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FINI, SEQUESTRATI BENI PER UN MILIONE DI EURO: “DECISE LUI L’ACQUISTO DELLA CASA DI MONTECARLO”

Maggio 29th, 2017 Riccardo Fucile

FINI E’ INDAGATO PER RICICLAGGIO NELL’INCHIESTA CORALLO: “ERA PIENAMENTE CONSAPEVOLE DELLE CONDIZIONI”

Fu Gianfranco Fini a decidere l’acquisto della casa di Montecarlo. Lo scrivono gli uomini della Guardia di Finanza, che questa mattina hanno sequestrato all’ex presidente della Camera due polizze vita per un valore totale di un milione di euro su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Roma.
L’indagine, condotta dal Servizio centrale di investigazione sulla criminalità  organizzata (Scico), aveva condotto nel dicembre scorso, all’arresto del ‘re delle slot’ Francesco Corallo, e altre quattro persone, tra le quali l’ex parlamentare del Pdl Amedeo Laboccetta, ritenute parte di un’associazione dedita ai reati di peculato, riciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Il profitto illecito del gruppo, una volta ‘depurato’, secondo gli inquirenti sarebbe stato impiegato da Corallo in attività  economiche e finanziarie, in acquisizioni immobiliari, e destinato anche ai membri della famiglia di Elisabetta Tulliani, moglie di Fini, suo fratello Giancarlo Tulliani, e il padre Sergio.
Tra gli immobili acquistati figura, secondo la Guardia di Finanza, anche l’appartamento ceduto da Alleanza Nazionale alle società  offshore Printemps e Timara, riconducibili a Giancarlo e Elisabetta Tulliani”.
Questo “negozio giuridico, realizzato alle condizioni concordate con Francesco Corallo ed i Tulliani, è stato deciso da Gianfranco Fini nella piena consapevolezza di tali condizioni”.
Secondo quanto ricostruiscono i finanzieri, inoltre, è emerso come “i membri della famiglia Tulliani dal 2008 abbiano ricevuto, per il tramite di società  offshore riconducibili a Corallo, oltre sette milioni di euro, trasferiti su conti personali e su conti di società  a loro direttamente o indirettamente riconducibili”.
Già  a febbraio il gip aveva emesso un “decreto di sequestro per equivalente relativo a beni immobili, mobili e conti correnti, della famiglia Tulliani”.
Da ulteriori indagini, si legge ancora, è emerso come “Fini sia stato artefice dei rapporti che si sono instaurati tra Francesco Corallo e i membri della famiglia Tulliani, rapporti in forza dei quali costoro hanno ricevuto dal primo le cospicue somme di denaro menzionate, in assenza di qualsiasi causale logica, ovvero in presenza di causali non collegabili a reali prestazioni effettuate”.
Proprio sulla base di queste nuove indagini, è stato emesso il decreto di sequestro preventivo eseguito nei suoi confronti: due polizze dal valore di riscatto di 495 mila euro l’una.
Il 10 aprile Fini è stato sentito dalla procura di Roma e si è detto estraneo ai fatti. Il fascicolo che lo riguarda è una tranche dell’inchiesta sulla presunta associazione a delinquere transnazionale che, secondo chi indaga, riciclava tra Europa e Antille i proventi del mancato pagamento delle imposte sul gioco on-line e sulle video-lottery. Fini respinge ogni accusa e rende noto di aver denunciato per calunnia Laboccetta, dalle cui dichiarazioni sono nate le accuse dirette all’ex presidente della Camera.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA DIFESA DI FINI DAVANTI AL PM: “TULLIANI HA MENTITO A ME ED ELISABETTA”

Aprile 11th, 2017 Riccardo Fucile

INDAGATO PER RICICLAGGIO, L’EX LEADER DI AN AMMETTE: “HO SAPUTO CHE LA CASA DI MONTECARLO ERA STATA COMPRATA DA TULLIANI A FINE 2010. NON L’HO MAI DETTO PER LE CONSEGUENZE POLITICHE”

Contro Amedeo Laboccetta, un tempo fedele deputato del suo partito e oggi suo principale accusatore, Gianfranco Fini ha presentato una denuncia per calunnia.
Di suo cognato Giancarlo Tulliani, invece, dice che ha imbrogliato sia lui che la sorella, cioè la sua compagna Elisabetta: «Lei mi ha sempre negato di essere stata la coproprietaria dell’appartamento di Montecarlo attraverso le società  Primtemps e Timara; ritengo che sia stata ingannata dal fratello, rendendo più credibile a Francesco Corallo che io sapessi del denaro».
L’ex vicepremier, ex ministro degli Esteri ed ex presidente della Camera s’è presentato lunedì pomeriggio davanti ai pubblici ministeri di Roma che l’hanno inquisito per riciclaggio nell’inchiesta sull’imprenditore dei videogiochi Francesco Corallo, per difendersi e provare a separare il suo destino processuale da quello del cognato latitante a Dubai.
Un interrogatorio e una memoria consegnata al procuratore aggiunto Michele Prestipino e al sostituto Barbara Sargenti – in un ufficio lontano dal palazzo di giustizia, assistito dagli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno – per sostenere che «i Tulliani non sono mai stati i miei prestanome o i miei emissari», e ipotizzare che «Giancarlo Tulliani abbia ricevuto danaro da Corallo (oltre 5 milioni di euro secondo i magistrati, ndr), direttamente e tramite il padre, con una continua opera di millanteria, facendogli credere che io ne fossi a conoscenza».
Quanto al famoso appartamento di Montecarlo acquistato da Tulliani con i soldi di Corallo, «è falso che io avrei chiesto a Corallo di comprare una casa e lui si dichiarò disponibile, come riferito da Laboccetta».
Secondo la versione di Fini, «nei primi mesi del 2008 Giancarlo Tulliani mi disse che una società  era interessata ad acquistare suo tramite l’appartamento ereditato da Alleanza nazionale. Commisi la leggerezza, resa ancor più grave dal fatto che non verificai la natura della società  acquirente, di autorizzare la vendita dell’appartamento».
Solo a dicembre 2010, aggiunge Fini, seppe che il vero titolare era suo cognato: «In quel momento ebbi la certezza che Giancarlo Tulliani mi aveva ingannato e mentito, e ruppi i rapporti con lui. Non resi pubbliche le conclusioni cui ero giunto per timore delle conseguenze politiche. Si trattò certamente di un grave errore, che però non fu in alcun modo determinato dalla volontà  di negare o occultare comportamenti illegali».
Nessun reato
Ingenuità  e qualche bugia, insomma, ma nessun reato. La difesa di Fini si tramuta in accusa a Laboccetta quando dice che mente sui suoi rapporti con Corallo: lui nemmeno sapeva che conoscesse il «re delle slot machine», glielo presentò nel 2004 e pensava che la vacanza ai Caraibi l’avesse pagata Laboccetta, non Corallo. Che invece, continua l’ex leader di An, conosceva e si frequentava «assiduamente» con Tulliani «almeno sei mesi prima» che lui conoscesse personalmente il cognato.
Come Tulliani abbia agganciato Corallo, o viceversa, Fini però non sa dirlo con precisione.
L’indagine continua
In ogni caso tutto sarebbe avvenuto sopra la sua testa, senza che lui sapesse nulla del decreto-legge in favore delle società  di Corallo («non ebbi alcun ruolo nell’iter di discussione e approvazione»), nè dei rapporti tra altri personaggi a lui vicini e l’imprenditore tuttora latitante.
I pm ritengono di aver già  acquisito diversi elementi a sostegno dell’accusa anche attraverso il ruolo di Elisabetta Tulliani (a sua volta indagata), ma Fini insiste: «Delle operazioni finanziarie intercorse tra Corallo e Giancarlo e Sergio Tulliani, dei conti correnti che le hanno rese possibili e delle ingenti somme di denaro che vi sono transitate non ho mai saputo nulla».
L’indagine continua.

