Giugno 8th, 2021 Riccardo Fucile
QUATTRO I MORTI, LA POLIZIA NON HA DUBBI: “ATTACCO PREMEDITATO DI MATRICE ISLAMOFOBICA”… ARRESTATO IL 20ENNE SUPREMATISTA… IL CORDOGLIO DI TRUDEAU
Un “attacco premeditato”. Ne sono sicuri gli agenti della Polizia canadese dopo aver arrestato un 20enne reo di aver investito un’intera famiglia musulmana nella cittadina di London, in Ontario (Canada).
Quattro persone (tre adulti e un adolescente) sono decedute dopo esser state colpite dal veicolo guidato dall’uomo fermato, mentre lotta tra la vita e la morte un bambino, il membro più giovane di quella famiglia. Secondo gli inquirenti non si è trattato di un tragico incidente, ma quanto accaduto avrebbe una matrice islamofobica.
La notizia di quello che sembra, a tutti gli effetti, un attentato di matrice islamofobica è stato commentato e condannato anche dal premier canadese Justin Trudeau.
“Sono inorridito dalla notizia arrivata London, in Ontario. Per tutti coloro i quali sono terrorizzati dall’atto di odio di ieri, siamo qui per voi. Siamo anche, con tutto il cuore, vicini al bambino che è ancora in ospedale e pensiamo a lui durante la sua guarigione. Alla comunità musulmana di London e ai musulmani di tutto il paese, sappiate che siamo con voi. L’islamofobia non ha posto in nessuna delle nostre comunità. Questo odio è insidioso e spregevole e deve cessare”.
Dopo l’arresto del 20enne, le indagini proseguono. Ma il cerchio si stringe sempre di più attorno al movente suprematista e islamofobico. Un detective che sta seguendo il caso ha dichiarato: “Ci sono prove che si è trattato di un atto pianificato e premeditato e che la famiglia è stata presa di mira a causa della sua fede”.
“Questi esseri umani innocenti sono stati uccisi semplicemente perché musulmani”. Lo ha dichiarato Nawaz Tahir, un rappresentante della comunità islamica di London. “Rimarremo forti contro l’odio – ha aggiunto – forti contro l’islamofobia, contro il terrorismo, con la fede, l’amore e la ricerca della giustizia”.
(da NextQuotidiano)
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Maggio 15th, 2021 Riccardo Fucile
ERA LA SEDE DELL’ASSOCIATED PRESS E DI AL-JAZEERA, I GIORNALISTI: “INORRIDITI, LAVORIAMO DALL’OSPEDALE”… CASABIANCA: “LA SICUREZZA DEI MEDIA VA GARANTITA”
Abbattuto il grattacielo di al-Jala, sede di diversi media. La giustificazione di Israele: “Hamas usa edifici elevati a Gaza per fini militari”. L’emittente: “Atto chiaro per impedire ai giornalisti di svolgere il loro sacro dovere di informare”
Il numero uno di Ap: “Ora il mondo sarà meno informato su quel che accade a Gaza”. In mattinata l’esercito di Tel Aviv ha colpito un campo profughi: tra le vittime ci sono almeno 8 bambini.
Il bombardamento ha fatto crollare uno sull’altro tutti i 12 piani del grattacielo di al-Jala, nel pieno centro di Gaza, che si è dissolto dentro un’indefinita massa di polvere. Un luogo di importanza cruciale per i media internazionali, visto che agli ultimi piani ospitava le sedi di al-Jazeera e di agenzie di informazione, tra le quali l’Associated Press, mentre gli altri piani sono occupati da uffici commerciali.
E’ stato annunciato con un’ora di anticipo: Jawad Mehdi, proprietario dell’edificio, ha ricevuto l’ordine di evacuazione dall’intelligence israeliana e la sua richiesta di concedere un tempo maggiore, anche solo pochi minuti, è stata respinta.
L’ultimatum stringente ha quindi impedito ai reporter di mettere in salvo materiale e attrezzature. Mentre l’esercito israeliano, che prosegue senza sosta l’offensiva nella Striscia, ha giustificato la sua azione, “diretta a un palazzo che Hamas – dicono i militari – usava come nascondiglio”.
Da Washington la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki fa sapere che gli Usa hanno “comunicato agli israeliani che garantire la sicurezza e l’incolumità dei giornalisti e dei media indipendenti è una responsabilità fondamentale“. Oggi il presidente Joe Biden ha avuto due colloqui telefonici con il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen.
Associated Press: “Siamo inorriditi”. La reporter di Al Jazeera: “Lavoriamo dall’ospedale”
La giornalista di Al Jazeera Youmna al-Sayed ha riferito dal sito dell’emittente che attualmente l’ospedale Al Shifa di Gaza City è “l’unico posto” dal quale la testata è in grado di lavorare. “È il posto più sicuro che conosciamo – ha spiegato -. Shifa è stato preso di mira in passato, ma ovviamente è un ospedale, quindi potrebbe essere il posto più sicuro ora a Gaza da dove trasmetteremo”.
