Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
VOLANO I PIATTI, OGGI L’INCONTRO DELL’ADDIO: RITORNA L’UDC TRA RECIPROCHE ACCUSE
L’unica cosa su cui entrambe le parti concordano è che non sarà formalmente un divorzio.
Visto che, come spiegano i montiani Benedetto Della Vedova e Andrea Olivero, «Scelta civica non può rompere quello che non c’è mai stato, cioè il soggetto comune con l’Udc».
Ma tolti i tecnicismi, l’unica cosa certa è che – a meno di colpi di scena dell’ultimo secondo – le strade di Pier Ferdinando Casini e Mario Monti stanno per separarsi. Per sempre
L’ex presidente della Camera e il Professore dovrebbero incontrarsi oggi, nel disperato tentativo di ricomporre una frattura che pare sempre più insanabile.
Dopodichè sabato, giorno in cui Casini ha convocato i suoi per l’annuncio di «una svolta», lo strappo potrebbe essere formalizzato.
Inutile chiedersi se la separazione sarà consensuale. Basta ascoltare le parti. «Dovevamo fare un partito insieme e all’improvviso quello va in conferenza stampa e osa pure dire che noi dell’Udc cerchiamo solo quote di potere», sbotta il segretario centrista Lorenzo Cesa.
Il «quello» in questione è Monti. Che prima, incrociando i giornalisti all’uscita di un faccia a faccia con Enrico Letta, dice apertamente sono «altri i temi su cui dobbiamo concentrarci in questa fase», non il rapporto con l’Udc.
Poi, incontrando i suoi, ripete a voce alta le riflessioni elaborate a più riprese dopo le elezioni. «E dire che per difendere l’alleanza con Casini ho respinto pressioni di tutti i tipi», è il ragionamento del Professore.
E ancora, riferiscono i suoi: «Ma come fa Casini a sostenere che senza l’alleanza con noi avrebbe preso più voti? L’unico dato certo è che è entrato in Parlamento con l’1,7 per cento…»
Il travaso di bile reciproco, esploso dopo il tesseramento lanciato da Monti in vista della trasformazione di Scelta civica in un partito vero e proprio, spinge Cesa a scrivere ai suoi iscritti una lettera che assomiglia a un punto di non ritorno.
«È giunto il momento di riprendere l’iniziativa politica dell’Udc. È il momento di ripartire. Vi invito a una mobilitazione generale».
Il fronte montiano, col tandem composto da Della Vedova e Olivero, risponde per le rime: «Oggi, dopo l’1,7 conseguito alle Politiche, l’Udc vorrebbe consumare frettolosamente una fusione che suonerebbe artificiale e sarebbe palesemente insostenibile per un movimento come Scelta civica, che si sta dando una struttura compiuta».
Dietro le quinte, l’atmosfera è ancora più tetra.
Tolto qualche ragionamento sull’ipotesi (ai limiti dell’impossibile) di mettersi d’accordo al Senato aggiungendo alla denominazione del gruppo un trattino e la parola «Udc», della «cosa» montian-casiniana non rimane nulla se non la rabbia reciproca. Lorenzo Dellai, capogruppo alla Camera, tenta una mediazione invocando la ricomposizione «immediata» della «deriva» coi centristi.
Ma ormai è tardi. Il deputato-scrittore Edoardo Nesi, che in bacheca ha un Premio Strega, sembra lui stesso il protagonista di un romanzo.
«L’altro giorno ho visto questo onorevole Cera dell’Udc mentre stava per andare a menare un grillino. E guardi – aggiunge – che è bello grosso. Gli avrebbe fatto male di brutto, sa?».
E pensare, sorride, «che Cesa giura di aver letto i miei libri…».
Ed è un sorriso amaro.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 16th, 2013 Riccardo Fucile
NUOVI INCARICHI PER ROBERTO RAO, GALLETTI E OCCHIUTO, ESCLUSI DAL PARLAMENTO
“Le sconfitte segnano, ma sono utili solo se insegnano. Grazie a tutti” twittava sconsolato
Roberto Rao all’indomani della mancata rielezione alle politiche.
Ma l’ex deputato Udc, fedelissimo di Pierferdinando Casini non ha mai abbandonato Montecitorio, mentre nel frattempo i collaboratori anche storici del partito hanno dovuto fare le valigie.
Rao si è infatti assicurato una solida ciambella di salvataggio: dopo la denuncia dei deputati 5Stelle che ha bloccato la delibera con le liste degli ex dipendenti assumibili dall’amministrazione, il percorso era per la verità apparso tortuoso.