(da “Il Corriere della Sera“)

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IL GIUDICE ACCUSA FINI: “I FRATELLI TULLIANI ERANO SUOI EMISSARI”

Marzo 21st, 2017 Riccardo Fucile

SECONDO LABOCCETTA “LA VICENDA DELLA CASA DI MONTECARLO NASCE DA UNA RICHIESTA DI FINI”… I GIUDICI: “ABBIAMO AVUTO RISCONTRI”… “PER LA CONCESSIONE A CORALLO SI MOSSE L’INTERO GRUPPO DI AN”

L’affare della casa di Montecarlo, secondo il racconto dell’ex deputato di Alleanza nazionale Amedeo Laboccetta, nacque tra il tavolo di un ristorante vicino al Pantheon e l’appartamento privato a Montecitorio dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, in un giorno del 2008.
A sigillo delle esplicite richieste fatte dal cognato di Fini, Giancarlo Tulliani, che da ieri è latitante, al «re delle slot machine» Francesco Corallo.
«Nel corso di un pranzo – ha detto ai pubblici ministeri l’ex parlamentare napoletano inquisito per associazione per delinquere, riciclaggio e altri reati – Giancarlo Tulliani, anche a nome di sua sorella Elisabetta e di Fini, informò Corallo e me che doveva aiutarli a comprare una casa a Montecarlo. Dopo un attimo di stupore Corallo gli disse che una cosa del genere dovevano chiedergliela direttamente gli interessati. Tulliani telefonò a Fini e dopo poco andammo negli appartamenti della Camera; eravamo Giancarlo Tulliani, Elisabetta, Fini, Corallo e io. Fini disse che lui ed Elisabetta desideravano una casa proprio a Montecarlo e aggiunse testualmente: “siamo certi che vorrai aiutarci ad esaudire questo nostro desiderio”. E Corallo si dichiarò disponibile».
Visite nel Principato
Lo stesso Laboccetta accompagnò il giovane cognato e Corallo nel Principato di Monaco, a spese dell’imprenditore, per visitare appartamenti e conoscere il console italiano, che avrebbe suggerito una società  immobiliare di fiducia.
L’ex deputato dice di non sapere se poi le ricerche di Tulliani andarono a buon fine, nè che nell’eredità  di An ci fosse la casa di Boulevard Princess Charlotte 14, ma secondo il giudice che ieri ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare per Giancarlo Tulliani, Simonetta D’Alessandro, «è in questo contesto» che matura l’acquisto di quell’appartamento da parte di Corallo, attraverso alcune società  offshore create appositamente.
L’operazione è una parte del riciclaggio del denaro dell’imprenditore di cui i fratelli Tulliani e Fini sono accusati nell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino e dal sostituto Barbara Sargenti, che ieri ha portato al provvedimento d’arresto (non eseguito perchè Tulliani si trova a Dubai dal dicembre scorso) e a un nuovo sequestro di beni.
Dichiarazioni riscontrate
Molti degli elementi a carico del cognato di Fini derivano dalle dichiarazioni di Labocetta che nel dicembre scorso finì in carcere a conclusione della prima tranche dell’indagine, poi fu liberato dal tribunale del Riesame e il 2 marzo scorso è tornato a sedersi davanti ai pm per arricchire il racconto abbozzato a Regina Coeli dopo l’arresto.
Fini ha annunciato querela nei suoi confronti, e gli inquirenti sono consapevoli che l’ex deputato ha interesse ad alleggerire il proprio ruolo nella presunta associazione per delinquere, nonchè dei dissapori tra lui e l’ex presidente della Camera risalenti alla rottura che Fini consumò con Berlusconi, quando Laboccetta non lo seguì.
Tuttavia i pm e il gip ritengono di aver trovato sufficienti riscontri alle sue affermazioni, dai conti bancari alle dichiarazioni di un pentito di camorra.
Secondo Laboccetta, per far ottenere l’assegnazione della multimilionaria concessione statale per i videogiochi al gruppo Corallo, Fini si mosse con tutto il suo gruppo politico di riferimento.
Era il 2002-2003, ben prima dell’entrata in scena dei Tulliani. Laboccetta fa il nome dell’ex ministro del Commercio estero Adolfo Urso e di altri personaggi legati all’ex capo di An che poi si sono ritrovati nella fondazione Farefuturo, che furono ospiti di Corallo alle isole Antille prima della vacanza pagata a Fini nel 2004, per la quale «Corallo affittò la villa e anche una barca, e fece arrivare istruttori dalla California e dalla Francia che accompagnavano Fini nelle immersioni… Posso dire che quel viaggio serviva a Fini proprio per creare un rapporto diretto con Francesco Corallo».
Feste a Montecitorio
Nella ricostruzione della Procura e del giudice D’Alessandro, dunque, l’intesa con reciproci vantaggi economici viene stretta da Fini e dal suo entourage politico con Corallo; dopodichè l’imprenditore liquida quel pacchetto di alleati e li sostituisce con i Tulliani, che nel frattempo erano entrati nella cerchia familiare di Fini.
Di qui, ad esempio, non uno, ma due inviti di Corallo ai festeggiamenti a Montecitorio per la figlia dell’allora presidente della Camera e di Elisabetta Tulliani, nonchè i finanziamenti ai parenti di lei culminati con l’acquisto della casa di Montecarlo. Versamenti di denaro estero su estero che nell’impostazione del giudice consentono di «cogliere il ruolo di prestanome dei Tulliani», nonchè di intravedere un «accordo societario» siglato da Corallo «con i Tulliani emissari di Fini».

