Giugno 12th, 2021 Riccardo Fucile
PD 20,8%, FDI 20,5%, LEGA 20,1%, M5S 14,2%, FORZA ITALIA 9,2% … QUANDO SALVINI DICEVA: “SORPASSO? PIU’ FACILE CHE ARRIVINO GLI ALIENI”; I MARZIANI SONO ARRIVATI
Partito democratico primo partito e Lega che scivola al terzo posto superata da Fratelli d’Italia, che si piazza alle spalle del Pd.
E’ quanto rivela un sondaggio Ipsos pubblicato su La Stampa.
I dem raggiungono il primo posto grazie a un +0,8 per cento guadagnato in una settimana, arrivando così a toccare il 20,8 per cento dei consensi.
Insegue a pochissima distanza il partito di Giorgia Meloni che fa un balzo di un altro punto in 7 giorni e arriva al 20,5%.
Terza la Lega che scende ancora nei consensi (-0,4%) e si ferma al 20,1%.
Neanche un punto percentuale separa i primi tre schieramenti, ma i dem non erano andati sul podio nei sondaggi da almeno tre anni.
Solo quarto il Movimento 5 stelle che, nonostante l’accelerazione per il progetto di Giuseppe Conte dopo la soluzione dello scontro con Davide Casaleggio, perde lo 0,6% e arriva al 14,2% dei consensi.
Attualmente, sempre secondo l’istituto di Nando Pagnoncelli, il centrosinistra allargato al M5s è dato al 45,3% e il centrodestra rimane in vantaggio con il 49.8%.
Per quel che riguarda gli altri partiti, da segnalare sul fronte della destra il nuovo calo di Forza Italia al 9.2% (-0,6%)
Questa invece la situazione per i partiti minori: Art.Uno 1,4 (-0,2); SI 1,8; +Europa 1,3 (-0,3); Iv 1,8; Azione 2,8. Europa verde 1,2.
Al Nazareno ridono. Et pour cause. Perché per la prima volta da oltre tre anni il Pd risulta essere il primo partito nelle intenzioni di voto degli italiani.
Ma se al Nazareno ridono, a Via Bellerio mugugnano. Perché la Lega, e anche questa è una novità notevole, si vede scavalacare da Fratelli d’Italia.
“I bacini elettorali di FdI e Lega continuano a presentare evidenti sovrapposizioni: ciascun partito tende a pescare nell’elettorato dell’altro”, chiarisce l’istituito presieduto da Nando Pagnoncelli. Ma il fatto resta: ed è un fatto clamoroso, se è vero che Salvini, non più tardi di venti giorni fa, liquidava l’ipotesi del sorpasso della Meloni ai suoi danni come qualcosa di meno probabile dell’arrivo degli alieni.
“Sia il Pd sia FdI prolungano un trend positivo (molto recente nel caso del Pd, ben più duraturo nel caso di FdI) che è infine giunto ad incrociare – prosegue l’analisi di Ipso – il lento ma abbastanza costante declino del partito di Matteo Salvini”.
(da agenzie)
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Giugno 11th, 2021 Riccardo Fucile
LA SCELTA DEL CENTRODESTRA A ROMA E’ SEGNO DEI TEMPI, MA PARTE DAL 40%
Vasto programma “restituire a Roma l’orgoglio di Caput Mundi”. Perché Roma “era tutto”, Roma è Roma, come si dice nei bar, allo stadio, nello spazio eterno del luogo comune che si nutre del mito.
Già, il discreto fascino dell’Impero che è sempre piaciuto a una certa destra. Vuoi mettere: prima ancora che i treni arrivassero in orario, ai cittadini ci avevano pensato gli imperatori che “pensavano alle strade, ai punti, alle terme” mica come quei perditempo del superfluo come gli egizi che “costruivano piramidi”.
Se uno avesse gli occhi chiusi, penserebbe di assistere a un remake di SPQR, con un novello Massimo Boldi, intonacato come un imperatore, che si candida a sindaco. E invece è la conferenza stampa di presentazione del candidato sindaco del centrodestra.
