Maggio 17th, 2021 Riccardo Fucile
IL CARDINAL BASSETTI DIMOSTRA CHE LA CHIESA E’ PIU’ AVANTI DEI BECERI SOVRANISTI
Se la politica esita e si divide la Chiesa va oltre e guarda la realtà.
Cosicché, nel giorno di lotta contro tutte le omofobie, bifobie e transfobie, oggi 17 maggio, il Corriere della sera intervista il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei (la conferenza dei vescovi italiani) che apre al ddl Zan.
“Guardi, che ci si ponga il problema di difendere le persone omosessuali da insulti omofobi, aggressioni o violenze, per me non è né è mai stato un problema, ci mancherebbe – dice il Cardinale-. Tutte le creature devono essere difese, protette e tutelate. Però la legge dev’essere chiara e non prestarsi a sottointesi”.
Che andrebbe corretto, non affossato, il ddl Zan, secondo il Cardinale. Bassetti, però chiede al legislatore italiano più chiarezza:
“La chiarezza. In ogni legge, lo dico da cittadino, il testo dev’essere scritto in modo semplice e chiaro. Così com’è ora, è un testo che si presta ad essere interpretato in varie maniere e può sfociare in altre tematiche che nulla hanno a che vedere con l’omofobia, gli insulti o le violenze. Ecco: come cittadino ho diritto di chiedere che scrivano una legge chiara, in modo che non abbia infiniti sensi e interpretazioni”.
Perché per la Chiesa, “la distinzione fra uomo e donna esiste. Per chi è credente viene da Dio, chi non crede dice invece dalla natura, ma esiste”.
Chiosa, quindi Bassetti:
“Non sta a me, come vescovo, fare le leggi. Da cittadino noto che il testo è scritto male. Secondo me la tutela da queste situazioni era già contenuta nelle leggi esistenti ma se si vuole accentuare, si accentui: nel senso della protezione, però. Con chiarezza e senza ambiguità”.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile
IL PRETE DI STRADA SEMPRE ACCANTO AI POVERI: “E’ LA SCUOLA DEL VANGELO”
Una scelta rivoluzionaria e senza precedenti nella diocesi del Papa. Francesco ha nominato vescovo ausiliare di Roma per i migranti il sacerdote romeno Benoni Ambarus.
Don Ben, come ama farsi chiamare, ha 46 anni e dal settembre 2018 è direttore della Caritas diocesana.
In questo incarico è succeduto a monsignor Enrico Feroci, recentemente nominato cardinale, di cui è stato il numero due per alcuni mesi. La scelta di Bergoglio è altamente significativa perchè, proprio nella sua diocesi di Roma, ha voluto affidare a un giovane sacerdote la cura pastorale dei migranti promuovendolo all’episcopato.
Il segno eloquente di come Francesco, in questi otto anni di pontificato, ha decisamente cambiato i criteri per la scelta dei nuovi vescovi chiamando a questo incarico dei preti di strada.
Benchè nominato al vertice della Caritas diocesana dal cardinale vicario del Papa per la diocesi di Roma, Angelo De Donatis, in questi ultimi anni don Ben ha costruito un rapporto saldo e diretto con Bergoglio che fin dalla sua elezione al pontificato ha evidenziato il suo sentirsi prima di tutto vescovo della Capitale d’Italia.
Proprio rivolgendosi a Francesco durante l’assemblea diocesana del maggio 2019, don Ben aveva sottolineato che “la povertà non è una passeggiata o un divertimento; è una realtà che segna duramente e graffia nel profondo. Ma credo che non sia neppure una colpa che si deve tramandare di padre in figlio. E anche se attorno a noi ci sono voci che vorrebbero far spazio solo ad una lettura negativa sui poveri, voci che beffeggiano o addirittura ci accusano perchè ci dedichiamo agli ultimi, vorrei dire con forza: servire i poveri per noi è sempre occasione di ricevere una buona notizia in modo fresco e autentico!”.
E aveva spiegato il senso del servizio agli ultimi: “Loro ci insegnano il valore della vita, terrena ed eterna. Ci insegnano cosa significhi resilienza di vita, dignità e capacità di vivere con ciò che si ha. Sì, caro Papa, ci insegnano la vita”.