E solo grazie ai buoni uffici di Casini (di cui Rao è stato portavoce anche quando sedeva sul banco più alto della Camera) si è visto assegnare una collaborazione con Ferdinando Adornato eletto a Montecitorio nella Lista di Scelta civica e entrato nell’ufficio di presidenza tra i segretari d’aula.
Ma non basta. Rao infatti è divenuto consigliere politico del neoministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri.
Diversa la soluzione trovata per un altro ex parlamentare di stretta osservanza ‘casiniana’ e cioè Gian Luca Galletti approdato come sottosegretario nel governo Letta al ministero dell’Istruzione dove ha portato come capo della sua segreteria un altro ex parlamentare, ma sempre di stretta osservanza casiniana e cioè Roberto Occhiuto per il quale era sfumata in extremis l’ipotesi di una poltrona di assessore in Calabria.
Per i suoi fedelissimi, rimasti esclusi dalla pesante tornata elettorale, il leader dell’Udc si era messo in moto da subito.
Prima della nomina a sottosegretario, per Galletti si erano aperte le porte del consiglio di amministratore di Ismea, l’istituto per il mercato agricolo alimentare, subentrando al consigliere Ernesto Carbone nel frattempo divenuto deputato per il Pd.
L’elezione di Carbone in parlamento, per la verità , è stato una vera manna dal cielo per l’Udc: oltre che nel cda di Ismea infatti ricopriva anche il ruolo di presidente e Amministratore Delegato di Sin (la società controllata dall’Agea, l’Agenzia per le Erogazioni in agricoltura), posto lasciato libero per Antonella Del Sordo tra le amiche più strette di Azzurra Caltagirone.
Questo attivismo trova diverse spiegazioni, non ultimo l’imminente congresso che l’Udc si avvia a celebrare, dopo il rinvio determinato dalle elezioni anticipate.
E, alla luce del risultato registrato dal partito schierato da Pierferdinando Casini nella semi fallimentare impresa al fianco di Mario Monti si attende ora una resa dei conti.
Montano infatti i malumori per l’ipotesi che il leader dell’Udc designi per la segreteria un fedelissimo e cioe’ il senatore veneto Antonio De Poli, affiancato da Mauro Libe’ (ex parlamentare non rieletto) come segretario organizzativo.
Secondo lo schema disegnato da Casini, il segretario uscente, Lorenzo Cesa potrebbe andare a ricoprire l’incarico praticamente onorario, di Presidente.
Accantonando di fatto il canale principale di dialogo dell’Udc con il Pdl.
Ilaria Proietti
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Aprile 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI FIRENZE E’ LA SPERANZA DI UN NEW DEAL, UN NUOVO INIZIO CHE PIACE SIA AL POLITICO CHE ALL’IMPRENDITORE
Pier Ferdinando ha guardato Matteo come “l’anticristo” per molto tempo: troppo cattolico, bipartisan
e sorridente per non essere una sua copia ringiovanita.
Una rottamazione indiretta che ha scatenato la crisi, sommata alla sconfitta politica. Non c’è stata partita questa volta, figuriamoci la prossima.
A meno di non giocare nella stessa squadra.
Archiviata la liaison con Monti, che ha cannibalizzato l’Udc, ora ci sono da recuperare gli amministratori locali più giovani (alcuni governano già con il Pd) per riprovare a dare linfa, e consensi, allo scudo crociato.
O per marciare uniti alla truppa renziana in cambio di una nuova legittimazione personale e magari un futuro incarico.
Certo, il sogno sarebbe una bella scissione di Matteo dal partito d’origine, ma anche in caso contrario bisogna aprire uno spiraglio.
Un’idea che dicono non dispiacere affatto a Francesco Gaetano Caltagirone. Che avrebbe già scelto il suo cavallo vincente, Matteo da Firenze.
Il Messaggero, giornale di proprietà , lo marca a uomo.
L’imprenditore sa di trovare un valido interlocutore: Renzi è l’anti “ammucchiata” a sinistra, un moderato che guarda con più interesse ai voti di Berlusconi che a quelli di Vendola.
All’attivo anche un amico comune, Davide Serra, che di economia e finanza se ne intende.
Quelle che Caltagirone spera di veder ripartire, grazie a una politica più spregiudicata di Renzi una volta insediato a Palazzo Chigi.
Del resto le cose a Roma non si sono messe bene.
Ignazio Marino, il candidato sindaco di centrosinistra, è quello più lontano dai sogni dell’imprenditore, che puntava su David Sassoli.
Il mercato immobiliare della Capitale è fermo e le case in-vendute sono tassate dall’Imu.