Il folklore della romanità è il programma di Enrico Michetti, “folgorato” dall’incontro con la pro-sindaca Simonetta Matone, che invece qualche idea concreta di programma già la espone, e con “Matteo” e “Giorgia”, che si sente “civis romanus” come San Paolo, folgorato anch’esso sulla via di Damasco.
Candidato sindaco e prosindaco, come console e proconsole, ma che ama definirsi “tribuno”, il “massimo” che si può dire perché “rappresenta il popolo sacro e inviolabile”.
Ma Michetti non è estremista, nostalgico, missino, ce n’erano di più in giro nella giunta di Alemanno, non faceva a botte con i rossi nella Roma negli anni Settanta, non ha un passato di militanza.
E poi, “chi sono gli altri per giudicare?” dice Giorgia, già in modalità campagna elettorale se Paolo Gentiloni lo ha proposto come Cavaliere al merito per la Repubblica, e Mattarella, mica pizza e fichi, ce lo ha nominato.
È Cavaliere, avvocato, professore, certo a Cassino, non in quelle università dove incontravi Carnelutti e Cassese, ma insomma se scrive le sigle su una targa fa una certa scena, come fa mezza Italia, quelli che si sentono arrivati da qualche parte.
Come fai a darle torto, almeno su questo, nell’Italia populista dove al governo è andata gente che non ha letto un libro e il Parlamento è pieno di gente senza mestiere, e infatti è impossibile scioglierlo perché in parecchi non lo ritrovano.
Guardate che la questione è più complicata di quel che sembra, perché in giro di Petroselli e Argan non ce ne sono da nessuno parte, in fondo le stesse piazze che si affidarono ai tribuni pentastellati cinque anni fa avevano lo steso linguaggio delle radio romane di Michetti, culla del rifiuto della politica che è “tutta un magna magna” e dei partiti che pensano solo agli affari loro, a cui aggiungere, di questi tempi, un certo scetticismo su scienza, vaccini e tutto ciò che è ufficiale.
Insomma, questo per dire che il folklore non è detto che sia debolezza, magari non è neanche forza ma semplicemente il segno dei tempi – per una coalizione che parte dal 40 per cento e, a meno di clamorosi disastri, dovrebbe avere il ballottaggio in tasca. Perché, appunto, Roma è Roma, lo sanno anche loro.
La Meloni che qui si gioca la ghirba, le ambizioni, l’egemonia a destra, perché novella Caligola che ha sbattuto in pugni sul tavolo per imporre il suo cavallo, se perde, ha perso solo lei.
E infatti ha già fatto capire che ci metterà la faccia, fianco a fianco col candidato, casa per casa, porta a porta. E Salvini, che voleva candidare la pro-sindaca che Porta a Porta lo ha fatto da dieci anni, deve reggere la sfida a destra. E per questo ha precettato pure gli europarlamentari: “Candidatevi, correte e macinate voti”. Se tira uno e tira l’altro, tirano le liste con gran beneficio del candidato.
E poi attenzione al vento dei tempi, all’aria che tira, la stessa che ha incoronato reginetta di Madrid la Ayuso, in nome del diritto alla birretta che diventa più in generale diritto alla libertà, di uscire, muoversi, fare impresa, rifiuto delle regole.
Prima grande capitale ad essersi affidata nel post Covid al centrodestra, in un’Europa dove a Monaco, Berlino, Francoforte e pure Parigi, nonostante i socialisti francesi siano mal messi, governa ovunque la sinistra.
Rispetto alla destra romana, che non ha mai brillato per innovazione, cultura di governo, capacità di liberarsi dal passato, quello della Meloni è un esperimento che va oltre il ceto politico del suo partito (e questo contiene già un giudizio di valore), ma tecnicamente populista: della società civile, sceglie il più populista: il “tribuno folk”, non il classico rappresentante – Confindustria, Confcommercio, boiardo di Stato, imprenditore – riconducibile, nella sua narrazione, all’establishment.
Se la politica fosse solo arte di governo, non ci sarebbe storia, basterebbe leggere le schede di Calenda che ha già pronti i primi provvedimenti di giunta o quelle di Gualtieri, altro che chiacchiere sulla romanità.
