Maggio 8th, 2015 Riccardo Fucile
IN LISTA ANCHE TRE IMPUTATI
Michele Emiliano, alias “tutti dentro”.
Tra i quattrocento candidati del centrosinistra alle regionali, l’aspirante alla successione di Nichi Vendola accoglie chiunque: ex aennini come Euprepio Curto, in corsa con i Popolari (Udc, Centro democratico e Realtà Italia); ex berlusconiani come Tina Fiorentino, già assessore delle giunte di centrodestra in Puglia; ex schittulliani, dal nome dell’oncologo Francesco Schittulli, come Anita Maurodinoia, “miss preferenze” per i conservatori alle comunali di Bari lontane appena un anno e poi traghettata armi e bagagli nelle file del già pm antimafia, che la arruola nella squadra del Pd.
«Avevano nei confronti della sinistra, un pregiudizio. Adesso ci danno una mano» spiega Emiliano, che non si scompone più di tanto: «Peraltro, sono delle mosche bianche. Non ho fatto il calcolo, ma si tratta solo di dieci competitori…».
Un’altra mosca bianca figura in una delle due civiche organizzate dal segretario dei riformisti è Desirèe Digeronimo, pm a Roma, che alle ultime amministrative all’ombra di san Nicola voleva scalzare proprio i riformisti dalla guida di Palazzo di città .
Non ci riesce e finisce per farsi ingaggiare dall’intrepido Emiliano.
Ostinato pure a non rinunciare a tre imputati.
Schierati a sua insaputa evidentemente, con i dem: l’ex deputato leccese del Pds Ernesto Abaterusso (truffa aggravata ai danni dello Stato); e i tarantini Michele Mazzarano (finanziamento illecito ai partiti), consigliere uscente, nonchè Donato Pentassuglia, assessore alla Sanità nell’esecutivo del leader di Sel, a cui contestano il favoreggiamento nel maxi dibattimento per i disastri provocati dall’Ilva.
Emiliano se la cava così: il guaio è che «il codice etico del Pd fa acqua da tutte le parti» ed è la ragione per cui il gruppetto di uomini politici chiacchierati non poteva essere messo da parte.
Lello Parise
(da “La Repubblica”)
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Settembre 6th, 2013 Riccardo Fucile
LA FIDUCIA DEGLI ITALIANI: RENZI 50%, NAPOLITANO 43%, LETTA 40%, BERLUSCONI 23%, GRILLO 21%, ALFANO E VENDOLA 20%, MONTI 17%
Sale di 3 punti in una settimana la fiducia degli italiani in Matteo Renzi, che con il 50 percento dei consensi si conferma il leader politico più amato dagli italiani.
Perde invece due punti il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che segue con il 43 percento; in calo anche il presidente del consiglio Enrico Letta (-3%), che scivola al 40 percento.
E più di tutti perde consenso Silvio Berlusconi, oggi al 23% con una riduzione di ben 5 punti.
E` quanto emerge da un sondaggio realizzato dall`istituto Swg in esclusiva per Sgorà estate, su Rai tre.
Berlusconi e Grillo giù.
La sentenza mediaset sembra aver intaccato la fiducia degli italiani in Silvio Berlusconi: pur potendo contare sul sostegno invariato degli elettori di centrodestra, il leader del Pdl perde 5 punti in poco più di un mese, attestandosi al 23 percento.
Scende di un punto rispetto alla settimana scorsa Beppe Grillo, al 21 percento; ancora più sensibile il calo del segretario del Pdl Angelino Alfano, che con 5 punti in meno scivola al 20 percento a pari merito con il governatore della Puglia Nichi Vendola (-3%).
Resta stabile il dato della fiducia nel senatore a vita Mario Monti (17%), mentre perde un punto il segretario del pd Guglielmo Epifani, che chiude con il 16 percento.
Qualcosa di diverso.
“L`opinione pubblica ha l`idea che si è chiusa questa fase e vuole qualcosa di diverso – ha osservato Maurizio Pessato, presidente dell`istituto Swg – ne risentono quindi un po` tutti, come dimostrano i dati sulla fiducia”.
No alla Grazia.
