Febbraio 18th, 2020 Riccardo Fucile
IL LAVORO PRECARIO PENALIZZA LA STABILITA’ DEI GIOVANI
Crollano i mutui erogati agli under 35 e si dimezzano di conseguenza le richieste. Ma è un circolo vizioso: meno si dà fiducia ai giovani, meno i giovani si sentiranno di poter rischiare
Come è cambiata l’idea di stabilità nel corso degli ultimi decenni? Per la concezione delle banche, nemmeno di un tono.
È stabile chi ha un rapporto di lavoro continuativo da oltre 18 mesi, chi ha un contratto da dipendente a tempo indeterminato e chi ha uno stipendio non suscettibile al numero di ore lavorate. A loro, e solo a loro, è concesso accedere alla «montagna di liquidità » (come l’ha definita Tito Boeri) che le banche mettono a disposizione per i mutui.
Se si guardano le cose da questa prospettiva, le generazioni degli under 36 sembrano essere il prototipo della precarietà e dell’inaffidabilità finanziaria. Meglio rimanere sicuri sugli anziani, sembrano dire le banche, e puntare a concedere prestiti a chi ha davanti a sè la sicurezza di una pensione.
A rafforzare questa credenza c’è la scarsa attenzione che la legislatura italiana pone sul tema del lavoro autonomo.Ancora lontani dal creare una rete di tutele sociali, il freelance — o chiunque tenti una strada diversa dalla subordinazione — viene lasciato a se stesso, portando avanti la vulgata della precarietà come unica dimensione al di fuori del contratto da dipendente. La conseguenza, per quanto riguarda il lato abitativo (ma non solo), è che le banche non rischiano e i giovani non ci provano più nemmeno a chiederlo.
«Certo che esiste un problema», ha dichiarato a la Repubblica Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi (l’Associazione bancaria italiana) Ma non è creato dalle banche, è del Paese: che non cresce, non crea lavoro, non dà occupazione ai giovani». Ma la verità , aldilà degli interessi della parti, è che è un circolo vizioso: meno si investe sul futuro, meno futuro si avrà a disposizione. Meno si dà fiducia ai giovani, e meno i giovani si sentiranno di poter rischiare.
Stando all’ultima rilevazione di MutuiOnline.it, la quota di mutui erogati a chi ha fino a 35 anni si è dimezzata nel giro di 15 anni. Si è passati dal 44,8% del 2006 all’attuale 22,6%.
E una variazione simile si è avuta anche nelle richieste, che sono passate dal 49,2% al 27,2% — il restante 20% si è perso tra le due fasce di età superiori, dai 36 ai 55 anni.
Di base, quindi, solo un mutuo su 5 va nelle tasche degli under 35. Se si guardano le fasce di età più nello specifico, si vede che a essere meno finanziati sono gli under 25 (con uno 0,6% di mutui erogati), seguiti dalla fascia tra i 26 e i 35 (con il 22% dei mutui erogati).
Le fasce più coperte nell’ultima rilevazione dei mesi del nuovo anno sono quelle tra i 36 e i 45 e quelle tra i 46 e i 55 anni. Considerando l’annata completa, per gli under 35 è stato il 206, con un totale di 27,1% di mutui erogati. Certo, i mutui sono alti e spesso di difficile onere per chi guadagna attorno ai 1.000/1.500 euro al mese come molti di coloro che si affacciano al mondo del lavoro. «Non vogliamo rischiare», dicono dalle banche.
Ma quanti ragazzi e quante ragazze vivono da soli, senza avere le spalle coperte, facendo sacrifici e pagando comunque puntualmente un affitto ogni mese — che può arrivare a chiedere fino al 40% del proprio stipendio? Quello dei costi elevati che gravano sulle giovani generazioni (e non solo) è un altro enorme problema. Ma che non va sovrapposto a quello dell’erogazione dei mutui.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 2nd, 2020 Riccardo Fucile
LA VERA EMERGENZA ITALIANA SONO 1,8 MILIONI DI PERSONE A BASSISSIMO REDDITO… OCCORREREBBERO 50 MILIARDI CHE SI POSSONO DILUIRE IN 5-10 ANNI… L’IGNOBILE SILENZIO DELLA SEDICENTE DESTRA E DEL M5S SUL TEMA E LA PALLIDA ASSENZA DELLA SEDICENTE SINISTRA
Due contemporanee ricerche in corso di rinomati istituti immobiliari, Nomisma da una parte e Cresme dall’altra, entrambe dirette a rilevare la quantità e la dislocazione degli italiani che sono così poveri da non riuscire o riuscire a malapena a pagare l’affitto o la rata del riscatto di un alloggio popolare, mostrano se non altro che comincia ad affacciarsi una nuova sensibilità politica sulla questione della casa per i nuclei familiari svantaggiati. Entrambe le ricerche sono state commissionate da enti pubblici: per i partiti al governo è un’occasione unica per mettere sotto i riflettori e impostare una politica concreta a favore dei ceti più deboli.
