Dicembre 15th, 2020 Riccardo Fucile
L’ALTERNATIVA ALLA LEADERSHIP DI BERLUSCONI, IL VOTO DI SFIDUCIA FALLITO PER TRE VOTI… CHE LA COERENZA NON SIA DI QUESTA TERRA LO DIMOSTRA LA FINE CHE HANNO FATTO MOLTI LORO ESPONENTI, MIGRATI IN PARTITI CON IDEE OPPOSTE IN CERCA DI UNO STRAPUNTINO
Pentiti? No. “Il pentimento non appartiene agli uomini di destra”. Dieci anni fa, il 14 dicembre del 2010, fallì il primo vero tentativo di contrastare la leadership di Silvio Berlusconi nel centrodestra strappando il tessuto di quella coalizione che dalla Casa delle Libertà era arrivata al Popolo delle Libertà .
La mozione di sfiducia voluta da Gianfranco Fini contro l’allora premier si infranse a Montecitorio per tre voti.
Finì 314 a 311, con il presidente della Camera tradito dal pallottoliere (come Romano Prodi) e infilzato da voltafaccia all’ultimo istante.
Pochi mesi prima un’inchiesta del “Giornale” aveva aperto il vaso di pandora dell’affaire Montecarlo, con le ramificazioni offshore, le grane familiari e i guai giudiziari che tuttora affliggono l’ex presidente della Camera. Relegandolo nel cono d’ombra e di silenzio che si è auto-imposto fino alla fine delle inchieste, e condannando la sua creatura, Futuro e Libertà , a prematura dissoluzione.
Gli addii cominciarono con l’astensione del fino a quel momento fedelissimo Silvano Moffa e proseguirono tra litigi, divisioni, recriminazioni.
Alle elezioni del 2013 in Parlamento rientrarono in tre, e tra loro non c’era Fini.
Dalla dèbacle discese la diaspora, al punto che oggi se si googla la sigla Fli ad uscire per prima è la Federazione Logopedisti Italiani.
I protagonisti di quella stagione si dividono grosso modo tra chi ha lasciato la politica e chi invece si è avvicinato al partito di Giorgia Meloni.
Da Fli a Fdi: una consonante che separa il sogno di una destra repubblicana e laica dalla realtà di un partito sovranista più vicino a Orban che alla Merkel.
Un tragitto tortuoso, ancor più per chi, come ad esempio Adolfo Urso, rappresentava l’ala ultra-liberal della pattuglia finiana.
Il ricordo di quella sventurata blizkrieg per chi l’ha vissuta miscela amarezza e orgoglio, rimpianto per gli errori e fiducia nel giudizio della storia.
Huffington Post è andato a cercarli. A partire dal leader, che però ha preferito non commentare.
Tra idealisti e professionisti della politica
La data del 14 dicembre fu lo spartiacque. Ma l’inizio della fine va collocato prima. Nel lungo mese fino alla calendarizzazione della mozione: “Il Quirinale diede tempo a Berlusconi e Verdini di organizzare il campo e recuperare i voti — sostiene più di un ex finiano — Fu chiaro a tutti, Gianfranco per primo, che eravamo nei guai. E che la partita diventava improvvisamente impossibile”.
Era cominciata di corsa: la rottura consumata con il deferimento ai probiviri del “triumvirato” — Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e Fabio Granata — la “guardia scelta”, i “non colonnelli”, e l’ormai iconico “che fai mi cacci?” scandito da un Fini attonito quanto furioso.
Fecero le valige 33 deputati e 10 senatori inseguendo il sogno di un’altra destra — alcuni — e la speranza di conquistarsi un posto al sole saltando le tappe del cursus honorum — altri.
C’era la resistenza al protagonismo di Forza Italia nella costruzione del Pdl. E c’erano le istanze campanilistiche: al Nord, dove An era ormai rasoterra, l’accordo per il 30% delle candidature comuni sembrava il Bengodi; al Sud, se ne pagava il conto. Difficile separare il grano dal loglio.
A Bastia Umbra, quando fu presentato il manifesto, regnava un clima viscerale da “Stato nascente” che mescolava calcolo politico e convinzioni, professionismo e carica emotiva. Su tutto, la certezza che fosse il momento di giocarsi quelle carte.
“Sono orgoglioso di aver fatto parte di una cosa bella”, racconta su Skype Enzo Raisi. Bolognese di madre spagnola, manager nell’export, era l’amministratore del “Secolo d’Italia” che finì nelle mani dell’ala berlusconiana. Oggi vive tra Valencia e un paesino della Mancha dove ha ricominciato da un’azienda di marketing e commercio internazionale: “Rivendico il nostro coraggio, che oggi molti mi riconoscono. Non so quanti manifesti ho attaccato nella mai vita, adesso si va in Parlamento con due tweet”. Sta scrivendo un libro, si intitola “La casta siete voi”.