Dopo la condanna confermata dalla Sentenza Mediaset, per più di due italiani su tre (71%), e per quasi la metà degli elettori dello stesso Pdl (49%), Silvio Berlusconi non dovrebbe chiedere la grazia al Capo dello Stato.
Ad esserne convinta è anche un`ampia fascia dell`elettorato del movimento 5 stelle (89%) e di centrosinistra (78%).
È quanto emerge da un sondaggio realizzato dall`istituto Swg in esclusiva per Agorà estate, su Rai tre.
“C`è già una presa di posizione dell`opinione pubblica su tutta la vicenda, – ha osservato maurizio pessato, presidente dell`istituto swg – che sembra riconoscere la `colpa` di Berlusconi”.
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Maggio 21st, 2012 Riccardo Fucile
LASCIATI SUL CAMPO OTTO CAPOLUOGHI DI PROVINCIA…A COMO IL PDL AVRA’ SOLO TRE SEGGI, AD ASTI LA LEGA POTREBBE NON ENTRARE IN CONSIGLIO COMUNALE…CROLLO DEI BERLUSCONIANI ANCHE NELLE REGIONI ROSSE, MENTRE IN SICILIA SCONFITTE 13 GIUNTE SU 16
Non solo Palermo. Da nord a sud il centrodestra conferma il dato del primo turno delle amministrative. Cioè una catastrofe.
Dopo queste amministrative Pdl e Lega Nord, la “destra di governo” perde — mentre i dati non sono ancora definitivi — almeno 60 amministrazioni comunali, 8 delle quali capoluoghi di provincia.
Ne guidava in totale 98, ora gliene rimangono 34.
I numeri dicono anche che sono 99 i Comuni che tra primo e secondo turno vanno alla coalizione di centrosinistra (compresi i casi come quello di Palermo dove Orlando ha stravinto sul candidato Pd Ferrandelli) e passano dal Pdl al centrosinistra 11 Comuni capoluogo.
In questa lista ci sono Alessandria e Asti in Piemonte, ci sono Como e Monza in Lombardia, c’è Lucca in Toscana, c’è Rieti nel Lazio.
A Belluno il centrodestra è rimasto addirittura fuori dal ballottaggio dove poi un ex ulivista fuoriuscito ha trionfato sostenuto da alcune liste civiche contro il centrosinistra “ufficiale”.
”E’ in atto una grande rivoluzione all’interno dell’area dei nostri elettori che dobbiamo essere capaci di interpretare” spiega Ignazio La Russa.
La “rivoluzione” passa da risultati che sembrano dire molto di più di semplici test elettorali locali.
In pratica, tra le città maggiori che hanno votato al ballottaggio il centrodestra tiene solo a Trapani, perchè riesce nell’impresa di essere asfaltato ad Agrigento (peraltro città del suo segretario politico e nella Regione dello storico 61 a 0) a beneficio del Terzo Polo (che ha preso il triplo dei voti).
Alfano: “Pdl maggioritario”.
Non la pensa così proprio Angelino Alfano: “Riteniamo che gli elettori di centro destra restino ampiamente maggioritari nel Paese. Sono chiari due fatti: questi elettori non hanno scelto e non sceglieranno la sinistra e questa volta hanno massicciamente scelto l’astensione. Il loro messaggio è fortissimo: chiedono una nuova offerta politica. Siamo determinati a offrirla a loro e al Paese”.
Non sembrano granchè d’accordo con la lettura “berlusconiana” (cioè ottimista al massimo) di Alfano.
Anche Fabrizio Cicchitto vede il bicchiere mezzo pieno: “La linea della Lega si è rivelata perdente per essa e per tutto il centrodestra. Il PdL, pur arretrando, conferma che è la forza essenziale del centrodestra”.
Ma lanciano allarmi vecchi e giovani, all’interno del partito: Isabella Bertolini, Giorgia Meloni, Giancarlo Galan, Altero Matteoli, ma soprattutto Roberto Formigoni.
Lega: zero su 7.
La Lega Nord, dal canto suo, perde 7 Comuni su 7 tra quelli in cui aveva raggiunto il ballottaggio.