Ma scagli la prima pietra chi non ha contribuito a quell’impoverimento della classe dirigente che ha portato alcuni studiosi a parlare di kakistocrazia, governo dei peggiori, dopo la fine dei partiti che, comunque la si veda, sono stati una grande fucina di classe dirigente.
L’ultima volta che ci siamo trovati a raccontare le amministrative, proprio il Pd ha vinto grazie a due tribuni, Emiliano e De Luca, con liste infarcite di tutto, ben oltre la destra e la sinistra. Hanno vinto, come governano è altro discorso.
(da “Huffingtonpost)
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Giugno 11th, 2021 Riccardo Fucile
NEI SONDAGGI IL PARTITO A ROMA E’ INTORNO AL 3%
Parafrasando un vecchio film dei Vanzina: sotto De Vito, niente. L’operazione per condurre l’ex mister preferenze grillino a Roma tra le braccia di Forza Italia ha dietro la più semplice delle spiegazioni: ad accoglierlo c’è il vuoto.
Il partito azzurro capitolino è accreditato nei sondaggi in vista delle amministrative di una forchetta tra il 3 e il 6% mentre a livello nazionale ondeggia tra il 6 e il 9%.
Ma nel 2016 prese il 4,7% eleggendo un solo consigliere comunale, Davide Bordoni, quando Forza Italia veleggiava intorno al 15%.
Da quel momento in poi, nel Lazio è stato il tracollo: oltre a Bordoni, hanno lasciato il partito 9 consiglieri municipali su 11 e 5 consiglieri regionali su 6 (con però una new entry). Un esodo.
Con questi chiari di luna, è stato Maurizio Gasparri a convincere Antonio Tajani a metterlo in campo: le 6500 preferenze di De Vito, per quanto oggi dimezzate, rappresentano la soglia minima per aspirare a un seggio nell’assemblea (Bordoni fu eletto appunto con 3mila consensi) ed evitare il dissolvimento.
Di qui la conferenza stampa con cui l’attuale presidente dell’assemblea capitolina, tuttora implicato in una vicenda di corruzione che nel 2019 lo ha portato in carcere, è stato presentato urbi et orbi.
Ma di qui anche il gelo con cui è stato accolto nel partito: la candidatura di De Vito mette una pesante ipoteca sull’unico possibile seggio per gli azzurri. Dove i mugugni sono già cominciati: “Gli hanno regalato il seggio. Va bene, ma così sarà difficile anche riempire le liste per i municipi”.
Il rischio è il fuggi fuggi finale. Inasprito da una campagna elettorale alla fratelli-coltelli. A fine 2019, Bordoni, coordinatore romano, è passato alla Lega dopo 25 anni di militanza tra gli azzurri azzerandone di fatto la presenza nel consiglio comunale: “E’ una questione generazionale, con Salvini siamo coetanei”.
Inesausto uomo macchina, coordinatore della campagna di Tajani alle Europee, Bordoni è cresciuto a pane e Berlusconi. E adesso, gli ex compagni di partito temono che gli elettori di centrodestra tra lui e De Vito (che a quel mondo in passato non ha risparmiato critiche) non abbiano dubbi.
Fatto sta che la mossa di Gasparri ha un senso politico. Lo stesso della sua candidatura di bandiera a sindaco di Roma, rilanciata da Tajani in ogni intervista: salvare il salvabile. Fare da traino. Perché i numeri, messi in fila sono impietosi.
Dei 10 consiglieri municipali eletti alla scorsa tornata solo due, Antonio Derenti e Patrizio Di Tursi non hanno cambiato bandiera. Viceversa: Giuseppe Mocci (eletto con Marchini e poi passato con Fi), Sandro Toti, Piero Cucunato e da poco Simone Foglio (ex recordman di preferenze, 23 anni in Fi) sono passati con la Lega.