Cosa andò storto? “Forse i tempi non erano maturi. A Fini imputo di averci mandato in battaglia con le cerbottane contro i carri armati. La stampa di centrodestra fu micidiale contro di noi”.
Ne sa qualcosa Flavia Perina, che lasciò la direzione del “Secolo” dopo aver tentato di renderlo avanguardia culturale di quell’avventura, e non ritrovò il posto. Era entrata in Parlamento con le “liste rosa” volute da Fini in assenza della legge che lo imponesse, insieme a Giulia Bongiorno e Catia Polidori (che al momento decisivo voltò gabbana).
Nel 2013 “cademmo tutti senza rete — ricorda Raisi — Anche Fini, che aveva scelto la Camera rispetto al più facile Senato”.
Una scelta coraggiosa o forse kamikaze, visto che — col senno di poi – lo scudo dell’elezione avrebbe potuto indirizzare in altro modo le sue vicende processuali. Ma tant’è.
“Per prima cosa andai via da Bologna — prosegue Raisi – Non puoi restare dove sei stato troppo potente”. Oggi rivendica un equilibrio: “Non rimpiango nulla. Forse un po’ la politica che ti entra nel cuore. Ma ho rifiutato offerte: quando chiudi, chiudi”. Perina è tornata all’altrettanto appassionante mestiere di giornalista.
Andrea Ronchi, che rinunciò al posto di ministro delle Politiche Comunitarie -l’unico in quota An di quel governo- poi si divise da Fini, fondando un proprio movimento, salvo alla fine abbandonare del tutto la politica.
Italo Bocchino, che di Fli è stato presidente ad interim, si definisce “pensionato della politica” e fino all’anno scorso è stato direttore del “Secolo”. E’ indagato nell’inchiesta Consip ma — precisa — con due richieste di archiviazione.
Neppure lui rinnega il passato: “Per il centrodestra è stato il punto più alto sul piano dei contenuti, sensibile all’Europa e ai diritti civili, la sua espressione più matura dal Dopoguerra. Ma è stato il punto più basso sul piano tattico: presentare la mozione di sfiducia insieme alla sinistra non è stato compreso dai nostri elettori, e quel passaggio ha inficiato l’intero percorso”.
Un peccato? “Non è la parola giusta. La destra poteva ambire a un percorso più evoluto. Non sono sovranista”. Per quanto: “A FdI do il voto e il due per mille”.
Da Fli a FdI: un tragitto per alcuni
Già : la formazione di Giorgia Meloni è diventata, presto o tardi, punto di approdo di diversi orfani finiani. Con buona pace della presenza di Forza Italia nella coalizione.
Da ultimo il senatore Claudio Barbaro: “Per me è un ritorno a casa”. Rieletto due anni fa con la Lega, Barbaro era tra i “caduti” del 2013.
Gli unici a farcela furono Mario Caruso, Aldo Di Biagio (circoscrizione Esteri) e Benedetto Della Vedova, al Senato con la lista unica che fu l’embrione di “terzo polo”. Ma anche Adolfo Urso, che all’epoca ci rimise la poltrona di viceministro, oggi è senatore con FdI (e del passato non parla volentieri).
O Roberto Menia, ex coordinatore nazionale fliniano oggi responsabile Esteri FdI.
Altri, invece, hanno preso strade diverse.
Fabio Granata, ex vicecoordinatore di Fli, è assessore alla Cultura di Siracusa “in un patto civico alternativo al centrodestra a trazione berlusconiana”.
Su Facebook si definisce “politico, ambientalista, avvocato, scrittore greco romanista, uomo libero”.
Di quei giorni ricorda la partecipazione: “Eravamo acclamati ovunque, dai tetti di Architettura alle manifestazioni del Popolo Viola”. Rivendica di aver “bloccato lo smantellamento del sistema giudiziario”.
Errori? “Se Fini si fosse dimesso un minuto dopo la fallita sfiducia, oggi parleremmo di altro. Esiziale fu poi appiattirci su Monti e Casini, l’opposto di quello che i militanti si aspettavano. A partire dai 10mila di Bastia Umbra. Fu un suicidio politico”. Conclusione agrodolce: “Spero che la nostra battaglia venga rivalutata anche a destra e non giudicata solo attraverso la macchina del fango contro Fini. Avevamo comunque ragione noi”.
Carmelo Briguglio, giornalista e poi vicecoordinatore fliniano, è tornato nella sua Sicilia dove fa parte dello staff di Musumeci.
Sui social traspare la nostalgia: “Ex politico di razza estinta, deputato della Repubblica di un tempo perduto, intellò conservateur”.
Racconta il distacco: “Da tempo ho chiuso con la politique politicienne, traguardi e candidature. Sono sereno, ma manca una vera ricostruzione del senso politico di quella stagione”.