Dilagano le occupazioni dei nuovi palazzi, vero incubo dei costruttori, come ricordato da un editoriale ieri in prima pagina sul Messaggero.
Se a vincere poi fosse il grillino, gli uomini forti dell’edilizia sarebbero le prime vittime del nuovo sistema.
Non resta che sperare in una novità : all’orizzonte c’è solo Matteo.
Caterina Perniconi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 7th, 2013 Riccardo Fucile
L’INTERVISTA AL “CORRIERE DELLA SERA”: “ABBIAMO LOTTATO CONTRO IL BIPOLARISMO, MA LO HA SUPERATO GRILLO”
Pier Ferdinando Casini, lei per 40 giorni ha praticamente taciuto. Del resto ha preso una bella
botta.
«Nella vita si vince e si perde; l’importante è avere il tempo per la rivincita. È successo questo: il bipolarismo che io ho sempre combattuto, secondo me con buone ragioni, è stato messo in crisi non dall’irruzione dal centro, ma dall’esplosione di Grillo. Un fenomeno che unisce tante cose: antipolitica, invidia sociale, giusto bisogno di partecipazione, il senso dei giovani di una mancanza di futuro. Un fenomeno che si nutre di sentimenti anche divaricanti; per questo non si può contaminare, Grillo deve fare il cane da guardia e dire no a tutto. Alla prima scelta che il movimento fa, si spacca, fosse pure il no alla Tav; perchè c’è anche chi le infrastrutture le vuole. Nel frattempo immette nel sistema politico tossine oggi molto sottovalutate. Il ritiro immediato dall’Afghanistan, subito apprezzato da una certa sinistra, sarebbe una Caporetto, uno “sciogliete le righe” che comprometterebbe i sacrifici che l’Italia ha fatto per avere voce nella comunità internazionale».
Tra le cause del boom di Grillo dimentica i ritardi di voi “professionisti della politica”.
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra; però bisognerebbe riportare un po’ tutti al senso della realtà . Vengono annunciate come svolte epocali cose sempre accadute: i dipendenti della Camera mi hanno visto spesso alla loro mensa, e nell’appartamento presidenziale credo di aver dormito non più di due o tre sere in cinque anni. Noi politici dobbiamo liberarci dal complesso di colpa: l’esperienza e la tecnica sono necessarie; guardi questa discussione surreale sulle commissioni, che palesemente non si possono costituire finchè non c’è un governo e non si sa quale sia la maggioranza e quale l’opposizione. Il problema vero non è mangiare alla mensa dei dipendenti; è rendere la politica efficiente».
Il centro è pronto a un governo con Pd e Pdl?
«Oggi la sfida non è più tra destra, centro e sinistra, ma tra un’idea della democrazia rappresentativa che si vuole conservare e un’idea della democrazia diretta via Web, che porta alle drammatiche contraddizioni di parlamentari scelti on line con 50 voti, che arrivano a Roma convinti che la perestrojka l’abbia fatta Stalin. Oggi questa è la nostra sfida. Abbiamo cercato di fare una battaglia limpida per superare il bipolarismo, e l’hanno superato gli altri. Noi abbiamo scosso l’albero, altri hanno raccolto i frutti. E il tentativo di Monti di ammiccare all’antipolitica non ha intercettato gli elettori, che all’imitazione preferiscono l’originale».
È deluso da Monti?
«Monti ha fatto sino in fondo il suo dovere: l’Italia rischiava la deriva greca, lui l’ha evitata. Va ricordato da una parte che tutti hanno votato i provvedimenti di Monti ma solo noi ci abbiamo messo la faccia, e dall’altra che Monti non può essere responsabile di tutti i ritardi italiani. Questo calcio dell’asino collettivo, questo tentativo di rimozione mi pare prova di immaturità ».
Ma come leader politico Monti ha fallito.
«Non sono deluso da Monti, sono deluso da una scelta cui anche io ho concorso e che si è rivelata sbagliata. Io ne porto parte di responsabilità : non vado a emendare gli altri, emendo me stesso. Abbiamo cambiato noi stessi i connotati di Monti: da servitore dello Stato, da Cincinnato che era, abbiamo pensato potesse essere l’uomo della Provvidenza per l’affermazione del centro. E in campagna elettorale noi abbiamo donato il sangue, ma alla fine il centro ha preso appena 3 o 4 punti in più di quando andai da solo contro Veltroni e Berlusconi».
Quindi ora cosa farete?