Mentre Maria Cristina Masi di Ostia, Daniele Calzetta, Riccardo Graceffa e Gianni De Lucia (a marzo scorso, dopo 20 anni di militanza azzurra) hanno trovato nuova casa nel partito di Giorgia Meloni. A dicembre anche Dino Bacchetti se ne è andato un direzione Pd: “Dopo 23 anni lascio, partito desertificato e linea schizofrenica”.
Un’emorragia di classe dirigente locale esperta e consolidata, non semplice da rimpiazzare. Che si è ripetuta, in modo minore, alla Pisana. Dove il vicepresidente del consiglio regionale Pino Cangemi è migrato nella Lega; stessa scelta fatta da Laura Cartaginese e da Pasquale Ciaccarelli. Antonello Aurigemma è passato già nel 2019 con FdI, Adriano Palozzi poche settimane fa ha scelto il movimento di Toti e Brugnaro. La pattuglia azzurra si era ridotta a Giuseppe Simeone da Formia, salvo rimpinguarsi con Enrico Cavallari, ex assessore d Alemanno, eletto con la Lega e poi passato con i renziani, infine accolto a braccia aperte da Tajani e Gasparri.
Adesso, per molti azzurri, si tratterà di nuotare tra Scilla e Cariddi: approfittare della “zattera” che De Vito potrebbe offrire, in primis a se stesso, oppure migrare anche loro verso lidi più ospitali.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 9th, 2021 Riccardo Fucile
SOLO IL 26% DEI VOTI (CONTRO IL 28% ATTUALE) E FAREBBE SALIRE LA MELONI AL 21%
Secondo l’Istituto Demopolis se si votasse oggi per le Politiche, la Lega si confermerebbe primo partito con il 21,3%: si riduce ulteriormente il vantaggio su Fratelli d’Italia, in crescita al 19,5%, che sembra beneficiare sempre più del ruolo di opposizione. Il Partito Democratico avrebbe il 19,4%, il Movimento 5 Stelle il 16,8%. Staccata, al 6,7%, Forza Italia.
E’ la fotografia sul peso dei partiti scattata dal Barometro Politico di giugno dell’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento.
Tra i partiti minori, si attestano tra il 2,6% e il 2% Azione di Calenda, la Sinistra Italiana e Liberi e Uguali. All’1,8%, Italia Viva di Renzi viene affiancata da Coraggio Italia, la nuova formazione di Toti e Brugnaro. Sotto l’1,5% le altre liste.
Nelle ultime 24 ore, l’Istituto Demopolis ha misurato l’opinione degli elettori sull’ipotesi di una federazione del Centro Destra che includa i partiti che sostengono il Governo Draghi.
La proposta, avanzata da Salvini, è apprezzata dal 70% degli elettori della Lega; più disorientati appaiono gli elettori di Forza Italia, con un 44% di favorevoli, un 31% di contrari ed un quarto che non esprime per il momento un’opinione.
Una netta contrarietà viene espressa invece dal 63% di chi vota il partito di Giorgia Meloni.
L’Istituto diretto da Pietro Vento ha realizzato un sondaggio per comprendere come cambierebbe il quadro delle intenzioni di voto se nascesse una Federazione tra i partiti di Salvini e Berlusconi: la federazione otterrebbe il 26%, con un vantaggio di oltre 5 punti su Fratelli d’Italia (che crescerebbe però di un punto) e sul Pd.
Cambierebbero soprattutto gli equilibri in seno al Centro Destra, ma se si votasse per la Camera – come rileva l’analisi di Demopolis per il programma Otto e Mezzo – con il 26% la Federazione avrebbe 2 punti percentuali in meno rispetto all’attuale somma dei consensi, il 28%, che otterrebbero oggi autonomamente Lega e Forza Italia.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2021 Riccardo Fucile
TICKET CON SIMONETTA MATONE CHE SI PROPONE COME VICE (AREA LEGA)… UN PARTITO CHE VUOLE GUIDARE IL PAESE NON HA UN NOME FORTE DA PROPORRE NELLA SUA ROCCOFORTE
Enrico Michetti è ufficialmente il candidato sindaco del centrodestra a Roma. Dopo mesi di totonomi e attriti interni, i tre partiti sono riusciti a trovare la quadra nel vertice odierno che ha visto prevalere l’uomo indicato da Giorgia Meloni.
