Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
“PARAGONATO A SALVINI, MELONI, SANTANCHE’ E’ QUASI UN CHURCHILL, AVREBBE RESO NORMALE LA DESTRA ITALIANA”… “LA CASA DI MONTECARLO E’ MILLE VOLTE MENO GRAVE DEI 49 MILIONI ALLA LEGA, DI RENZI IN ARABIA, DI CIO’ CHE HA FATTO BERLUSCONI E DELLE TRESCHE DI CERTI GAGLIOFFI DI FDI”
Qualche giorno fa è circolata sui social una foto di Gianfranco Fini. Era in compagnia di Francesco Storace, quindi il povero Fini non doveva passare un gran momento. Era da un po’ che non si vedeva una foto dell’ex leader di Alleanza Nazionale. In tivù non ci va quasi più e in Rete è diversamente attivo.
Nello scatto, veicolato sui social proprio dall’orgogliosamente (e comicamente) fascistissimo Storace, Fini appariva sorridente ma in qualche modo affaticato. Il viso un po’ smunto, i capelli brizzolati.
La Rete, bravissima nello scatenarsi in maniera belluina contro chi è – o anche solo sembra – in difficoltà, si è esibita in una serie di commenti feroci su Fini, quasi che invecchiare fosse un reato.
Come ebbe genialmente a dire una volta Jean-Paul Belmondo, e a dire il vero non solo lui: “Invecchiare è brutto, ma l’alternativa è parecchio peggio”. Sacrosanto. E sarebbe peraltro assai divertente, nonché illuminante, scoprire come stiano invecchiando quei carciofi che hanno insultato Fini.
Perché ne sto scrivendo? Perché quella foto mi ha messo una grande malinconia. Di più: mi ha addirittura generato una strana forma di nostalgia.
Non ho mai votato Fini, né mai potrei farlo. Incarna una storia lontanissima da me. Vent’anni fa, durante il G8 di Genova, disse e sostenne cose per me irricevibili. Per troppo tempo si è ridotto a vassallo di Silvio Berlusconi (Nanni Moretti glielo rinfacciò spesso). E ha sdoganato una classe dirigente non di rado imbarazzante, che ancora oggi vediamo in tivù e in Parlamento, e che ovviamente non ha poi avuto alcuna forma di riconoscenza nei confronti di Fini quando lo ha visto cadere.
Il suo tramonto politico è stato certo figlio di alcuni suoi errori, puntualmente ingigantiti da una stampa scorretta e incarognita. Se tutti pagassero le loro colpe come le ha pagate Fini, il Parlamento sarebbe pressoché vuoto e i talk-show risulterebbero sostanzialmente deserti. La “casa di Montecarlo” è un fatto mille volte meno grave dei 49 milioni della Lega, di Matteo Renzi da Bin Salman, di quasi tutto ciò che ha fatto Berlusconi e di non poche tresche di certi gaglioffi in quota Fratelli d’Italia, ma nel suo caso l’errore ha coinciso con “l’ergastolo”.
Non pochi suoi amici ritengono che Fini si sia suicidato politicamente da solo, lasciandosi irretire – semplifico – dal gentil sesso e comportandosi come un ingenuo adolescente. Se anche così fosse, non meritava comunque neanche un decimo della rumenta che gli hanno vomitato addosso.
E adesso? Adesso il contesto post-atomico della politica italiana contemporanea rende Fini quasi un Churchill. Paragonatelo a Salvini, a Meloni, a Borghi, a Santanchè, a Nobili e a Marcucci: in confronto pare un gigante.
Ecco perché quella foto mi ha messo nostalgia (e sono di sinistra!). Magari sbaglio, ma forse Fini – come scrisse secoli fa anche Fiorella Mannoia – avrebbe potuto rendere “normale” la destra italiana. Una destra finalmente liberale, conservatrice, mai populista e men che meno becera e xenofoba.
Qualcuno dirà che siamo messi così male da rimpiangere (da sinistra!) uno come Fini. È possibile. Resta il fatto che, dopo di lui, la destra italiana ha definitivamente sdoganato il peggio di sé. E adesso tira un’aria bruttissima, che può solo peggiorare.
Andrea Scansi
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2021 Riccardo Fucile
“ALL’ITALIA SERVE UNA DESTRA VERA CHE PARTA DA DOVE LUI L’AVEVA CONDOTTA”
Mario Landolfi-ex ministro di An, oggi editorialista del Secolo d’Italia – si è accomodato sulle colonne del Foglio vergando un corsivo che si intesta una missione spericolata: la riabilitazione a destra di Gianfranco Fini, un tempo padre padrone della destra italiana, l’uomo che la traghettò dal ghetto a una fulgida stagione di governo, passando per un’abiura del fascismo inimmaginabile nel vecchio Msi che un secolo prima lo aveva eletto segretario.
