡n prima di morire prematuramente a marzo dell’anno seguente.
Pochi giorni dopo la sua morte, secondo i racconti dei familiari, il cane non tornò più a casa.
Moglie e figlio di Guzmà¡n lo diedero per perso, forse morto, forse adottato da qualche altra famiglia.
Fino a quando, l’anno seguente, durante una visita al cimitero lo trovarono proprio lì, sulla tomba del suo amato amico umano.
“Damià n iniziò a urlare e il cane si avvicinò a noi, abbaiando come se stesse piangendo”, ha raccontato la vedova, sottolineando come sia stato inutile ogni tentativo di riportare Capità n a casa.
Ogni volta il cane tornava là , dove sono custoditi i resti del suo padrone, e dove è rimasto a vegliarlo, giorno dopo giorno per oltre dieci anni.
Secondo i frequentatori abituali, il cane era solito passeggiare per il cimitero durante il giorno per poi raggiungere la tomba del suo amato la sera.
“Dormiva sempre sulla tomba del suo padrone”, racconta una delle venditrici di fiori del cimitero, “anche se negli ultimi tempi non riusciva a salirci, aveva un equilibrio incerto, ed era molto debole”.
“Gli mancava soltanto la parola, era dolcissimo”, ricorda la donna che lo ha curato e sfamato dal suo arrivo al cimitero fino al suo ultimo giorno di vita.
La storia di Capità n continua così a emozionare la città argentina dove si spera di riuscire a seppellirlo proprio lì, dove ha passato i suoi ultimi 11 anni, accanto all’uomo a cui è restato fedele, giorno dopo giorno, oltre la morte.
Certo, servirà un’autorizzazione speciale delle autorità , ma sarebbe il degno modo di salutare un cane che ha dimostrato di essere in grado di provare un amore così profondo.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2018 Riccardo Fucile
OGNI TANTO UNA NOTIZIA “DIS-UMANA” CHE CI FA DIMENTICARE L’ODIO, IL RANCORE E L’EGOISMO DI TANTI BIPEDI PSICOPATICI
Un’amicizia che nemmeno un ricovero può separare. Un’altra testimonianza del forte legame che lega animali ed esseri umani.
Musino triste, accucciato davanti all’ingresso dell’ospedale. Sono bastate un paio di foto su Facebook per far si che Leo, un meticcio di 10 anni, conquistasse i cuori degli utenti del social, quello dei passanti e il titolo di “Hachiko di Tolmezzo”.
Per giorni, nonostante il freddo e la pioggia, questo cagnolino dal pelo fulvo ha atteso che il suo padrone fosse dimesso dall’ospedale in cui era ricoverato. Una dimostrazione d’affetto che ai cittadini ha ricordato subito la commovente storia del cane giapponese Hachiko, raccontata nell’omonimo film del 2009 con Richard Gere, ma che inizialmente ha destato anche molta preoccupazione.
Dopo aver visto le foto pubblicate sul social network, in molti si erano attivati per aiutarlo.
C’è chi gli aveva portato da mangiare e chi si era andato al canile per trovargli uno stallo.
Lo credevano tutti un randagio, fino a quando, commento dopo commento, una donna ha riconosciuto l’animale e ha spiegato il malinteso: “È il cane di Fifty (il soprannome del padrone del cane, ndr). State tranquilli, lo segue dappertutto, sono innamorati l’uno dell’altro. Amici inseparabili”.
Per Leo si era mobilitato anche l’ex datore di lavoro di Fifty: martedì 9 gennaio, era andato in ospedale a cercare l’uomo per trovare una sistemazione temporanea per il cane.
Leo però non c’era più. Fifty era stato dimesso il giorno prima e lui si era incamminato al suo seguito verso casa.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
IL CANE E’ RIMASTO PER ORE AL GELO ACCANTO AL CORPO, GRAZIE AL BAGLIORE DEI SUOI OCCHI E’ STATO RITROVATO… SE IMPARASSIMO QUALCOSA DA LORO, MAGARI IL MONDO ANDREBBE MEGLIO
È stato il riflesso dei suoi occhi. Le lampade frontali dei soccorritori hanno illuminato un dirupo e improvvisamente eccoli, gli occhi di Leon. Brillavano nel buio.
Era rimasto lì per ore e ore, al gelo, a vegliare il corpo senza più vita dell’uomo che lo aveva amato come nessun altro al mondo.
Leon è un golden retriever, l’uomo che ha vegliato – il suo umano di riferimento – si chiamava Marco Scrimaglio, aveva 56 anni, era ligure e quasi certamente è finito in fondo al pendio dov’è stato trovato per uno scivolone sul giaccio. Tutto questo a Limone Piemonte, in provincia di Cuneo.
Marco aveva organizzato un weekend solitario a Limonetto, frazione di Limone dove aveva una casa di vacanza. Ma domenica era atteso per pranzo dai familiari che vivono a Ventimiglia. Giuliana, la sua compagna di vita e di lavoro (gestivano assieme un’impresa edile specializzata in sicurezza autostradale), non vedendolo arrivare ha dato l’allarme.
I carabinieri che sono andati a cercarlo a casa hanno trovato le valigie già pronte all’ingresso, le stanze chiuse, l’auto parcheggiata lì vicino. E hanno ipotizzato la dinamica più probabile.
Marco deve aver preparato tutto per partire ma prima di mettersi al volante avrà pensato di portare Leon a fare una passeggiata lungo uno dei sentieri che partono dalla sua frazione.