Sbagli? “Ne commettemmo e ne subimmo di maggiori. Non tradimmo nessuno se non, senza capirlo, noi stessi e la nostra natura. I successivi casi Alfano, Bondi, Frattini, Cicchitto, etc sono troppi per non segnalare una questione politica”.
La storia (forse) si ripete
Ma alla base della frattura c’erano – come oggi ricordano in tanti – diversi fattori: la battaglia per una destra sociale e legalitaria, il dibattito sullo ius soli, il caso di Eluana Englaro che aprì un burrone sul campo dei valori e della laicità , ma anche la “prepotenza fagocitante” di Forza Italia e della sua impostazione.
“C’erano da difendere un mondo, delle idee, una storia, una visione dello Stato — fa un’analisi lucida Briguglio – umiliati da una concezione ad personam delle istituzioni. Lo dico senza rancore: non poteva essere la storia missina e di An”.
Due gli errori: “Quello politico fu la mozione di sfiducia, dovevamo uscire dal governo, ma non dal perimetro della maggioranza. Non ne discutemmo, non ho mai saputo dove e da chi fu presa la decisione. E quello culturale ce lo insegna Augusto Del Noce: un’area politica può evolversi, ma sempre nella sua tradizione. Non esiste una “destra di sinistra” e neppure una “nè destra nè sinistra”.
Quanto a Fini “non ero suo amico personale, e non ho mai creduto nel “finismo”. Ma nonostante errori e ingratitudini, è stato un leader importante. Non è stato una parentesi e non potrà essere rimosso dalla storia della destra italiana”.
Alla distanza geografica da quella stagione di Raisi in Spagna fa da contraltare quella politica di Benedetto Della Vedova, ex Radicale che entrò in Fli (diventandone capogruppo) dopo essere già stato “ospite” del PdL come “riformatore liberale”, poi senatore in quota montiana e oggi segretario di + Europa.
“Nessun pentimento, era una fase particolare — rievoca ora – Con Fini ci incontrammo avendo alle spalle storie diverse. In quel momento vedo l’inizio della trasformazione del Dna del centrodestra: dalla rivoluzione liberale e la vicinanza al Ppe al sovranismo di oggi”.
A favorire la scintilla fu un episodio, nei giorni cupi che precedettero la morte di Eluana Englaro, quando il Pdl spinto da Sandro Bondi e Gaetano Quagliariello premeva per un decreto: “Passai la notte fuori da Montecitorio con un cartello che diceva “lasciamola andare”.
L’unico a incoraggiarmi nel centrodestra fu Gianfranco. Vidi da un lato l’embrione di una forza fascio-leghista e dall’altra Sarkozy, Cameron, l’humus della fondazione FareFuturo. Con noi vennero Luca Barbareschi, Chiara Moroni, Alessandro Ruben…”.
Dieci anni dopo, lo sguardo non è cambiato: “Era una battaglia dura ma doverosa. A fine legislatura Berlusconi cadde, ma la sfida per la costruzione di un centrodestra diverso fu perduta. Soffiava già un vento trumpiano ante-litteram”.
Con un paradosso un po’ beffardo: “Oggi Forza Italia è residuale, un piccolo nucleo che si oppone al nazionalismo euro-scettico più vicino a Orban che alla Merkel”.
E dentro gli azzurri, c’è chi progetta una scissione per difendere i propri valori, il proprio passato, l’ancoraggio europeo. Se diventerà realtà , questa è un’altra storia, e non è ancora stata scritta.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 10th, 2017 Riccardo Fucile
LA DIA: “PERICOLOSITA’ QUALIFICATA”… QUALCHE ANNO FA FUMMO CRITICATI DA CERTA DESTRA PER AVER DENUNCIATO UN SUO INCONTRO CON ESPONENTI DI FUTURO E LIBERTA’ NELLA SEDE DEL PARTITO
Il «coinvolgimento in diversi procedimenti penali per corruzione, reati fiscali e turbativa d’asta» e nelle indagini «sulle bonifiche delle aree ex Italsider, Stoppani, ex Oleificio Gaslini», oltre agli appalti truccati nell’azienda di nettezza urbana comunale Amiu dove emerse la corruzione di un funzionario con escort e serate a luci rosse.
E poi i rapporti di «contiguità con esponenti dei clan», ancorchè «non costanti», si inseriscono comunque nel contesto di una famiglia di origine calabrese «il cui capostipite ha senza dubbio in passato coltivato frequentazioni “di peso”, che lo hanno trasformato in un punto di riferimento per molti “compari” che vivono in Liguria».
Per queste ragioni la Corte d’appello di Genova ha riconosciuto la «pericolosità sociale» del “re delle bonifiche” Gino Mamone. E ha fatto scattare, prima volta per lui, una misura preventiva di sorveglianza speciale.