Giovanni Bianconi
(da “il Corriere della Sera”)

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ORDINE DI ARRESTO PER TULLIANI, IL GIP: “FINI NON POTEVA NON SAPERE”

Marzo 20th, 2017 Riccardo Fucile

E L’EX SEGRETARIO DI AN QUERELA PER CALUNNIA LABOCCETTA CHE HA DICHIARATO DI AVERLO FATTO INCONTRARE CON IL RE DELLE SLOT

Ordinanza di custodia cautelare in carcere per Giancarlo Tulliani.
Al cognato dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini viene contestato il reato di riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti (ritenuti illeciti) della famiglia, con il “re delle slot” Francesco Corallo.
Il provvedimento, firmato dal gip Simonetta D’Alessandro e sollecitato dal pm Barbara Sargenti e dall’aggiunto Michele Prestipino, non è stato eseguito perchè Tulliani è residente da tempo a Dubai.
Per la magistratura italiana Giancarlo Tulliani è dunque irreperibile e, come scrive il gip D’Alessandro, da alcune intercettazioni telefoniche sarebbe emerso il suo auspicio di non tornare in Italia “per evitare guai giudiziari”. Volontà  di Tulliani di restare all’estero evidenziata anche dalle relazioni avviate negli Emirati Arabi.
Anche Fini è indagato per lo stesso reato e la sua posizione, si evince dall”ordinanza di arresto per Tulliani, si complica sulla base di nuove dichiarazioni rese da Amedeo Laboccetta, ex parlamentare che ai magistrati disse di aver fatto conoscere Fini e Corallo.
Con una nota, Fini fa sapere di aver dato mandato ai suoi legali di querelare Laboccetta per calunnia, dopo aver chiesto nei giorni scorsi “di essere interrogato dai magistrati”.
Il gip motiva la richiesta di arresto per Giancarlo Tulliani con la “strategia criminale reiterata” da Tulliani e favorita da contatti politici e dall’abilità  a muoversi a livello internazionale.
Tulliani, scrive il gip, tra il 2008 e il 2015 si è reso responsabile di “numerosi episodi di riciclaggio” che hanno coinvolto anche la sorella Elisabetta e lo stesso Fini, reati che “potrebbe reiterare”. Emblematico, per il magistrato, il tentativo fallito dell’indagato di trasferire 520 mila euro da un suo conto in Mps a un altro aperto presso gli Emirati Arabi.
L’ordine di arresto di Giancarlo Tulliani nasce da un approfondimento investigativo dell’indagine che aveva condotto il 13 dicembre scorso, all’arresto di Francesco Corallo, Rudolf Theodoor Anna Baetsen, Alessandro La Monica, Arturo Vespignani e Amedeo Labocetta, ritenuti capi e membri di un’associazione a delinquere a carattere transnazionale, che riciclava tra Italia, Olanda, Antille Olandesi, Principato di Monaco e Santa Lucia i proventi del mancato pagamento delle imposte sul gioco online e sulle video-lottery (Vlt), compiendo così reati di peculato, riciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Il profitto illecito una volta depurato, secondo chi indaga, sarebbe stato impiegato da Francesco Corallo in attività  economiche e finanziarie, in acquisizioni immobiliari e destinato anche ai membri della famiglia Tulliani.
Fini non poteva non sapere.
Lo fanno capire la Procura di Roma e il gip Simonetta D’Alessandro quando considerano “singolare che in un partito come An, dall’accentuata connotazione gerarchica, il Segretario (Fini, ndr) ignorasse l’esistenza della vicende di un gruppo industriale che si preparava all’accesso a livello nazionale e all’esito di una gara bandita anni prima (e vinta da Corallo, ndr) da un governo di cui Fini stesso era parte, per il lucrosissimo settore del gioco legale”.
A confermare i dubbi degli investigatori è stato ancora una volta l’ex parlamentare Amedeo Laboccetta che pochi giorni fa, correggendo buona parte delle dichiarazioni rese lo scorso dicembre durante un interrogatorio di garanzia, ha retrodatato al 2002 (anno in cui fu approvata la legge 289 in materia di giochi) la preparazione della società  di gioco legale ad opera di avvocati “intranei” ad Alleanza Nazionale e a uomini vicinissimi a Fini.
I rapporti tra Corallo e Giancarlo Tulliani, con la sua famiglia, sarebbero sorti solo successivamente, quando l’imprenditore – secondo la ricostruzione degli inquirenti – costituì delle società  off shore per loro per la realizzazione di una serie di significativi affari immobiliari, nella speranza che il rapporto con Fini gli tornasse sempre utile soprattutto per superare una serie di difficoltà  con strutture istituzionali maturate dopo l’esito della gara.
E per diversi anni, a partire dal 2007-2008, i Tulliani, a parere di chi indaga, diventano di fatto centrali ai fini della ricezione di ingentissime somme di denaro e varie utilità  provenienti da Corallo.
La vendita della famigerata casa di Montecarlo è solo uno degli episodi che dimostrano come Corallo si sia attivato senza risparmio di risorse per diventare di fatto un socio dei Tulliani.
E quando Corallo dopo qualche anno esce di scena, ecco che i Tulliani hanno in mano tanti di quei soldi da poter svolgere operazioni che lasciano tracce evidenti, come bonifici o vendita di appartamenti e relativa ripartizione dei proventi.
Il parere della Procura e del gip è che “questa vicenda nel suo complesso” contempla una serie di gravi reati che avrebbero segnato “un’intera fase politica, toccando in profondità  l’ordinamento economico dello Stato”.
La riprova “sta nella natura della posta in gioco, delle qualifiche soggettive e dei ruoli istituzionali dei soggetti coinvolti”. In primis proprio Fini, dapprima nella veste di vicepresidente del Consiglio dei ministri e poi presidente della Camera dei Deputati. C’è poi Amedeo Laboccetta, già  parlamentare e poi componente della Commissione Antimafia e della Commissione Finanze.
Infine Corallo, assistente parlamentare di Laboccetta e successivamente “re dello slot”. Titolare di imprese che hanno operato in regime concessorio all’interno dello Stato, “qualificabili in realtà , secondo gli accertamenti investigativi, come strutture di sistematica violazione degli obblighi fiscali, con gravissime interferenze su un Ufficio di controllo strategico quale era quello dei Monopoli di Stato”.