Il Carroccio sembra essere rimasto in partita solo a Meda, il centro brianzolo passato alla storia per la prima giunta monocolore della Lega, ma anche qui il sindaco uscente Giorgio Taveggia ha dovuto cedere, per un voto.
Alla fine le resta Verona, Cittadella e poco altro.
Piemonte.
Regione guidata dal dirigente leghista Roberto Cota, Alessandria e Asti passano dal centrodestra al centrosinistra.
Secondo i primi dati, nel secondo caso, la Lega Nord potrebbe restare addirittura senza consiglieri nel primo Comune capoluogo del nord.
La terza città , Cuneo, viene persa dal centrosinistra, ma a vincere è un candidato di centro, sostenuto dall’Udc e da alcune liste civiche, Federico Borgna.
Lombardo-Veneto.
Il centrodestra lascia Como, dove il Pdl avrà in consiglio comunale 3 suoi esponenti contro i 20 che sosterranno il nuovo sindaco Mario Lucini.
A Monza, dove pure ha vinto il centrosinistra, ha conquistato 4 seggi.
Ma poi ci sono altri centri oltre i 15mila abitanti dove Pdl e Lega, a prescindere dall’essersi presentati divisi alle urne, perdono Abbiategrasso, Arese, Buccinasco, Cantù, Legnano, Lissone, Magenta, Desenzano, Palazzolo sull’Oglio, Castiglione delle Stiviere, San Donato Milanese, Tradate, Magenta.
Un filotto che fa traballare uno dei principali serbatoi di voti sia per il Pdl sia per la Lega Nord. L’arretramento si verifica anche in Veneto.
Tra il pieno messo a segno dal Movimento Cinque Stelle (Mira e Sarego sono punte dell’iceberg) e la flessione di voti di Pdl e Lega succede che il centrodestra è costretto a lasciare San Giovanni Lupatoto.
La dèbacle della Lega.
In Lombardia la Lega Nord ha perso anche dove era in vantaggio rispetto agli avversari.
Il centrosinistra si è aggiudicato 16 sindaci su 21.
Questa volta alla Lega non è andato bene niente.
Rotta l’alleanza con il Pdl e sotto il peso dell’inchiesta della Procura di Milano, aveva già ceduto le sue roccaforti due settimane fa (come Cassano Magnago, il paese del Varesotto dove è nato Umberto Bossi e dove oggi ha vinto di misura il Pdl).
E dove ancora era presente, ieri e oggi ha perso.
A Meda, centro della Brianza, la sconfitta è arrivata addirittura per una sola preferenza. Probabilmente i voti leghisti hanno avuto l’unico effetto di favorire le tre vittorie del Pdl (una proprio a Cassano Magnago).
Sull’altro fronte il centrosinistra ha espugnato Como per la prima volta da quando c’è l’elezione diretta, ha battuto 63% a 36% il Pdl a Monza e ha mantenuto il feudo di Sesto San Giovanni, la cittadina alle porte di Milano travolta dall’inchiesta su un presunto giro di tangenti.
Infine i grillini, che avevano un solo candidato ai ballottaggi, Matteo Afker, a Garbagnate Milanese.
Strepitosa ma inutile la sua rimonta: partiva da un modesto 10,7% raccolto al primo turno contro il 43,6% ottenuto da Pier Mauro Pioli, sostenuto dal centrosinistra. La rincorsa del candidato del Movimento 5 Stelle, che aveva ottenuto l’insolito appoggio del Pdl, si è però fermata al 48,3% contro il 51,7% dell’avversario.
Il centro-sud.
Il centrodestra perde Isernia in Molise e importanti centri in Abruzzo: Ortona, Montesilvano, Avezzano. Il berlusconiani cercano di resistere al trend nazionale in Puglia.
Qui vincono a Trani (dopo aver perso Brindisi), ma hanno perso in centri popolosi come Gioia del Colle, Gallipoli, Bitonto, Gravina, Martinafranca, Tricase, Canosa.
Le regioni rosse.
Anche le sacche di resistenza nelle “regioni rosse” cedono.