Durissima la presa di posizione dell’emittente del Qatar: “Al Jazeera condanna con la massima fermezza il bombardamento e la distruzione dei suoi uffici da parte delle forze armate israeliane a Gaza e vede questo come un atto chiaro per impedire ai giornalisti di svolgere il loro sacro dovere di informare il mondo e riferire gli eventi sul campo. Chiediamo a tutti i media e alle istituzioni per i diritti umani di denunciare questo crimine atroce”
“Siamo sconvolti e inorriditi”, scrive in una nota l’Associated Press rispetto alla distruzione di al-Jala, che era anche sede di un ufficio dell’agenzia di stampa americana. “Questo episodio rappresenta uno sviluppo incredibilmente inquietante della situazione”, afferma il numero uno dell’Ap, Gary Pruitt. “Abbiamo evitato per un soffio la perdita di vite umane“, aggiunge, sottolineando come ora “il mondo sarà meno informato su quello che accade a Gaza“.
Gli attacchi e le vittime
Nella notte tra venerdì e sabato è proseguita con una costante e inarrestabile escalation di violenze: finora ci sono 144 vittime, quasi tutte palestinesi, e tra loro ci sono anche 37 minori e 22 donne. Sono invece oltre 950 le persone rimaste ferite.
E la pioggia di bombe ha centrato anche un campo profughi di Al-Shati, nel nord della Striscia, in cui hanno perso la vita almeno 10 persone, tra cui 2 donne e 8 bambini.
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
L’AMBASCIATORE E IL CARABINIERE VITTIME DI UNA GUERRA TRA MILIZIE PER IL CONTROLLO DI UN PARADISO MINERARIO
Per il sindaco di Limbiate, Luca Attanasio rimarrà sempre “un fanciullo immortale”, “una forza della natura”. Carriera diplomatica e impegno umanitario lo avevano portato a ricoprire il ruolo di ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo dal 2017, incarico che ha sempre svolto con consapevolezza e passione. Consapevolezza, come quella con cui, in un’intervista a Vatican News, spiegava l’origine delle violenze nel nord-est; e passione, la stessa che lo aveva spinto a mettersi in viaggio con una delegazione del World Food Programme per visitare una scuola a Rutshuru, a nord di Goma. Con lui, nello stesso mezzo, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustapha Milambo: tutti e tre morti in un attacco su cui la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per sequestro di persona con finalità di terrorismo.
“La Repubblica Italiana è in lutto per questi servitori dello Stato che hanno perso la vita nell’adempimento dei loro doveri professionali in Repubblica Democratica del Congo”, ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha espresso “profondo cordoglio” per le tragiche morti, assicurando che la presidenza del Consiglio sta seguendo con la massima attenzione gli sviluppi in coordinamento con il Ministero degli Affari Esteri.
I carabinieri del Ros, su delega della Procura, partiranno domani alla volta di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, per affiancare gli investigatori locali nelle indagini relative alla morte dell’ambasciatore italiano e del carabiniere, che sarebbe dovuto tornare in Italia tra pochi giorni. Orientarsi, in quel dedalo di milizie e gruppi armati che spadroneggiano per il controllo di una delle aree minerarie più ricche del pianeta, non sarà facile. La Farnesina ha chiesto all’Onu di fornire quanto prima un report dettagliato sull’attacco in cui sarebbero state rapite altre tre persone mentre una quarta sarebbe stata rilasciata. Il capo delle operazioni di pace delle Nazioni Unite, Jean-Pierre Lacroix, ha annunciato che ci sarà un’indagine sostenuta dalla missione Onu in Congo (Monusco) sull’attacco
Tra le piste più accreditate – secondo fonti inquirenti citate dall’Ansa — è che a sferrare l’attacco siano stati uomini delle Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda: il Fdlr-Foca è il principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia Hutu, conosciuti per il genocidio in Ruanda. Il governo ha subito puntato il dito in questa direzione, la meno compromettente per le forze di sicurezza nazionali.
Secondo lo US Counter Terrorism Center, le Fdlr sarebbero responsabili di una dozzina di attentati terroristici commessi nel 2009, costati la vita a centinaia di persone nel Congo orientale. In seguito all’azione dell’esercito congolese e dei ranger dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura (Iccn), a partire dal 2010 le Fdlr hanno rimodulato le loro attività preferendo quelle che vengono definite “azioni a bassa intensità ”, ma con un’alta resa, specie in termini finanziari. Una nuova strategia che ha raggiunto forse il suo punto massimo nel 2018 quando furono rapiti due turisti inglesi, sempre nel parco nazionale di Virunga, rilasciati dopo due giorni. Nell’aprile del 2020 una sessantina di membri del Fdlr-Foca attaccarono una pattuglia dell’Iccn provocando 17 morti, di cui 12 ranger.