«Oggi noi dobbiamo essere i collanti di chi ritiene che la partita sia tra populismo e difesa della democrazia rappresentativa. In questo senso si deve affrontare la sfida del Quirinale e del governo. Se il calvario cui Bersani si è sottoposto con i Cinque Stelle era il modo per tranquillizzare un’ala del Pd e dimostrare che lui non ha pregiudizi ma li ha subìti, lo capisco. Se invece l’idea è sperare di governare con la complicità un movimento che non solo non intende essere complice ma rischia di cambiare i connotati della nostra idea di democrazia, allora è un gravissimo errore. Non possiamo inseguire Grillo, mettendoci metaforicamente con i cronisti che devono raccontare le pratiche quasi esoteriche cui sottopone i suoi adepti. L’unico modo di battere Grillo è riformare le istituzioni».
Sono vent’anni che parlate di legislatura costituente.
«Sì. Oggi però c’è l’occasione per farlo davvero. Capisco che per i militanti di sinistra pensare di sostenere un governo con il Pdl sia un pugno nello stomaco; lo stesso vale per gli aficionados che vanno in piazza con Berlusconi. Ma se noi vogliamo vincere questa sfida dobbiamo fare un percorso limitato nel tempo, di uno o due anni, affidato a un governo che prenda i provvedimenti più urgenti per l’economia e faccia le riforme indispensabili: superamento del bicameralismo, abolizione del Senato – e parlo da senatore -, legge elettorale che consenta agli italiani di scegliersi i parlamentari».
Quale legge elettorale?
«Dobbiamo riflettere seriamente se tornare o meno ai collegi uninominali. Insomma, occorre un’operazione gigantesca di restyling istituzionale. Solo così i partiti possono sconfiggere l’antipolitica; perchè l’antipolitica non si farà mai cooptare. Se no, meglio votare subito; però rischiamo di prorogare questo stallo per sei mesi avendo gli stessi risultati».
Il premier può essere Bersani?
«Monti è stato un tecnico chiamato al capezzale dell’Italia: le sue scelte migliori le ha fatte nei primi tempi, quando appariva chiaro che c’era un sostegno del Pd e del Pdl; più si è appannato il sostegno, più i tecnici hanno cominciato ad avanzare senza bussola, come nel caso dei marò. Oggi occorre un’assunzione di responsabilità della politica. O accettiamo l’idea di essere tutti ladri e tutti incapaci; oppure, se vogliamo riscattare la politica, dobbiamo farcene carico. Senza delegare a terzi».
Questo implica un’intesa con Berlusconi.
«Io non sono mai stato tenero con Berlusconi negli ultimi anni. Ma dobbiamo prendere atto che una fetta di italiani crede in lui. Mi auguro un patto leale tra Bersani e Berlusconi per rimettere in moto la politica. Altrimenti, chiunque vincesse, vincerà sulle macerie».
Chi va al Quirinale?
«Un uomo o una donna frutto di una scelta condivisa, che non sia percepito dal popolo di centrodestra come nemico e dal popolo di centrosinistra come imposto da Berlusconi. La legge ha dato alla coalizione che ha prevalso per lo 0,5% un premio di maggioranza spropositato. Fare un’operazione da 51% per il Quirinale sarebbe una lesione fortissima».
Cosa pensa di Renzi?
«Leggo la sua intervista al Corriere , e penso che abbia ragione. Poi lo guardo da Maria De Filippi vestito come Fonzie, e mi cadono le braccia. Vedremo se è più un maratoneta o un centometrista».
Colpisce che proprio lei parli di collegi uninominali. Questo implica che il centro scelga dove andare. A destra o a sinistra?
«Il centro cos’è? Una cultura della responsabilità , che vuole le riforme mai fatte per i veti ideologici della sinistra e una certa incapacità della destra. Ora comincia una nuova stagione. È evidente che la prossima volta dovremo schierarci. Faremo una scelta coerente con l’idea che abbiamo della democrazia, dell’Europa, delle riforme sociali. Misureremo le alleanze sul grado di affinità che avremo nel processo costituente».
Come va in famiglia? Sua moglie Azzurra ha smentito via Twitter le voci di separazione…
«Cosa vuole che le dica? Sto felicemente con mia moglie da più di 13 anni. c’è ancora chi non si rassegna. Si mettano il cuore in pace».
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 6th, 2013 Riccardo Fucile
GLI SCONFITTI NON POSSONO DIVENTARE AFONI, SVANIRE NEL NULLA E CONDANNARSI AL’IRRILEVANZA… IN POLITICA SI PUO’ PERDERE, MA NON SPARIRE DOPO AVER PERDUTO
Dopo la sconfitta elettorale, il centro moderato, quello che voleva e doveva diventare il terzo polo
riequilibratore della politica italiana, è scomparso. Silente. Stordito. Incapace di indicare un sia pur minimo segnale di riscossa a beneficio almeno di quel 10 per cento di italiani che lo aveva scelto.
