Giugno 8th, 2021 Riccardo Fucile
“SE NE AVVANTAGGEREBBERO FDI E CORAGGIO ITALIA”
Fratelli d’Italia e la neonata “Coraggio Italia” sono stati lasciati fuori dalla federazione di centrodestra che sarà formata dai partiti dell’area politica stessa e che sostengono Draghi.
“La federazione di centrodestra? Le federazioni che avvengono nei momenti di debolezza rischiano di sommare le debolezze, ne uscirebbero avvantaggiati Fdi e Coraggio Italia”. Lo ha detto Guido Crosetto, fondatore di Fratelli d’Italia.
“La prima ad essere preoccupata per la crescita eccessiva di Fdi è Giorgia Meloni perché non vuole che si creino attriti nella coalizione, se potesse fermarsi dove è adesso lo farebbe – osserva Crosetto -. Serve unità per poter essere determinanti nella scelta del Presidente della Repubblica. Se non farà scelte di rottura rispetto al passato, il centrodestra è destinato a perdere”
Secondo Crosetto il governo “durerà ancora due anni perché così scattano le pensioni per i parlamentari, ecco perché non voteranno Draghi come presidente della Repubblica”.
“Io il vero capo di Fdi? Ho detto a Giorgia Meloni di citare in giudizio per diffamazione tutti quelli che scrivono certe cose” ha concluso.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2021 Riccardo Fucile
LA SCALATA DI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, MARITO DELLA SORELLA DELLA MELONI CHE LO VUOLE PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO
O cognato! Mio cognato! Ultimo venne Francesco Lollobrigida, cognato appunto.
Se fossi uno storico scriverei un saggio (non esaustivo, intendiamoci) dedicato esattamente ai Cognati nella microstoria politica italiana. Come citazione d’apertura, ribadendo alcune riflessioni espresse in passato sullo stesso tema, metterei una vignetta di Vincino, compianto maestro di acume politico, lo Sciascia della satira nazionale, dove, ragionando su tal Tulliani, si leggeva: “Povero Fini, con un cognato così come si può fare politica in Italia?” Pochi tratti di pennarello per restituire le opere mondane di Giancarlo Tulliani, professione, appunto, cognato di Gianfranco, già “pupillo” di Almirante, segretario designato del Msi, poi leader di una destra post-fascista di governo alleata con Berlusconi e infine in proprio come meteora politica.
Cose trascorse, vaghe stelle dell’orsa politica ormai spente.
Torniamo però al Cognato come categoria quasi ontologica assoluta. Nella narrazione della possibile rovina individuale determinata da questo genere di parenti acquisiti non consanguinei, appaiono affiancati, nell’ordine: una foto pubblicata ne “La Napoli di Bellavista” di De Crescenzo dove un signore già distinto, disteso su una scalinata a implorare l’elemosina, ha con sé un cartello: “Ridotto in questo stato dal cognato”, e infine il personaggio di Lescaut, fratello della più celebrata Manon, infame congiunto che, per propria ingordigia immorale, sarà cagione di terribili patimenti per il cavaliere Des Grieux, invaghito della nostra eroina romanzesca melodrammatica.
In ogni “affaire” della politica si commette sovente l’errore di non fare caso al particolare familiare, familistico, se amorale o meno lo decideranno i fatti, le posture, i nodi delle cravatte, i blazer “Davide Cenci”, negozio dell’Urbe caro al generone parlamentare, e ancora la prossemica da capannello di onorevoli in via della Missione, dove già avvenne l’attentato a Togliatti, fino al dettaglio che mostri appunto l’imminente precipizio o apoteosi in questo genere di commedia umana.
Si sappia poi che Cognato è categoria globale: anche Francisco Franco, dittatore “cattolicissimo” spagnolo, poteva vantare il proprio, Ramón Serrano Súñer, detto appunto “Il Cognatissimo”, ministro degli Affari Esteri, mani in pasta con il regime, va da sé parentale.