(da “La Repubblica”)

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TULLIANI BEFFA I FINANZIERI: CASSAFORTE VUOTA E DOCUMENTI TRITURATI COL FIOCCO VERDE

Febbraio 16th, 2017 Riccardo Fucile

IL FIOCCO REGALO DELLO STESSO COLORE DEI BASCHI DEI FINANZIERI INTERPRETATO COME UNA STUPIDA PROVOCAZIONE

Quando gli investigatori della Guardia di finanza sono entrati nella casa di Giancarlo Tulliani, nell’ambito delle indagini che vedono coinvolto anche il cognato Gianfranco Fini, hanno trovato la cassaforte vuota e neanche un documento.
C’era però, ben in vista, un sacco nero della spazzatura pieno di carte triturate con un fiocco regalo verde, come i baschi usati dalle Fiamme gialle.
Quasi un affronto del cognato dell’ex presidente della Camera, che da dicembre si è trasferito negli Emirati Arabi.
Anche a casa di Elisabetta Tulliani e di Fini i finanzieri non hanno trovato nulla di rilevante ai fini delle indagini, come se le perquisizioni fossero attese
Tulliani insieme al padre, Sergio, alla sorella, Elisabetta, e ora anche al cognato, l’ex presidente della camera, è accusato di riciclaggio dalla procura di Roma.
Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire i legami fra il re delle slot machine Francesco Corallo e la famiglia Tulliani.
Anche Fini è stato perquisito: i pm sono convinti che lui sapesse perfettamente dei rapporti tra il re delle slot machine, Francesco Corallo, e i suoi familiari. Anzi, che sia stato proprio lui ad agevolarli

(da agenzie)

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A FINI NON E’ STATA CONTESTATA LA CORRUZIONE PERCHE’ CADUTA IN PRESCRIZIONE

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

LA TESI DELL’ACCUSA: PER AIUTARE IL RE DELLE SLOT AVREBBE PERCEPITO TRA IL 2008 E IL 2015 OLTRE 4 MILIONI DI EURO

Un presunto «accordo» per aiutare il re italiano delle slot machine Francesco Corallo. È l’accusa che pende su Gianfranco Fini, quando rivestiva la carica di vice presidente del Consiglio.
Tra il 2008 e il 2015 nei conti correnti a lui indirettamente riconducibili sarebbero finiti circa 4 milioni 200mila euro erogati dall’imprenditore, titolare della concessione dei Monopoli di Stato.
L’accusa è di riciclaggio, ipotesi con la quale la Guardia di finanza del Servizio centrale di investigazione sulla criminalità  organizzata (Scico) ha compiuto una perquisizione domiciliare nelle abitazioni di proprietà  dell’ex vice presidente del Consiglio.
I suoi legami di parentela con la famiglia Tulliani e i rapporti opachi con Corallo, già  arrestato a dicembre scorso, lo catapultano nell’inchiesta nata dall’ormai noto scandalo della «casa di Montecarlo».
Stando alle ipotesi preliminari del sostituto procuratore di Roma, Barbara Sargenti, Fini sarebbe stato il reale destinatario del denaro (ma lui si difende: «È un atto dovuto, fiducia nei magistrati»).
Una presunta corruzione, dunque, non contestata in quanto il reato sarebbe ormai caduto in prescrizione.
Tuttavia il magistrato ritiene che i flussi di denaro – sottratti illecitamente anche dal Preu, il prelievo erariale unico e la tassazione sulle vincite delle slot machines di Corallo – sarebbero stati traghettati all’estero attraverso una galassia di società  offshore, per poi finire su conti correnti direttamente intestati a società  riconducibili alla moglie di Fini, Elisabetta Tulliani, al fratello e al padre di lei, Giancarlo e Sergio, cui ieri sono stati sequestrati svariati beni immobili.
Per la Procura quel vorticoso giro di denaro, parte del quale utilizzato per l’acquisto dell’appartamento a Montecarlo, già  di proprietà  di Alleanza Nazionale, avrebbe avuto un unico scopo: ripagare Fini del suo interessamento politico verso le iniziative imprenditoriali di Corallo.
Stando ad Amedeo Laboccetta, ex componente del consiglio direttivo del Pdl e rappresentante della concessionaria italiana del Gruppo Corallo, «all’epoca in cui Fini conobbe Corallo» questi si aggiudicò la «concessione italiana per l’attivazione e la conduzione operativa della rete, per la gestione del gioco lecito».
Laboccetta, riassume la Procura, racconta che Fini «aveva conosciuto Corallo proprio per il suo tramite in occasione di un viaggio vacanza nell’estate del 2004, sull’isola di Saint Martin».
Negli atti si legge che «Fini suggellò con Corallo un’intesa che è stata utile ad Atlantis/Bplus (di Corallo, ndr) nello svolgimento dei rapporti con l’Amministrazione dei Monopoli.
Lo stesso Laboccetta si rivolse al segretario di Fini, onorevole Francesco Proietti Cosimi, allorchè nell’aprile del 2005 Atlantis (di Corallo, ndr) ebbe problemi con l’Amministrazione. (…) Fu proprio Proietti Cosimi che risolse il problema con Giorgio Tino, all’epoca direttore dei Monopoli».