Dopo l’abbuffata di Quota 100 per i pensionati, si potrebbe ora scoprire che le vere emergenze sono altre rispetto a quella di consentire a chi ha un lavoro di lasciarlo anticipatamente: ci sono in Italia ben 1,8 milioni di famiglie “povere” che vivono in condizioni di disagio abitativo: si considerano tali quei nuclei dove serve – per pagare l’affitto o la rata per il riscatto – più del 30 per cento delle entrate.
Non è certo che tutte le attuali 800 mila abitazioni dell’Edilizia residenziale pubblica (Erp), gestite dagli ex Iacp, vadano ad alleviare la situazione di chi si trova in uno stato di così grave disagio per un bene fondamentale come la casa.
Tuttavia, anche sottraendo questa quota, rimane circa 1 milione di famiglie che sicuramente non se la passa bene perchè fatica a tirar fuori i soldi per il canone di locazione, che può oltrepassare in certi casi anche il 50 per cento del reddito familiare, mentre ha gravi difficoltà anche per sfamare le persone che vivono in casa.
Le famiglie in povertà assoluta, circa 849.000 nel 2018, secondo il Cresme abitano per il 78 per cento in abitazioni di privati, quindi con un canone di mercato.
La vera emergenza
Di fronte a una situazione così grave, che colpisce un bene essenziale come il diritto ad avere un tetto sopra la testa, stupisce che nessun governo, negli ultimi 10 o 20 anni, abbia trovato soluzioni ragionevoli per costruire più alloggi.
Ora però qualcosa sta per cambiare: si comincia a capire che l’esasperazione delle periferie abbandonate crea un malcontento diffuso che poi si trasforma in una guerra fra poveri (di solito italiani contro immigrati) e che a sua volta finisce per rimpinguare i voti dei sovranisti
Gli amanti del laissez-faire, i liberali che pensano che debba sempre essere il mercato a risolvere tutti i problemi, qui si conviene che restino fuori dal dibattito.
Perchè è ovvio che il libero mercato della casa non può sciogliere questo nodo. I proprietari privati non possono praticare, al di là di singole generose scelte in tal senso, una drastica riduzione dei canoni per aiutare queste famiglie.
E l’evoluzione degli ultimi anni nelle città più grandi o d’arte, con il boom degli affitti brevi, ha inoltre tolto dal mercato moltissime unità , con ciò contribuendo a far lievitare i canoni di quelle rimaste.
La sola politica fiscale di incentivazione degli affitti concordati (10 per cento contro il 21 per cento di cedolare secca sugli altri) non sembra poter dare una volta.
“Per affrontare il problema – scrive Raffaele Lungarella sulla “Voce.it” – è necessario incrementare la disponibilità di case popolari, costruendone di nuove e riconvertendo a residenza gli immobili pubblici che ora hanno una diversa destinazione urbanistica. È necessario anche promuovere, con l’impiego di risorse più adeguate di quanto fatto finora, programmi di recupero e messa a norma degli alloggi che ne hanno bisogno per evitare che restino sfitti per lunghi periodi, con il rischio che siano occupati abusivamente. Tutto questo sarebbe inutile se si continuasse a consentire l’alienazione del patrimonio esistente”.
I piani del passato
L’Italia ha in passato dimostrato di saper attivare risorse per cercare di dare a tutti una casa. Il piano Gescal (finanziato con una piccola ritenuta su tutte le buste paga), il piano Fanfani, sono progetti di cui tutti conservano un seppur vago ricordo familiare, e contribuirono nell’Italia degli anni 50 e 60 a dare a molte famiglie bisognose l’accesso all’affitto o alla proprietà della casa.
Successivamente, però, la questione-casa è andata perdendo centralità nella discussione politica e sociale. Inoltre, non soltanto è cessato a un certo punto l’afflato per la costruzione di nuovi alloggi, ma ne è stata fatta scomparire una larga fetta.
Il processo di dismissione del già scarso patrimonio pubblico ha tolto dal mercato “protetto” circa 200 mila unità tra il 1993 e il 2001, grazie alla Legge Nicolazzi che facilitò la vendita di parte del patrimonio agli inquilini.
Intanto, le famiglie con disagio non sono affatto diminuite. Anzi, sono leggermente aumentate negli anni dopo la crisi del 2008, sebbene non così tanto da modificare i termini della questione.
Guardando i grandi numeri la situazione, a partire dagli anni 2000 in poi, resta a grandi linee abbastanza statica. Sia la popolazione totale che le famiglie povere sono, sostanzialmente, più o meno le stesse. E negli ultimi 40 anni la popolazione italiana è aumentata soltanto di pochissimo: eravamo 56 milioni nel 1980, ora siamo poco più di 60 milioni.
Vuol dire circa il 7 per cento circa in più in un lasso di tempo così lungo. Possiamo quindi considerare abbastanza statica la popolazione italiana, anche se dobbiamo registrare una diminuzione degli italiani autoctoni e un aumento dei cittadini provenienti da altri paesi. Anche la quota di 1,8 milioni di famiglie a disagio abitativo sono più o meno le stesse almeno negli ultimi 10 anni, sebbene la quota di stranieri regolari e con il diritto a entrare nelle graduatorie per una casa pubblica sia aumentata (gli italiani sono il 67 per cento secondo Nomisma).