Il caso di cognatismo che ci è apparso di recente mostra invece, in scala ridotta, Francesco Lollobrigida, cognome esemplare, tra Cinecittà dei tempi d’oro e Idroscalo di Ostia (fu proprio una tal Maria Teresa Lollobrigida a scorgere il cadavere sfigurato di Pasolini il giorno dei morti del 1975), Lollobrigida che da qualche tempo puntualmente appare, proprio come il cucù dell’orologio a muro tirolese, in ogni telegiornale che si rispetti.
Esatto, non c’è sera in cui, all’ora del desco, non giunga una sua, sia pur stringata, “ufficiale”, dichiarazione formato fototessera o nota in veste di capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio, così nel “pastone”.
Per ragioni di pertinenza tematica va aggiunto che Francesco Lollobrigida, “imprenditore turistico” secondo la “Navicella parlamentare”, è cognato di Giorgia Meloni, marito di Arianna Meloni, esattamente sorella della leader di Fd’I, un curriculum tra Fronte della Gioventù, Msi, An fino all’approdo dal nome patriottico. L’aria elegiaca di Subiaco che l’ha visto consigliere comunale fa il resto.
Se nella narrazione del resoconto politico-governativo finora Lollobrigida ha potuto contare su un ruolo, come dire, gregario, da “attore non protagonista”, il suo nome in posizione secondaria, men che comprimario nell’ideale cartellone dei ruoli stabiliti, a breve sembra aprirsi per lui un compito pieno, degno di un Gioacchino Murat, re di Napoli con il nome di Gioacchino Napoleone, maresciallo dell’Impero, ma su tutto cognato di Bonaparte, marito di Carolina, sorella minore.
Per il cognato Francesco Lollobrigida il regno sarebbe troppo, e tuttavia nella futura disfida Campidoglio-Regione Lazio sembra che proprio la cognata Giorgia, qualora nell’Urbe decidesse di scendere in campo Zingaretti, portando di conseguenza al voto anche la Regione Lazio, assodato che, leggo, “via Cristoforo Colombo è il vero punto di caduta delle ambizioni di Fratelli d’Italia”.
Da quel momento in poi la Meloni darebbe libero sfogo alle ambizioni capitoline di Salvini e Berlusconi, per la candidatura appunto romana, pretendendo però “diritto di prelazione” sulla scelta del candidato governatore della Regione Lazio.
Mi perdoneranno gli appassionati del sublime letterario, se qui e ora il racconto sembri precipitare nel prosaico, perché, segnatamente, scopro ancora, in particolare Giorgia punterebbe tutte le sue carte sull’attuale capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio, Francesco Lollobrigida.
E per Francesco sarebbe finalmente la doverosa soddisfazione dei titoli di testa. Non solo Fratelli, ora anche Cognati d’Italia.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
IL SUO PARTITO SI E’ SEMPRE OPPOSTO ALLA LEGGE CONTRO L’OMOTRANSFOBIA, DICENDO CHE IL PROBLEMA NON ESISTE
Dire sempre no, negare un problema evidente in Italia per poi accorgersi, dopo un fatto di cronaca, che quel problema esiste realmente.
Chissà se quanto accaduto nei giorni scorsi a Roma, con l’aggressione omofoba all’interno della stazione Valle Aurelia, avrà fatto aprire gli occhi a Giorgia Meloni. La speranza è che la leader di Fratelli d’Italia dia seguito al suo post social di indignazione per quanto accaduto. Magari cambiando atteggiamento nei confronti del ddl Zan contro l’omotransfobia.
“Rimango scioccata davanti questa assurda e brutale violenza a Roma a danno di un ragazzo che, dalle ricostruzioni della stampa, sarebbe stato aggredito solo perchè baciava il suo compagno. Spero che il responsabile di questa vigliacca violenza la paghi: queste immagini sono indegne per un paese civile. La mia piena solidarietà al ragazzo aggredito”, ha scritto Giorgia Meloni nel suo post di indignazione pubblicato sulla sua pagina Facebook.