(da “il Sole24Ore”)

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LE ACCUSE A FINI, IL GIP: “CORALLO DIVENNE SOCIO DEI TULLIANI GRAZIE AI RAPPORTI CON L’ALLORA VICEPREMIER”

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

IL VOTO SULLE SLOT, CORALLO ALLA FESTA DI COMPLEANNO DELLA FIGLIA DI FINI,   LA VACANZA GRATIS AI CARAIBI

“Sembra singolare che in un partito dall’accentuata connotazione gerarchica, il Segretario ignorasse l’esistenza delle vicende di un gruppo industriale che si preparava all’accesso, a livello nazionale, e all’esito di una gara bandita da un Governo di cui egli era parte, al lucrosissimo settore del gioco legale“.
È la riflessione del gip di Roma Simonetta D’Alessandro che si può leggere nel decreto di sequestro di beni della famiglia Tulliani — per un valore di 5 milioni di euro — sulla genesi dei rapporti tra Gianfranco Fini e Francesco Corallo, il re delle slot arrestato lo scorso dicembre insieme all’ex deputato Amedeo Laboccetta.
Rapporti che si sono riverberati sulla famiglia di Elisabetta Tulliani moglie dell’ex presidente della Camera indagato per riciclaggio nell’inchiesta sulla casa di Montecarlo.
Anzi, secondo il giudice, i Tulliani divennero soci di Corallo perchè l’imprenditore — il cui nome era comparso nell’inchiesta su prestiti facili della Bpm di Massimo Ponzellini — puntava in alto, a livello istituzionale.
“Corallo crea in capo ad interlocutori che non conosceva se non per i loro rapporti con Fini e Laboccetta, i Tulliani, una cospicua disponibilità  immobiliare e finanziare”.
Corallo alla festa di compleanno della figlia di Fini a Montecitorio
Il giudice, analizzando la richiesta della Procura di Roma, fissa alcuni punti che sembrano cozzare con le dichiarazioni dell’ex vicepremier sull’inconsapevolezza degli affari della compagna.
Il primo è che fu proprio Fini a far entrare in contatto il dominus della concessionaria dei Monopoli di Stato per videopoker e slot machine e la famiglia Tulliani.
Ed è il rapporto tra Fini e Corallo — indagato per un’evasione da centinaia di milioni e figlio di Gaetano, ritenuto il cassiere del clan Santapaola — che per il giudice è alla base del patrimonio dei Tulliani: quantificato in 7 milioni di euro.
Una “contiguità ” durata almeno fino al 2009 e che ha visto l’imprenditore partecipare anche al compleanno della prima figlia di Fini e Tulliani nell’appartamento privato dell’allora presidente della Camera dei deputati: “Un festeggiamento privato” cui “parteciparono pochi parenti, qualche personaggio politico, compagno di partito nonchè Francesco Corallo e la sua compagna.
A quel tempo — sottolinea il giudice riportando le affermazioni di Laboccetta — Giancarlo   ed Elisabetta Tulliani avevano già  beneficiato di molto denaro da Francesco Corallo, che aveva disposto, tramite Baetsen (director di una delle società  offshore), il duplice acquisto dell’appartamento di Montecarlo di proprietà  di Alleanza nazionale, di cui erano divenuti proprietari occulti”.
La vacanza ai Caraibi per 14 persone e Fini pagata dal re delle slo
E sarebbe proprio quel rapporto trai Tulliani e Fini ad aver spinto Corallo, “il titolare di un’impresa colossale”, a fare operazioni finanziarie e immobiliari assolutamente in perdita, tra cui l’acquisto della ormai famosa casa di Montecarlo, con i Tulliani, “una famiglia della piccolissima borghesia romana”.
Molto prima però secondo il racconto messo a verbale da Laboccetta, Fini insieme ad altre 14 persone fu ospite di Corallo nel 2004: l’imprenditore pagò la vacanza nell’isola caraibica di Saint Martin a tutti.
L’incontro con Fini portò fortuna a Corallo perchè poi, su sollecitazione di Laboccetta, “Proietti Cosimi (ex braccio destro di Fini, ndr) era intervenuto presso il direttore dei Monopoli per revocare una diffida a Corallo nel 2005”.
Un intervento che Laboccetta definì “un’intesa” tra Corallo e Fini. Due anni dopo lo stesso ex segretario di An “aveva chiesto a Labocetta che Corallo acquisisse un immobile di cui era intermediario Giancarlo Tulliani, che lo stesso Labocetta definisce fatiscente”.
Quell’affare non si fece, ma andò in porto invece quello che riguardava i circa 70 metri quadri in Boulevard Princesse Charlotte 14.
L’imprenditore si attivò per diventare socio dei Tullian
“Quale era l’interesse di Corallo a coltivare così intensamente i Tulliani” e a fare con loro “considerevoli affari?”.