In Toscana andavano al voto 9 amministrazioni guidate dal centrodestra e ne restano solo 3. Il Pdl ha lasciato al centrosinistra perfino Lucca che dal Dopoguerra aveva avuto solo sindaci dc o ex dc o Camaiore (nella Versilia spesso simpatizzante del centrodestra).
Nelle Marche cadono le isole azzurre Civitanova Marche e Porto San Giorgio.
Campania.
Ballottaggio amaro per il Pdl in Campania. I candidati sindaci sostenuti dal Popolo della libertà sono usciti sconfitti nei quattro comuni in cui hanno raggiunto il secondo turno.
I cinque comuni chiamati al voto a distanza di quindici giorni dal primo turno, quattro in provincia di Napoli e uno in provincia di Salerno, sono stati conquistati da centrosinistra e Terzo polo.
Sicilia: persi 13 Comuni su 16.
Tornando al ricordo del 61 a zero (61 seggi su 61 alle politiche del 2001) vale sottolineare che su 16 Comuni guidati finora dal centrodestra con il Pdl in testa, a quest’ultimo ne restano solo 3.
Le amministrazioni sono andate al centrosinistra (in forma varia: con alleanze con l’Udc, con il Terzo Polo tutt’intero o con le tradizionali forze alleate di sinistra) o a partiti o liste civiche di “centro-centro”.
In ogni caso il Pdl sarà all’opposizione.
Accadrà anche in centri molto importanti come Barcellona Pozzo di Gotto, Paternò e Marsala.
Le uniche soddisfazioni.
Al Popolo delle Libertà resta un solo successo (nel senso di un’amministrazione importante conquistata al centrosinistra): è Frosinone che prende la direzione opposta di Rieti.
I reatini si buttano a sinistra, i frusinati cambiano in senso contrario.
Poi Trapani in Sicilia, Trani in Puglia e le 4 conferme del primo turno: Catanzaro, Gorizia, Lecce e Verona.
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
APRIRA’ NEI BALCANI, NONOSTANTE NON CI SIA CRISI, SOLO PER ACCAPARRARSI I CONTRIBUTI PUBBLICI
Chiudere baracca per andare in Serbia anche se le cose non vanno affatto male, lasciare a casa quasi trecento lavoratori beneficiando degli ammortizzatori sociali, migliorare i conti e promettere un fantomatico investitore che riassorbirà tutta la manodopera.
Nerino Grassi, padre-padrone della Golden Lady, sembra quasi un Marchionne al cubo.
L’ad Fiat, infatti, promette anche lui investimenti risolutori, ma dalla sua, almeno, ha la crisi evidente del settore auto.
Le calze Omsa, invece, funzionavano e funzionano eccome.
Eppure il padrone del vapore ha deciso (era il gennaio 2010) di chiudere lo stabilimento di Faenza ed emigrare nei Balcani, dove per ogni operaio assunto (pagato 250-300 euro al mese) riceve migliaia di euro di contributi pubblici.
Niente e nessuno ha saputo impedirglielo.
La battaglia delle lavoratrici Omsa, simbolo anche mediatico della crisi italiana, non è finita, anzi. Il licenziamento collettivo di 239 persone annunciato dall’azienda il 27 dicembre — nonostante l’impegno precedentemente assunto al ministero del Lavoro per “trovare un’occupazione a tutti il lavoratori dello stabilimento Omsa e ad assegnare incentivi economici a chi non si oppone alla messa in mobilità ” — è stato ritirato.
La cassa integrazione straordinaria a 750 euro al mese, che sarebbe scaduta il 14 marzo, è stata trasformata in cassa in deroga (non più anticipata dall’azienda ma a carico dell’Inps) e prorogata fino a settembre: “Alcuni media — racconta Samuela Meci della Filtcem di Ravenna — hanno salutato quest’ultima intesa al ministero con entusiasmo. Ma non c’è nulla di cui rallegrarsi. La lotta delle lavoratrici Omsa, che dura da due anni, non è stata fatta per ottenere altra cassa e finirà solo quando sarà garantito un lavoro vero. Lavoro che c’era e che una proprietà arrogante ha deciso di portare via”.