L’ago della bilancia si è spezzato.
Il terzo polo è emerso fragorosamente, ma sventola come icona quella di Beppe Grillo: altro che riequilibrio.
I postumi di una sconfitta sono dolorosi.
Ma il senso di lutto, se si è responsabili verso quella parte anche se minoritaria di elettorato che ha optato per i perdenti, non può essere l’unica risposta.
Se le idee «riformiste» erano buone, è giusto non dismetterle anche nel caos post-elettorale che rischia di precipitare l’Italia nell’ingovernabilità .
Si cerca una via d’uscita al marasma scaturito dalle urne.
L’attenzione pubblica è concentrata sull’oggetto misterioso che il movimento di Grillo ha portato in Parlamento.
Ma il Pd e il Pdl sembrano inghiottiti dagli identici schemi del passato.
Il bipolarismo che l’area capeggiata da Mario Monti bollava come primitivo e in balia delle rispettive spinte estremiste o massimaliste, è stato travolto da un pareggio che non prevede soluzioni di governo che non passino attraverso il bagno in una qualche trasversalità .
Le forze che si sono combattute in campagna elettorale devono trovare una qualche intesa se non si vuole il ritorno il più celere possibile alle urne.
Manca però la voce di quel «centro» che fino a pochi giorni fa sembrava il pilastro essenziale della governabilità futura.
Il Fli di Fini è stato annichilito, l’Udc di Casini è ridotto al minimo, la «Scelta civica» di Monti vive un risultato deludente, asfittico, di gran lunga inferiore anche alle meno rosee previsioni.
Ma gli sconfitti non possono diventare improvvisamente afoni.
Se ritenevano la loro «agenda» essenziale per salvare l’Italia dal baratro della crisi, a maggior ragione oggi, anche se i numeri parlamentari non consentono di svolgere un ruolo determinante, quella certezza non può essere abbandonata, annientata dal dibattito politico.
Le forze che si sono coalizzate per un progetto evidentemente non gradito all’elettorato devono seriamente ragionare sui motivi di una sconfitta tanto cocente, ma non possono consentirsi di svanire nel nulla, di condannarsi all’irrilevanza, di mettere il silenziatore su tutte le proposte sostenute con tanta veemenza in campagna elettorale.
Se la linea di Pietro Ichino sul mercato del lavoro era considerata indispensabile alla vigilia delle elezioni, non può essere sradicata dall’ordine delle cose possibili dopo una disfatta elettorale.
Se una parte della «società civile» ha ritenuto utile e urgente «salire» in politica, non è possibile che la salita venga seguita da una repentina e amara ridiscesa, a seguito di un verdetto elettorale molto negativo.
Se continuerà la linea depressiva del silenzio e dello sbigottimento post-traumatico, si regaleranno argomenti a chi considerava la coalizione centrista un mero espediente elettorale.
In politica si può perdere, ma non si può sparire dopo aver perduto.
Non ci si scioglie, non si lascia senza guida un 10 per cento di elettori, senza una prospettiva, senza l’idea di qualcosa per cui valga la pena combattere anche se le cose vanno in senso contrario.
Qualcosa che vada oltre gli incontri istituzionali di routine.
E che abbia l’ambizione di restare nel tempo.
Pierluigi Battista
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 3rd, 2013 Riccardo Fucile
RIFIUTO’ L’OFFERTA, REGISTRO’ IL COLLOQUIO E DENUNCIO’ IL FATTO…BERLUSCONI OFFRI’ A DE GREGORIO ANCHE UN RUOLO DI PRODUTTORE CINEMTOGRAFICO A MEDUSA
Nelle manovre di sabotaggio del governo Prodi, Silvio Berlusconi propose all’ex
senatore Idv Sergio De Gregorio (che accettò), oltre al denaro, anche un ruolo all’interno di Medusa, come produttore cinematografico.
Il particolare rientra nella lista della strategia di acquisto di senatori che poi portarono alla caduta dell’esecutivo di centrosinistra.
In quella campagna acquisti rientrò anche un altro senatore Idv, Giuseppe Caforio che però informò Antonio Di Pietro che gli suggerì di registrare il colloquio.
Caforio disse no.