Servono soldi veri
Perchè allora non si è fatto finora nada de nada? Già , è questo il punto. È ovvio che per fare qualcosa non bastano in questo caso le chiacchiere (e non è strano che neppure Salvini, nella sua fantasiosa ricerca di temi da imporre a 360 gradi nella sua eterna propaganda politica se ne sia tenuto sempre lontano), ma servono fatti.
E per avere dei fatti occorrono soldi veri. Quanti? I conti, a grandi linee, son presto fatti. Se si dovessero costruire, tutte insieme e subito, 1 milione di case mancanti, a 50 mila euro l’una (ma qualcuno dice 100 mila…), servirebbero almeno 50 miliardi.
Una cifra insostenibile, che nessun governo potrebbe mai pensare di mettere in campo in una sola volta. In realtà basterebbe soltanto cominciare a costruirle perchè una parte dell’investimento sarebbe poi recuperato attraverso i canoni che, seppur bassi, non sono inesistenti.
Cominciare: una parola che non piace in genere ai politici, che preferiscono spendere quei pochi soldi che ci sono in cose che si vedono subito.
Ma qui occorre fare un salto di qualità perchè la gente non è scema: se si riuscisse a far decollare un programma pluriennale del genere chi lo crea potrebbe spiegare che ci vorranno molti anni per vederlo finito, anche quando il suo governo non ci sarà più. Sarebbe tuttavia sicuro che la gente lo capirebbe. Perchè la casa è come la Tara di Via col Vento, è una cosa che dura. E si ricorda.
Dove mancano le case
Per sapere dove si dovrebbe costruire o recuperare patrimonio da destinare a edilizia popolare, si dovrebbe prima di tutto sapere in quali precise aree l’emergenza sia più sentita.
“I cittadini a cui mancano le risorse per avere una casa in affitto a canone calmierato – spiega Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, che sta completando un aggiornamento della ricerca già svolta nel 2016 per Federcasa, la federazione degli ex Iacp – sono distribuiti sul territorio in maniera omogenea, contrariamente a ciò che si pensa. Se non vi sono dubbi che il fenomeno sia più accentuato nei grandi centri, dall’analisi non sembrano emergere zone franche, con una diffusione che interessa anche capoluoghi di medie dimensioni e centri minori”. Insomma, quelle famiglie disagiate che abbiamo fatto finta di non vedere sono dappertutto, intorno a noi, nei grandi ma anche nei piccoli centri. E sarà interessante vedere se la ricerca di Nomisma, e anche quella del Cresme, saranno in grado di fare completa chiarezza sulla distribuzione geografica del bisogno. Un primo passo in avanti.
I progetti concreti
Ma, come si diceva prima, se a mancare finora è stata la volontà politica, di certo – anche se questa fosse recuperata – l’elemento-chiave sono i soldi.
Nessuno può pensare di risolvere in un sol colpo il problema, ma secondo Luca Talluri, presidente di Federcasa, si potrebbe dare inizio a un programma di interventi “per almeno 300 mila case popolari da affiancare alle attuali. Con l’aggiunta di una gestione efficace ed efficiente degli enti (cosa che accade già oggi in molte parti d’Italia), che permetta bassa morosità , poche occupazioni e rotazione di alloggi in funzione delle esigenze reali (inutile che un anziano abbia 4-5 stanze)”.
Da dove pescare i soldi che servono? Di certo non da un aumento della pressione fiscale, che sarebbe insostenibile (e forse politicamente improponibile): “Per questo motivo – spiega Dondi – occorre intanto cominciare con uno stanziamento significativo, a cui un domani si potrebbero aggiungere lievi prelievi sulle buste paga come fu fatto in passato con Gescal e Piano Fanfani”.
“I soldi – sostiene Talluri – possono essere messi con il classico fondo perduto (Gescal o altro, nazionale o regionale…insomma, scelgano al Mef) oppure fondi stile Bei (Banca europea degli investimenti, Ndr) da restituire con garanzia dello Stato, ma in questo caso permettendo di costruire nelle singole operazioni non soltanto case di edilizia residenziale pubblica ma anche di edilizia sociale (per le classi medie che hanno comunque difficoltà ad accedere all’acquisto, Ndr) e alloggi-volano per l’emergenza abitativa: in questo modo si potrebbe avere una redditività che consentirebbe di restituire parte della somma investita”.
La politica ha cominciato a percepire l’importanza di dare una risposta ai bisogni abitativi della fascia sociale più debole.
Non è un caso che il governo abbia stanziato un piano con 850 milioni di euro, da distribuire fra mille rivoli e solo in piccola parte al sostegno alla costruzione di nuovi edifici.