Don Ben è nato il 22 settembre 1974 a Somusca-Bacau in Romania. Nel 1990 entra nel seminario minore. Quattro anni dopo consegue la maturità classica e nel 1996 entra nel seminario maggiore sempre in Romania. Alla fine di quell’anno arriva in Italia per completare gli studi presso il seminario romano maggiore e consegue il baccalaureato in teologia. Nel 2000 viene ordinato sacerdote, ma già l’anno successivo rientra a Roma dove consegue la licenza in teologia dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana.
Dal 2001 al 2004 svolge il servizio di educatore al seminario romano maggiore. Dal 2004 è collaboratore parrocchiale a San Frumenzio di cui dal 2007 diviene viceparroco. Dal 2010 al 2012 è, invece, viceparroco di Santa Maria Causa Nostrae Laetitie. Nel 2012 diviene parroco dei Santi Elisabetta e Zaccaria, la prima parrocchia romana a ricevere la visita pastorale di Bergoglio appena due mesi dopo la sua elezione, il 26 maggio 2013.
Infine, nel 2017, la nomina a vicedirettore della Caritas di Roma di cui l’anno successivo diviene direttore.
“Sono consapevole — disse don Ben in quell’occasione — di arrivare a svolgere un servizio impegnativo e delicato con la certezza di poter contare sull’esperienza e la dedizione di molti operatori, volontari e di tutti i poveri. L’esperienza di vicedirettore, vissuta negli ultimi mesi, è stata per me la scuola del Vangelo della vita attraverso gli occhi e il cuore dei poveri. La Caritas continuerà il suo percorso al fianco delle tante comunità parrocchiali e di tutto quel vasto mondo della chiesa di Roma in cui la carità si realizza attraverso la difesa della dignità e della giustizia: esperienze che sempre più debbono operare in comunione”.
(da agenzie)
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Dicembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
“FANNO NOTIZIA IL ROSARIO SBANDIERATO E L’IDENTITA’ RELIGIOSA UTILIZZATA A MO’ DI CLAVA”
Don Rocco D’Ambrosio è professore della Pontificia Università Gregoriana.
Don Rocco, come sarà questo Natale? Come sarà il Natale dei poveri?
E’ triste dirlo, ma sarà un Natale più povero. Abbiamo tutti capito – afferma il docente della Pontificia Università Gregoriana rispondendo all’Agenzia SprayNews – che i due binari della pandemia sono la crisi sanitaria e quella economica. Il Covid 19 ha fatto perdere a tantissimi il lavoro. Sarà un Natale, che metterà grandissima difficoltà le famiglie povere.
E gli ultimi?
Io lavoro con un gruppo di volontari, che si occupano dell’inserimento dei migranti, provenienti da vari Paesi del mondo. Il segnale è semplice e drammatico. Loro, per sopravvivere, fanno dei lavori precari. In una situazione di crisi economica, quale è quella che stiamo vivendo, sono costretti a mendicare, davanti ai supermercati. Il numero dei mendicanti è aumentato, a vista d’occhio. Questo è un Natale da mendicanti, purtroppo.
Come sarà il Natale nel mondo?