Per far andare a buon fine quella che fu ribattezzata “Operazione Libertà ” e che è diventata un’indagine per corruzione e finanziamento illecito a partito con il Cavaliere, infuriato per essere finito ancora nel registro degli indagati, De Gregorio si diede da fare cercando di portare dalla parte del centrodestra quello che riteneva uno in bilico su cosa fare: “Dissi a Berlusconi che forse poteva ascriversi al ruolo degli indecisi e lui mi disse: ‘Cosa gli puoi offrire?…Che magari gli diate un finanziamento alla forza politica di sua espressione. E lui disse: ‘Puoi proporgli fino a 5 milioni di finanziamento” .
Caforio, intervistato dalla Gazzetta del Mezzogiorno e da Repubblica, racconta quell’episodio. ”Era la vigilia del voto di fiducia al governo Prodi.
Mi chiamò il mio ex compagno di partito, Sergio De Gregorio, era in clinica per una colica.
Mi disse che voleva parlarmi. Chiamai il mio capogruppo e il mio segretario di partito, Antonio Di Pietro.
Mi dissero, vai e registra.
A Palazzo Madama c’era aria di campagna acquisti, De Gregorio era appena passato dall’altra parte” e “molti amici del Pdl mi chiedevano di passare con loro”.
“Sergio mi mandò a prendere con una macchina che mi portò in questa clinica. Entrai e azionai il registratore. Mi chiese di votare la sfiducia a Prodi, mi parlò della creazione di una grande coalizione, di un esecutivo nel quale lui avrebbe fatto il ministro e che quindi anche io avrei avuto un vantaggio”.
I soldi sarebbero arrivati “due, o forse uno e mezzo subito. Voleva il mio Iban: me li avrebbe fatti accreditare la mattina dopo con un giroconto”, “prima del voto di sfiducia, come garanzia. Il resto sarebbe arrivato nei mesi successivi tramite la sua fondazione Italiani all’estero. Risposi no grazie”.
I magistrati della procura di Napoli nel frattempo fanno sapere che intendono ascoltare in qualità di persona informata dei fatti l’avvocato Niccolò Ghedini, legale di Berlusconi.
Secondo quando dichiarato ai pm da De Gregorio infatti il penalista sarebbe stato al corrente del versamento dei soldi e dell’accordo intercorso tra l’esponente politico napoletano e il leader del Pdl.
A quanto si è appreso, però, Ghedini avrebbe fatto sapere alla procura di non poter testimoniare sia per gli impegni professionali sia per questioni di incompatibilità legate al suo ruolo di difensore di Berlusconi, indagato in questa inchiesta.
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Febbraio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
ALLA FINE LA COALIZIONE RAGGIUNGERA’ LA STESSA PERCENTUALE INTORNO AL 14% CHE AVEVANO RAGGIUNTO INSIEME FLI-UDC-RUTELLI UN PAIO D’ANNI FA NEL PERIODO MIGLIORE
Partiamo dal “dito alzato” di Fini di ormai un paio di anni or sono.
Se un paziente lettore andasse a rileggersi i sondaggi di quel periodo e sommasse le percentuali accreditate allora a quello che pareva delinearsi come “Terzo polo” (alternativo a centrodestra e centrosinistra, ma non per definizione “di centro”) constaterebbe che la somma di Futuro e Libertà , Udc e Api sfiorava il 14%.
Quel patrimonio è stato dissipato in soli due anni per una serie di ragioni: Fli ha perso la propria identità originaria per strada e ha pagato a caro prezzo l’aver affidato l’organizzazione del partito a persone non all’altezza, l’Udc si è sacrificata sull’altare dell’appoggio a Monti “senza se e senza ma”, Rutelli ha tolto addirittura il disturbo.
L’irrompere sullo scenario politico di Scelta civica di Monti, invece di costituire un valore aggiunto di almeno il 5%, come previsto da molti politologi, si è rivelato un fallimento.
Perchè ha solo eroso consensi ai partiti alleati, cannibalizzando i voti di quella area, ma senza aggiungerne uno.
Quali gli errori?
La coalizione avrebbe dovuto avere almeno altre due gambe per essere credibile: ovvero “Fermare il declino” e un movimento di ex Pdl che potesse fare da richiamo a quell’area in fase di disfacimento.
Questi due partiti avrebbero realisticamente apportato insieme un altro 5%, invece non sono stati voluti da qualcuno nel timore di perdere la scialuppa di salvataggio del miglior resto, diciamolo chiaramente.
Poi un grosso errore strategico: Fini e Casini sostengono, con minore credibilità , il 100% delle tesi di Monti e l’elettore a quel punto vota l’originale e non la copia, per dirla alla Ganfranco.