Oggi Fini è l’uomo nero per il popolo della destra: gli si rimprovera lo sgambetto a Berlusconi, la rottura del centrodestra, la nota vicenda della casa di Montecarlo; e giacchè il conto è aperto, ciascuno ci aggiunge le recriminazioni che non ebbe il coraggio di esprimere nel tempo del sole finiano allo zenit. I partiti si sciolgono così, come le grandi famiglie, tra il rimpianto dei fasti e il rinfaccio delle miserie.
Landolfi prova a dire che la destra è stata Gianfranco Fini, e che continuare a rimuoverlo non è un affare neppure per chi lo ha sostituito.
Mario Landolfi era il giovin signore di una destra napoletana che ho molto amato quando ne ero avversario e quando ne sono stato alleato: era la destra dei Rastrelli, Cantalamessa, Mazzone, Pontone, una schiatta di gentiluomini campani eleganti che incarnavano la motivazione di Enzo Bettiza quando spiegava di aver abbandonato il comunismo ‘per il fascino irresistibile di certe stoffe’.
Ecco, Landolfi è l’ultimo di quelli lì, e solo lui poteva parlare di Fini: gratificato come tutti dal leader, non lo seguì nelle acrobazie finali, rimase con Berlusconi, poi si fece da parte spontaneamente quando fu coinvolto in accuse improbabili dalle quale è uscito immacolato.
Oggi parla di Fini senza che nessuno possa sospettare manovre o interessi personali. Dice una cosa così vera che la voglio rilanciare pure io che non c’entro nulla con la storia della destra: ai vecchi camerati Fini farà anche schifo, ma la storia della destra italiana inizia e finisce con lui, col coraggio di portare a Fiuggi una squadra di reduci e farne la classe dirigente di una destra di governo rispettata e oggi anche rimpianta. Il vecchio Msi aveva educato quella classe dirigente al parlamentarismo, Fini la abilitò al governo.
Poi ci sono stati gli errori, e il diluvio universale del centrodestra. Non voglio redistribuire torti e ragioni.
Ma due cose farei osservare: primo, che nessuno è infallibile, e persino De Gasperi sbagliò i conti provando a introdurre il maggioritario nel ’53; secondo, che la lite tra Berlusconi e Fini non fu spontanea, ma intensamente provocata e alimentata dai pretoriani finiani ansiosi di sostituirsi a lui nella gestione del condominio con Silvio.
Storie vecchie. Pensiamo al futuro: all’Italia serve una destra vera, che parta da dove Fini l’aveva condotta e non imbocchi la via al contrario, tornando a carezzare nostalgie e riflessi condizionati elettoralmente remunerativi ma politicamente distruttivi.
Si dirà che questo può avvenire anche senza Fini. Può darsi. Ma intanto il sovranismo spinge la destra italiana assai più indietro non dico di An, ma dello stesso Movimento Sociale che mai si sarebbe infilato nelle strettoie di certe alleanze internazionali.
E se nei giorni della dissoluzione del governo stiamo a riparlare di Fini, diciamolo francamente, è perchè la possibile vittoria dell’attuale centrodestra fa quasi più paura del governo di dilettanti che sta passando la mano.
Gianfranco Rotondi
deputato di Forza Italia e presidente di Rivoluzione Cristiana
(da “Huffingtonpostpost”)
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Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
A PROCESSO PER RICICLAGGIO MENTRE IL COGNATO E’ ANCORA A DUBAI, IN ATTESA DELLA DECISIONE SULL’ESTRADIZIONE
L’ultima campagna elettorale, nel 2013, l’affrontò da capolista del suo partito, Futuro e libertà per l’Italia, senza però riuscire a superare la soglia minima di voti per entrare in Parlamento.
In quella appena cominciata Gianfranco Fini non sembra avere aspirazioni politiche, ma deve affrontare un problema più urgente e di altro genere: la richiesta di rinvio a giudizio notificatagli ieri dalla Procura di Roma per la vicenda che lo lega al «re delle slot machine» Francesco Corallo e alla compravendita della famosa casa di Montecarlo, ereditata dal Movimento sociale italiano (di cui fu l’ultimo segretario) e acquistata a «prezzo di favore» dalla sua compagna e dal cognato, Elisabetta e Giancarlo Tulliani, protetti da un paio di società off shore. Con i soldi di Corallo.
Insieme ai fratelli Tulliani e al padre dei due, Sergio, Fini è accusato di riciclaggio del denaro che Corallo avrebbe guadagnato illecitamente sottraendolo alle casse dello Stato quando ha ottenuto le concessioni pubbliche per i videogiochi (circa 200 milioni di euro); almeno per la parte che è finita nella disponibilità dei suoi familiari, calcolata dagli investigatori in oltre 4 milioni.
Secondo il procuratore aggiunto Michele Prestipino e il sostituto Barbara Sargenti che hanno coordinato l’indagine, infatti, i soldi venivano dai conti dell’imprenditore «con cui Gianfranco Fini aveva stretto intesa».
Alla base dei versamenti, quindi, ci sarebbe un accordo tra Fini e Corallo che risalirebbe al 2004, prima che i Tulliani entrassero nella vita dell’ex leader del Msi e di Alleanza nazionale.