Il Covid 19 non guarda in faccia nessuno. Non guarda le etnie, non guarda le situazioni sociali ed economiche, non guarda le religioni. Colpisce in maniera indiscriminata. E’ una drammatica calamità democratica. Si lascia dietro un mondo intero di sofferenze. Democratico, nell’aggressione di un virus, che non risparmia nessuno. Non certo nelle conseguenze. Mi raccontava ieri l’altro un ragazzo che i suoi parenti vivono nello Sri Lanka, chiusi in casa. Sono obbligati a non uscire mai. E mi diceva che stanno, per questo, morendo di fame. Uscire per loro è sopravvivere, andare a spendere per mangiare le poco risorse, accumulate in lavoretti improvvisati e precari. E’ molto diverso obbligare in casa noi, che abbiamo le dispense piene, e chi non ha niente, neppure un tozzo di pane. Quanto alle conseguenze sanitarie del Covid e alle cure necessarie per fronteggiarlo o alleviarne le sofferenze, nelle zone più povere del mondo tutto è ancora più drammatico e disperato
Come sarà il Natale nei palazzi della politica? Qualcuno mi sembra che usi la religione, a fini di parte o come una clava…
Per esperienza e conoscenza diretta, posso dirle che ci sono molti credenti cattolici, impegnati in politica, ad ogni livello, dall’Europarlamento ai consigli di quartiere, che fanno poco chiasso, non esibiscono la loro fede e si impegnano con tutte le loro forze per il bene della collettività . Purtroppo, lei mi insegna che i giornali vanno alla ricerca della notizia e, quindi, fanno notizia il rosario sbandierato e l’identità religiosa, utilizzata, proprio come ha detto lei, a mo’ di clava. Un’espressione, che utilizzò, per primo, il teologo Romano Guardini: “Alcuni dicono verità religiosa, ma in fondo hanno in mano una clava”. Questo non è cattolicesimo, questo non è cristianesimo. E poi, ci sono i cattolici, più interessati all’appartenenza che alla coerenza. E, in questo senso, contiamo già cinque o sei, tentativi di ricostituire il cosiddetto partito cattolico. Dovrebbero pensare, piuttosto, a essere coerenti con la propria fede e ad aiutare gli altri.
Lei ce l’ha particolarmente con Matteo Salvini. O sbaglio?
Molti hanno equivocato le mie parole. Non ho detto che Salvini è un dittatore. Ho detto solo che usa la religione, come fanno i dittatori. E’ un’altra cosa, ma è la verità . E la confermo.
Il mondo è diventato un teatrino, dove tutti vogliono apparire, a partire dai politici e dagli scienziati. La vita sembra un teleshow. In pochi si fermano a riflettere e a pensare anche agli altri…
E’ colpa della televisione o la televisione manda in onda la realtà . E’ uno dei dilemmi del nostro tempo.
C’è, indubbiamente, una irresistibile tendenza a spettacolarizzare i contenuti. Ci sono delle personalità molto ingombranti, che devono apparire, twittare, scrivere un post, almeno ogni dieci minuti. C’è la ricerca del consenso personale. Un io ingombrante, che pretende attenzione non per i contenuti, ma per un effetto mediatico. Credo, però, che l’elettorato sappia distinguere fra lo show e chi porta avanti contenuti e progetti seri. Devo dirle anche, sempre per esperienza personale, che la politica migliore e i politici più apprezzabili, da tutti i punti di vista, sono quelli impegnati in ambito comunale. I sindaci, gli assessori, i consiglieri comunali rappresentano una classe politica migliore di quella nazionale. E’ una generalizzazione che, però, assomiglia alla verità . Se vediamo il Parlamento, certe volte c’è veramente da scoraggiarsi. Le qualità umane, etniche ed etiche dei nostri parlamentari lasciano molto spesso interdetti.
Anche sul Covid i politici hanno dato il peggio di sè. Gli uni contro gli altri armati, invece di fare fronte comune nella battaglia contro il virus…
Le do una risposta, che è una domanda. Quante le volte i Presidenti delle Regioni, tutti e venti, senza distinzioni di colore politico, fra centrodestra a centrosinistra, sono apparsi in tv per far accrescere il proprio io e il consenso e quante volte, invece, per cercare di indicare, e condividere con la propria popolazione di riferimento, la strada più efficace contro il Covid? Dovremmo fare una bella carrellata. Sarebbe molto istruttiva. Deve essere, mi sono convinto, un problema antropologico, prima che politico
(da Globalist)
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Dicembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
DOMENICO BATTAGLIA SUCCEDE A CRESCENZIO SEPE, NOMINATO NEL 2006.. L’ENNESIMA SCELTA CORAGGIOSA DI UN GRANDE PONTEFICE
Oggi nomina per Domenico Battaglia. Un prete di strada a Donnaregina. Il vescovo che solo 8 mesi fa tuonava contro il capitalismo selvaggio e quei potenti messi a nudo dal virus, che sapevano “vivere solo per se stessi e per il loro denaro”, guiderà la Chiesa di Napoli, la capitale del Sud impoverita dalla crisi.