Per il Centro Studi Internazionali, “le ipotesi più concrete conducono a valutare la possibilità di un attacco di una milizia a scopo intimidatorio verso la missione Monusco oppure di un’azione ostile perpetrata dall’Adf/Stato Islamico in Africa Centrale al fine di proseguire il proprio percorso di crescita e ‘accredito’ internazionale”. Quel che è certo è che la pista di un tentativo di sequestro mirato di un ambasciatore segnerebbe uno scatto finora inedito nelle ambizioni e nell’aggressività dei gruppi che terrorizzano il Nord e Sud Kivu. Prima d’ora, infatti, nessuna milizia si era mai spinta ad attaccare un target di così alto valore politico. In particolare, riguardo all’Adf/Isis, il CeSi sottolinea che, “sebbene questa branca del Califfato sia una delle più attive e in espansione nel continente (dal Congo fino al Mozambico), ancora le manca un’azione dalla grande eco mediatica e politico-simbolica. In tal senso, l’attacco al convoglio di Monusco rientrerebbe perfettamente in tale strategia”.
Quel che è certo è che l’ambasciatore Attanasio era consapevole di muoversi in un contesto pericoloso e imprevedibile. Anche per questo — riporta l’agenzia Dire — il mese scorso aveva portato a compimento una gara per fornire all’ambasciata di cui era a capo “un’autovettura blindata avente sette posti a sedere e con un livello di blindatura vr6, cig 7864299”. In attesa di poterne disporre, il 43enne, padre di tre figlie e vincitore insieme alla moglie del Premio Internazionale Nassiriya per la Pace, non rinunciava lo stesso a missioni delicate ma considerate “sicure” dalle forze Onu impegnate nel Paese. Attanasio e Iacovacci, infatti, sono stati uccisi mentre viaggiavano a bordo di un convoglio del Pam, il Programma alimentare mondiale dell’Onu. La strada era stata precedentemente controllata e dichiarata sicura per essere percorsa anche “senza scorte di sicurezza”, ha fatto sapere il Programma alimentare mondiale in una nota.
“Prometto al governo italiano che il governo del mio Paese farà di tutto per scoprire chi c’è dietro questo vile omicidio”, ha garantito la ministra degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo, Marie Tumba Nzeza, secondo la quale il convoglio è caduto in un’imboscata. Per le autorità del vicinissimo parco nazionale di Virunga, si sarebbe trattato di un tentativo di rapimento. Anzi, stando a quanto riferito dal governatore congolese del Nord Kivu, Carly Nzanzu Kasivita, veicoli del convoglio del diplomatico sono stati presi in ostaggio e scortati nella boscaglia.
È nella foresta, ai bordi del parco Unesco in cui vive un quarto dei gorilla di montagna del mondo, che secondo le prime ricostruzioni sarebbero stati colpiti a morte l’ambasciatore e il carabiniere: Iacovacci è morto sul colpo; Attanasio è stato portato di corsa all’ospedale della missione Onu a Goma, ma non c’è stato niente da fare.
Oggi la tragedia che ha colpito l’Italia ha fatto riaccendere i riflettori su una situazione di instabilità e violenza permanenti che da decenni affliggono la popolazione locale. “L’area orientale del Congo è sicuramente una delle più travagliate e complesse del continente africano”, spiega ad HuffPost Luca Barana, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali ed esperto di Africa. “È un’area che da quasi trent’anni conosce un ciclo continuo di violenze, con più conflitti che si sono succeduti sin dalla seconda metà degli anni Novanta, dopo la caduta del regime dell’allora Zaire, che ha visto il coinvolgimento in più momenti dei Paesi vicini, come Uganda e Ruanda”. Dopo l’accordo di pace del 2003, in realtà il Paese ha continuato a vivere una situazione di instabilità e violenza continua con il proliferare di milizie, gruppi armati, signori della guerra. “Ovviamente le prime vittime di questa situazione sono le popolazioni locali, che da decenni vivono in una situazione umanitaria estremamente difficile, una circostanza che finisce per alimentare le fila dei gruppi ribelli che diventano banalmente una fonde di reddito”, osserva Barana. “Non a caso è presente una missione di peace-keeping delle Nazioni Unite, che ha cambiato nome nel corso dei decenni ma che è una presenza fissa nella regione. Goma è uno dei principali centri attorno a cui ruotano le attività dei gruppi armati”.
Il contesto è quello di un Paese dalle dimensioni immense: tutto il Congo è grande quanto l’Europa occidentale, tra la capitale Kinshasa e Goma ci sono quasi 2.500 chilometri, 50 ore di macchina. “Non è un dato solo puramente geografico: in queste regioni la presenza statale è molto debole, tanto più che parliamo di un Paese dalle istituzioni non così salde proprio perchè vittima di invasioni e continui conflitti, e caratterizzato da una scena politica molto complicata”, osserva il ricercatore Iai. “Non a caso molti dei gruppi armati che si muovono in queste zone sono composti da ribelli, componenti dell’esercito che si staccano avanzando rivendicazioni… è un ciclo che si alimenta anche e soprattutto grazie all’estrema ricchezza di risorse minerarie che caratterizza il Paese”.