Il giudice risponde che è “riduttivo credere che la vicenda si sostanzi nell’acquisto della casa di Montecarlo”. La questione, piuttosto, “è molto più ampia” e “stupisce davvero che un imprenditore del calibro e delle dimensioni di Corallo si attivi senza risparmio di risorse, economiche, tecniche, finanziarie, per diventare socio dei Tulliani”.
La chiave di lettura la offre nell’interrogatorio proprio Labocetta. E dopo tutte queste sollecitazioni”, prosegue il gip, Corallo si attiva, pagando la casa di Montecarlo ed eseguendo una serie di bonifici alle società  off shore dei Tulliani.
Circa due milioni che sarebbero serviti per consentire ai familiari di Fini, secondo la ricostruzione della procura, di acquistare un pacchetto azionario pari al 10% delle società  dello stesso Corallo.
La prova di tutto ciò, gli investigatori la trovano nel pc di Giancarlo Tulliani nella perquisizione di dicembre 2016.
“Un affare inusitato — scrive il giudice — connotato da sproporzione tra le somme e il valore dell’acquisizione”. Insomma fu l’imprenditore a mettere mano al portafoglio perchè la piccola famiglia borghese romana entrasse in affari con lui: “Ed è in sintesi Corallo che paga per consentire ai Tulliani — ritiene il giudice per le indagini preliminari — l’acquisizione di quota della sua impresa”.
Il progetto societario decade, ma nel 2009 Corallo fa un ulteriore bonifico di 2,4 milioni sul conto di Sergio Tulliani, “un impiegato dell’Enel in pensione non molto credibile come lobbysta”.
Perchè? Il giudice per le indagini preliminari avanza una spiegazione: il versamento è infatti successivo all’abbandono del progetto di società  “ma antecedente al decreto 78/2009 che ha offerto cospicui vantaggi a Corallo, offrendogli la possibilità  di offrire in pegno i diritti sulle Vtl ed ottenere un finanziamento per Atlantis/Bplus di 150 milioni“.
Di tutto questo, sostengono gli inquirenti, i Tulliani “erano consapevoli”. Tanto che “quando Corallo esce di scena, svaniscono le società  off shore e le movimentazioni transcontinentali” e iniziano “operazioni che lasciano tracce grossolane: il padre effettua bonifici alla figlia o al figlio, consente al figlio operazioni di reimpiego titoli, i due fratelli vendono l’alloggio di Montecarlo già  provento di riciclaggio, ripartendosi i proventi, appena in tempo per ricadere in pieno regime di incriminazione per autoriciclaggio“.
Ed ancora: “Le operazioni sono da persona fisica a persona fisica” e non si intravedono menti finanziarie raffinate; “i contegni, basici, rispondono a bisogni primari: la casa per sè, la casa da affittare. Cessate le aspirazioni internazionali, si delinea la piccola delinquenza finanziaria routinier”.
Indagini faranno luce su impresa Corallo e addentellati istituzionali
A conti fatti, secondo gli inquirenti, il patrimonio della famiglia Tulliani, padre e i due figli, supera i sette milioni di euro, “e la contiguità  con Corallo…capace di un danno all’Erario di centinaia e centinaia di milioni si è protratta a far data dal loro rapporto con l’on. Gianfranco Fini, prima Vice — Presidente del Consiglio dei Ministri, poi Presidente della Camera dei deputati (2007), fino al 2009.
La vicenda trascende di molto — ragiona il giudice — il suo valore economico, assume rilievo nazionale — e non solo — posto che Corallo, rinviato a giudizio nel 2012 a Milano per associazione per delinquere, in relazione a un credito di 150.000.000,00 di euro elargitogli dalla Banca Popolare di Milano, è figlio di Gaetano Corallo, uomo di Nitta Santapaolo nella Sicilia occidentale, e già  condannato — con Ilario Legnaro — per il tentativo di acquisizione del Casino’ di Saint Vincent”.
L’imprenditore “ha negato assolutamente la sussistenza di rapporti con il padre e le indagini faranno luce — scrive il giudice — su quali antecedenti d’esperienza egli potesse contare per mettere in piedi — in circa tre mesi — un’impresa concessionaria di gioco legale, e organizzare intorno ai suoi profitti un riciclaggio internazionale e transcontinentale della durata di dodici anni. Ed anche — se ci sono stati — su quali addentellati istituzionali abbiano vanificato il controllo, qualunque genere di controllo sulla vicenda in parola, per dodici anni”.

Giovanna Trinchella
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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FINI INDAGATO PER CONCORSO IN RICICLAGGIO, SEQUESTRATI CASE E CONTI DEI TULLIANI PER 5 MILIONI DI EURO

Febbraio 14th, 2017 Riccardo Fucile

“ATTO DOVUTO, HO FIDUCIA NELLA MAGISTRATURA”