Oggi alla Omsa è rimasta una piccola produzione, frutto di uno dei tanti tavoli al ministero che si sono succeduti in questi due anni, che impegna non più di trenta lavoratori (quasi esclusivamente donne) per quattro ore al giorno.
All’orizzonte, da mesi, c’è un’ancora misterioso imprenditore del settore mobili che avrebbe garantito un piano industriale per convertire lo stabilimento di Faenza e assorbire, da subito, 140 lavoratori.
Una trattativa condotta dalla proprietà e dagli enti locali cui è stata data notizia ai sindacati soltanto successivamente e in via informale; ma nè l’imprenditore nè il piano sono ancora stati svelati: “Non c’è nessun accordo firmato — prosegue Samuela Meci — troppe cose sono in sospeso. In questi due anni abbiamo imparato a non dare mai niente per scontato, perchè è già capitato che la soluzione che sembrava a portata di mano svanisse in un secondo” . Grassi si difende: “Non siamo brutti e cattivi — ha detto qualche settimana fa alla Gazzetta di Mantova — crede che sia stato facile per noi? Licenziare è doloroso, ma ho dovuto farlo per evitare il declino del gruppo. I consumi sono in calo e abbiamo dovuto cercare nuovi mercati all’est”.
Difficoltà a cui nessuno sembra credere: “L’azienda racconta bugie — sostiene Meci — non c’era e non c’è nessuna crisi. In più, da quando ha delocalizzato, sfruttando ammortizzatori sociali a cui in teoria non avrebbe avuto diritto, l’azienda ha consolidato il fatturato e diminuito i debiti. È ovvio che, dato il costo del lavoro e i contributi pubblici, con la Serbia non c’è partita. Ma il punto è proprio questo: in Italia non esiste una politica industriale che impedisca al Grassi di turno di fare quello che gli pare”.
C’è qualcosa, però, che in questo caso fa paura. Si chiama boicottaggio e nel caso Omsa, a giudicare dalle strategie comunicative dell’azienda, sembra funzionare.
Sono in tanti (su social network sono migliaia), sono determinati e non comprano più calze Omsa.
Non è dato sapere quanto il boicottaggio abbia fino ad ora inciso sul fatturato, ma il fatto che dalle pubblicità Golden Lady sia scomparso il logo Omsa è un buon indizio d’irrequietezza. Poco male, il gruppo facebook “boicotta Omsa” è diventato “Mai più Golden Lady e Omsa”.
Stefano Caselli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 21st, 2007 Riccardo Fucile
I NOSTRI PRIMI 100 GIORNI: “INSIEME NULLA E’ IMPOSSIBILE”…
Abbiamo voluto dare il titolo a questo articolo ricordando lo slogan vincente che campeggiava sulle magliette del popolo francese in festa per l’elezione di Nicolas Sarkozy a presidente della Repubblica. Una frase che ben si addice alla filosofia del nostro circolo e del nostro sito che compie oggi i primi cento giorni di vita. Una pazzia per molti, una scommessa folle per altri, i sorrisini degli scettici, una Genova blindata per la Destra, un “fare politica” troppo diverso, “i tempi sono cambiati”, tanti consigli, tante parole, ma siamo andati avanti nella nostra “follia”, con una forza di volontà travolgente e aggregante, come tanti anni fa. Perchè può cambiare un po’ il mondo, ma non l’animo umano, perchè possono cadere i muri, ma non i valori di riferimento, perchè conosciamo il nostro mondo e sappiamo quanto merita e quanto può esaltarsi in una avventura “senza speranza”. Ci eravamo ripromessi di fare un bilancio della nostra attività solo dopo 3 mesi, farlo soprattutto a noi stessi, per capire se “valeva la pena”. Neanche il più ottimista tra noi avrebbe mai potuto immaginare un successo così travolgente e i nostri lettori ci scuseranno se per una volta parliamo di noi… Un sito genovese di Destra ha avuto circa 40.000 contatti in tutto il mondo ( 45% liguri, 50% da oltre 3.000 comuni italiani, 5% da America, Asia, Europa, Africa e Oceania), si sono collegate Università ( anche estere), Centri di Ricerca, Enti locali, Ministeri, Camera dei Deputati e persino la Presidenza del Consiglio. Continua »
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