Troppo poco, e sicuramente troppo poco mirato. Se crescerà la consapevolezza, grazie anche al bisogno primario dei partiti di non perdere l’elettorato delle periferie, forse un nuovo Piano Casa potrà essere rilanciato
Con la certezza che forse non sarà possibile eliminare del tutto la povertà , come pensava ingenuamente Luigi Di Maio con il reddito di cittadinanza, ma che con un serio programma pluriennale sulla casa si potrà eliminare almeno la perenne emergenza abitativa.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile
CASO UNICO TRA LE ECONOMIE EMERGENTI
Cosa sta succedendo al mattone italiano? Niente di nuovo, si potrebbe rispondere, eppure i dati diffusi da Istat pochi giorni fa fotografano una realtà curiosa: i prezzi delle case sono tornati a diminuire ma, nel frattempo, le compravendite stanno continuando a salire.
Come insegna la legge della domanda e dell’offerta, il prezzo di un bene più richiesto inizia a crescere proprio perchè ci sono più persone disposte ad averlo. In apparenza, in Italia questa legge non sta funzionando.
Ma solo in apparenza: “In realtà , nel nostro Paese sta acquistando solo chi se lo può permettere: chi ha lavori stabili, chi sta vendendo il proprio immobile o i genitori per i loro figli” spiega Maurizio Sgroi, giornalista economico e autore del blog The Walking Debt.
Secondo Sgroi prezzi così bassi stanno convincendo i più benestanti a comprare, “magari perchè tenevano d’occhio una casa da tempo e ora hanno capito che è il momento migliore per farlo”.
Con la complicità dei tassi di interesse sui mutui che in questo periodo si trovano al minimo storico. Resta il fatto che, nonostante siano in ripresa dal 2015, le compravendite siano ancora molto lontane dai livelli pre-crisi.
C’è casa e casa. A ben leggere i dati diffusi da Istat, però, non è del tutto vero che gli immobili italiani si stanno deprezzando.
Nel terzo trimestre 2018 infatti il valore delle case nuove è cresciuto dell’1,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E nel secondo trimestre l’aumento era stato dell’1,4%. Il problema, quindi, sono le case esistenti.
Secondo Sgroi, questo è dovuto a molti fattori, due dei quali sono “una svalutazione fisiologica, perchè negli anni scorsi il prezzo di questi immobili era cresciuto davvero troppo, e il fatto che gli italiani fanno, mediamente, davvero poca manutenzione sulle proprie case.
Fin quando questi immobili si trovano a Roma o Milano la svalutazione resta entro certi limiti perchè sono mercati particolari, ma la normalità è la provincia. E lì il prezzo di una casa mai ristrutturata crolla”.
Dello stesso parere Mario Breglia, presidente dell’istituto di ricerca Scenari Immobiliari: “Chi compra vuole una bella casa ma sul mercato ne trova, principalmente, di brutte. I risultati possono essere due: o non si acquista, o lo si fa a prezzi ridotti, perchè l’acquirente deve considerare i costi di ristrutturazione”.
Il trend positivo del nuovo è, secondo Breglia, una dimostrazione di tutto ciò: “Le case nuove, costruite in città , si vendono bene e anche in poco tempo”.
La riscossa degli affitti.
A deprimere il mercato immobiliare c’è anche un altro fattore: gli italiani stanno ricominciando ad affittare. Sono in aumento i classici contratti 4+4 ma, soprattutto, c’è stato un boom degli affitti brevi, in particolare nelle grandi città o in quelle turistiche.
“Una casa che fino a qualche anno fa sarebbe stata messa in vendita, oggi viene affittata, magari su piattaforme come AirBnB – continua Breglia – ed è chiaro che, se tolgo dalla vendita uno stock di immobili ben tenuti e in ottima posizione, la qualità delle case in vendita si abbassa”. Rimangono quelle da ristrutturare, in periferia o fuori città .
Un caso unico. Tra le economie più avanzate l’Italia resta il fanalino di coda.
Perchè nel resto d’Europa e del mondo il mercato immobiliare ha iniziato a riprendersi dal 2012 per tornare in alcuni casi ai livelli pre-crisi. Secondo i dati della BIS (Bank for international settlements), tra fine 2017 e fine 2016 in tutte le economie più mature il prezzo degli immobili è cresciuto, in termini reali, del 3%.
Nel frattempo il mattone italiano ha continuato la sua discesa e solo Russia e Brasile registrano performance peggiori. Spagna e Irlanda, gli altri due paesi Ue in cui il mercato immobiliare era colato a picco, sono in ripresa anche se ancora molto lontani dai livelli del 2007.
Scenari futuri. Il quadro resta quindi quello di un mercato depresso. Ma sulle prospettive i due esperti si dividono.
Più pessimista Sgroi: “In Italia la maggior parte degli over 65 è proprietario di uno o più immobili. Quando queste persone passeranno a miglior vita, una generazione di italiani erediterà . Ma questo stock di case è destinato a finire sul mercato, sia perchè non tutti potranno permettersi di mantenerle, sia perchè il numero delle case sarà superiore alle persone che le erediteranno. Il risultato? Il prezzo del mattone scenderà ancora”.