L’annuncio, come di rito, oggi a mezzogiorno: contemporaneamente in Vaticano, alla Curia partenopea e nel Palazzo episcopale di Cerreto Sannita.
E’ infatti Domenico Battaglia, 57 anni, vescovo della diocesi beneventana, il successore di Crescenzo Sepe al vertice di Largo Donnaregina.
Già quasi un anno fa, nel gennaio 2020, si diceva in Vaticano che Papa Francesco stesse pensando a lui, dopo un incontro tra loro, e che lo ritenesse il giusto successore del cardinale Sepe. Un pastore giovane, nominato vescovo da Bergoglio nel 2016, profondamente proiettato nella vicinanza ai fratelli più fragili e, insieme, noto per la sua solida spiritualità e l’ancoraggio alla radicalità del Vangelo.
Poi, l’esplosione della pandemia e la drammatica crisi anche economica e sociale – che ha impegnato non poco le diocesi su tutto il territorio nazionale – aveva fatalmente rallentato tutte le procedure di rito che portano alle nomine.
L’indiscrezione girava dunque da mesi, “Repubblica” ne parlò a giugno, ora è arrivata la conferma del cambio nel Palazzo napoletano. Sepe lascia dopo 16 anni: fu nominato nel maggio 2006 da Benedetto XVI.
Nato il 20 gennaio 1963 a Satriano, provincia e arcidiocesi di Catanzaro, Domenico Battaglia – che per molti dei suoi amici calabrese è rimasto solo don Mimmo – ha svolto gli studi filosofico-teologici nel Seminario “San Pio X” di Catanzaro. Ordinato sacerdote il 6 febbraio 1988, è stato Rettore del Seminario Liceale di Catanzaro, parroco della Madonna del Carmine a Catanzaro, Direttore dell’Ufficio Diocesano per la “Cooperazione Missionaria tra le Chiese”.
Dal 2000 al 2006 è stato Vicepresidente della Fondazione Betania di Catanzaro (opera diocesana di assistenza-carità ) e fino al 2015 ha ricoperto l’incarico di Presidente nazionale della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche.
E’ il 24 giugno del 2016 quando Papa Francesco lo nomina vescovo a Cerreto Sannita, Telese e Sant’Agata de’ Goti in sostituzione di Michele De Rosa, che aveva raggiunto i limiti d’età . Proprio come Sepe, cui però il pontefice aveva concesso più dei 24 mesi di proroga come si usa, spesso, con i titolari di grandi diocesi.
Conosciuto come il “prete degli ultimi”, il vescovo Battaglia è amico di don Luigi Ciotti, e con don Virginio Colmegna, altro simbolo della Chiesa che sta tra i dimenticati, ha scritto “I poveri hanno sempre ragione”, testimonianza di due pastori che onorano la loro scelta di vita e di fede essendo presenti tra le sofferenze e l’emarginazione di chi è rimasto indietro. L’immagine di una Chiesa di costante e quotidiana prossimità , che a Napoli conta presenze forti oltre che carismatiche, sacerdoti che hanno fatto della loro missione tra gli invisibili la cifra dell’impegno spirituale e della militanza sociale.
Lo scorso aprile, da vescovo a Cerreto, aveva colpito la sua importante lettera pastorale sulle conseguenze del coronavirus. Un’emergenza, scriveva Battaglia, che “ha messo a nudo la fragilità di questo nostro mondo, l’inconsistenza di ciò in cui pensavamo di aver trovato la chiave risolutiva di tutti i nostri problemi, la gracilità di quell’economia, che sia a livello locale, sia a livello globale, è stata ritenuta l’unica meta ed è stata vista e osannata come l’unica via, che al di fuori di ogni regola, porta l’umanità verso la felicità sulla terra”.