La Procura e la Direzione investigativa antimafia, diretta da Sandro Sandulli, avevano chiesto di attribuirgli una misura di «pericolosità qualificata», ovvero riferita specificamente ai rapporti con membri della ‘ndrangheta.
(da “il Secolo XIX”)
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Maggio 26th, 2017 Riccardo Fucile
LA COERENZA NON E’ DI QUESTO MONDO, LA DIGNITA’ E’ UN OPTIONAL, LA POLTRONA UN RICHIAMO DELLA FORESTA… NUOTARE CONTROCORRENTE E’ RISCHIOSO, MEGLIO AVERE UN SALVAGENTE… STORIE IMPROBABILI QUATTRO ANNI DOPO DALL’ESPERIENZA DI FLI
Domanda iniziale che vale per ogni nuova forma di aggregazione politica: quando nasce una nuova forza partitica, che sorga ex novo o da una scissione pregressa, a che titolo si aderisce, quali sono le motivazioni che portano a impegnarsi?
Sotto varie latitudini diremmo che esistono due “molle” principali, una sicuramente nobile, l’altra un po’ meno.
La prima dovrebbe essere quella di adesione a un programma, a idee e valori, alla rottura dal partito di origine che non corrisponde più a ciò in cui si crede.
La seconda è quella della scelta di convenienza, di opportunismo, di salire sul carro di quello che si ritiene vincitore o in ogni caso foriero di una nuova “sistemazione”.
E’ evidente che la prima ipotesi dovrebbe costituire la prassi e la seconda un’eccezione, almeno per chi concepisce l’impegno politico come un “percorso” certamente ad ostacoli e che ammette “deviazioni”, ma sempre in nome di una coerenza sulle linee ideali di fondo.
“Futuro e Libertà ” nacque in rottura con l’ipocrisia del partito aziendalista, con il becerume leghista, contro la mancanza di democrazia interna al Pdl, rivendicando parole d’ordine dimenticate da quel tipo di centrodestra, ovvero legalità , diritti civili, destra europea.
Non ci interessa in questa sede stabilire se ci fu coerenza nel coniugarle nella politica reale, se la classe dirigente fosse adeguata, se le scelte politiche furono giuste, se le alleanze elettorali furono le migliori.
Su queste ognuno è giusto che abbia le proprie opinioni, noi le abbiamo espresse senza infingimenti in tempi non sospetti, attirandoci parecchie critiche e poche amicizie vere.
A distanza di tempo e a bocce ferme, è il momento di guardarsi intorno e chiedersi: che fine hanno fatto molti di questi finiani che correvano entusiasti a Mirabello in nome di una “destra diversa”?
Al netto di chi ha rinunciato coerentemente a impegnarsi in politica, venendo meno quel progetto e di chi ha continuato con altri mezzi, anche culturali, a delineare “la destra che non c’è”, molti hanno scelto una strada diversa, sintetizzabile nel concetto “tengo famiglia”.
Ma come farebbe specie vedere dei “mangiapreti” fare la fila alla Caritas o degli integralisti bacchettoni abbordare trans sui viali, altrettanto sconcerto provoca la vista di tanti ex finiani in testacoda rispetto alla linea di Fli, in fila di fronte a beceri centri di accoglienza per ottenere una nuova cittadinanza sovranista.
Tutto per un posto in un anonimo consiglio comunale, la presidenza di qualche sotto-ente, la illusione di una poltrona: con molta libertà , sarebbe il caso di dire, e poco futuro.
Nessuno che abbia tentato di ereditare quella esperienza e portarla avanti con i necessari aggiustamenti , neanche a livello locale, in compenso tanti tentativi di riciclarsi, in piena sintonia con il ciclo dei rifiuti.
Per riapprodare spesso o nel partito aziendalista che tanto si criticava o in quell’area sovranista ormai in disfatta in tutta Europa e che rappresenta l’opposto delle tesi di riferimento di Fli.
Cercando la ruspa sono finiti nel camion tritarifiuti diretto alla prima discarica.
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
A VENEZIA NUMERO DUE ALLE COMUNALI DI FDI E’ UN ADERENTE A LIBERA DESTRA, NONCHE’ DIRIGENTE DELLA FONDAZIONE AN ED EX COORDINATORE DI FUTURO E LIBERTA’
Il suo motto alle elezioni comunali di Venezia è “metti il tuo voto in movimento”: non si può negare che Bruno Canella abbia scelto uno slogan che ben si addice ai suoi “movimenti” o meglio sarebbe dire spostamenti politici.
Infatti la sua vocazione “movimentista” l’aveva già portato da ex vice di Galan in Regione Veneto durante la VI legislatura a diventare coordinatore provinciale di Venezia per Futuro e Libertà .