Così ha raccontato un altro ex esponente di quei partiti, Amedeo Laboccetta, pure lui imputato nello stesso procedimento per associazione a delinquere e altri reati, che a differenza di Fini dopo la rottura con Berlusconi è rimasto fedele al leader di Forza Italia.
E gli inquirenti ritengono di aver trovato i necessari riscontri, compreso il fatto che intorno al «re delle slot» hanno gravitato nei primi anni 2000 diversi uomini di An a loro volta strettamente legati all’ex capo.
Di qui la convinzione dei pubblici ministeri e del giudice Simonetta D’Alessandro – che nel corso dell’inchiesta ha ordinato gli arresti di Corallo, Laboccetta e Giancarlo Tulliani, tuttora trattenuto a Dubai in attesa di estradizione – che Fini fosse il «protettore politico» di Corallo, il quale aveva bisogno di provvedimenti legislativi favorevoli allo sviluppo dei suoi affari, e che poi abbia addirittura utilizzato i Tulliani come «prestanome»; fino a ipotizzare di farli diventare soci dell’imprenditore.
L’ex leader di An (nonchè ex vice-presidente del Consiglio e ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, ed ex presidente della Camera) nega tutto e ha già denunciato per calunnia Laboccetta. Che lo accuserebbe, nella sua interpretazione, «per chiari ed evidenti motivi di livore e contrasto politico».
Ma nonostante Fini si sia presentato per due volte davanti ai pm per rispondere alle contestazioni, non è riuscito a convincerli delle proprie ragioni.
Neanche quando, nell’ultimo interrogatorio del 16 novembre scorso, ha dovuto ammettere consapevolezze e reticenze del passato sull’affare della casa di Montecarlo, comprata e rivenduta nel giro di poco tempo (dopo essere stata residenza di Giancarlo) con un guadagno netto di almeno un milione di euro.
«Quando ho appreso, dalle indagini, che Elisabetta aveva ottenuto la metà del ricavato della vendita ovviamente mi sono molto dispiaciuto e arrabbiato – ha spiegato Fini, assistito dall’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, difensore anche di Elisabetta Tulliani che finora non ha risposto alle domande dei magistrati –. Lei mi ha confessato solo recentemente che, insieme a Giancarlo, nel 2008, avevano deciso di comprare quell’appartamento, e che, per evitare che la proprietà fosse di pubblico dominio, il fratello aveva appositamente costituito le società off shore Timara e Printemps… Non l’ho riferito nel primo interrogatorio di aprile per timore delle ripercussioni laceranti che tali affermazioni avrebbero potuto causare nel mio ambito familiare, soprattutto con riferimento alle mie figlie. Oggi però sono convinto che per affermare la mia onorabilità devo prescindere dalle mie vicende familiari, per quanto dolorose. Chiesi spiegazioni a a Elisabetta, mi disse che non sapeva da dove provenisse il danaro impiegato, mi ha riferito che di tutto si era occupato il fratello Giancarlo. Se io avessi avuto, nel 2008, il minimo sospetto che dietro le società off shore ci fossero stati i due fratelli Tulliani, mai avrei autorizzato la vendita».
Non è bastato, e ora è arrivata la richiesta di mandarlo sotto processo, che sarà valutata dal giudice dell’udienza preliminare.
Con Elisabetta e Giancarlo Tulliani, assistito dall’avvocato Nicola Madia, l’ex leader risponde anche di autoriciclaggio per il reimpiego dei soldi ricavati dalla vendita della casa di Montecarlo.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Gennaio 22nd, 2018 Riccardo Fucile
RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE PER IL RE DELLE SLOT CORALLO E LABOCCETTA
La Procura di Roma vuole il processo, per il reato di riciclaggio, a carico dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, della sua compagna Elisabetta Tulliani, degli altri familiari di quest’ultima (dal fratello Giancarlo al padre Sergio) coinvolti in una serie di operazioni finanziarie a cominciare da quella legata all’appartamento di Montecarlo (che una contessa aveva lasciato in eredità ad An) che Giancarlo Tulliani avrebbe acquistato con i soldi di Francesco Corallo, il ‘re delle slot’, attraverso la creazione di due società off-shore, la Printemps e la Timara: una spesa di poco superiore ai 300mila euro nel 2008 quando la cessione dell’immobile nel 2015 fruttò un milione e 360mila dollari.
Un’operazione di compravendita che Fini avrebbe autorizzato senza sapere (così si è giustificato davanti agli inquirenti) che dietro c’era suo cognato.
I magistrati di piazzale Clodio hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio che coinvolge complessivamente dieci persone, tra cui lo stesso Corallo e l’ex parlamentare di An Amedeo Laboccetta, deputato napoletano di Forza Italia nonchè vice coordinatore campano azzurro, che rispondono, con altri quattro, di associazione per delinquere.