Secondo il presidente di Scenari Immobiliari è invece solo una questione di tempo: “Il mercato immobiliare in Italia è dipendente dall’inflazione. Non appena questa riprenderà , anche i prezzi delle case si alzeranno. A patto che si riprenda anche il settore delle costruzioni. Finora la ripresa si è vista solo a Milano” conclude Breglia.
(da “La Repubblica“)
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Novembre 20th, 2018 Riccardo Fucile
CON IL RIALZO DELLO SPREAD E’ CRESCIUTO IL COSTO DEI PRESTITI A FAMIGLIE E IMPRESE: COME LEGA E M5S METTONO LE MANI NELLE TASCHE DEGLI ITALIANI
Il conto del caro-spread inizia a farsi sentire anche sui nuovi finanziamenti chiesti in banca, sebbene i parametri europei a cui sono legati i mutui per l’acquisto di casa godano ancora della bonaccia garantita dalla Bce di Mario Draghi e dalla sua presenza sul mercato (Euribor a 3 mesi -0,32). Eppure qualcosa nei meccanismi delle banche inizia a muoversi.
A certificarlo è la stessa Abi, l’associazione delle banche italiane, che nel suo rapporto di novembre segnala come (nel mese di ottobre) “il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni è risultato pari a 1,87% (1,80% a settembre 2018, 5,72% a fine 2007)”, dopo aver annotato che “si registra un incremento dei tassi di interesse sulle nuove operazioni di finanziamento, risentendo dell’aumento dello spread nei rendimenti dei titoli sovrani”.
Iniziano ad accorgersene anche le aziende: “Il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è risultato pari a 1,60% (1,45% il mese precedente; 5,48% a fine 2007)”
Il peggioramento delle condizioni non deve allarmare tutti indistintamente: chi ha già un mutuo in essere a tasso fisso – come la maggior parte di quelli accesi negli ultimi tempi – è al riparo dalle oscillazioni. Quelli legati invece al tasso variabile si devono preoccupare dell’Euribor e non dello spread tra Btp e Bund, quindi scrutare nelle intenzioni della Bce (l’Euribor riflette le aspettative sui tassi d’interesse) più che il grafico dei titoli di Stato.
Ma il discorso è diverso per i nuovi finanziamenti, che vengono costruiti con una voce legata allo ‘spread’ applicato dalle banche sul costo del finanziamento stesso e che riflette il caro della raccolta che si accompagna all’aumento del differenziale tra titoli di Stato.
Anche sul fronte della raccolta si segnalano tensioni. “Il rendimento delle nuove emissioni di obbligazioni è risultato in sensibile aumento nel corso degli ultimi mesi, risentendo dell’aumento dello spread nei rendimenti dei titoli sovrani”, afferma l’Abi. A settembre 2018 si registra “un valore pari a 1,71% rispetto al valore minimo di 0,56% registrato a maggio 2018”.
Si tratta di rilevazioni su ammontari non molto rilevanti, spiega il vice direttore generale Gianfranco Torriero, ma “che danno il segnale di un cambiamento di rotta del mercato”.
Per quanto riguarda la dinamica dei prestiti, l’Abi ha censito ancora una crescita annua dell’1,9%, e – sulla base degli ultimi dati relativi a settembre 2018 – conferma la crescita del mercato dei mutui. L’ammontare totale dei mutui in essere delle famiglie registra una variazione positiva di +2,3% su base annua.
Per la qualità del credito in pancia alle banche, “le sofferenze nette (cioè al netto delle svalutazioni e accantonamenti già effettuati dalle banche con proprie risorse) a settembre 2018 si sono attestate a 39,8 miliardi di euro; un valore inferiore rispetto ai 40,5 miliardi del mese precedente e in forte calo, -47 miliardi, rispetto al dato di dicembre 2016 (86,8 miliardi). In 21 mesi si sono quindi ridotte di oltre il 54%. Rispetto al livello massimo delle sofferenze nette raggiunto a novembre 2015 (88,8 miliardi), la riduzione è di 49 miliardi, oltre il 55%”.
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2018 Riccardo Fucile
L’EMERGENZA SOCIALE NON SI AFFRONTA CON LE CIRCOLARI SUGLI SGOMBERI
La circolare del Viminale sull’avvio agli sgomberi degli stabili occupati, firmata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha diffuso un clima di preoccupazione per le tante famiglie che a Roma vivono occupando vecchi edifici abbandonati.
Tra queste realtà , in via Tiburtina 1064, accanto all’ex fabbrica di Penicilina in prossimità della zona di San Basilio, c’è uno degli stabili presenti nella lista del ministero tra i prossimi ad essere censiti e sgomberati.
Un ex albergo abbandonato da anni e da aprile 2013 abitato da centinaia di famiglie delle quali più dell’90% di nazionalità italiana.
Armando e Rosetta sono una coppia di anziani che vive in una delle tante stanze occupate insieme alla nipote di 27 anni e alla sua bambina di 3 anni.
Armando, che vive con una pensione minima ed ha anche un’invalidità respiratoria, ribadisce la volontà di regolarizzarsi con lo Stato: “Se domani mi chiamano per una casa popolare io me ne vado subito da qui.”