Ora dopo quella esperienza, eccolo ricomparire come numero due nella lista lagunare di Fratelli d’Italia, in appoggio alla candidatura del’ex leghista Zaccariotto, anche lei redenta sulla via di Damasco.
Quello che lascia perplessi è che Canella risulti tra gli aderenti anche a Liberadestra, il pensatoio di Gianfranco Fini che più volte si è espresso in termini non certo lusinghieri nei confronti della linea politica della Meloni.
Come si possano condividere contemporaneamente due progetti diversi non ci è dato sapere: certo è, per fare buon peso, che Canella fa anche parte della Fondazione An grazie, pare, proprio all’interessamento dello stesso Fini.
D’accordo che, come recita il suo manifesto, è importante che “alcuni italiani non si arrendono”, ma per un elettore sarebbe interessante almeno capire su quale fronte Canella combatta questa battaglia, onde evitare di essere vittime di una schioppettata da “fuoco amico”.
Perchè non sarà in fondo rilevante, in questi tempi “movimentisti”, sapere quante tessere tenga in tasca un politico, ma almeno si avrebbe diritto a conoscere come la pensi e come si collochi.
Altrimenti si rischia come nelle figurine Panine di essere immortalati con la maglia di una squadra e poi finire il campionato in quella rivale.
E avrebbe buon diritto l’elettore a pensare che la politica sia in fondo un calciomercato senza più bandiere, ma solo banderuole.
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Marzo 7th, 2014 Riccardo Fucile
“DA FRANCESCO SOLO PAROLE, MAI UN TENTATIVO DI RICOMPOSIZIONE”… LA REPLICA: “NON SCIOLGO UN PARTITINO PER ENTRARE IN UN ALTRO PARTITINO, IL PROGETTO ERA UN ALTRO”… DUE PARODIE DI DESTRE AL SERVIZIO DI SILVIO
I militanti ci avevano sperato, ma ad oggi l’ipotesi di un unico partito di destra, che potesse ripercorrere l’epopea di Alleanza Nazionale si fa sempre più remota.
Tra Giorgia Meloni, leader di Fdi-An, e Francesco Storace, animatore de La Destra, volano gli stracci.
L’ultima puntata di un rapporto controverso che, tuttavia, negli ultimi mesi aveva fatto segnare anche qualche tentativo di riavvicinamento, sta nelle parole – durissime – che l’ex ministro della Gioventù ha vergato in una lettera aperta a Storace: «Caro Francesco – scrive la Meloni – continui a scrivere della tua delusione per tutto quello che io e noi non avremmo fatto per dare una speranza alla destra italiana. Ma i fatti dicono un’altra cosa. Dicono che da una parte c’è stato chi ha avviato un percorso lungo, pieno di segnali e tentativi. Imperfetto magari, ma animato da uno sforzo continuo e progressivo per far nascere un nuovo soggetto politico fondato sullo spirito di Fiuggi di Alleanza Nazionale».
A Storace, la Meloni rimprovera di non aver «fatto mezzo passo in avanti per dimostrare che – al di là delle parole – tenevi davvero a ricomporre la destra».
«Oggi che vorresti ancora una volta scaricare la responsabilità su di noi, io non ci sto» continua la leader di An.
Che solo alla fine prova a tenere ancora una finestra aperta: «Hai detto che la tua Direzione Nazionale deciderà il da farsi questo venerdì (oggi, ndr). Se all’esito non fosse più di chiusura preconcetta ma prendesse atto del definitivo e importante percorso da noi compiuto non potremmo che esserne felici».
La direzione nazionale de La Destra – che anticipa di un giorno il congresso di Fdi-An che si terrà domani e domenica a Fiuggi, là dove vide la luce, 19 anni fa, Alleanza Nazionale – rappresenta quindi uno snodo cruciale.
Anche se al momento una ricomposizione appare impossibile.
«Ci sarà la mia relazione – spiega Storace – su quella che è la situazione attuale nel centrodestra, anche alla luce delle regole dell’Italicum. Non si parlerà solo di collocazione elettorale, perchè un partito è anche una comunità . Ma poi, inevitabilmente, ci chiederemo in quale contenitore continuare a far valere la nostra testimonianza».
Ma, pur riservandosi di non portare in direzione una posizione predefinita, l’ex governatore del Lazio non sembra propenso a unire la sua strada con quella di Fdi-An: «Un vero leader – attacca – cerca di accattivarsi gli alleati, non di insultarli. Io ero disponibile a fare un nuovo grande partito di destra, ma se devo sciogliere il mio partitino per entrare in un altro partitino non sono d’accordo».
Sullo sfondo, l’ombra di una possibile intesa con Forza Italia.