Sono proprio queste risorse a fare del Congo un Paese “ricco da morire (letteralmente) e proprietario di uno scandalo geologico”. Nel Paese, infatti, si trova di tutto: coltan, diamanti, cobalto, oro, rame, zinco, argento, carbone, petrolio… “Goma si trova al confine tra le regioni orientali del Nord Kivu e del Sud Kivu: sono aree caratterizzate da una ricchezza naturale e mineraria straordinaria, che ovviamente attira gli interessi di gruppi armati che si combattono tra loro e combattono le autorità dello Stato per accaparrarsi le risorse. Parliamo in primo luogo di risorse minerarie, a cominciare dal coltan: un minerale fondamentale per la componentistica elettronica degli smartphone. Probabilmente lo smartphone con cui ci stiamo parlando contiene del coltan proveniente da queste aree del Congo, che ne detiene la maggior parte delle riserve mondiali”.
Si tratta di un minerale che viene estratto in condizioni molto difficili, spesso tramite operazioni illegali che vedono il coinvolgimento di gruppi armati, potentati locali e milizie dei Paesi vicini. Durante le guerre in Congo della fine degli anni Novanta, quando le forze ugandesi e ruandesi invasero queste regioni, misteriosamente le esportazioni di coltan esplosero. La porosità dei confini e la scarsità dei controlli alimentano il contrabbando, rendendo il puzzle ancora più sfuggente: di fatto, la regione dei Grandi Laghi — che comprende anche Ruanda, Burundi e Uganda — resta un’area che sfugge al controllo di un governo centrale a sua volta impegnato in una fase di transizione politica abbastanza delicata.
Barana ne ricorda a grandi linee gli ultimi sviluppi: “Le elezioni di fine 2018 hanno certificato il passaggio di potere dal presidente storico, Joseph Kabila, il vero uomo forte del Congo, all’attuale Fèlix Tshisekedi. Tra i due ci sarebbe stato un accordo sottobanco per un passaggio di consegne, con Kabila che è rimasto l’uomo ombra alle spalle dell’attuale presidente. Negli ultimi tempi, però, Tshisekedi ha intrapreso una serie di mosse politiche che indicano la volontà di sganciarsi dal suo predecessore: proprio la scorsa settimana ha nominato un nuovo primo ministro molto vicino a lui, lo scorso anno ha formato una nuova coalizione parlamentare e ha sostituito alcuni giudici della Corte costituzionale. Kabila resta un uomo molto potente, ma ora Tshisekedi sembra volerlo estromettere dalla regia, come suggerisce la nomina a primo ministro di Jean-Michel Sama Lukonde, fatalità del caso un alto dirigente dell’azienda statale mineraria”. Tutto ritorna sempre allo stesso punto: il tema delle risorse minerarie che fa del Paese uno “scandalo geologico”, troppo attraente per tutti, dai ribelli ruandesi ai seguaci del Califfato africano.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
L’ASCESA JIHADISTA, I RIBELLI RUANDESI, LA GUERRA PER LE RISORSE
Secondo fonti inquirenti, dietro l’uccisione dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci ci sarebbero le Forze per la Liberazione del Ruanda. Ma il CeSi non esclude il coinvolgimento della milizia Tutsi e dei gruppi salafiti
È un convoglio appartenente alla missione di peacekeeping dell’Onu MONUSCO quello coinvolto oggi in un attacco nella Repubblica Democratica del Congo in cui sono rimasti uccisi l’ambasciatore italiano Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci. La missione, istituita nel 2010, era stata prorogata proprio alla fine del 2020 per un altro anno. Lo scopo era quello di procedere al lento disimpegno dei 12 mila militari e più di 30 mila civili impegnati in una delle aree più instabili del continente.
L’attivismo di Daesh
L’attentato è avvenuto nelle vicinanze della città di Goma, capitale del North Kivu, regione al confine con il Ruanda, dove hanno trovato rifugio miliziani del gruppo armato ugandese di ispirazione salafita dell’Adf che progettava di trasformare il vicino Uganda in una Repubblica islamica. Inoltre, lo scorso 16 aprile — come fa notare un report dei servizi segreti italiani — l’attacco ad una postazione militare — la caserma di Kamango — è stato rivendicato da Daesh, che ha nell’occasione annunciato la costituzione di una Islamic State Central Africa Province. Il Paese, secondo il monitoraggio degli 007, sconta «un quadro di pronunciata fragilità sulla cui evoluzione appare ora gravare anche la crescita della violenza di segno jihadista».