E aveva rilevato come ormai il Covid-19 avesse provocato sofferenza, e messo tutti in esilio a casa propria, “anche i manager e i detentori delle grandi finanziarie internazionali, quelle che vedono oggi morire migliaia di uomini e pur tremando per il futuro dei propri profitti, non vogliono allargare i cordoni della borsa. Non lo sanno fare: hanno finora vissuto solo per se stessi e per il loro denaro. La statua d’oro è preziosa ma dura e insensibile come il loro cuore”.
Battaglia trova una città che lo aspetta con ansia. Che pur tra mille e gravi contraddizioni, unisce alla sua fede un culto popolare diffuso trasversalmente, tra ceti e territori.
Oggi alle 12 sono convocati in Curia come prevede il rito tutti i consultori, i vicari, i decani e i direttori degli uffici della Curia. Formalmente decadono tutte le cariche tranne quelle dei parroci e si attende l’insediamento del nuovo vescovo, che potrà avvenire entro due mesi, ma è possibile che i tempi siano molto più stretti. Benvenuto, vescovo: il suo nome, nella città che rischia l’indolenza con la scusa dell’attesa del miracolo, è già un buon programma.
(da agenzie)
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Dicembre 1st, 2020 Riccardo Fucile
“NESSUN PROBLEMA A RISPETTARE LE REGOLE”
Per avere la misura della polemica sulla messa di Natale del 2020, bastava leggere un paio di titoli nei giornali di oggi.
Il primo è quello de Il Giornale, che si pone da sempre come la bandiera del liberismo di destra in Italia e che, invece, oggi si lancia in una polemica populista: L’Europa vieta la messa.
Il secondo, a sorpresa, è quello del Fatto Quotidiano che ci ricorda UE contro le messe: “Vietare quelle di Natale”.
Il terzo è quello del Tempo secondo cui L’Europa vuole umiliare il Papa.
Il tutto perchè, nella serata di ieri, è circolata una bozza di linee guida a livello comunitario in cui si chiedeva di evitare, laddove le celebrazioni dovessero prevedere grandi assembramenti, delle formule alternative per le messe di Natale, con la diretta televisiva, lo streaming o la diretta radiofonica.
Non un divieto assoluto, ma una raccomandazione (tra le altre cose non vincolante) per quei casi in cui sarebbe impossibile rispettare il distanziamento sociale.
Non è un’indicazione — per intenderci — per le piccole parrocchie, ma soltanto per le grandissime celebrazioni di massa che — come tutti i grandi eventi — devono essere evitate per evitare una distribuzione del contagio facilitata.
Ma a dare la misura di quanto questo dibattito sia più esterno alla chiesa cattolica che interno ci ha pensato questa mattina la CEI, la conferenza episcopale italiana, che si è detta disponibile ad assecondare qualsiasi tipo di indicazione dovesse essere prevista all’interno del Dpcm che il governo sta preparando per le festività natalizie.
Monsignor Mario Meini, pro-presidente della Conferenza episcopale italiana, ha infatti affermato che le messe di Natale si svolgeranno nella piena osservanza delle norme. «Mentre alcuni interventi di ordine socio-economico stanno maturando nelle sedi istituzionali — si legge nella sua nota -, i cristiani sono chiamati, insieme a tutti i cittadini, a fare la propria parte: sul piano sanitario rispettando tutte le norme precauzionali anti-contagio. Papa Francesco ci ricorda che siamo sulla stessa barca».
Dunque, la chiesa recepisce le indicazioni. La stampa, invece, non fa altro che individuare la polemica e sbatterla in prima pagina.
Del resto, c’è poco da fare i puntigliosi: come è capitato anche nella scorsa settimana con le assurde frasi sul Gesù Bambino che non nasce a comando, ma che torna sulla terra allo scoccare della mezzanotte del 25 dicembre, i social network e i giornali sembrano essere piuttosto preoccupati di diffondere malcontento, laddove — invece — la chiesa si dimostra più ragionevole: anche in quel caso, ha ricordato, l’orario della messa delle vigilia di Natale sarà in linea con quanto previsto dai dpcm, senza nessuna prescrizione obbligatoria sullo scoccare della mezzanotte.