Parole sacrosante: un giovane picchiato solamente perchè si baciava con il suo ragazzo è lo specchio tremendo di quanto sia profondo il problema odio omofobo nel nostro Paese. E per combatterlo è stato presentato un disegno di legge contro l’omotransfobia.
Ma, come sappiamo, tra i primi oppositori del ddl Zan c’è proprio Fratelli d’Italia.
E non solo a parole, visto che Giorgia Meloni, il 16 luglio scorso, scese in piazza brandendo il microfono e parlando così: “Le discriminazioni verso gli omosessuali? Per me le discriminazioni vanno sempre combattute, ma non possiamo dire che oggi nella realtà italiana siano discriminati, abbiamo fatto passi da gigante in questo tema”.
Passi da gigante? Come quelli fatti da quell’uomo che ha attraversato i binari per andare a colpire il giovane Jeanne Pierre, reo di aver baciato il suo ragazzo nella stazione Valle Aurelia
La piazza e le piazzate
E non ci sono solamente le manifestazioni di piazza della scorsa estate. Il partito guidato da Giorgia Meloni, ha lasciato il segno anche in Parlamento.
Come ricorda il Sole 24 ore, infatti, proprio nei giorni della manifestazioni contro il ddl Zan, Lega e Fratelli d’Italia presentarono 975 (sì, novecentosettantacinque) emendamenti al disegno di legge contro l’omotransfobia.
I due partiti sovranisti, ne parlano come di una legge bavaglio per un problema che non esiste. E anche in Europa la situazione non è migliore. Solo dieci giorni fa, era l’11 marzo 2021, sempre i partiti guidati da Meloni e Salvini hanno votato contro la risoluzione per una “Unione Europea zona di libertà per le persone Lgbtqi”. Il motivo? Sostenevano che si tratti solamente di strumentalizzazione contro Ungheria e Polonia.
E la letteratura è molto vasta. Ricordiamo il tormentone che vide protagonista proprio Giorgia Meloni: “Donna, mamma, cristiana”.
La famiglia a senso unico e quel ritornello — che, viste le evidenze, sembra più uno stornello da osteria — sull’omofobia che non è un problema in Italia.
Oggi, però, sui social doveva essere la giornata per la sacrosanta indignazione. Ora speriamo che gli occhi su questa questione rimangano aperti e che quel post Facebook dia il là a un cambio di rotta: meno sovranista, meno complottista. Più realista.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile
NON CI SONO PIU’ LE BANDIERE DI UNA VOLTA: LA GAFFE DEL POSTER
Non ci sono più le bandiere di una volta. Nel calcio, ma anche nella politica. Non parliamo di trasformismo, male atavico di molti parlamentari italiani da anni. Ma l’attenzione va sugli ultimi post/poster social pubblicati sui canali social per la campagna tesseramento FdI del 2021.
Annunci in pompa magna, con tanto di richiamo ai patrioti e al patriottismo, elemento fondante della linea meloniana. Ed ecco, però, che dall’immagine utilizzata su Facebook, Instagram, e Twitter emerge un intruso.
La fotografia scelta come sfondo della campagna tesseramento FdI 2021 mostra tre giovani di spalle uniti dal tricolore italiano. Sopra le loro teste campeggia lo slogan: «Sono un patriota. Coraggioso, libero, coerente».
Quest’ultimi aggettivo sembra molto in linea con le polemiche interne al Centrodestra, con Giorgia Meloni che — anche senza mai rilasciare esternazioni dirette sui social e utilizzando parole molto pacate nelle sue continue apparizioni televisive, spesso e volentieri su Rete4 — ha sempre esaltato la sua coerenza e quella del suo partito, anche dicendo no (a differenza di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi) al nuovo governo Draghi.