L’accordo prevede la candidatura di Michetti in ticket con il magistrato Simonetta Matone che sarà vice-sindaco. Paolo Damilano è confermato invece come candidato sindaco a Torino. Un altro tassello riguarda invece la candidatura per la Regione Calabria che, assicurano dal centrodestra, sarà ufficializzata entro la settimana. Su Milano invece ancora tutto tace.
Professore di diritto e speaker radiofonico, Michetti è anche avvocato e imprenditore: come raccontato da Il Fatto Quotidiano la Corte dei Conti del Lazio indaga su alcuni appalti milionari affidati da enti pubblici senza gara. Il suo studio legale è in via Giovanni Nicotera a Roma, sede legale anche della “Fondazione Gazzetta Amministrativa”, centro nevralgico di una florida industria di servizi per la pubblica amministrazione.
Il volume d’affari raggiunto negli anni fu tale che l’Anac mise sotto la lente appalti e convenzioni rilevando che sovente erano affidati senza gara e senza una procedura comparativa. E dunque che erano illegittimi.
Raffaele Cantone passò al vaglio le relazioni tra la «fondazione Gari» con Regione Lazio, Regione Basilicata, Asl Roma5 di Tivoli. Nel 2018 inviò le istruttorie alle sezioni della Corte dei conti competenti per territorio.
Per alcuni appalti è tuttora in corso la verifica di eventuali danni all’Erario. Insomma, per la Meloni sarebbe un “mr Wolf che risolve i problemi dei sindaci”, in realtà Michetti ne avrebbe creati a iosa agli enti che gli si sono generosamente affidati per servizi informatici, formazione e consulenze legali in ambito amministrativo. In violazione del codice degli appalti pubblici.
Tutto questo non compare, ovviamente, nel cv di 18 pagine che Michetti ha messo in rete. Di sicuro le entrature per ottenere commesse dalle amministrazioni non gli sono mancate. Come avvocato dal 1996 ha difeso centinaia di amministratori locali laziali. In una vertenza contro l’aumento dei pedaggi della “Strada dei Parchi Spa” rappresentò in una volta 83 comuni, ma tra i clienti “storici” ci sono Piero Marrazzo, la Regione , l’Atac e l’Asl dalle pretese della giustizia contabile. Che adesso picchia alla sua porta e lascia un biglietto da visita che è anche motivo di un certo imbarazzo per chi anche professore all’Università di Cassino, proprio di Diritto degli enti locali.
C’è poi il Michetti speaker e tribun
Indagini in corso e gaffe però non sembrano un problema per il centrodestra che ha superato la pregiudiziale di Berlusconi contro i “mestieranti”.
Michetti ora si descrive “contento ed emozionato, grato per la fiducia dimostrata in questi giorni, per l’affetto ricevuto”. “Ora è il momento di restituire alla città eterna quello che merita, il ruolo di caput mundi”, dice all’Adnkronos.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
IN AUMENTO ANCHE PD, M5S E FORZA ITALIA… SCORAGGIANTE “CORAGGIO ITALIA”: APPENA L’1%
Si riduce ancora il distacco tra Fratelli e la Lega, ridotto ormai a 1,3%.
Il sondaggio settimanale di Swg per La7 vede infatti il partito di Salvini subire ancora un calo dello 0,3%, attestandosi al 21,4%, mentre Fdi sale dello 0,1% e raggiunge il 20,1%.
Alle loro spalle recupera il Pd che sale dal 19% al 19,2%, leggero aumento anche del M5s che passa dal 15,8% al 15,9%.
Forza Italia è il partito che questa settimana registra il maggiore aumento, passando dal 6,3% al 6,9%.
In calo Azione di Calenda (dal 3,6% al 3,4%) e la Sinistra (dal 3 al 2,6%).
Italia Viva è stabile al 2,1%, Leu passa dal 2,2% al 2,1%, + Europa dal 2% all’1,8%, i Verdi dall’1,7% all’1,8%.