(da “La Repubblica”)
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Aprile 16th, 2018 Riccardo Fucile
SU 295 ALLOGGI IL 60% E’ ANDATO A CITTADINI STRANIERI REGOLARMENTE RESIDENTI IN ITALIA DA ALMENO 10 ANNI
Stessa legge ma applicazione diversa: Cascina batte Pisa ed assegna, in percentuale, più alloggi popolari ai cittadini stranieri regolarmente residenti sul territorio
Su quello che sembra essere un tema caldo di ogni campagna elettorale, Cascina chiama e Pisa risponde: prosegue così la “guerra” di cifre sulle case popolari ed in particolare su quelle assegnate a cittadini stranieri, regolarmente in suolo Italiano, che ne fanno richiesta.
E così da Pisainformaflash.it quotidiano online del Comune di Pisa, si apprende che “a Pisa ci sono 2.929 case popolari, 40% sono abitate da stranieri (sia comunitari sia extracomunitari), a Cascina gli stranieri sono il 60% (su 295 case popolari). Entrambi i Comuni richiedono agli stranieri i documenti che dimostrino che non possiedono case nel paese di origine”.
Ricordiamo che il Comune di Cascina applica, come in tutti i comuni Toscani, una legge del 2015 varata dalla Regione la quale prevede per i cittadini stranieri (oltre ad essere regolari e residenti da almeno 10 anni) la presentazione di un documento che attesti che questi non abbiano proprietà immobiliari nel loro paese di origine che prevede che, per aver diritto all’alloggio popolare, i cittadini stranieri residenti non abbiano nei paesi d’origine case di proprietà .
Il documento in questione deve essere rilasciato dal paese di origine e questo spesso porta spesso ad una dilatazione dei costi, oltre ad aumentare in modo esponenziale la tempistica per ottenere la certificazione.
“Il Comune di Cascina, conclude Pisainformaflash.it, chiede il documento in questione per ammettere gli stranieri subito per formare le graduatorie. Il Comune di Pisa chiede subito un’autocertificazione.
Se poi vanno in graduatoria, prima di entrare nella casa, devono presentare il documento. Alla fine l’effetto, come è evidente a tutti, è lo stesso. Ma è evidente che Pisa concede il tempo necessario, Cascina no”.
In ogni caso resta il fatto che dopo tante chiacchiere sul “prima gli Italiani”, anche il comune leghista di Cascina alla fine su 295 alloggi popolari ha assegnato il 60% agli stranieri, come da norma.
(da agenzie)
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Febbraio 18th, 2018 Riccardo Fucile
SERVONO 600.000 ALLOGGI POPOLARI, MA LA DESTRA PATACCA ITALIANA SE NE FOTTE … QUEI SILENZI DEI POPULISTI SUI CLAN MAFIOSI CHE GESTISCONO LE OCCUPAZIONI ILLEGALI
Nella seconda Repubblica nessun tema ha avuto tanto spazio nelle promesse elettorali come quello della casa.
Tutti ricordano Silvio Berlusconi annunciare l’addio all’Ici (allora si chiamava così) sugli alloggi di residenza.
Matteo Renzi lo ha seguito, agguantando i favori della gran parte degli italiani storicamente proprietari dell’abitazione in cui abitano.
La destra ha pensato (e condonato) anche alla stanzetta in più, la loggetta coperta, il terrazzino trasformato in veranda, alle “libere” destinazioni d’uso, producendo un numero considerevole di piani casa.
Si sognava una società in cui tutti diventassero proprietari, grazie alle cartolarizzazioni di tremontiana memoria. che alla fine però hanno assicurato solo ricchi incassi alle società di collocamento dei beni immobiliari.
Con il centrosinistra il tema si è declinato in altro modo: sgravi per le ristrutturazioni, per gli affitti degli studenti, per la sicurezza sismica, per il risparmio energetico, per i condomìni, fino a chi vuole riorganizzare giardini e balconi, oltre agli sconti fiscali a chi affitta la seconda casa con la cedolare secca.
Una sola cosa è comune a tutti e due gli schieramenti: il sostanziale azzeramento dell’edilizia popolare pubblica.
Tanto che, nonostante il gran parlare di casa e di “tetti” per le famiglie, l’emergenza abitativa ha raggiunto livelli allarmanti, soprattutto nelle grandi città (a Roma c’è una lista d’attesa di 16mila famiglie, a fronte di assegnazioni di 490 case l’anno).
Si stima un fabbisogno di 600mila alloggi per garantire il diritto all’abitazione ai più deboli, evitando le migliaia di sfratti che spesso coinvolgono famiglie con minori o disabili (nel 2016 ci sono stati 61.718 sfratti, di cui quasi 55mila per morosità , con 35mila esecuzioni operate con la forza pubblica).
Eppure, terminata la lista di aiuti fiscali destinati ai proprietari, a conferma che la casa in Italia è considerata più una rendita che un pezzo di welfare, (aiuti che peraltro hanno aumentato la diseguaglianza tra chi è proprietario e chi non lo è), la politica ha cancellato il tema.