E, tornando alla campagna social per il tesseramento di Fratelli d’Italia, quei tre giovani avvolti nel tricolore volgono il proprio sguardo verso una platea di bandiere. Ed è lì che arriva l’intruso.
Insomma, la bandiera della Lega — con il nome di Matteo Salvini — compare anche nella campagna tesseramento FdI del 2021. Sarà frutto dell’intergruppo (simile a quello di Pd-M5S-LeU) proposto questa mattina proprio da Giorgia Meloni agli alleati della coalizione di Centrodestra?
(da agenzie)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
MOLTE POLTRONE A FDI: PRESIDENZA DELLA VIGILANZA RAI, UN TERZO DEGLI SPAZI POLITICI IN TV, IL COPASIR SUI SERVIZI SEGRETI, LA GIUNTA AUTORIZZAZIONI AL SENATO
Giorgia Meloni, insieme a Sinistra Italiana e forse a qualche ribelle del Movimento 5 Stelle, voterà no aalla fiducia al governo Draghi.
La leader di Fratelli d’Italia in questi giorni si è spesa sui social e sui media per spiegare le ragioni del suo rifiuto. La Meloni dice no all’ammucchiata per “coerenza”, ma restare all’opposizione potrebbe portarle in dote dei vantaggi subito monetizzabili, come racconta il Fatto, a partire dalla presidenza della commissione di Vigilanza Rai, per la quale sarebbe in pole position Daniela Santanchè:
La Vigilanza Rai, come le altre commissioni di garanzia, svolge un ruolo fondamentale come contropotere della nostra democrazia. E per questo deve essere riservata alle forze di opposizione”.
Oltre a fare da controllo al servizio pubblico, Meloni sa che essere l’unica opposizione al governo Draghi darebbe un enorme vantaggio in termini di visibilità a FdI: nei tg e nei talk show, se sarà applicato il solito criterio che prevede un terzo degli spazi al governo, un terzo alla maggioranza e un terzo all’opposizione, il partito della Meloni potrebbe godere di un’esposizione mediatica senza precedenti.
Così ieri la leader di FdI ha proposto il “no” alla fiducia in direzione nazionale, votato all’unanimit
Ma non c’è solo la Vigilanza Rai nel pacchetto su cui potrebbe mettere le mani Fratelli d’Italia. In palio anche il Copasir, per cui sarebbe candidato Adolfo Urso, oggi vicepresidente, la Giunta per le autorizzazioni del Senato presieduta dal forzista Maurizio Gasparri (potrebbe sostituirlo Ignazio La Russa) e la commissione per la vigilanza di Cdp che dovrebbe andare al senatore Andrea De Bertoldi.
Un piano perfetto se non ci fossero gli alleati di centrodestra a contrastarlo. Lega e Forza Italia rimarrebbero a bocca asciutta. E infatti stanno già litigando.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 27th, 2020 Riccardo Fucile
EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI PIACENZA PER IL PARTITO DELLA MELONI, AIUTO’ LE COSCHE AD AVERE FONDI EUROPEI… ESPULSO DAL PARTITO SOLO DOPO CHE ERA STATO ARRESTATO
Vent’anni di reclusione. A tanto è stato condannato Giuseppe Caruso, ex presidente del consiglio comunale di Piacenza di Fratelli d’Italia.
I giudice del processo in abbreviato (dunque con lo sconto di un terzo della pena) che stasera si è concluso in primo grado lo ha considerato uomo di vertice della cosca di ‘ndrangheta con base in Emilia Romagna e affari in Lombardia.
Caruso, all’epoca dei fatti funzionario dell’agenzia nazionale della dogana, oltre che un ruolo di vertice tra i calabresi, avrebbe avuto anche quello di facilitare la cosca, aiutandola ad accedere a fondi europei in ambito agricolo.