I tre partiti avrebbero invece dovuto coprire tre spazi distinti: Monti l’anima liberal riformista, Casini la componente cattolica (magari aprendo al gruppo di Fioroni e alla Cisl), Fini la destra sociale attenta ai bisogni dei ceti più deboli.
Operando ogni tanto gli opportuni distinguo e smarcamenti tattici da Monti.
In tal modo avrebbero conservato buona parte del proprio elettorato.
Altro errore, definirsi “di centro”: bastava dirsi “alternativi al bipolarismo di Bersani e Berlusconi”, vedi Grillo che prenderà i voti di tanti moderati sì, ma anche incazzati, sia di destra che di sinistra.
L’appiattimento sulla politica dei tecnici ha ridotti ai minimi termini sia Udc che Fli, più intenti a calcoli elettoralistici per salvare poltrone che a prendere iniziative politiche autonome.
Se a ciò si unisce la capacità del Pd, mettendo in campo Renzi, di risultare credibile all’elettorato liberal in libera uscita dal Pdl e l’estremo tentativo del Cavaliere di recuperare qualche briciola con le sue promesse per i gonzi, si capisce perchè il Centro andrà a sbattere.
Anche per aver venduto il prodotto nel peggiore dei modi: come un “Centro” appunto verso il quale l’elettorale non sente attrazione e tanto meno bisogno e non come un cantiere di di idee riformiste coraggiose e trasversali.
Un partito liberale in Italia, tanto per capirci, non ha mai raggiunto percentuali a due cifre e mai le otterrà .
Con il risultato che la coalizione potrà anche risultare determinante al Senato (e non è detto) ma solo con la prospettiva di conservare qualche poltrona di governo, non certo di incidere sul futuro del Paese.
Se dopo due anni, con l’apporto ulteriore di Monti e la regia di Montezemolo, questo rassemblemant non raggiungesse neanche la somma dei voti accreditati a suo tempo al Terzo polo di Fini, Casini e Rutelli, qualcuno dovrebbe trarne le logiche conseguenza.
Tanto rumore per nulla, verrebbe da commentare.
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Febbraio 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL PREMIER EVITA DI METTERE LA FACCIA ACCANTO A QUELLA DEI DUE “DINOSAURI”…INTANTO FINI RISCHIA DI NON GARANTIRE NEPPURE SE STESSO
Sempre più freddi i rapporti tra Fini, Casini e Monti.
Il Professore sembra aver “scaricato” i sostenitori più fedeli del governo tecnico.
Nessuna iniziativa elettorale pubblica con gli alleati di Fli e Udc.
Il presidente del Consiglio uscente — fanno notare alcuni esponenti della lista civica — preferisce evitare di mettere la faccia accanto a quella dei due “dinosauri” del Parlamento. “La verità è che Monti pensa a tirare la volata a se stesso — osserva un deputato di Futuro e Libertà — prendendo le distanze proprio da chi lo ha convinto a salire in politica”. Onorevole, sta dicendo che il Prof è un ingrato? “Lo sta dicendo lei”.
E’ soprattutto nel partito del presidente della Camera che tira una brutta aria.
Ad inizio legislatura, Fini contava in Parlamento 90 deputati ex An.
Certo altri tempi, era il cofondatore del Pdl.
Oggi rischia di non garantire neppure se stesso.
Berlusconi torna a dargli del “traditore” della peggiore specie, “condannato all’inesistenza politica”. Malignità a parte, sta di fatto che se l’Udc di Casini non superasse lo sbarramento del 2 per cento, a Montecitorio, Fini sarebbe fuori.
Per lui neanche lo scranno della Fondazione della Camera -destinato agli ex inquilini del Palazzo- perchè sacrificata in nome dei tagli ai costi della politica.
Gli ultimi sondaggi non consolano e dentro Fli ci si affida alla matematica, in attesa del “bagno di sangue’”elettorale.
Tanta la preoccupazione ma anche i rancori covati, soprattutto nei confronti di Italo Bocchino (deputato e vicepresidente di Fli): “Troppo credito per uno che nel gruppo — sussurrano — è odiatissimo”.
E c’è pure chi sbotta, sicuro dell’anonimato: “Fini non si è scelto male solo il cognato…”.
A spargere veleno ci sono poi gli ex “compagni di militanza”.
Per Edmondo Cirielli, passato con Fratelli d’Italia di La Russa, Crosetto e Meloni, ha ragione il Cavaliere: “Fini ha tradito i valori del centrodestra per ragioni personali e non politiche, personalizzando lo scontro con Berlusconi”.