L’ex presidente della Camera e leader di An Gianfranco Fini è indagato per riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta che ha portato la Guardia di Finanza a sequestrare beni per 5 milioni alla famiglia Tulliani.
A Fini è stato consegnato un avviso di garanzia. L’iscrizione nel registro degli indagati di Fini, secondo quanto si apprende, scaturisce dalle perquisizioni a carico di Sergio e Giancarlo Tulliani eseguite a dicembre 2016.
Gli accertamenti bancari e finanziari sui rapporti intestati alla famiglia Tulliani, avrebbero portato alla luce nuove condotte di riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio posti in essere da Sergio, Giancarlo, Elisabetta Tulliani e Gianfranco Fini.
“L’avviso di garanzia è un atto dovuto. Ho piena fiducia nell’operato della magistratura, ieri come oggi” ha dichiarato Fini all’Adnkronos.
Nel dicembre scorso, l’indagine aveva portato all’arresto di Francesco Corallo, Rudolf Theodoor Anna Baetsen, Alessandro La Monica, Arturo Vespignani e Amedeo Laboccetta (poi scarcerato in sede di riesame), sospettati di essere a capo o partecipi di un’associazione a delinquere a carattere transnazionale finalizzata ai reati di peculato, riciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Gli inquirenti sono convinti che il profitto illecito della associazione, oggetto di riciclaggio, una volta depurato sia stato impiegato da Corallo in attività  economiche e finanziarie, nonchè in acquisizioni immobiliari. Ma sarebbe stato destinato anche ai membri della famiglia Tulliani.
Le perquisizioni a carico di Sergio Tulliani e del figlio Giancarlo, eseguite contestualmente all’ordinanza di custodia cautelare, oltre all’esito degli accertamenti bancari sui rapporti finanziari intestati ai membri di tutta la famiglia, avrebbero portato alla luce nuove condotte di riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio da parte di Sergio Tulliani e dei figli Giancarlo ed Elisabetta, compagna di Gianfranco Fini.
Dopo aver ricevuto, direttamente o per il tramite delle loro società  offshore, ingenti trasferimenti di denaro disposti da Corallo ed operati da Baesten, privi di qualsiasi causale o giustificati con documenti contrattuali fittizi, i Tulliani avrebbero ulteriormente trasferito e occultato, attraverso operazioni di frazionamento della provvista illecita e movimentazioni reciproche, il profitto illecito della associazione utilizzando propri rapporti bancari, accesi in Italia e alla estero.
Oggetto di queste operazioni, tra l’altro, i 2,4, milioni di euro direttamente ricevuti da Corallo e successivamente trasferiti da Sergio Tulliani ai figli Giancarlo ed Elisabetta per essere reimpiegati in acquisizioni immobiliari nel comprensorio di Roma e provincia.
E c’è anche il rilevante plusvalore di oltre 1,2 milioni di euro, derivato dalla vendita del famigerato appartamento di Montecarlo, già  di proprietà  di Alleanza Nazionale di cui erano divenuti proprietari, di fatto, i fratelli Tulliani a spese di Corallo, che aveva anche provveduto all’intera creazione delle società  offshore dei Tulliani.

(da “La Repubblica”)

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‘NDRANGHETA, L’EX CONS. REG. AN ARRESTATO: “ROMEO FECE CONVINCERE FINI A CANDIDARE IL SUO UOMO DI FIDUCIA”

Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile

ALBERTO SARRA AI GIUDICI: “SCOPELLITI AVEVA RAPPORTI CON IL CLAN DE STEFANO”