Un boss alla stregua di Salvatore Grande Aracri, anche lui condannato a 20 anni, nipote del più noto Nicolino, considerato il capo indiscusso della cosca calabrese con interessi nel nord Italia. Oltre a Giuseppe Caruso, il giudice ha condannato anche il fratello Albino a 12 anni e 10 mesi di reclusione. Condannati anche diversi imprenditori locali che si erano piegati alle logiche mafiose pensando di fare affari con gli ‘ndranghetisti.
La corte ha riconosciuto l’intero impianto accusatorio dell’inchiesta “Grimilde” è accolto praticamente tutte le richieste della pm della Dda di Bologna Beatrice Ronchi.
Salvi soltanto una manciata dei 47 imputati graziati dalla prescrizione dei reati che gli venivano contestati. Il dato più significativo è il riconoscimento dell’associazione di stampo mafioso e la confisca di beni per milioni di euro. Beni immobili e conti correnti che finiranno nelle casse dello Stato.
Al centro dell’inchiesta il clan calabrese radicato in Emilia Romagna e considerato, come nel sistema Aemilia parte integrante dei cutresi. Secondo la Dda il clan era attivo nel giro delle estorsioni, dell’usura e del riciclaggio che metteva in pratica grazie ad una fitta rete di insospettabili prestanome.
“Questa è una operazione che idealmente e materialmente rappresenta la prosecuzione del processo Aemilia”, aveva detto il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato. E così come Aemilia si è concluso (almeno in primo grado) con condanne pesantissime. Da vanno da un anno di reclusione, per le figure marginali, ai 20 anni per i capi dell’organizzazione. L’indagine è stata possibile anche grazie alle denunce di persone che erano finite nel mirino dei criminali guidati da esponenti della famiglia grande Aracri e al contributo di collaboratori di giustizia storici, come Antonio Valerio e Giuseppe Giglio, e anche nuovi.
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
UNO SCANDALO RISCHIA DI TRAVOLGERE IL PARTITO DELLA MELONI
Uno scandalo rischia di travolgere il calcetto italiano (e non solo).
Dopo le dimissioni del presidente Andrea Montemurro coinvolto in un sexgate (accusato di aver fatto confidenze a un dirigente che gli prometteva di fargli incontrare una ragazza), Giuseppe Caridi è diventato commissario straordinario della divisione calcio a 5.
Quest’ultimo lo scorso 17 luglio si è presentato in procura a Roma con in mano una relazione dell’organo di vigilanza della Lega Nazionale Dilettanti, che denuncia varie irregolarità di gestione.
Protagonisti: la Divisione calcio a 5 e l’ente di promozione sportiva Opes Italia (Organizzazione per l’educazione nello sport), fortemente permeato da Fratelli d’Italia, partito di cui è sostenitore Montemurro.
Nel suo libro “Miracolo Islanda” per SportItalia Edizioni ci sono le prefazioni di Giorgia Meloni e Giovanni Malagò, numero uno del Coni.
In particolare, sempre secondo La Repubblica, sotto la lente c’è un progetto sociale chiamato: “In campo diversi ma uguali”.
Promosso dall’Opes, ente affiliato al Coni e guidato da Marco Perissa, ex presidente di Gioventù Nazionale (le “giovanili” di Fratelli d’Italia, ruolo che ereditò da Giorgia Meloni; oggi il presidente è Fabio Roscani, anche lui impiegato di Opes).
Per questo progetto l’ente ha ottenuto un finanziamento pubblico fino a 125 mila euro dal Dipartimento alle Pari opportunità . Nell’aprile 2018 costituisce un’associazione temporanea di scopo con altri enti, tra cui la Divisione calcio a 5 che riceve una quota di spettanza di 40 mila euro.