Ma a rendere il Paese ancora più vulnerabile — oltre alla presenza di oltre 100 gruppi armati ribelli — è la competizione per lo sfruttamento delle ricchezze (materie prime e minerali). Si stima che ci siano risorse minerarie non sfruttate per il valore di 24 migliaia di miliardi. Il commercio dei minerali — tra cui oro, pietre preziose e minerali per l’industria ad alta tecnologia, come il coltan — permette alle milizie presenti sul territorio di acquistare armi. Per questo, a partire dal 2010 gli Stati Uniti hanno deciso di ridurre l’acquisto di minerali nel paese. Tuttavia, dopo che molte multinazionali hanno smesso del tutto di acquistare minerali dalla RDC, molti minatori si sono trovati senza lavoro, spingendo così molti a unirsi ai gruppi armati per ottenere una fonte di sostentamento.
Oltre 900 mila rifugiati e 4,5 milioni di sfollati interni
Un’instabilità interna che ha portato la RDC ad avere al momento circa 4,5 milioni di sfollati interni e più di 900 mila rifugiati in altre nazioni. Come fa notare nel suo ultimo report il centro studi CeSi, in questo contesto l’Adf ha proliferato, riuscendo ad agganciare l’universo jihadista dello Stato Islamico. Con la mancanza di solide strutture statali, le organizzazioni jihadiste mirano ad espandere il loro controllo sul territorio. Ed è in questo contesto che «gli attacchi delle milizie etniche contro le Forze Armate congolesi ed il personale sia civile che militare delle Nazioni Unite acquisiscono un significato politico ed economico».
Mentre rimangono da chiarire le dinamiche dell’attacco, secondo fonti inquirenti, la pista più credibile porta agli uomini delle Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda. Il Fdlr-Foca è il principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia Hutu, conosciuti per il genocidio in Ruanda. E’ questa l’ipotesi prevalente, sebbene non la sola, privilegiata anche dalle forze di polizia e dalle autorità locali. Il CeSi, da parte sua, cita come possibili responsabili la milizia Tutsi, che si oppone agli Hutu, e l’Adf.
(da Open)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
IL COMMANDO DI 6 PERSONE AVREBBE PRIMA ATTACCATO IL CONVOGLIO E UCCISO L’AUTISTA
Sono due, entrambi del Programma alimentare mondiale (Wfo), i veicoli presi di mira oggi nell’attacco nella Repubblica democratica del Congo in cui sono rimasti uccisi l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e un autista dello stesso Pam.
Lo ha detto il rappresentante aggiunto del segretario generale dell’Onu nel Paese, David McLachlan-Karr, che “condanna con la più grande fermezza” l’episodio. L’attacco è avvenuto a nord-est di Goma.
Il convoglio attaccato in Congo “si stava recando da Goma a visitare il programma di distribuzione di cibo nelle scuole del Wfp a Rutshuru” e viaggiava senza protezione dei caschi blu della missione Onu nel Paese (Monusco), perchè era stato autorizzato il viaggio senza una scorta di sicurezza.
Oltre alle tre vittime – i due italiani, l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci, più l’ autista – altri passeggeri sarebbero rimasti feriti.
“Il Wfp lavorerà con le autorità nazionali per determinare i dettagli dietro l’attacco, che è avvenuto su una strada che era stata preventivamente dichiarata sicura per viaggi anche senza scorta”, si legge nella nota del Wfp.
Secondo fonti della polizia locali, al vaglio degli inquirenti italiani, l’ambasciatore e il carabiniere sarebbero stati portati nella foresta, dopo la morte dell’autista, e lì uccisi.
Il commando, di 6 persone, avrebbe prima attaccato il convoglio e ucciso l’autista. Gli assalitori avrebbero quindi condotto gli altri nella foresta e, proprio mentre stavano arrivando delle forze locali in soccorso, avrebbero sparato al carabiniere, circostanza nella quale anche l’ambasciatore è morto.
Scattato l’allarme, sul posto si sono diretti una pattuglia dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura – distante poche centinaia di metri – ed anche alcuni soldati dell’esercito congolese, anch’essi non lontani.
Il resto non è ancora chiaro. Sembra che proprio quando la pattuglia dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura è entrata in azione, gli aggressori abbiano sparato alla guardia del corpo dell’ambasciatore. Uno dei sopravvissuti, interrogato dalle autorità locali, avrebbe detto che gli assalitori parlavano tra loro in kinyarwanda e che si rivolgevano agli ostaggi in swahili.
Il fatto che l’ambasciatore viaggiasse con un veicolo non blindato “sarebbe molto grave: bisognerà verificare le responsabilità di tutti gli attori coinvolti” afferma all’agenzia Dire Sam Kalambay, analista politico, tra i consiglieri della presidenza congolese. “Le fotografie mostrano vetri infranti, forse a causa dello scambio di colpi d’arma da fuoco seguito all’attacco dei miliziani dopo l’imboscata”. “In quelle zone non si può avere una sola guardia del corpo e con un veicolo che non sia blindato” dice l’analista.