E infatti lo hanno poi ritrovato a circa mezz’ora da casa. Gli è stato fatale il ghiaccio che si è formato nei giorni scorsi anche a bassa quota. Proprio perchè l’intenzione era quella di una passeggiata facile, Marco non aveva addosso nessuna delle attrezzature antighiaccio che usava in montagna da escursionista esperto quale era.
È scivolato per circa duecento metri, non ha avuto scampo.
Leon deve aver piantato le unghie nel ghiaccio per raggiungere il corpo senza ferirsi.
Quando gli uomini del Soccorso Alpino Piemonte e della Guardia di Finanza hanno individuato i suoi occhi era quasi mezzanotte di domenica. Il cane non ha nemmeno abbaiato, solo qualche lamento «che sembrava quasi un pianto», per dirla con i soccorritori.
Si è lasciato accarezzare, gli hanno parlato con dolcezza mentre le sue pupille luccicanti nella notte seguivano le operazioni per riportare sul sentiero il corpo di Marco Scrimaglio, l’umano della sua vita.
Ha seguito a testa bassa quella specie di corteo funebre fino a quando la salma non è partita per l’obitorio.
Marco non si muoveva mai senza Leon, lo portava con sè anche quando il sentiero era ben più impegnativo di quello affrontato per l’ultima volta. Era un appassionato di montagna e a Limonetto non c’è persona che non lo conoscesse, anche perchè – nonostante vivesse a Ventimiglia – da un paio d’anni era attivo nella Pro Loco di cui era tesoriere.
Era anche un delegato, per la provincia di Imperia, della Federazione italiana sport invernali. Insomma, non uno sprovveduto.
(da “Il Corriere della Sera“)
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Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile
LE SOLITE BALLE CHE SERVONO PER VENDERE GIORNALI E CREARE UN CLIMA DI PAURA SMENTITE DALL’AUTOPSIA
Secondo quanto emerge dall’autopsia del corpo di Davide Lobue , l’addestratore cinofilo di Rivoli trovato senza vita nella tarda serata di sabato a Monteu da Po, non è morto per l’aggressione del Bull Terrier di un anno e mezzo che gli era stato affidato da un amico.
Mentre la procura di Ivrea ha aperto un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti, il medico legale ha escluso che i morsi inferti dal cane possano essere stati causa del decesso del giovane di 26 anni e che siano stati dati dall’animale dopo che Lobue ha avuto un malore.
Davide, sabato scorso, stava facendo giocare il cane in un campo recintato nella disponibilità dell’amico, quando si è sentito male ed è crollato a terra.
Il cane deve aver provato a scuoterlo, nel tentativo di «soccorrerlo».
È in questa fase che l’animale avrebbe sfilato e strappato la felpa e la maglietta che il giovane indossava.
Poi si è avventato sul polpacci e sul resto del corpo, provocando alcune lesioni. Lesioni «post mortem», ha stabilito il medico legale Roberto Testi, che ha eseguito l’autopsia, fornendo una prima ricostruzione dei fatti alla procura di Ivrea, che ha aperto un fascicolo d’indagine, per accertare eventuali responsabilità .
Al momento il cane resta ancora sotto sequestro.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
L’ENNESIMO CASO DI MALVAGITA’ VERSO UN CANE DOCILE E INDIFESO … E POI PENSIAMO DI VIVERE IN UN PAESE CIVILE
Partiamo dalla buona notizia: Freccia ha superato la notte e la veterinaria che sta tentandodi compiere il miracolo e di salvarlo si dice ottimista.
Per il resto, questa è una storia di violenza senza senso, di malvagità umana verso un cane indifeso e docile.
Freccia, così lo hanno ribattezzato i medici della clinica “Due mari” di Oristano, scorrazzava da qualche giorno nella periferia di Nuoro.
Gli abitanti del rione l’avevo notato e alcuni ragazzi lo avevano avvicinato per accarezzarlo.
Ma qualcuno si è fatto venire idea un’idea spietata: ha imbracciato un fucile da pesca e chissà perchè ha sparato contro il povero cucciolo. Purtroppo, l’unica vera bestia di questa vicenda, ha anche dimostrato di avere una buona mira e il cane è stato trafitto in pieno.
La diagnosi dei veterinari sembrava lasciar spazio a poche speranze: “La Tac -raccontava Monica Pais – ci mostra una condizione drammatica: il polmone sinistro completamente collassato trapassato dall’asta di acciaio, esofago distale perforato, il fegato trapassato da parte a parte. In questa situazione abbiamo rimosso l’arpione e ora dobbiamo gestire un quadro clinico molto critico”.
Ma i medici della clinica “Due mari” sono specializzati in operazioni impossibili e anche stavolta faranno di tutto per salvare il povero cane Freccia. Ripeteranno il miracolo fatto due anni fa con Palla, il cane che era stato quasi soffocato da un nastro di plastica che qualcuno gli aveva stretto al collo e che gli aveva sformato la testa, fino a farla diventare grande come un pallone. Era diventato una star e ora ha ricominciato ad affrontare una vita serena e felice.
Freccia ce la farà , auspicano i suoi nuovi amici: le migliaia di fan della clinica sarda che ogni giorno seguono le disavventure e le storie a lieto fine degli animali che finiscono nel centro di Oristano.
Ora Freccia è nelle loro mani, ma deve già la vita ai volontari che lo hanno soccorso nella periferia di Nuoro mentre cercava di raggiungere il rifugio con quell’arpione conficcato nel torace.
Freccia ora reagisce e chi tifa per lui spera che il folle che gli ha sparato venga individuato al più presto e denunciato. “Ne abbiamo viste tante – riflette sconfortata la veterinaria – ma non potevamo immaginare di dover assistere a una scena di così grande malvagità ”.
(da agenzie)
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