Secondo l’ipotesi dei pm, al fine di commettere “una serie di reati di peculato, riciclaggio, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e appropriandosi di ingenti somme di denaro (oltre 85 milioni di euro) corrispondenti al mancato pagamento dei tributi erariali, dovuti dalla società concessionaria Atlantis World Group of Companies per l’attivazione e la conduzione operativa della rete, per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento o intrattenimento”, il sodalizio avrebbe “trasferito tra il 2004 e il 2007 la liquidità così illecitamente accumulata (oltre 50 milioni di euro) dai conti correnti della concessionaria (stabile organizzazione in Italia di Atlantis/BPlus) verso conti correnti esteri olandesi, ed inglesi di altre società del Gruppo Corallo, e successivamente, verso un conto corrente di società offshore acceso a Saint Maarten (Antille Olandesi), sempre riconducibile al promotore e capo dell’associazione, Francesco Corallo, in modo da ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa e di poterla definitivamente impiegare in acquisizioni immobiliari ed attività economiche e finanziarie”.
Quanto a Fini e ai suoi familiari, la Procura resta convinta, al di là del recente interrogatorio reso a piazzale Clodio dall’ex leader di An, che Giancarlo ed Elisabetta Tulliani, titolari delle società offshore Printemps Ltd, Timara Ltd e Jayden Holding Ltd, abbiano “messo a disposizione i conti correnti di tali società per ricevere ingenti somme di denaro dal conto corrente acceso presso la First Carribean International Bank e intestato alla Dawn Properties, riconducibile a Corallo con cui Fini aveva stretto intesa, e su cui era delegato ad operare in qualità di director Rudolf Baetsen, con la consapevolezza della provenienza delittuosa, consentendo la realizzazione del segmento finale del flusso di denaro tra Italia, Olanda, Antille Olandesi, Principato di Monaco e Santa Lucia”.
Oltre a questo, i magistrati romani hanno attribuito a Fini altri tre episodi di riciclaggio più uno di impiego di denaro di provenienza illecita assieme alla compagna Elisabetta e a Giancarlo Tulliani: le somme di denaro ricevute dal conto acceso presso la FCIB e poi bonificate da Baetsen, sarebbero state destinate “all’acquisto dell’appartamento di Montecarlo, già di proprietà di An, di cui erano divenuti i proprietari occulti. E dopo che, l’immobile era stato rivenduto, il 15 ottobre del 2015 dalla Timara Ltd, compivano ulteriori transazioni bancarie con le quali impiegavano, sostituivano e trasferivano la somma di denaro pari a 1,2 milioni di euro, derivata dalla compravendita, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa, utilizzando diversi conti correnti anche esteri”.
I pm ritengono poi che Giancarlo Tulliani abbia ricevuto sul proprio conto corrente presso la Caisse d’Epargne-Costa Azzurra, filiale francese di Beausoleil, il 5 novembre 2015, un bonifico di 1,2 milioni di euro, disposto da uno studio notarile, in merito a una vendita immobiliare.
E che, successivamente, da tale rapporto avrebbe trasferito sul proprio conto corrente italiano Mps la somma di 140mila euro (l’11 novembre 2015), di 145mila (il 20 novembre) e 560mila (il 9 settembre 2016).
Elisabetta Tulliani, dal canto suo, tra il 24 novembre e il 10 dicembre 2015, avrebbe ricevuto sul conto corrente acceso presso Mps 290mila euro e poi 449mila euro, bonificate dal fratello, con la causale ‘prestito infruttifero’, dal conto Mps di Giancarlo che era alimentato esclusivamente, fin dalla sua apertura, dal conto Caisse d’Epargne”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
“NON SAPEVO CHE CI FOSSE MIO COGNATO DIETRO L’ACQUISTO DELLA CASA DI MONTECARLO E NON CONOSCEVO I SUOI RAPPORTI CON CORALLO”… I PM “ERA PERFETTAMENTE CONSAPEVOLE, FECE APPROVARE LEGGI AD HOC”
«Non ho commesso alcun riciclaggio. Sono totalmente estraneo ai fatti che mi contestate. Assolutamente innocente». Si è difeso così l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini ieri pomeriggio davanti al procuratore aggiunto della Dda di Roma, Michele Prestipino e al pm Barbara Sargenti che gli contestano il reato di concorso in riciclaggio insieme a sua moglie Elisabetta Tulliani, al padre della stessa, Sergio, e al fratello di Elisabetta e cognato di Fini, Giancarlo arrestato dieci giorni fa a Dubai con l’ipotesi di aver veicolato all’estero denaro proveniente da presunte operazioni illecite del “re delle slot”, Francesco Corallo.
L’interrogatorio di oggi è l’ultimo atto del procedimento, per il quale la procura di Roma ha già notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari, provvedimento solitamente propedeutico alla successiva richiesta di rinvio a giudizio.
L’inchiesta della Dda di Roma nasce da alcuni accertamenti sull’imprenditore dei videogiochi Francesco Corallo (anche nei suoi confronti oggi la procura ha notificato la chiusura indagini).