Il ministro degli Esteri della Repubblica democratica del Congo, Mari Tumba Nzeza, ha promesso all’Italia che il Governo congolese “farà di tutto per scoprire chi c’è alla base dello spregevole omicidio”. “Una settimana fa era venuto qui, nel mio ufficio, per invitarci a eventi in Italia l’estate prossima”. scrive il ministro degli Esteri su Twitter. “Faccio le condoglianze non solo a mio nome, ma anche a nome del governo congolese al governo italiano per questa perdita immensa”.
Le autorità congolesi che stanno indagando privilegiano al momento la pista del gruppo ribelle armato “Forze democratiche per la liberazione del Ruanda”, meglio noto con l’acronimo Fdlr-Foca, secondo quanto riferisce France24 citando il governatore della Regione e ricordando che nella stessa zona nel 2018 furono rapiti due turisti britannici. Secondo gli Usa, il gruppo è responsabile di una dozzina di attentati terroristici realizzati nel 2009.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 14th, 2021 Riccardo Fucile
IL TIMORE DI ALTRE AZIONI TERRORISTICHE RIMANE ALTO
Il Congresso è presidiato anche all’interno da centinaia di uomini della Guardia nazionale che, come documentano numerose foto, dormono o bivaccano in mimetica negli eleganti corridoi dell’edificio dove ieri la Camera ha approvato la mozione di impeachment contro Donald Trump per aver incitato l’insurrezione dei suoi sostenitori contro il Parlamento. All’interno sono stati installati anche dei metal detector
L’intero perimetro del Campidoglio è protetto da alte recinzioni metalliche (come da tempo la Casa Bianca) e dai militari con armi in pugno, quasi fosse un fortino da difendere contro un assalto. Pennsylvania Avenue, l’arteria che porta dalla Casa Bianca a Capitol Hill, è bloccata ad una certa distanza dal Congresso per impedire l’accesso a chiunque.
L’atmosfera, nella città semideserta, è surreale. Sono scene che lasciano sbalorditi e che fanno il giro del mondo, proiettando la vulnerabilità del Paese più potente del mondo: mai prima d’ora gli Usa erano stati costretti a misure di sicurezza così estreme per garantire il passaggio dei poteri da un presidente all’altro, trasformando quella che è sempre stata una solenne festa di popolo lungo il National Mall in un evento ad alto rischio.
Anche la residenza del vicepresidente Mike Pence, l’US Naval Observatory, è stata blindata: nella notte i militari hanno innalzato tutto intorno una barriera di metallo.
Del resto la tensione resta altissima dopo l’allarme lanciato dall’Fbi su possibili proteste di milizie armate tra il 16 e il 20 gennaio contro Capitol Hill e i campidogli degli altri 50 Stati Usa. Lo stesso Trump ha dichiarato l’emergenza accogliendo una richiesta della sindaca della capitale Muriel Bowser, che peraltro ha invitato gli americani ad evitare la città .
Il Secret Service ha già iniziato in anticipo i preparativi per garantire la sicurezza dell’Inauguration day, quando saranno dispiegati 15 mila uomini della Guardia nazionale, anche se sarà una cerimonia ristretta e in gran parte virtuale, con uno speciale tv condotto da Tom Hanks. Ma sul palco ci saranno pur sempre, oltre a Biden e Kamala Harris, le più alte autorità civili e militari della nazione, nonchè tre ex coppie presidenziali. E questa volta l’Fbi e le forze dell’ordine non possono permettersi errori.
(da agenzie)
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Gennaio 13th, 2021 Riccardo Fucile
GLI AVVOCATI GLI HANNO CONSIGLIATO DI ABBASSARE I TONI E CONDANNARE L’ASSALTO A CAPITOL HILL O SARANNO GROSSI GUAI GIUDIZIARI E FINANZIARI
La paura della galera fa novanta. E l’istigatore del golpe modera i toni: consiglieri e avvocati che hanno parlato con Donald Trump negli ultimi giorni gli hanno consigliato di abbassare i toni della polemica e condannare le violenze a Capitol Hill per evitare guai legali e ridurre la sua eventuale responsabilità per i disordini.
Lo riporta la ‘Cnn’ citando due fonti al corrente dei colloqui, secondo le quali nei giorni successivi all’assedio al Campidoglio Trump è stato informato che potrebbe essere accusato di incitamento alla violenza da parte delle autorità locali e federali ed essere citato in giudizio dai parenti delle vittime.
“Gli avvocati gli hanno raccomandato una de-escalation della retorica, non solo per il bene del Paese, ma anche per ridurre il rischio di un pericolo legale”, ha dichiarato una fonte. “Può assolutamente essere citato in giudizio”, ha detto una seconda fonte.
(da agenzie)
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Novembre 6th, 2020 Riccardo Fucile
I SERVIZI SEGRETI MANDANO RINFORZI A PROTEZIONE DI BIDEN E DELLA SUA FAMIGLIA
Nelle ore in cui gli scrutini per le elezioni presidenziali procedono in Pennsylvania, l’Fbi ha aperto un’indagine su un programmato attacco contro il Convention Center di Philadelphia dove si sta svolgendo la conta dei voti.