Cifra iscritta a bilancio tra i ricavi, che però non entrerà mai nelle casse della Divisione. Nel 2019 l’allora presidente Montemurro chiede a Opes l’erogazione dei primi 19 mila euro (resteranno gli ultimi) come rimborso di tre fatture per lavori su questo progetto. La prima di 4 mila euro pagati per “consulenza, coordinamento e pianificazione degli eventi progettuali” a Marco Perissa (presidente di Opes), che emette la relativa fattura a novembre con una partita Iva risultata chiusa da tempo.
Anche le altre due fatture sono emesse da società riconducibili ai vertici di Opes: una da 5 mila euro pagati all’Agenzia Elite Social Media Teams (l’amministratore è Andrea Bigioni, uno dei vice presidenti di Opes, più volte nelle liste di Fratelli d’Italia, il socio di maggioranza all’80% è Juri Morico, segretario generale di Opes e braccio destro di Perissa); l’altra da 10 mila euro per materiale e gadget emessa da Sport Marketing Management che ha come socio al 50% Emiliano Lodi, anche lui dirigente di Opes.
In sintesi: Opes accede a contributi pubblici in associazione con altri enti, ne gira una parte alla Divisione calcio a 5, e il Calcio a 5 li usa per pagare società riconducibili agli stessi vertici di Opes.
Tutto questo è oggetto dell’esposto presentato in procura da Caridi, che ipotizza reati dalla malversazione ai danni della pubblica amministrazione alla falsa fatturazione, dall’indebita percezione di erogazioni alla truffa aggravata.
Come si legge nella denuncia querela, l’organo di vigilanza ritiene “oltremodo verosimile” che Perissa e gli altri “ottenessero grazie alla compiacenza di soggetti interni alla Divisione calcio a 5 il pagamento di somme non dovute, a fronte di prestazioni mai effettuate”.
E non finisce qui: c’è il nodo delle tv. Dalla Rai il calcio a 5 incassa alcune decine di migliaia di euro all’anno dalla vendita dei diritti.
Poi, però, paga un canale privato (SportItalia) per trasmettere due gare a settimana: 158.500 euro, in base all’accodo siglato da Montemurro, più altri 57 mila per due trasmissioni tv sul calcetto e 14.500 euro per gestire la comunicazione.
In cambio SportItalia offre spazi pubblicitari “per un valore di 225 mila euro”. Ma che alla Divisione non risultano aver fruttato un euro.
L’anomalia è che per contratti sopra i 100 mila euro la Divisione avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione alla Lega Dilettanti. Ma al momento del rinnovo del 2019 la cifra è stata spalmata in due contratti con due soggetti giuridici, entrambi però riferibili alla stessa persona: Michele Criscitiello, direttore di SportItalia, la società che ha pubblicato il libro di Montemurro.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
LA LEADER DI FDI HA UN’IDEA TUTTA SUA SUI POTERI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
L’Italia è una Repubblica Parlamentare che ha delle regole ben definite indicate dalla Costituzione. Tra queste ci sono anche i poteri (e i limiti di questi ultimi) nelle mani del Capo dello Stato.
Una di queste regole riguarda lo scioglimento del Parlamento che può essere deciso dal Presidente della Repubblica (come indicato dall’articolo 70 della nostra Carta fondamentale), ma non i solitaria. Eppure Giorgia Meloni su scioglimento Camere sembra avere un’idea tutta sua della Costituzione.
Partiamo dalla dichiarazione della leader di Fratelli d’Italia rilasciata in un’intervista al quotidiano La Verità : «L’istituto dello scioglimento delle Camere altro non è che lo strumento di cui il presidente della Repubblica dispone, qualora ravvisi che c’è una distanza macroscopica tra ciò che vuole la gente e ciò che fa il palazzo. Il presidente della Repubblica non è un notaio delle maggioranze parlamentari. È il garante della Costituzione, dei principi che vi sono iscritti. A partire dal primo: che la sovranità appartiene al popolo».