“Coraggio Italia”, il nuovo partito di Toti e Brugnaro raggiunge un misero 1%, in pratica quello che il partito di Toti Cambiamo raccoglieva prima da solo.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
ZEMMOUR E’ QUOTATO AL 13% E I DUE CANDIDATI SOVRANISTI RISCHIANO UNA SOVRAPPOSIZIONE DI PROGRAMMI CON UNA EMORRAGIA DI CONSENSI PER MARINE LE PEN
Alle prossime elezioni presidenziali del 2022, l’estrema destra francese rischia il sovraffollamento. Alla corsa per l’Eliseo potrebbe partecipare anche Eric Zemmour, controverso editorialista del Figaro e volto noto dell’emittente CNews, famoso per le sue posizioni anti-immigrazione e anti-Islam.
Una figura apprezzata dagli elettori di quella destra estrema e ultra-conservatrice “hors le mur” (fuori le mura, in italiano), stanca del restyling lanciato da Marine Le Pen che chiede un ritorno alle origini.
La notizia è nell’aria da settimane, ma il diretto interessato al momento si limita a mandare qualche segnale senza sciogliere completamente la riserva. “Forse bisogna passare all’azione”, ha detto ieri sera Zemmour in un’intervista rilasciata a Le Livre Noir, media on line ultraconservatore. “Faccio sempre più proposte, penso sempre di più a come applicare quello che dico”, ha spiegato l’opinionista, lasciando intendere che una riflessione è in corso
Da anni corteggiato dall’estrema destra francese, Zemmour si è sempre rifiutato di candidarsi portando i colori di un partito. Nel 2019 la sua intesa con Marion Maréchal, ex deputata del Front National e nipote della Le Pen, aveva alimentato le fantasie di diverse testate d’oltralpe, che già vedevano una “unione delle destre” mai realizzatasi.
Secondo Politico, Zemmour sarebbe già in cerca di un direttore per la campagna elettorale. In quest’ottica nei giorni scorsi questo si sarebbe rivolto a Patrick Stefanini, volto noto della destra francese che ha seguito Jacques Chirac nel 1995 e François Fillon nel 2017. La notizia è stata confermata dallo stesso Stefanini, che ha ammesso di aver recentemente visto il giornalista, spiegando però di non voler prendere al momento “il minimo impegno presidenziale”. “Le differenze ideologiche su certi temi, come l’Europa, sono troppo forti, l’affare non dovrebbe concludersi sebbene Eric lo sognava”, ha rivelato una fonte al settimanale L’Express.
In effetti, l’aspirante candidato potrebbe avere qualche difficoltà nel formare un’équipe. Celebre per le sue provocazioni, Zemmour vanta un lungo curriculum di condanne per incitamento all’odio razziale.
L’ultima, in ordine di tempo, è la maxi multa da 200 mila euro inflitta a marzo dal Consiglio superiore dell’audiovisivo (Csa) a CNews, per dei commenti sugli immigrati minorenni non accompagnati, descritti come “ladri”, “stupratori” e “assassini”. Un episodio sul quale sta indagando anche la procura di Parigi.
Ma l’emittente televisiva di Vincent Bolloré non sembra essere per niente imbarazzata dal suo opinionista, che dopo essere diventato ospite fisso della trasmissione “Face à l’Info” nell’ottobre del 2019 ha fatto schizzare gli ascolti alle stelle in meno di un anno, con un aumento del 220% degli spettatori tra febbraio e maggio del 2020 secondo i dati di Mediametrie. Squadra che vince non si cambia, quindi, per buona pace della redazione, che ha preso le distanze da certe affermazioni.
Malumori anche tra i giornalisti del Figaro. “È evidente: non si può essere giornalista al Figaro e allo stesso tempo candidato alla presidenziale”, ha garantito il direttore Alexis Brezet, rispondendo alle preoccupazioni dei dipendenti. Ma l’imbarazzo nella redazione è causato anche dalle recenti accuse di molestie sessuali rivelate da “Mediapart”, citando alcune donne.