Ieri sera, infatti, Storace ha varcato i cancelli di Palazzo Grazioli per incontrare Berlusconi. Ignoti – ma ipotizzabili – i contenuti del colloquio.
(da “il Tempo“)
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Febbraio 13th, 2014 Riccardo Fucile
ALTRI DIECI PARLAMENTARI SOTTO INCHIESTA: ALMENO 5 EX FLI TRA QUELLI CHE “TRADIRONO” FINI
L’indagine sulla compravendita dei parlamentari da parte di Silvio Berlusconi nel 2010-2011 è stata aperta alla fine del 2013 dai pm Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Fabrizio Vanorio come un modello 21.
Gli indagati insomma già ci sono anche se la Procura di Napoli, dopo le prime indiscrezioni uscite ieri sui quotidiani, non lascia trapelare una sola parola sul fascicolo che rischia di aprire un nuovo fronte con Berlusconi, stavolta non protetto dallo scudo dell’immunità .
Mentre ieri si è tenuta la seconda udienza del processo per la corruzione di Sergio De Gregorio, realizzata nel 2007 (quindi a un passo dalla prescrizione) insieme a Valter Lavitola, presente in aula, i magistrati proseguono il loro lavoro anche su fatti più recenti, dunque più preoccupanti penalmente per il Cavaliere, che lunedì, alla prossima udienza, dovrebbe essere finalmente dichiarato contumace, come deciso ieri. Il fronte più avanzato della nuova indagine, secondo quanto risulta al Fatto , è un filone sviluppato parallelamente a Napoli e Roma e nasce da una segnalazione di operazione sospetta su due parlamentari in carica fino al 2013: Italo Tanoni e Daniela Melchiorre.
La Segnalazione è partita dall’Uif, l’Ufficio Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, ed è stata trasmessa al Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza guidato dal generale Giuseppe Bottillo.
I pm Nello Rossi e Alberto Pioletti hanno aperto un’indagine nella quale sono confluite le informative della Gdf su questo afflusso sospetto di denaro dal Pdl ai conti gestiti dai due parlamentari, rappresentanti del gruppo Liberal Democratici, una formazione gemmata dalla scissione del movimento di Lamberto Dini.
Il primo versamento di 300 mila euro avveniva e metà del 2011.
Dopo avere votato contro la fiducia a Berlusconi, puntando sul cavallo perdente di Fini, il 29 settembre 2010, Melchiorre e Tanoni iniziano a riavvicinarsi a Berlusconi. Il 5 aprile del 2011 in mattinata vanno a palazzo Grazioli dall’allora premier, e da Denis Verdini e proprio quel giorno la Camera solleva a maggioranza un conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale sul processo Berlusconi-Ruby.
Melchiorre e Tanoni, come l’ex Idv Aurelio Misiti, anche lui ricevuto da Berlusconi, votano insieme alla maggioranza.
La mozione passa con 314 si contro 302 no.
Poco dopo il partito dei Liberal democratici riceve 300 mila euro dal Pdl.
Poi ne incassa altri 700 mila euro a metà del 2012. Nulla di segreto.
Il Fatto aveva già raccontato il contenuto della relazione al bilancio del Pdl: “Va segnalato — scrivono i tesorieri Rocco Crimi e Maurizio Bianconi nella relazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale — che l’ammontare iniziale dell’impegno verso la formazione politica in questione era di 1 milione 300 mila euro, sceso a 1 milione di euro per effetto del pagamento di 300 mila euro eseguito nell’anno, importo infine successivamente ridotto a 700 mila euro” per le norme che decurtavano i rimborsi elettorali ai partiti.
“La scadenza di pagamento” ammettono candidamente i tesorieri del Pdl “è stabilita negli impegni economici e politici sottoscritti nel 2011”.
In sostanza la relazione tra gli impegni politici da parte dei Libdem e quelli economici da parte del Pdl è nero su bianco nel bilancio ufficiale.
Il problema ora al centro dell’attenzione degli inquirenti napoletani è proprio la liceità del collegamento.
L’informativa delle Fiamme gialle è arrivata da molto tempo sul tavolo dei pm Nello Rossi e Alberto Pioletti. I pm romani hanno sentito a sommarie informazioni un anno fa Italo Tanoni e Daniela Melchiorre che quindi non sono indagati perchè i pm romani ritengono scriminante il fatto che i contributi sono iscritti a bilancio.
La medesima segnalazione di operazione sospetta con le carte della Gdf è però finita anche sul tavolo dei pm napoletani più recentemente.
Qui è stata inserita in un quadro più ampio, composto di atti segreti o depositati, che potrebbero attribuire altra valenza ai pagamenti.
Secondo l’impostazione dei pm napoletani, se un parlamentare compie un atto contrario ai suoi doveri in cambio di soldi, è un corrotto.
Ci vuole però un atto specifico, non basta il cambio di casacca.