Il pensiero di Giorgia Meloni su scioglimento Camere si conclude con un altro messaggio: «Non credo che si possa non tenere conto dell’ennesimo segnale. Non voglio dare lezioni al presidente della Repubblica».
Ma la leader di Fratelli d’Italia può dare lezioni a Mattarella sulla facoltà di un Capo di Stato di porre fine a un’esperienza di governo? La risposta è no.
La Costituzione, infatti, non prevede — come invece sostiene Meloni — la possibilità di un Presidente della Repubblica di sciogliere il parlamento anticipatamente (quindi durante i cinque anni, durata naturale di un esecutivo) per volontà popolare.
Leggiamo cosa dice la nostra Carta.
Art. 88
Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.
L’idea di Giorgia Meloni su scioglimento Camere è corretta? No.
Non esiste alcun riverbero da parte dei ‘segnali’ di cui parla la leader di Fratelli d’Italia. Come spiega laleggepertutti.it, infatti, lo scioglimento del Parlamento può avvenire solo in questo caso:
“La prassi costituzionale si è sviluppata nel senso di limitare il potere di scioglimento delle Camere solamente all’ipotesi in cui il Parlamento, a causa di dissidi interni, non possa funzionare. In pratica, il Presidente della Repubblica, sentiti i presidente delle Camere, può procedere allo scioglimento delle stesse soltanto quando non ci sia una maggioranza politica in grado di governare.
Insomma, nessun riverbero dei voti locali sulla tenuta di un governo. Il popolo è chiamato alle urne per decidere il proprio Parlamento una volta ogni cinque anni e questo termine può essere anticipato dal Presidente della Repubblica solo in caso di crisi di governo e dopo aver parlato con i Presidenti di Camera e Senato.
Insomma, nulla a che vedere con quel che sostiene Giorgia Meloni.
(da agenzie)
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Agosto 12th, 2020 Riccardo Fucile
SERGIO BERLATO GIRA AL CONGIUNTO I VOTI DEI CACCIATORI: “AVENDO SPOSATO MIA FIGLIA, E’ ANCORA PIU’ AFFIDABILE”… BERLATO COME EUROPARLAMENTARE AVEVA GIA’ FATTO ASSUMERE COME ASSISTENTE SIA LA MOGLIE CHE IL GENERO
Mentre un sindaco ed ex candidato di Fratelli d’Italia viene indagato per il centro migranti e per le strane assunzioni effettuate, Sergio Berlato, europarlamentare, ieri ha candidato il genero al consiglio regionale del Veneto:
Dio, Patria e famiglia. Anzi, quando si parla dell’eurodeputato Sergio Berlato, plenipotenziario di Fratelli d’Italia in Veneto, nonchè da anni riferimento delle migliaia di cacciatori della zona (è presidente della Confederazione delle associazioni venatorie italiane), bisognerebbe precisare: soprattutto famiglia.
Nel 2017 si seppe che aveva fatto assumere dal Parlamento europeo, per poi assegnarli al suo staff come local assistant, sia la moglie Nicoletta Brigato, sia il genero, Vincenzo Forte. Stipendio: 2.700 euro lordi per dodici mensilità (tutto secondo il protocollo di Bruxelles, sia chiaro).
Oggi, invece, eccolo muoversi di nuovo a fianco dello stesso genero, candidato di FdI alle prossime regionali.
Per sostenerlo, e garantirgli un bel pacchetto di voti, Berlato nei giorni scorsi ha inviato una lettera ai 7mila cacciatori vicentini della sua associazione: «Vincenzo Forte – ha scritto – oltre che essere un nostro iscritto ed un dirigente di partito è anche marito di mia figlia Sara, la qual cosa lo rende ancora più affidabile rispetto ad altri possibili candidati». Irrituale?
«Assolutamente no – dice lui –. sappiamo come va in politica. Io di Vincenzo, che ha sposato mia figlia 13 anni fa, invece conosco anche il numero di scarpe»
(da agenzie)
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