L’indagine ruota principalmente attorno al famoso appartamento di Montecarlo (che una contessa aveva lasciato in eredità ad An) che Giancarlo Tulliani acquistò con i soldi di Corallo attraverso la creazione di due società off-shore, la Printemps e la Timara: poco più di 300 mila euro nel 2008 quando la cessione dell’immobile nel 2015 fruttò un milione e 360 mila dollari.
Un’operazione di compravendita che Fini avrebbe autorizzato senza sapere (così si è giustificato davanti ai pm quando venne interrogato) che dietro c’era suo cognato.
L’ex leader di An ha anche spiegato a suo tempo di essere all’oscuro dei legami finanziari esistenti tra il «Re dello slot», Corallo e la famiglia Tulliani, ma le sue parole non sembrano aver convinto i magistrati.
Secondo i magistrati, invece, un ‘fiume’ di denaro sarebbe entrato nelle tasche dei Tulliani grazie a Corallo, la cui attività imprenditoriale sarebbe stata agevolata da leggi ‘ad hoc’ approvate quando il partito di Fini era al governo. E che l’affare immobiliare, realizzato «alle condizioni concordate con Corallo ed i Tulliani», venne deciso proprio dall’esponente politico «nella piena consapevolezza di tali condizioni».
Inoltre con decreto del gip erano state sequestrate due polizze vita del valore di quasi un milione di euro a Fini, e beni per oltre 7 milioni di euro ai Tulliani.
Secondo il capo d’imputazione il «re delle slot» Francesco Corallo e l’ex parlamentare di An, Amedeo Laboccetta si sarebbero associati in maniera illecita tra loro con la complicità di Theodoor Baetsen, Alessandro La Monica, Arturo Vespignani, e Lorenzo Lapi per commettere reati quali il peculato e il riciclaggio.
Secondo l’accusa dunque l’associazione si sarebbe appropriata di oltre 85 milioni di euro riciclandone poi circa la metà dalla società di Corallo (Atlantis/BPlus) verso un conto corrente estero (nelle Antille Olandesi) sempre riferibile al gruppo Corallo.
(da “La Stampa”)
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Novembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
“L’OPERAZIONE L’HO GESTITA IO, I SOLDI LI HA MESSI LUI”… L’EX DIRETTORE DELL’AVANTI RIVELA IL CASO DI CORRUZIONE INTERNAZIONALE IN TUTTI I DETTAGLI
«I documenti della casa di Montecarlo, quella comprata dal cognato di Gianfranco Fini , il signor Giancarlo Tulliani, me li sono procurati io. Li ho ottenuti direttamente da funzionari governativi dell’isola di Santa Lucia. Ovviamente hanno voluto dei soldi per darmeli. Molti soldi. Tutta l’operazione è stata finanziata da Silvio Berlusconi. È lui che mi ha consegnato a Palazzo Grazioli circa 500 mila euro in contanti, che io ho fatto portare ai Caraibi con un aereo partito da Ciampino. Era l’estate del 2010. Tornassi indietro non rifarei quello che ho fatto».
Valter Lavitola, ex direttore dell’Avanti, un tempo vicinissimo a Bettino Craxi, diventato dieci anni fa faccendiere di successo e compagno di avventure del capo del centro destra italiano, è seduto sul divano del suo piccolo appartamento a Roma, nel quartiere di Monteverde.
Apre la porta dopo aver accettato di parlare all’Espresso del misterioso dossieraggio sulla casa di Montecarlo, che ha modificato la storia recente del centrodestra italiano.
Racconta, per la prima volta, ogni dettaglio della vicenda, autoaccusandosi di aver pagato funzionari pubblici di un paese straniero: se in una lettera a Berlusconi sequestrata dai pm aveva definito i denari ricevuti dal capo di Forza Italia un semplice “rimborso spese”, ora — mentre Fini rischia il processo per riciclaggio e Berlusconi è tornato in campo più forte che mai — ammette che i soldi servirono per foraggiare i governanti dell’isola caraibica affinchè producessero ad hoc un documento che inchiodasse l’ex leader di An.
Valter, uscito di galera un anno fa anche per una condanna per tentata estorsione a Berlusconi («mi brucia ancora, lui mi avrebbe potuto scagionare») si sgranchisce le mani.
«L’idea mi è venuta nell’estate del 2010. Quando i quotidiani berlusconiani indicano come le società che avevano acquistato la casa di Montecarlo avevano sede ai Caraibi, nella piccola isola di Santa Lucia, appunto».
Negli staterelli del Golfo Del Messico Valter fa affari da tempo, e ha ottime relazioni con persone influenti. «In primis l’allora presidente di Panama, Ricardo Martinelli. Lo conoscevo prima della sua scalata al potere: lui aveva supermercati a cui vendevo i prodotti pescati con le mie barche in Brasile. Chiesi aiuto a lui: mi disse che mi avrebbe aiutato con le autorità di Santa Lucia a far uscire le carte».