Al momento, però, il giornale non ha lanciato nessuna inchiesta interna, preferendo la via del silenzio nell’attesa di conoscere la decisione del suo editorialista su una eventuale candidatura.
Una prospettiva che spaventa Marine Le Pen. “Qual è l’interesse di una simile candidatura?”, si è chiesta intervenendo ai microfoni del “Grand Jury Rtl – Le Figaro – Lci” la leader del Rassemblement National, che con l’arrivo di Zemmour si dovrebbe confrontare con un alter ego più volte elogiato in passato.
Come nel 2012, quando la presidente dell’allora Front National difese il giornalista, accusato di razzismo e maschilismo per delle dichiarazioni sulla ministra della Giustizia, Christiane Taubira.
Il rischio per la principale sfidante del presidente Emmanuel Macron non è certo quello di vedersi sorpassata a destra, visto che un sondaggio pubblicato a febbraio dall’Ifop dà Zemmour solamente al 13%. Le Pen teme invece una sovrapposizione di programmi che gli porterebbe via quella fetta di voti decisiva per battere Macron.
In questi ultimi mesi il dibattito politico si è polarizzato sui temi della sicurezza, spostando l’ago della bilancia nettamente a destra. Un falso tema secondo l’opinionista: “la sicurezza è un problema perché viviamo un cambiamento di popolazione e una guerra di civilizzazione”. Zemmour vuole ergersi al di sopra del dibattito e per questo fa leva sulle tesi dello scrittore Renaud Camus riguardanti la “Grande Sostituzione” dei popoli occidentali da parte degli immigrati islamici, tanto care a quell’estrema destra francese che strizza l’occhio alla sfera complottista.
Così, a meno di un anno da voto, la sfida per l’Eliseo si polarizza ancora di più a destra
(da Huffingtonpost)
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Giugno 6th, 2021 Riccardo Fucile
FALLISCE LA SPALLATA DEI SOVRANISTI
Niente ‘spallata’ dell’ultradestra, secondo le prime proiezioni, la Cdu vince la sfida della Sassonia-Anhalt. Nel Land centro-orientale, i cristiano-democratici escono vittoriosi dalle urne, riuscendo a staccare l’Afd di oltre 13 punti, con il 35%, con un netto aumento rispetto al 29,8% di cinque anni fa.
Per contro l’estrema destra di Afd arretra, anche se di poco, rispetto alle ultime elezioni, passando dal 24,3% al 23,5%, confermandosi il secondo partito del parlamento regionale, smentendo così molti dei pronostici e dei sondaggi della vigilia, che vedevano un risultato più ravvicinato tra i due partiti.
Stando alle prime proiezioni Infratest-dimap per il primo canale pubblico Ard, risulta ben inferiore alle aspettative il risultato dell’Spd, che non va oltre l’8,5% dei consensi (avevano il 10,6%), così come quello dei Verdi, che guadagnano consensi rispetto alle elezioni del 2016, ma meno del previsto, fermandosi cioè al 6,5% (erano al 5,2%). Altro dato importante la performance dei liberali dell’Fdp, che con il 6,5% dei voti supera la soglia del 5% riuscendo così a rientrare nel parlamento regionale.
La Linke, il partito della sinistra radicale, crolla all’11% dei consensi, rispetto al 16,3%. Il voto in Sassonia-Anhalt era l’ultimo appuntamento elettorale di rilievo ad appena tre mesi e mezzo di distanza dalle elezioni federali del 26 settembre.
Se questi risultati venissero confermati, la coalizione in carica formata da Cdu, Spd e Verdi e guidata dal governatore Reiner Haseloff, dovrebbe avere i numeri per proseguire la propria esperienza di governo.
Cdu: “Risultato sensazionale”
“Ha vinto il centro, è stato un risultato sensazionale”: questa la prima reazione della Cdu, vincitrice dell’attesa contesa elettorale in Sassonia-Anhalt. A detta del segretario generale della Cdu, Paul Ziemiak, per la vittoria è stato cruciale “l’alto profilo” del governatore uscente Reiner Haseloff, ma anche “l’unità dimostrata dal partito”. Parlando al secondo canale pubblico Zdf, Ziemiak ha aggiunto che “in nessuna elezione per il rinnovo del Land dal 2017 la Cdu è cresciuta come con questo voto”.