Berlusconi ormai parla solo di flat tax. Renzi si concentra sui benefici del Jobs Act e sui diritti civili. Evidentemente quel richiamo a Fanfani che il giovane leader dem aveva indicato oggi è sbiadito. I 5 Stelle puntano sul reddito di cittadinanza.
Così la “parola” casa resta nelle mani dei populisti di destra, che a ogni occasione utile lanciano lo slogan “le case agli italiani”, infrangendo tutte le convenzioni internazionali e i Trattati europei, che impongono parità di trattamento tra autoctoni e stranieri regolarmente residenti nel caso di un bene così importante per la sopravvivenza.
Da aggiungere, poi, che nei manifesti della destra non compaiono proposte – neanche per i poveri italiani – per il recupero del patrimonio immobiliare abbandonato o per risanare il fenomeno delle occupazioni illegali, spesso gestite da clan malavitosi (su cui, perlatro, non si sentono proteste).
Nei programmi elettorali delle forze politiche che, stando ai sondaggi, hanno più possibilità di andare al governo, non c’è traccia di questo argomento.
Nel programma di Liberi e Uguali c’è l’indicazione al diritto alla casa, con un riferimento al recupero delle case abbandonate, che oggi pesano sui bilanci delle banche. Gli unici che (meritoriamente) parlano esplicitamente di un piano di edilizia popolare sono i gruppi riuniti nella lista Potere al Popolo.
Nel loro programma si parla di un sostanzioso investimento pubblico nelle case popolari, che, oltre a risolvere un pesante e perdurante problema sociale, farebbe da volano dell’economia, alla stregua delle grandi opere tanto propagandate a destra e a manca.
Almeno una proposta c’è: peccato che sia di una lista che ad oggi non sembra riuscire a raggiungere la soglia del 3% necessaria ad entrare in Parlamento.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 16th, 2018 Riccardo Fucile
LO ZIO DEI BOSS CARMINE E ROBERTO HA OTTENUTO L’ALLOGGIO DAL CAMPIDOGLIO… IMBARAZZO DELLA SINDACA CHE ORA CHIEDE VERIFICHE
Si piazza per anni senza alcun titolo in una casa popolare al civico 7 di piazza Ener Bettica e il dipartimento Politiche abitative lo mette in regola.
Così il Campidoglio regolarizza un’occupazione abusiva di un membro del clan Spada.
Accade anche questo nel Comune M5S: Giuseppe Spada, zio del boss Carmine e di Roberto, noto alle cronache per la testata al cronista di Nemo Daniele Piervincenzi.
La determina dirigenziale, anticipata dal Messaggero, firmata dalla direzione Interventi alloggiativi è del 12 febbraio e assicura l’alloggio Erp (di edilizia residenziale pubblica) a Giuseppe e a sua moglie Maria Dell’Orco.
Gli uffici capitolini scrivono di aver verificato “la regolarità e la veridicità ” degli atti presentati da Spada.
Di aver controllato i dati anagrafici, reddituali e patrimoniali e soltanto dopo di aver dato il via libera.
Insomma, l’iter sarebbe stato completato senza intoppi. Se non di tipo etico e morale: il Campidoglio a guida grillina, infatti, si è già costituito parte civile proprio contro gli Spada per la testata rifilata da Roberto, fratello di Carmine, al giornalista di Nemo Daniele Piervincenzi.
Adesso, però, c’è il caso dell’appartamento popolare. Un alloggio che “stante l’assenza di motivi ostativi” è stato affidato a Giuseppe Spada, che ora può autodefinirsi ex abusivo.
Innestare la retromarcia, però, appare ancora possibile. L’assegnazione, si legge nella determina, potrebbe essere ancora sub judice. “L’ente gestore dell’alloggio” può ancora disporre ulteriori verifiche. Poi ci sarebbe anche la possibilità di presentare ricorso al Tar entro 60 giorni. Ma il Comune non può impugnare un proprio atto.
Parte alla carica il senatore dem Stefano Esposito, già commissario Pd nel X Municipio, sui social: “A Torino Appendino per risolvere il problema emergenza abitativa si affida ai centri sociali, a Roma Virginia Raggi assegna casa popolare occupata illegalmente ad un membro della famiglia Spada. Questo è il modo di governare del M5S”.
La sindaca di Roma Virginia Raggi, hanno datto sapere dal Campidoglio, ha chiesto agli uffici capitolini di verificare immediatamente se tutte le procedure di legge siano state rispettate e di avviare un’indagine sullo stato di attuazione dell’articolo 53 della legge regionale 27 del 2006.
Dall’assessorato al Patrimonio e alle Politiche abitative si sottolinea che “la regolarizzazione in sanatoria è imposta dall’articolo 53 della legge regionale 27 del 2006 qualora l’inquilino abbia occupato l’immobile entro il 20 novembre 2006 e abbia i requisiti previsti dalle norme regionali per accedere ad una casa popolare”.