Avuto il placet per l’operazione dall’allora presidente del Consiglio italiano, Valter spiega di essere tornato a Panama.
«Ricardo si mise a mia disposizione. Mi procurò un aereo privato con cui andai, per la prima volta, da Panama a Santa Lucia. Non partii da solo, ma con un uomo dei servizi inglesi, che mi aiutò durante tutta l’operazione. Fu lui a portarmi da un funzionario del governo dell’isola, dicendomi che ci avrebbe potuto dare una mano. O meglio: per 100 mila dollari ci avrebbe consegnato la copia di una email che avrebbe provato quello che tutti, in Italia, si stavano chiedendo. Ossia se la casa di Montecarlo fosse stata effettivamente comprata dal cognato di Fini, Giancarlo Tulliani. La mail era stata mandata ad agosto 2010 dal broker James Walfenzao, un collaboratore dei Corallo , ai due fiduciari dei fondi segreti Printemps e Timara proprietari dell’appartamento. Nell’informativa Walfenzao parlava di un coinvolgimento diretto di Tulliani».
La mail, in effetti, fu pubblicata sull’Avanti a inizio ottobre del 2010.
«Pago i centomila, afferro la copia della mail, e metto i duecentomila che mi restano in una cassetta di sicurezza. Dissi a Berlusconi che eravamo a cavallo, ma lui mi spiegò che con quel solo documento non inchiodavamo nessuno. Che ci voleva qualcosa di più: le carte originali delle società proprietarie della casa di Montecarlo».
Comprare anche quelle, chiosa ancora Lavitola, si rivelò però impossibile: il concessionario che gestiva le società offshore, avesse girato documenti riservati, avrebbe creato a sè stesso un danno d’immagine colossale.
«Il mio amico inglese, però, trovò una soluzione: quella di far scrivere una informativa confidenziale destinata al presidente dell’isola e firmata da un ministro che facesse definitiva chiarezza sul legame tra Tulliani e le società che avevano rilevato da An la casa di Montecarlo. I funzionari governativi ci chiesero 800 mila dollari»
Secondo il giornalista amico di Bettino Craxi l’intervento di Berlusconi fu provvidenziale. «Spiegai al premier quello che mi avevano chiesto e lui mi diede, a Palazzo Grazioli, circa 500 mila euro in contanti per pagarli».
Fosse vero quello che il faccendiere si configurerebbe, probabilmente, un reato di corruzione internazionale.
«Lei si sbaglia. Ritengo che io e Berlusconi non abbiamo commesso alcun crimine. Abbiamo solo pagato una notizia come fanno molti giornalisti. Ammetto che la somma è ragguardevole. In ogni caso, sarebbe tutto prescritto».
L’ex direttore del giornale socialista prende fiato.
«Comunque, non portai io i soldi avuti da Berlusconi a Santa Lucia. Ci pensò ancora una volta l’agente inglese, che aveva un passaporto diplomatico e che, mi confermò lui stesso, si sarebbe spartito i soldi con i governanti caraibici. Lo stesso giorno in cui presi i soldi da Berlusconi, l’inglese atterrò a Ciampino. Il pomeriggio gli diedi i soldi. Tornammo con due voli diversi. Pagammo e avemmo dal solito funzionario la famosa lettera. “Bingo!”, mi dissi. Il gioco era fatto».
(da “l’Espresso”)
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Ottobre 19th, 2017 Riccardo Fucile
STESSA SORTE PER I TULLIANI E LABOCCETTA
Rischio processo per l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini.
La procura di Roma ha notificato l’atto di chiusura indagini all’ex leader di An, alla sua compagna Elisabetta Tulliani, al fratello di quest’ultima, Giancarlo e al padre Sergio.
Le accuse nei confronti degli indagati sono quelle di riciclaggio.
La chiusura delle indagini preliminari fatta recapitare oggi dal procuratore aggiunto Michele Prestipino agli indagati è l’atto che precede di norma la richiesta di rinvio a giudizio.
L’inchiesta della Dda di Roma nasce da alcuni accertamenti sull’imprenditore dei videogiochi Francesco Corallo (anche nei suoi confronti oggi la procura ha notificato la chiusura indagini). L’indagine ruota principalmente attorno al famoso appartamento di Montecarlo (che una contessa aveva lasciato in eredità ad An) che Giancarlo Tulliani acquistò con i soldi di Corallo attraverso la creazione di due società off-shore, la Printemps e la Timara: poco più di 300 mila euro nel 2008 quando la cessione dell’immobile nel 2015 fruttò un milione e 360 mila dollari.
Un’operazione di compravendita che Fini avrebbe autorizzato senza sapere (così si è giustificato davanti ai pm quando venne interrogato) che dietro c’era suo cognato.
L’ex leader di An ha anche spiegato a suo tempo di essere all’oscuro dei legami finanziari esistenti tra il “Re dello slot”, Corallo e la famiglia Tulliani, ma le sue parole non sembrano aver convinto i magistrati.