Secondo il canale locale Action News, la polizia ha infatti avuto una soffiata su un gruppo di persone che si stava dirigendo a bordo di un Hummer verso il Convention Center. Due uomini sono stati arrestati e, presumibilmente, sono entrati in città , armati di pistole.
Uno di loro potrebbe non avere il permesso di portare un’arma da fuoco. I due sarebbero sostenitori dell’infondato movimento cospirazionista QAnon, secondo quanto scrive il Philadelphia Inquirer: sul finestrino posteriore del veicolo sul quale si trovavano si vede un adesivo del movimento complottista, che per la prima volta ha anche eletto una sua simpatizzante al Congresso.
La tensione resta alta in tutto il Paese, fomentata dalle continue e infondate dichiarazioni di Trump secondo cui ci sarebbero irregolarità , in particolare legate al voto postale. La Pennsylvania è uno degli stati su cui sono puntati gli occhi insieme con Georgia, Arizona e Nevada.
Intanto, scrive il Washington Post, il Secret Service ha inviato una squadra di rinforzi a Wilmington, in Delaware, per aumentare la protezione attorno a Joe Biden e la sua famiglia. Si tratta di un chiaro segnale che il candidato democratico sarebbe pronto a tenere il discorso della vittoria nella corsa alla Casa Bianca già nelle prossime ore.
Un altro indizio è che la sua campagna avrebbe allungato di almeno un giorno l’affitto delle sale del Wilmington Convention Center, da dove Biden intende parlare al Paese una volta eletto presidente.
(da agenzie)
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Novembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
“DA ALCUNI E’ VISTA COME L’UNICA VERA ALTERNATIVA AL SISTEMA”
“L’ideologia islamista penetra nell’Occidente – anche se l’Isis ha perso la sua dimensione statuale – e attrae i giovani di seconda generazione”.
HuffPost ha parlato con Renzo Guolo, sociologo delle religioni e studioso di fondamentalismo islamico, all’indomani della notte di sangue a Vienna, terza tappa della nuova ondata di terrorismo partita con la decapitazione del professore a Conflans Sainte-Honorine, gli accoltellamenti a Nizza di giovedì scorso e, appunto, l’attentato in Austria.
A suo parere ci troviamo di fronte a “una forma quasi endemica” di terrorismo, “che può trovare un contrasto solo attraverso la sconfitta di questa ideologia, nonostante oggi possa contare su meno appoggi, anche indiretti, rispetto al passato”.
L’Europa è al sicuro? “Potrebbe diventare bersaglio, perchè oggi c’è una maggiore disponibilità da parte dei militanti dell’Isis a sacrificarsi per la causa”.
Professore, in che situazione si trova l’Europa? Siamo di fronte a una nuova recrudescenza del terrorismo?
Siamo in una situazione un po’ complicata, perchè si è messo in moto un ritorno dell’Islam radicale sotto forma di violenza politica che fa riferimento in prevalenza all’Isis. Non è che il fenomeno fosse scomparso, più probabilmente era stato occultato a livello mediatico perchè si era ritenuto che la sconfitta politico-militare dello Stato islamico comportasse anche una caduta verticale dell’organizzazione e in parte è vero. E’ ovvio che non c’è più la potenza di fuoco di un tempo, ma l’ideologia islamista radicale ha fatto presa soprattutto sulle giovani generazioni, almeno dalle prime informazioni che ci arrivano su chi ha agito a Vienna.
Quindi come possiamo definire l’attuale contesto nell’Occidente?
Siamo in una situazione di ripresa della conflittualità di matrice jihadista-radicale legata al fatto che la tensione si è alimentata nelle ultime settimane a seguito della questione delle vignette di Charlie Hebdo, alla decapitazione del professor Paty, e a tutto lo scontro che c’è stato tra Macron ed Erdogan, che non ha fatto altro che polarizzare le posizioni di carattere politico, culturale e religioso. Questo contesto è stato sfruttato dall’Isis che ha messo in moto tutte le azioni simboliche che abbiamo visto manifestarsi anche in questi ultimi giorni.
Prima diceva che è stata sconfitta solo la dimensione statuale dell’Isis…
Sì, ma certo non la sua ideologia, che è ideologia che prescinde la sua stessa nascita e circola da più decenni. Oggi essa è raggiungibile da più persone ed è l’ultima ideologia antagonista disponibile sul mercato per mostrarsi alternativi a un ordine che non è accettato nè politicamente nè religiosamente nè culturalmente. A tal proposito, la domanda da farsi è il perchè di questa penetrazione, soprattutto tra le seconde generazioni, come nel caso austriaco, in cui il giovane attentatore era nato e cresciuto in Austria.
Perchè questi giovani sposano l’ideologia islamista?