Premier Sassonia: “Chiaro messaggio contro estrema destra”
I risultati elettorali oggi nelle elezioni regionali in Sassonia Anhalt sono “un chiaro messaggio” contro l’estrema destra tedesca. Lo ha detto il premier cristiano democratico del lander della Germania orientale ” Reiner Haseloff che, intervistato dalla televisione tedesca Ard, ha detto che la ragione sul successo della Cdu è stata l’unità del partito. Ma poi ha ammesso che “non sarà facile formare una coalizione” di governo, escludendo la possibilità di un dialogo con Afd, seconda forza del parlamento regionale.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2021 Riccardo Fucile
MICHETTI A ROMA E MATONE A MILANO IN BASE AL MANUALE CENCELLI
Potrebbe essere oggi il D-Day: dopo la fumata nera di martedì scorso sui candidati del centrodestra alle prossime amministrative di ottobre, il leader della Lega Matteo Salvini ha aperto le ‘consultazioni’, ieri ha incontrato Simonetta Matone e in giornata incontrerà Enrico Michetti, l’avvocato che Giorgia Meloni ha indicato come il “suo” candidato da schierare a Roma, e altre figure civiche a Milano.
Non è infatti un mistero che l’ultimo vertice si sia impantanato sui nomi condivisi da mettere in campo nelle due realtà più importanti – la Capitale e il capoluogo lombardo – e che la corsa per il Campidoglio rappresenti la sfida più significativa, sia perché si profila una contesa aperta senza vincitori annunciati e sia perché finora ha riguardato soprattutto gli equilibri politici interni tra gli schieramenti, in particolar modo nel centrodestra, visto che sull’altro fronte è tacito che Pd e M5S correranno ognuno coi propri candidati.
Come ammesso ieri dal senatore di FdI Ignazio la Russa, fra i due principali partiti della coalizione si è stabilita una sorta di spartizione: “è corretto che a Milano l’ultima parola ce l’abbia Salvini, così come ha detto anche Giorgetti, facendo il parallelo a Roma con la Meloni”.
Insomma se Michetti – che nel frattempo ha già avviato un giro di incontri vis à vis con Adriano Palozzi per Coraggio Italia, Vittorio Sgarbi, e Maurizio Gasparri di FI e, a quanto si apprende dall’agenzia di stampa Adnkronos, si è già portato avanti registrando il dominio ‘michettisindaco.it’. – riceverà il placet del segretario leghista, si sbloccherà anche la casella Milano, per la quale lo stesso Salvini ha riferito di avere un ‘Mister X’, un nome coperto del quale si è riservato di svelare l’identità nel prossimo vertice di coalizione in programma per martedì prossimo, solo dopo averne sondato la disponibilità
Anche se mette le mani avanti e ieri ha preferito non parlare di date (“Se martedì sarà decisivo? Sarà un giorno come altri. Quando sceglieremo, lo diremo)
Ovviamente questa divisione dei pani e dei pesci nel quale le pietanze più gustose sono state riservate alla Lega e a FdI non è stato accettato con entusiasmo dagli altri, soprattutto dal coordinatore azzurro Antonio Tajani, protagonista nel corso dell’incontro di martedì scorso di un botta e risposta con Giancarlo Giorgetti dopo che quest’ultimo avrebbe fatto presente che, dal momento che non si riesce a trovare un accordo sui candidati civici, debbano essere i partiti più grandi, ovvero Lega e FdI, a scegliere i nomi da schierare.
Uno scontro mediato alla fine con la promessa che a Forza Italia spetti indicare il candidato sindaco a Bologna e il candidato governatore in Calabria.
Non è difficile capire che FI stia giocando un’altra partita che non è quella della leadership della coalizione, quella è fra Salvini e Meloni, ma per la sopravvivenza: in qualche modo vuole esistere e ha la necessità di non essere totalmente fuori dai giochi.
(da agenzie)
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