Secondo i magistrati, invece, un “fiume” di denaro sarebbe entrato nelle tasche dei Tulliani grazie a Corallo, la cui attività imprenditoriale sarebbe stata agevolata da leggi “ad hoc” approvate quando il partito di Fini era al governo.
E che l’affare immobiliare, realizzato “alle condizioni concordate con Corallo ed i Tulliani”, venne deciso proprio dall’esponente politico “nella piena consapevolezza di tali condizioni”. Inoltre con decreto del gip erano state sequestrate due polizze vita del valore di quasi un milione di euro a Fini, e beni per oltre 7 milioni di euro ai Tulliani.
Chiusura indagine anche per il “re delle slot” Corallo. Con altri, tra cui l’ex parlamentare Laboccetta (anche lui rischia il processo), è accusato di aver creato un’associazione finalizzata al peculato, riciclaggio, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, “appropriandosi di 85 milioni, corrispondenti al mancato pagamento dei tributi erariali, dovuti dalla Atlantis World Group”.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile
“FINI AVEVA UNA CENTRALITA’ PROGETTUALE E DECISIONALE NELLA VICENDA, E’ STATO ARTEFICE DEI RAPPORTI TRA CORALLO E I TULLIANI”… PER LE DUE POLIZZE SONO STATE GIA VERSATI 934.000 EURO
Gianfranco Fini sapeva della casa di Montecarlo. Aveva una «centralità progettuale e decisionale nella vicenda» e le sue dichiarazioni sono «del tutto inverosimili». Secondo il giudice per le indagini preliminari, quindi, Fini non era un «coglione», come si era autodefinito tempo fa.
I pm, infatti, contestano all’ex ministro degli Esteri di avere, «d’intesa con la compagna e suo fratello, messo a disposizione» i conti di una serie di società off-shore «per ricevere ingenti somme di denaro da un conto riconducibile a Corallo». Ricostruzione che il gip condivide.
Proprio per questo, nell’ordinanza di sequestro scrive che Fini «concorrendo con i Tulliani nei rispettivi delitti contestati, può essere destinatario del provvedimento ablativo in proprio nonchè in virtù del principio solidaristico operante in materia, con riferimento ai reati commessi in concorso con Tulliani il cui patrimonio si è rivelato insufficiente a coprire valore del profitto illecito determinato».
E quindi per questo per il gip “va accolta la richiesta di sequestrare un valore complessivo di € 934.441,72 contenuto nella polizza nr.1563224 stipulata con Axa Mps Financial Ltd ed intestata a Fini (al 31.12.2016 risultavano versamenti per € 467.220,86) e nella polizza nr.1563225 stipulata con Axa Mps Financial Ltd ed intestata sempre a Fini (al 31.12.2016 risultavano versamenti per € 467.220,86)”. L’inchiesta, condotta dal Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (Scico) della guardia di finanza, portò in carcere nel dicembre scorso lo stesso Corallo e altre quattro persone.
Secondo gli investigatori, Corallo assieme a Alessandro La Monica, Arturo Vespignani, Amedeo Laboccetta, Rudolf Theodoor e Anna Baetsen, avrebbero fatto parte di un’associazione a delinquere che avrebbe evaso le tasse e dedita al riciclaggio.
I soldi, una volta ripuliti, sarebbero stati utilizzati da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche nell’acquisto di immobili che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani tra cui l’appartamento di Montecarlo ceduto da Alleanza Nazionale alle società offshore Printemps e Timara, riconducibili a Giancarlo e Elisabetta Tulliani.
Secondo gli investigatori della Guardia di Finanza, l’operazione di vendita dell’appartamento di Montecarlo, realizzata “alle condizioni concordate con Corallo ed i Tulliani”, fu decisa proprio da Fini “nella piena consapevolezza di tali condizioni”.
L’ex presidente della Camera, insomma, sarebbe stato “artefice dei rapporti che si sono instaurati tra Corallo e i membri della famiglia Tulliani, rapporti in forza dei quali costoro hanno ricevuto dal primo cospicue somme di denaro, in assenza di qualsiasi causale logica, ovvero in presenza di causali non collegabili a reali prestazioni effettuate”.
Il 10 aprile, quando è stato sentito dai magistrati della Procura, Fini aveva negato ogni accusa, precisando come il suo coinvolgimento fosse “frutto delle false dichiarazioni rese da Amedeo Laboccetta (ex parlamentare, ndr) e delle millanterie di Giancarlo Tulliani nei confronti suoi e della sorella Elisabetta, per accreditarsi con Corallo”. Adesso, a seguito della parziale discovery di quell’atto istruttorio contenuto nel decreto di sequestro preventivo delle due polizze, si viene sapere che “quella negatoria di Fini è del tutto inverosimile”, per chi indaga, “ove si pensi al capo di imputazione contestato (quello sul riciclaggio, ndr), vicenda cruciale e nevralgica, snodo essenziale, reato fondante dell’intera serie criminosa ricostruita”.