L’atto specifico nel caso dei Libdem potrebbe essere quindi la votazione sul caso Ruby.
Nel caso di De Gregorio, i pm già contestano i singoli voti dell’allora presidente della commissione difesa del Senato.
I parlamentari nel mirino dei pm napoletani non sono solo Melchiorre e Tanoni. In tutto dovrebbero essere addirittura dieci.
L’atto per alcuni di loro potrebbe essere la votazione della fiducia a Berlusconi nel dicembre 2010.
In particolare alcuni, spesso aderenti al partito di Gianfranco Fini, dopo avere firmato la mozione di sfiducia a Berlusconi non gli votarono poi contro in aula.
Oltre ai celebri Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, ci sono anche i parlamentari di Fli, Catia Polidori, Maria Grazia Siliquini, Silvano Moffa e Giampiero Catone.
Nel verbale di sommarie informazioni di Gianfranco Fini si trova traccia di questo interesse degli investigatori per l’improvviso mutamento di atteggiamento quando i pm napoletani chiedono all’ex presidente della Camera se fosse vero che alcuni parlamentari, dopo avere firmato la mozione di sfiducia, poi votarono in senso opposto.
Ora gli investigatori vogliono capire se ci sia stata una contropartita e di che natura per quella scelta.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 10th, 2014 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE VUOLE IL SUO COGNOME NEL SIMBOLO E PENSA DI PRESENTARLA IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI
Il Cavaliere vuole il suo cognome nel simbolo e pensa di candidarla come capolista FI in tutte le circoscrizioni
Per ora è solo un’ipotesi ma secondo uomini vicini a Berlusconi potrebbe diventare realtà : Barbara, la figlia del Cav, in lista per le prossime elezioni europee.
Lo racconta il Messaggero secondo cui la giovane ad del Milan si sarebbe detta disponibile, garantendo al padre il cognome Berlusconi nel simbolo.
Un cognome che, soprattutto i fedelissimi del Cav, vorrebbero invece fosse rappresentato dalla figlia maggiore Marina che però pare non essere intenzionata. L’altro giorno le immagini di lei con il padre in un manifesto di Forza Italia avevano fatto pensare al preludio di qualcosa di serio e si è invece scoperto essere l’iniziativa singola del circolo azzurro di Cellino San Marco.
Stesso discorso vale per un altro candidato dal cognome forte: Pier Silvio.
Anche lui pare non essere assolutamente intenzionato a fare alcun passo, l’altro giorno uscendo dall’udienza del processo Mediatrade aveva escluso anche quello della sorella Marina: “Candidature in famiglia? Non penso proprio”.
Barbara vs Galliani
Il Messaggero spiega come la candidatura di Barbara potrebbe creare qualche problema ad Adriano Galliani al quale Berlusconi ha promesso un posto in Europa. Gli altri candidati che vengono dati per certi sono Giovanni Toti il responsabile dei Club Forza Italia, Marcello Fiori e il creatore dell’Esercito di Silvio, Simone Furlan anche se non tutti dentro il partito del Cav sembrano convinti..
Altro dubbio è quello su Raffaele Fitto. Non corre rischi invece Iva Zanicchi.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 5th, 2014 Riccardo Fucile
NEL NOME DI TATARELLA IL PRINCIPE RIUNISCE I CORTIGIANI DI PALAZZO E I QUESTUANTI: IN COMUNE LA DIGNITA’ VENDUTA PER UNA POLTRONA
Nel nome di Pinuccio. Dalla morte di Tatarella, colonna del Movimento Sociale Italiano e poi di An (fu l’artefice nel 1987 della vittoria al congresso di Sorrento che portò Gianfranco Fini al vertice del partito), nel suo ricordo se ne sono dette e fatte di tutti i colori.
Ogni anno, d’altra parte, la Fondazione Tatarella organizza una commemorazione per tenere viva quella “fiamma” che fu il filo conduttore della vita del politico, caro a Fini quanto a Berlusconi; riunire tutti i moderati italiani in una coalizione che andasse “Oltre il Polo”.
Una fiamma che per anni Berlusconi ha cercato di raccogliere e tenere viva, ma che ora è davvero a un passo dall’avverarsi.
Complice l’Italicum e la volontà del Cavaliere di avere la meglio su Renzi raggiungendo, già al primo turno della nuova tornata elettorale, il 37% attraverso una sommatoria di percentuali raggranellate dai piccoli partiti, quella “grande ammucchiata”, come la chiamano nel Pd, che Tatarella aveva però immaginato un po’ diversa potrebbe palesarsi come per incanto. Oggi stesso.
Teatro dell’evento, piazza di Pietra in Roma. Sotto lo sguardo bonario di una gigantografia di Tatarella, nel quindicesimo anniversario della scomparsa, saranno tutti lì gli attori di questa nuova partita a parlare, non a caso, del “centrodestra della terza Repubblica”.