L’articolo 53 della legge regionale, infatti, recita: “In deroga all’articolo 15 della lr 12/1999, nei confronti di coloro che alla data del 20 novembre 2006 occupano senza titolo alloggi di edilizia residenziale pubblica il Comune dispone, in presenza delle condizioni richieste per l’assegnazione, la regolarizzazione dell’alloggio”.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
IL COMUNE CERCAVA ABITAZIONI PER 800 FAMIGLIE, NE HA TROVATE SOLO 100…PARTE DEGLI AVENTI DIRITTO ALLA CASA FINIRANNO DI NUOVO NEL RESIDENCE DI TOTTI COSTATO 5 MILIONI IN SEI ANNI
Trattative in corso con “enti pubblici” per rimediare all’imminente chiusura dei costosissimi residence dell’emergenza abitativa.
Una parte degli aventi diritto finirà di nuovo nel palazzone di Tor Tre Teste di proprietà di Francesco Totti.
Il Comune di Roma è a caccia di immobili a basso costo dopo il flop del bando per la realizzazione dei cosiddetto Sassat, il servizio di assistenza e sostegno socio alloggiativo temporaneo con cui il Campidoglio intendeva dare una risposta alle persone in stato di “fragilità sociale” che si trovassero senza un tetto.
Con la gara pubblicata nel settembre scorso, infatti, il Dipartimento Politiche Abitative era alla ricerca di 800 immobili destinati ad accogliere una buona parte delle 1.400 famiglie ancora ospitate nei Caat (Centri assistenza alloggiativa temporanea), questi ultimi costati negli anni al comune anche 45 milioni di euro l’anno — dalla metà degli anni 2000 — a una media di circa 2000 euro al mese ad appartamento. All’apertura delle buste, tuttavia, l’unica offerta fin qui valida è stata quella della Ten Immobiliare, di proprietà dell’ormai ex capitano della Roma e di alcuni membri della sua famiglia.
La Ten ha messo a disposizione i 34 alloggi dell’edificio di via Tovaglieri, nel quartiere Tor Tre Teste, che già in passato ha funzionato da residence al prezzo stellare di 900mila euro l’anno.
Al vaglio della commissione aggiudicatrice c’è anche la posizione di un’altra candidatura, quella della Moreno Estate di Ostia, che potrebbe mettere sul piatto un’altra sessantina di alloggi sul litorale, ma il Dipartimento ha chiesto ulteriori approfondimenti sull’agibilità dello stabile proposto.
In totale, dunque, al massimo un centinaio di appartamenti non certo sufficienti a coprire l’esodo delle famiglie che usciranno dai residence il prossimo 28 febbraio.
Che fare allora? Fonti informali del Campidoglio confermano che l’assessore Rosalba Castiglione sta studiando una soluzione per evitare l’ennesima proroga alle strutture private.
Sul piatto ci sarebbero “trattative ben avviate con enti pubblici”, fra cui alcuni istituti previdenziali, per ottenere degli alloggi a prezzi calmierati e chiudere definitivamente la stagione dei residence.
E’ probabile che questa soluzione possa essere complementare all’assegnazione del bando e che alla Ten Immobiliare vadano comunque garantiti i 510.000 euro l’anno previsti per i 34 alloggi messi a disposizione, più i soldi relativi ai servizi che saranno messi a disposizione, come ad esempio la guardiania.
Le trattative in essere con gli enti pubblici restano dunque l’ultima spiaggia per evitare l’ennesimo flop.
L’uscita dai residence, voluta da Ignazio Marino e iniziata dal commissario straordinario Francesco Paolo Tronca, in realtà si è concretizzata solo in minima parte. In principio, infatti, fu il buono casa, un contributo sull’affitto di 700 euro per 3 anni accolto con grande diffidenza dai proprietari di abitazioni sfitte, che temevano di non avere gli strumenti per rientrare in possesso del proprio immobile una volta terminato l’assegno comunale: su 1400 contributi “potenzialmente erogabili” nel 2015 ne sono stati assegnati 25 e nel 2016 circa 100.
Completamente deserta anche la gara — molto simile a quella firmata da questa Giunta — voluta dall’ex assessora Francesca Danese, la quale poco prima della sfiducia a Marino era alla ricerca di 1020 alloggi.
Una svolta poteva darla la delibera 50/2016 approvata dal commissario Tronca, il quale prevedeva di destinare un terzo del piano della Regione Lazio (65 milioni sui 197 milioni inizialmente stanziati) all’uscita dai Caat, ma dalla Pisana finora sono arrivati solo 40 milioni, complessivi, evidentemente insufficienti allo scopo. Così la delibera commissariale è rimasta inapplicata.
“Se il bando non fosse andato deserto, solo 800 famiglie sulle 1.400 attualmente ospitate dai residence avrebbero trovato posto nei nuovi alloggi”, spiega a IlFattoQuotidiano.it la signora Elisa Ferri, del coordinamento dei residence.
Secondo Ferri — che fra l’altro vive in uno degli immobili della Ten — attualmente “non si conoscono i criteri con cui verranno accettate alcune famiglie piuttosto di altre. Si continua a sprecare denaro pubblico per farci vivere in dei tuguri, quando l’accesso alla casa popolare sarebbe la cosa più sensata per tutti”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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