Per il gip, Fini, alle varie fattispecie penali, “ha partecipato come concorrente, ideatore, perfettamente a conoscenza dei singoli snodi, dei tentativi societari, prima, e delle conclusioni tese a più usuali investimenti commerciali, poi”.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 29th, 2017 Riccardo Fucile
I MAGISTRATI RITENGONO INVEROSIMILE CHE I TULLIANI SI SIANO ARRICCHITI A INSAPUTA DI FINI: UNA LUNGA SERIE DI DOCUMENTI E TESTIMONIANZE PROVEREBBERO LA SUA PIENA “CONSAPEVOLEZZA”
Per ordine dei magistrati di Roma, questa mattina i militari dello Scico (il reparto antimafia della Guardia di Finanza) hanno sequestrato all’ex presidente della Camera due polizze vita del valore di un milione di euro.
Da alcuni mesi Fini è indagato con l’accusa di complicità nel riciclaggio di un tesoro intestato a tre suoi congiunti: circa 6 milioni di euro versati segretamente, attraverso anonime società offshore, dal re delle slot machine Francesco Corallo, che dal dicembre scorso è in stato d’arresto alle Antille Olandesi.
Corallo, titolare del gruppo Global Starnet (già denominato Atlantis e poi Bplus), è l’imprenditore catanese che nel 2004 ha ottenuto, benchè figlio di un pericoloso pregiudicato, la concessione statale a gestire il business miliardario delle macchinette mangiasoldi (new slot e vlt) che a partire da quell’anno hanno invaso l’Italia.
Il re del gioco d’azzardo è stato arrestato con i più stretti collaboratori nella sua base ai Caraibi, con l’accusa di aver sottratto all’Italia oltre 250 milioni di euro: profitti incamerati con le macchinette mangiasoldi, trasferiti all’estero e occultati in anonime società offshore.
L’indagine internazionale ha accertato che dalle casseforti segrete di Corallo è uscito un fiume di denaro che ha premiato anche tre familiari di Fini: la consorte Elisabetta Tulliani, suo fratello Giancarlo e il loro padre Sergio, che in totale si sono divisi, a partire dal 2008, quasi sette milioni di dollari.
Interrogato dai magistrati di Roma dopo l’avviso di garanzia, Fini ha giurato di non aver mai saputo nulla dei fondi neri intascati dai suoi congiunti.
E ha definito false le dichiarazioni accusatorie dell’ex parlamentare Amedeo Laboccetta, inquisito e poi scarcerato, che aveva accusato Fini, tra l’altro, di aver incontrato personalmente Corallo sia in Italia che ai Caraibi.
Ma ora nelle motivazioni del sequestro patrimoniale, chiesto dal pm Barbara Sargenti con l’aggiunto Michele Prestipino e il procuratore capo Giuseppe Pignatone, il giudice delle indagini preliminari, Simonetta D’Alessandro, definisce «del tutto inverosimile» la versione di Fini secondo cui i Tulliani si sarebbero arricchiti a sua insaputa.
ll provvedimento, al contrario, elenca una lunga serie di documenti, testimonianze e altri indizi concatenati che, secondo l’accusa, proverebbero la «piena consapevolezza» di Fini.
In questo capitolo dell’inchiesta rientra anche lo scandalo politico dell’appartamento di Montecarlo : una casa di proprietà di Alleanza nazionale che nel 2008, con l’autorizzazione dell’allora presidente Fini, fu venduta a due società offshore, dietro le quali si nascondevano proprio Giancarlo ed Elisabetta Tulliani.
L’inchiesta ha documentato che i due fratelli, a conti fatti, non spesero un soldo: il prezzo fu pagato interamente delle offshore di Corallo; e i Tulliani hanno poi rivenduto l’appartamento guadagnandoci un altro milione di euro.
Elisabetta, in particolare, ha intascato personalmente un bonifico di 739 mila euro netti. In questi mesi la procura di Roma ha già ottenuto il sequestro di una dozzina di appartamenti e box nella zona di Roma, che risultano acquistati con un’altra parte del presunto bottino.
Si tratta dei 3 milioni e 599 mila dollari versati nel 2009 dalle solite offshore Corallo su un conto estero intestato a Sergio Tulliani, che questi ha poi girato ai figli Giancarlo ed Elisabetta, per essere reimpiegati, appunto, negli investimenti immobiliari che hanno fatto scattare anche la nuova accusa di «auto-riciclaggio».
Gli avvocati Michele Sarno e Francesco Caroleo Grimaldi, che assistono Fini, ora annunciano un ricorso al tribunale del riesame e ribadiscono «l’assoluta estraneità » dell’ex leader di An.
Secondo i legali, inoltre, le polizze sono state sequestrate «per equivalente», per cui non sarebbero state create con soldi sporchi versati da Corallo ai Tulliani: sarebbero invece risparmi personali dell’ex leader di An, investiti da tempo in polizze intestate ai figli minorenni.
(da “L’Espresso”)
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