Scorrono gli anni, ma i “sogni” restano e, soprattutto le facce non cambiano, ma si adattano al nuovo che avanza (sotto forma di legge elettorale) per non perdere la poltrona oppure, in qualche caso, per riconquistare quella perduta.
Sacerdote d’eccezione di questo battesimo sarà il Cavaliere.
Manderà un saluto ai convitati che verrà letto, dal palco, da Italo Bocchino, moderatore del dibattito con Giuseppe Tatarella figlio.
In platea, tutti quelli che sono destinati a comporre la falange berlusconiana alle prossime Politiche: Angelino Alfano, leader Ncd, Maurizio Gasparri, per tenere alta la bandiera di Forza Italia ma anche di An, Ignazio La Russa, per Fratelli d’Italia, Roberto Maroni, il governatore leghista che nel Carroccio detta ancora più legge del segretario Matteo Salvini e, infine, il ministro Mario Mauro, in rappresentanza di quella parte di Scelta Civica che, quasi certamente, sceglierà la destra e non la sinistra.
All’appello mancherà Pier Ferdinando Casini, che di Tatarella tuttavia fu amico, perchè il leader centrista il suo passo di ritorno a casa l’ha già fatto.
La fotografia sarà da incorniciare: il centrodestra dei (supposti) moderati tutti insieme nel nome di “Pinuccio”.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 30th, 2013 Riccardo Fucile
LA COMPRAVENDITA VOTI NON SAREBBE A RISCHIO PRESCRIZIONE
Uno che c’era ricorda perfettamente che circolavano «offerte di ogni tipo», pur di non far votare la mozione di sfiducia.
Ai pm napoletani Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, che gli avevano chiesto della compravendita del senatore Sergio De Gregorio, l’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini, rispose di non saperne nulla ma alla domanda seguente Fini mette a verbale: «Con riferimento alla successiva vicenda, riferita alla mozione di sfiducia presentata nell’autunno del 2010, posso dire che è certamente vero che alcuni deputati di Futuro e libertà sottoscrittori della mozione di sfiducia non la votarono. Ma non conosco ragioni diverse da quelle pubblicamente addotte dagli interessati».
Si annuncia una pessima befana per Silvio Berlusconi.
Fu l’ex senatore Sergio De Gregorio, in uno dei suoi interrogatori, a svelare ai pm napoletani questo nuovo scenario.
Lui che aveva confermato a Woodcock e a Piscitelli di essere stato comprato da Silvio Berlusconi per tre milioni di euro, ha messo a verbale una «confidenza» fattagli da Denis Verdini, uno dei tre triunviri del Pdl: «Verdini mi raccontò di aver convinto Luca Barbareschi a passare il guado in cambio di una fiction con Mediaset».
Una dichiarazione che non è stata lasciata cadere nel vuoto. E che, evidentemente, in questi mesi è stata al centro di un’attività di verifica per trovare conferme che alcuni deputati di Futuro e libertà furono al centro di una campagna acquisti.
Di sicuro, alcuni di loro tornati nel Pdl sono stati poi determinanti per non far dimettere il governo Berlusconi, avendo la Camera respinto la mozione di sfiducia presentata dai finiani e votata il 14 dicembre del 2010.
Fa mettere a verbale Gianfranco Fini: «Il ripensamento di alcuni sottoscrittori di quella mozione fu poi determinante per il respingimento della stessa».
Fabio Granata, oggi tra i promotori di “Green Italia”, deputato di stretta osservanza finiana, ricorda perfettamente la vigilia di quella votazione che avrebbe dovuto far cadere il governo Berlusconi.
«Fino alla sera prima non ci sentivamo sicuri. Avevamo sentore che qualcuno stesse per lasciarci. In quei giorni avemmo tutti la percezione diretta di offerte di ogni tipo. Aldo di Biagio, che rimase con noi, disse pubblicamente che gli fu fatta una offerta di mezzo milione di euro per una Fondazione…».
Consultando l’archivio storico dell’Ansa, effettivamente il non voto di Silvano Moffa e il voto contrario di Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini, tutti e tre provenienti da Futuro e libertà , furono determinanti per la tenuta della maggioranza: la mozione fu bocciata con 314 contrari e 311 a favore.
Di certo, ricordano oggi gli ex finiani, Catia Polidori divenne sottosegretaria, Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro della Camera. Maria Grazia Siliquini fu nominata nel cda delle Poste italiane.
«Poi ci fu un’altra tornata di passaggi da Futuro e libertà al Pdl – ricorda Fabio Granata – Luca Barbareschi, Andrea Ronchi, Adolfo Urso, Pippo Scalia e Luca Bellotti».
Guido Ruotolo
(da “La Stampa”)
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