“Mi viene da piangere … io sono stato utilizzato”. Inizia così lo sfogo di Alberto Sarra, l’ex sottosegretario della Regione Calabria arrestato dai carabinieri del Ros a luglio nell’inchiesta “Mamma Santissima” coordinata dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo.
Per la Procura, l’ex consigliere regionale di Alleanza Nazionale (oggi accusato di associazione mafiosa) era uno dei componenti “riservati” della ‘ndrangheta, quella cupola di “invisibili” gestita da decenni dall’avvocato Paolo Romeo, ex parlamentare del Psdi ritenuto la testa pensante delle cosche.
Per due volte, il 22 luglio e il 2 agosto 2016, Sarra si è trovato davanti al pm nella sala colloqui del carcere di Arghillà .
I due verbali sono stati inseriti nei faldoni del processo “Gotha” per il quale, a fine dicembre, la procura ha notificato 72 avvisi di conclusione indagini.
Quella di Sarra non può tecnicamente definirsi una collaborazione con la giustizia. Tuttavia ai magistrati dice di voler raccontare tutto quello che sa per chiarire la sua posizione e soprattutto quello che il sostituto della Dda Giuseppe Lombardo definisce il sistema dei “pesi e dei contrappesi”.
Un sistema che ha consentito a Giuseppe Scopelliti (indagato per reato connesso) di essere eletto prima sindaco di Reggio e poi governatore della Calabria.
“Senza Sarra non sarebbe esistito Scopelliti. — è la premessa del pm Lombardo — Per valorizzare uno ‘gestibile’ come Scopelliti era necessario anche uno ingestibile come Alberto Sarra”.
“Io sono stato utilizzato fino in fondo — spiega l’ex sottosegretario — io sono uno che era nel cuore della gente”. Nel primo interrogatorio, Sarra ripercorre la sua carriera politica che si è rivelata fondamentale per consentire a Paolo Romeo e alla sua cricca di plasmare personaggi come Giuseppe Scopelliti.
Nel secondo interrogatorio, però, inizia a fare un po’ di nomi e a riscontrare quanto i carabinieri del Ros avevano già  scoperto con l’inchiesta “Mamma Santissima”.
“SCOPELLITI AVEVA IL RAPPORTO CON I DE STEFANO”. ROMEO E IL “MONDO DEVIATO”
“Io — racconta Sarra — avevo il rapporto con Fiume (il pentito ex killer delle cosche di Archi) e Scopelliti aveva il rapporto con i De Stefano. Io da giovane entro alla Provincia. I rapporti che vedo inizialmente con Romeo (Paolo) partono anche con Pirilli (Umberto Pirilli, ex presidente della Provincia di Reggio ed ex parlamentare europeo, ndr). Pirilli e Romeo avevano una base comune che veniva da un certo mondo della destra”.
“Vediamo chi vince! Poi ci spostiamo dalla parte…” era la regola all’interno dello studio Romeo frequentato dall’avvocato Giorgio De Stefano (l’altra testa pensante della ‘ndrangheta) ma anche da sottosegretari, parlamentari ed esponenti politici locali.
“Che lui (Paolo Romeo, ndr) — aggiunge Sarra — abbia i rapporti con tutte queste persone, che sono rapporti sui quali lui incide, io questo lo posso testimoniare perchè ero alla Provincia e lui aveva rapporti con Pirilli e aveva degli spazi all’interno dell’amministrazione provinciale. Che lui avesse dei rapporti con Valentino (l’ex sottosegretario alla Giustizia, ndr), io lo posso testimoniare perchè mi risulta ed erano i rapporti anche in cui lui gli indicava, incideva, esprimeva, dava indicazioni. Paolo Romeo è l’anello di congiunzione tra un mondo deviato. Il mondo che è vicino a Romeo non parla bene di lui”.
LA CANDIDATURA DI PIRILLI ALLE EUROPEE DEL 2004. “È STATA FATTA UN’ABBINATA A LIVELLO NAZIONALE”
Umberto Pirilli, Giuseppe Valentino e Paolo Romeo. È questo il triangolo che, secondo Sarra, ha portato alla candidatura del primo alle europee del 2004 quando fu impedito a Scopelliti di lasciare Reggio per un seggio più “comodo” a Bruxelles.
“Le voglio dare ragione su questo. — dice Sarra — La candidatura di Pirili è una cosa che non è così scontata. Passa da una scelta che non è locale. Il problema è che viene fatta un’abbinata a livello nazionale. Pirilli non vince in Calabria. Tanto per essere chiari. Pirilli vince in Campania, dove prende oltre 10.000 voti”.
La sua elezione, per Sarra, “è una cosa ancora più grossa. È il risultato dell’accordo tra la componente di Matteoli e quella di Alemanno e Storace. Che era la cosiddetta ‘destra sociale’”. Ma anche quest’accordo sarebbe stato il frutto di decisioni prese nello studio di Paolo Romeo.
È lui che “ha fatto pressione su … Valentino che a sua volta ha fatto pressione su Fini per la candidatura di Pirilli”.
È proprio la figura di Fini che risulta incomprensibile al pm Lombardo: “È mai possibile —si domanda il magistrato — che Gianfranco Fini non si rende conto che se gli uomini suoi, su Reggio Calabria entrano ed escono dallo studio di Paolo Romeo qualche giorno finisce nei guai pure lui!”. “Ma andava Valentino! — è la risposta di Sarra — Valentino aveva il rapporto con Fini diretto allora!”.
ANTONIO CARIDI E I FONDI COMUNITARI
L’ex sottosegretario parla anche del senatore Antonio Caridi (anche lui arrestato nella stessa indagine): “Il suo rapporto con Scopelliti è un rapporto risalente nel tempo ed è un rapporto che non ha subito momenti di flessione nè soluzione di continuità . A mio parere non è stato casuale che il Caridi sia stato individuato quale assessore alle Attività  Produttive. A tal proposito la invito ad analizzare i progetti legati alla gestione dei fondi comunitari per capire chi è stato avvantaggiato dal Caridi e dalla Fincalabra (la società  in house attraverso cui la Regione Calabria gestisce i finanziamenti europei)”.
FRANCO ZOCCALI, IL “RICHELIEU” DI SCOPELLITI
Se Caridi era legato all’ex governatore della Calabria, l’avvocato Franco Zoccali lo era ancora di più. Il nome dell’ex capo di gabinetto di Scopelliti compare nel verbale di Sarra.
Nominato negli anni Novanta assessore provinciale “in quota Romeo”, Zoccali “è la figura fondamentale — dice — in un contesto perchè è quello che fa da collegamento… sia politico che altro. Dal punto di vista elettorale non era uno che aveva grande… cioè non entrava nel cuore della gente. In fondo loro sono stati sempre complementari da questo punto di vista… Scopelliti capace di attrarre grandi consensi… Zoccali era… lo chiamavano Richelieu”.
I MILIONI DI EURO DEL DECRETO REGGIO E LE MINACCE AL SINDACO RAFFA
Nel 2010, Scopelliti diventa governatore della Calabria lasciando il Comune di Reggio nelle mani del sindaco facente funzioni Giuseppe Raffa (Forza Italia). Ma a Palazzo San Giorgio, Scopelliti deve lasciare anche il ruolo di commissario straordinario del Decreto Reggio.
È a questo punto del verbale che, più delle risposte di Sarra, sono illuminanti le considerazioni del pm Giuseppe Lombardo: “Raffa rimane sindaco facente funzione, ci racconta che gli si presenta un soggetto per nome e per conto di Scopelliti e gli dice firma ‘questa missiva e rinuncia al ruolo del Sindaco come Commissario Straordinario del Decreto Reggio, perchè non c’è scritto da nessuna parte che debba essere il sindaco e per una sorta di continuità  amministrativa… è il caso che questo soggetto continui a essere Peppe Scopelliti”… Raffa non firma e viene da me a denunciare dicendomi ‘mi volevano costringere perchè per loro è fondamentale mantenere la gestione dei flussi finanziari che ruotano intorno al Decreto Reggio che continuava in quel periodo ad essere foraggiato mi pare con 14 milioni all’anno’”.
Quell’uomo, stando a quanto emerso dall’interrogatorio, era Gianni Artuso, delegato per la gestione del Decreto Reggio ai tempi del sindaco Scopelliti.
Sarra ricostruisce i vari protagonisti del sistema che ruotano attorno allo studio di Paolo Romeo. Tolto quest’ultimo dal panorama politico reggino, figure come Giuseppe Scopelliti, Umberto Pirilli, Pietro Fuda (ex senatore di Forza Italia oggi sindaco di Siderno, ndr), Giuseppe Valentino e Antonio Caridi — dice Sarra — “non sarebbero esistite”.
Dalle carte depositate nel fascicolo del processo “Gotha” emerge che gli arresti di luglio sono solo l’inizio di un’inchiesta più ampia che mira a fare luce sui pupi e sui pupari di Reggio. Pupi e pupari che a volte si scambiano i ruoli e a volte non compaiono proprio.
Le certezze della Procura sono quelle scritte nelle informative del Ros e che riescono a intravedersi nei verbali di alcuni interrogatori come quello di Sarra. Ne viene fuori un Paolo Romeo e un Giorgio De Stefano che hanno sicuramente un “ruolo pesante”. “Dobbiamo capire che ruolo hanno avuto Valentino e Scopelliti” è la frase pronunciata dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo.
Una frase che ha il sapore più amaro di un avviso di garanzia

Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)

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