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2020 Riccardo Fucile
“IL PROBLEMA NON E’ L’ORARIO MA IL RISPETTO DELLE REGOLE”
“Non c’è nulla di strano ad anticipare la messa di Natale di due ore. Vorrei dire che il problema non è l’orario, ma semmai il rispetto delle regole. E noi le regole le rispettiamo. Già in Vaticano il Papa celebra due ore prima, e la vigilia di Natale nelle parrocchie c’è già chi celebra la sera alle diciotto. Dov’è il problema? Non ne farei un dramma”.
Michele Pennisi è vescovo di Monreale. A causa del Covid-19 ha dovuto ridurre momentaneamente l’orario dei dipendenti dell’importante museo diocesano. Le sue parrocchie celebrano con pochi fedeli. Nel Duomo al posto dei 400 posti a sedere ne vengono occupati 150.
Gesù può nascere due ore prima, come ha detto il ministro Boccia?
“Al di là delle battute, la messa sì, può essere celebrata prima come già avviene ovunque”.
Pensa che la Cei sia d’accordo?
“Mi sento di dire che se il governo avanzasse questa richiesta la Cei non avrebbe problema a recepirla. Ripeto: la messa di mezzanotte non è un tabù intoccabile”.
Come vive la sua diocesi questa fase?
“Il Covid-19 facendoci scoprire le nostre false sicurezze, ci aiuta a comprendere che abbiamo bisogno di qualcuno che dia un senso profondo alla nostra vita. Per la Chiesa salvare il Natale è diverso da quello che pensano tante persone per le quali le feste natalizie coincidono con la frenesia del consumismo. Rimane il rischio di celebrare una festa dimenticando il Festeggiato. Quest’anno bisognerà anticipare la messa di mezzanotte come avviene in Vaticano a San Pietro, ma sarà possibile partecipare alle celebrazioni eucaristiche nel rispetto delle norme sanitarie. Nel fare i regali non possiamo dimenticare le persone più bisognose. Facendo un regalo a loro si fa un dono a Gesù bambino mettendo in pratica la mistica della fraternità di cui parla Papa Francesco”.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
LA FEDE NON DEVE LASCIARE SPAZIO A NAZIONALISMI E XENOFOBIA
Il pontefice ha firmato ieri ad Assisi la sua terza enciclica: Fratelli Tutti. Un messaggio di fratellanza che trae ispirazioni dagli scritti di San Francesco. Nel suo libro, scritto in lingua spagnola, il Papa passa dalla pandemia alla guerra soffermandosi su un’analisi della società odierna.
Nel quinto capitolo il Pontefice critica la politica quando «degenera in insano populismo quando si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere». Un populismo che per Papa Francesco fa leva sugli egoismo della popolazione: «Ciò si aggrava — aggiunge — quando diventa, in forme grossolane o sottili, un assoggettamento delle istituzioni e della legalità ».
Secondo papa Bergoglio il populismo si manifesta nel disprezzo per i più deboli e si riscontra la difficoltà «a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sè i più deboli e rispetti le diverse culture».
Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come «l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato.
Forte l’appello del Papa ad eliminare definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità ”, e la fame, in quanto essa è “criminale” perchè l’alimentazione è “un diritto inalienabile».
Dal populismo il Pontefice passa al nazionalismo chiuso e violento dove le persone si sentono incoraggiate o autorizzate dalla loro fede ad avere atteggiamenti «xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi».
In questo capitolo del Buon Samaritano Bergoglio invita la fede «a mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi».
(da agenzie)
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
“LE CELEBRAZIONI AVVERRANNO IN MANIERA SICURA”… BASSETTI: “GRANDE COLLABORAZIONE E SINERGIA”… ANALOGHE MISURE ANCHE PER LE ALTRE CONFESSIONI RELIGIOSE… IL RUOLO DETERMINANTE DELLA LAMORGESE
Dal 18 maggio si tornerà in chiesa per assistere alle messe.
Questa mattina a Palazzo Chigi è stato firmato il protocollo per il riavvio delle celebrazioni dopo l’emergenza Coronavirus. L’accordo è stato siglato dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese.