Il più grande errore di Gianfranco? “Lasciare il Pdl e allearsi infine con il Pd di Bersani” spiega ancora Cirielli, pesante nei giudizi: “Oggi tra Vendola e Fini — è l’affondo — il popolo del centrodestra sceglierebbe senza dubbio il leader di Sel”.
Sul futuro politico del presidente della Camera infine picchia duro: “Credo che alla fine lui e Bocchino la spunteranno ma se così non fosse — afferma Cirielli — Fini potrà godersi la pensione, magari a Montecarlo”.
Tutt’altra musica tra chi il Popolo della Libertà lo ha lasciato allora con convinzione, seguendo Fini.
“Paghiamo due anni di logoramento — spiega Antonino Lo Presti – e di mancanza di risorse. Sempre meglio però che fare i camerieri di un pagliaccio”.
Nessun pentimento, giura il deputato (uscente) di Fli.
Ma una constatazione amara: “Gli italiani hanno la memoria corta- argomenta — hanno scordato non solo tutto quello che Fini ha fatto con generosità ma anche quello che ha combinato Berlusconi”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
“SE ANDIAMO AL 3% NON TENGO PIU’ IL PARTITO”… IL RISCHIO DI DIVENTARE IRRILEVANTI
«Credevamo di arrivare al 5%, ora speriamo nel 4%. Ma con il 3% non tengo il partito, io non ci sto
dormendo la notte…».
L’incubo di Pier Ferdinando Casini ha le sembianze di un flop elettorale.
Il leader centrista accusa Mario Monti di averlo condotto per mano in un vicolo cieco, saccheggiando il consenso dell’Udc a favore della sua lista personale.
I due si sentono poco e da giorni a via dei due Macelli è scattato l’allarme.
I sondaggi, infatti, fotografano un’emorragia di voti che nessuno riesce a tamponare. Uno scenario fosco.
Anche perchè tutti i sondaggi deprimono le sue aspettative.
Sebbene i precedenti in qualche modo lo consolano: «I sondaggisti ci sottostimano sempre».
Ma per reagire all’emergenza, il capo dell’Udc ha deciso di intraprendere una campagna tv che lo porterà a Ballarò, Porta a Porta e Otto e mezzo.
Ora, però, la tensione sta aprendo uno vero e proprio scontro dentro il Listone centrista.
L’Udc, infatti, imputa la discesa verticale dei consensi soprattutto a Monti.
Alla sua lista personale che alla Camera ruba consenso allo Scudocrociato e alla scelta di condurre una campagna elettorale “aggressiva” che mette in ombra gli alleati. Casini l’ha capito bene e sta organizzando le contromosse.
Ha consegnato agli ambasciatori del Professore un messaggio: «Se puntate a rendermi irrilevante, io sono pronto a fare un gruppo autonomo al Senato…».
Certo, lo scenario scissionista è giudicato dai centristi più avveduti solo una provocazione per evitare di «prendere un’altra fregatura dopo il voto».
Non solo perchè i candidati del listone di Palazzo Madama hanno sottoscritto un impegno ad aderire al gruppo unico, ma anche perchè solo se l’area Monti infrangerà la soglia del 18%, allora i “casiniani” avranno la speranza di eleggere 10 senatori, il minimo per formare un gruppo autonomo. Non solo.
L’ex presidente della Camera ha iniziato a prendere le distanze dagli attacchi del Professore al Pd. Lui vuole mantenere aperto il dialogo con Bersani e D’Alema.
E, in caso, anche avviare un dialogo “autonomo” con i Democratici se Monti dovesse arrivare ad una frattura con i futuri alleati e se non dovesse adeguatamente tutelare gli interessi centristi.
Che nel caso di Casini significa la presidenza del Senato. Insomma il leader Udc non vuole il ruolo del semplice «donatore di sangue».
Sta di fatto che il peso delle tre liste montiane della Camera determinerà a urne chiuse anche gli equilibri dell’area di centro.
Servirà a stabilire le quote del partito che verrà , se davvero si concretizzerà la prospettiva messa nero su bianco davanti al notaio.
In questo senso l’attivismo di Andrea Riccardi rappresenta un ulteriore campanello d’allarme.
Il ministro coltiva da sempre un legame importante con l’associazionismo bianco e con le gerarchie vaticane.
Ha strappato per diversi “cattolici doc” posti utili in lista e nel suo tour in giro per l’Italia non manca mai di fare tappa anche nelle sedi vescovili.
Per gli Udc una temibile calamita dei voti cattolici.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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