Perchè la vedono come unica vero alternativa al sistema e può giungere fino alla dimensione sacrificale, quindi c’è non solo la disponibilità a togliere la vita agli altri, ma anche di mettere sul piatto la propria perchè questo è concepito come una sorta di atto di martirio. Si può dire che sia una situazione di disperazione nichilistica e quindi questa ideologia diventa l’ultimo riferimento per chi si sente culturalmente estraneo al modo di vita occidentale.
Molti si sentono attratti dall’Isis perchè lì vedono una atmosfera di inclusione che invece l’Europa non gli dà ?
Questo sicuramente. C’è una dimensione fortemente comunitaria — che è tipica di tutte le esperienze estreme — quasi settaria dal punto di vista delle forme di appartenenza, ma ciò che conta è che sembra, nelle seconde generazioni europee, una forma di identità , perchè questo tipo di persone in genere sono alla ricerca di una identità che gli consenta di non essere preda di una doppia assenza. Non hanno più l’appartenenza alla cultura originaria, familiare, e però non si sentono neppure parte dei Paesi in cui si trovano a vivere come residenti o come cittadini di seconda generazione. È questo cortocircuito che alimenta la disperazione ed è questo disagio che ha incontrato l’ideologia islamista.
Siamo all’inizio di un qualcosa, di un avvio di una lunga serie di episodi?
Non è mai finita la dimensione di opposizione antagonistica che può trovare forma nel terrorismo. Adesso si dovrà capire, in quello che è successo a Vienna, se la vicinanza con l’area balcanica e la disponibilità di armi marcano una differente organizzazione rispetto a chi in Francia ha agito con il solo coltello. Seguendo la traccia delle armi si riesce a capire se ci sia stata una dimensione organizzata. Se queste organizzazioni sono in crisi nel cuore del Medioriente o dell’Asia, paradossalmente possono diventare — con queste azioni a bassa intensità che purtroppo non sono tali per le vittime — protagoniste del contesto occidentale. È una forma quasi endemica, che può trovare un contrasto solo attraverso la sconfitta di questa ideologia, anche se essa può contare su meno appoggi, anche indiretti, rispetto al passato.
Qualche osservatore a proposito degli attentati in Francia ha parlato di ‘lupi solitari’, è d’accordo?
Dipende. Quando si tratta di attacchi all’arma bianca, con lame, ci troviamo spesso di fronte a persone che sono lupi solitari, però, attenzione, solo nell’agire e non nell’adesione ideologica a un progetto. Magari sono persone che si sono radicalizzate online. Se si tratta di operazioni come quella di Vienna, che presuppongono un diverso livello di organizzazione, hanno alle spalle qualcosa di diverso. L’area balcanica è sempre problematica, sia dal punto di vista della radicalizzazione che del flusso di armi, e potrebbe portare all’apertura di una nuova stagione terroristica all’interno del Continente.
La novità sembra essere ravvisabile in particolare nel caso dell’uccisione del professor Paty. In quel caso l’assassino era un cittadino ceceno, nato a Mosca.
Come ho detto, ogni situazione è a sè. Anche il ceceno era considerato un residente in quanto i familiari avevano ricevuto lo status di rifugiati politici in Francia. Il concetto di seconda generazione di cui parlavamo prima riguarda non solo chi è nato nel Paese ma anche chi è residente per vari motivi nel territorio. Ciascuno si porta dietro il proprio bagaglio culturale, geopolitico e storico, ma in generale il flusso di combattenti europei dal 2011 verso la Siria va a incrementare questa sorta di proiezione sull’Europa, che fino adesso si era verificata soprattutto verso l’esterno, ma che dopo la fine statuale dell’Isis può avere avuto un forte meccanismo di retroattività verso l’interno dell’Europa.
Queste operazioni diventeranno costanti?
È uno dei nodi da sciogliere. Il caso austriaco può diventare importante anche per capire le modalità di organizzazione che l’Isis si è data.
Adesso che lo Stato islamico non esiste più, laddove è nato, come centro, si può dire che esiste un fenomeno polverizzato per tutto l’Occidente
Ci sono sia fenomeni di ritorno, sia fenomeni dati dal fatto che viene a mancare una sorta di centro, che prima era attrattivo e organizzativo e che ora — per chi vuole compiere azioni di questo tipo — non c’è più. In pratica si torna ad agire sotto forma del classico terrorismo esportato o importato. Non c’è più un punto di riferimento in grado di catalizzare questa energia. Pensiamo a tutte le migliaia di combattenti europei che sono andati in Siria tra il 2011 e il 2016. Quello sfogo non c’è più e però esiste l’ideologia che spinge questi soggetti ad agire. L’Europa dall’indebolimento statuale dell’Isis non trova un sollievo, ma un aggravamento, che la potrebbe far diventare un potenziale bersaglio.
La pandemia e le sue regole agevolano il terrorismo?
No, casomai il contrario, ma pandemia e terrorismo vissuti nello stesso momento prostrano, quindi più che un tema di sicurezza è una questione etico-morale.
(da “Huffingtonpost”)
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