“Le misure di sicurezza previste nel testo – ha spiegato il premier – esprimono i contenuti e le modalità più idonee per assicurare che la ripresa delle celebrazioni liturgiche con i fedeli avvenga nella maniera più sicura. Ringrazio la Cei per il sostegno morale e materiale che sta dando all’intera collettività nazionale in questo momento difficile per il Paese”.
L’accordo è arrivato dopo una lunga trattativa durata settimane e nata dalle proteste della Cei, che chiedeva la ripartenze delle messe aperte al pubblico già a partire dal 4 maggio, in contemporanea con l’inizio della fase 2. “Altrimenti – le parole delle Cei in una nota del 26 aprile – si compromette la libertà di culto”.
Per frenare lo scontro era dovuto intervenire anche Papa Francesco, sottolineando “la necessità di obbedire alle regole per non fare tornare alla pandemia”.
Per giorni, però, dal 26 aprile si è lavorato per trovare una data che rappresentasse un compromesso tra governo e Cei. Si era parlato, inizalmente, di una ripartenza delle celebrazioni delle messe con la presenza dei fedeli dall’11 maggio. Ora, inevce, l’accordo firmato questa mattina fa slittare la data di pochi giorni: si inizierà dal 18 maggio. Una soluzione che accontenta tutti.
“Il protocollo è frutto di una profonda collaborazione e sinergia, ciascuno ha fatto la sua parte con responsabilità “, ha sottolineato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. “Da parte della Chiesa c’è stato – ha ribadito – l’impegno della Chiesa a contribuire al superamento della crisi in atto”.
E il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha aggiunto: “Il lavoro fatto insieme ha dato un ottimo risultato. Analogo impegno abbiamo assunto anche con le altre confessioni religiose”.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
NEI GIORNI SCORSI HA RICEVUTO SINDACALISTI CHE SI BATTONO PER FARLI USCIRE DAL SOMMERSO
“Ho ricevuto diversi messaggi riferiti al mondo del lavoro e ai suoi problemi. In particolare, mi ha colpito quello dei braccianti agricoli, tra cui molti immigrati, che lavorano nelle campagne italiane. Purtroppo tante volte vengono duramente sfruttati. È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata. Perciò accolgo l’appello di questi lavoratori e di tutti i lavoratori sfruttati e invito a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e del lavoro”.
Non è la prima volta che Papa Francesco scende in campo in difesa dei lavoratori. Lo fa ancora oggi, nel corso dell’udienza generale del mercoledì, al termine di una catechesi tenuta in streaming dalla biblioteca del palazzo apostolico in Vaticano. In un momento particolarmente difficile nel nostro Paese per interi comparti produttivi, il Papa si schiera ancora una volta in favore dei lavoratori meno tutelati, facendo proprie lettere e missive ricevute pochi giorni fa, in occasione della festa del primo maggio.
Già il 28 aprile scorso il Vaticano aveva affrontato il tema dei braccianti, dopo aver ricevuto una lettera da parte del segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rotas, che aveva chiesto conforto e incoraggiamento per i lavoratori della filiera e per sottoporre il tema della regolarizzazione dei braccianti irregolari come priorità .
In una lettera di risposta firmata dalla Segreteria di Stato vaticana si era letto che “è certamente condivisibile la necessità di venire incontro a quanti, privati di dignità , avvertono in modo più acuto le conseguenze di un’integrazione non realizzata, venendo ora maggiormente esposti ai pericoli della pandemia”.
E ancora: “È dunque auspicabile che le loro situazioni escano dal sommerso e vengano regolarizzate, affinchè siano riconosciuti ad ogni lavoratore diritti e doveri, sia contrastata l’illegalità e siano prevenute la piaga del caporalato e l’insorgere di conflitti tra persone disagiate”.
Oggi Francesco fa proprie le istanze di una categoria in difficoltà . Così come aveva fatto anche altre volte, non soltanto da Pontefice ma anche da arcivescovo di Buenos Aires.
Lo scorso 12 aprile, ad esempio, aveva firmato una lettera ai movimenti popolari nella quale scriveva: “Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti”.
(da agenzie)
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