Dicembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile LA CORSA ELETTORALE A RIMETTERLO IN PIEDI ENTRO APRILE 2020, MA CONTA PIU’ LA VITA DEI LAVORATORI CHE LO SPOTTONE DI TOTI E BUCCI PER LE REGIONALI… GIA’ DUE INCIDENTI CON FERITI
“C’è un mese di ritardo, sarà difficile avere il nuovo ponte ad aprile”. Quella di Marco Bucci, sindaco di Genova e commissario alla ricostruzione del Morandi, è una resa sofferta di fronte all’evidenza.
Che i lavori andassero a rilento lo sapevano tutti, in primis le aziende costruttrici della struttura progettata da Renzo Piano (Fincantieri e Salini Impregilo, riunite nel consorzio PerGenova) che da mesi tengono le bocche cucite con la stampa.
E IlFattoQuotidiano.it ne aveva parlato a inizio novembre, quando ancora regnava l’ottimismo e Bucci assicurava che non c’erano ritardi, “anzi, esattamente l’opposto“. Promettendo ancora una volta che entro fine anno si sarebbero visti “tutti gli impalcati”, come da preciso impegno delle imprese.
E invece, ora che al 31 dicembre mancano pochi giorni, il quadro è impietoso: in piedi ci sono 4 campate su 19, appena 200 metri sui 1.067 del nuovo viadotto.
Tre sul lato di Ponente, dove il vecchio ponte è stato demolito con smontaggio meccanico, solo una a Levante, dove c’è stata l’esplosione e le aree di cantiere si sono liberate più tardi.
Altre cinque — 3 a Ponente, 2 a Levante — sono in assemblaggio a terra. Delle dieci restanti, più le due “spalle” alle estremità , non c’è ancora traccia.
Per quanto riguarda le pile, quelle completate sono 9 su 18. Le altre sono a stadi diversi, quasi mai oltre metà dell’altezza.
E in due casi — la pila 1, a ovest, e la pila 17, a est — si stanno ancora scavando le fondazioni. Insomma, la stima di Bucci potrebbe essere più che ottimistica. E d’altra parte il sindaco si è arreso soltanto all’ultimo: ancora a inizio dicembre chiedeva ai costruttori uno sforzo per tirare su 8 campate entro fine mese, annunciando che i lavori si sarebbero fermati soltanto per 24 ore, tra Natale e Santo Stefano. Per il resto, cantiere all’opera 24 ore su 24, compresi la notte di Capodanno e il 1° gennaio.
“Se tutto fila perfetto c’è ancora la possibilità di finire il 30 aprile (la data prevista nel contratto, ndr). È chiaro che non sarà facile, perchè c’è del ritardo accumulato. Ma tutto è possibile”, diceva.
Ora anche la deadline di aprile è saltata, e con essa la speranza del governatore Toti di poter “spendere” il nuovo ponte nella campagna elettorale per le regionali. Così, su Facebook, il leader di “Cambiamo” se la prende con il meteo: “Manterremo la nostra promessa: restituire il ponte alla città in primavera! Crediamoci e facciamo il tifo tutti insieme, chi non la pensa così non vuole bene a Genova!”, scrive.
Il maltempo è il capro espiatorio additato dal sindaco-commissario, che fa notare come il mare grosso abbia ostacolato l’arrivo via mare dei conci delle nuove pile.
In realtà il maltempo era prevedibile e andava calcolato, visto che non possono cancellare le stagioni neanche per i leghisti.
Qualche giorno fa, Bucci ha tirato in ballo anche i ritardi nella demolizione, dovuti all’amianto scoperto nel relitto del vecchio ponte. Ma entrambe le giustificazioni non reggono: da un lato perchè diluvi e vento nell’autunno ligure non erano certo imprevedibili, dall’altro perchè Bucci ha continuato a insistere sulle due scadenze (sagoma completa a dicembre, lavori conclusi ad aprile) ben dopo la fine della demolizione.
Il problema non è certo avere il ponte a giugno invece che ad aprile, anche se il ritardo effettivo sarà ben superiore. Il problema è rispettare i cittadini e garantire la sicurezza dei lavoratori del cantiere
Già , perchè lo scorso 13 dicembre un operaio 51enne è stato colpito all’addome da un carico in movimento, riportando alcune fratture alle costole.
Il 20 novembre, invece, si è inclinata una gru, ferendo altre tre persone.
Il timore è che l’ansia del sindaco di fare in fretta, unita alle penali salatissime — fino a 202mila euro al giorno — previste per le aziende in caso di ritardi, faccia passare in secondo piano il rispetto delle norme contro gli infortuni.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 28th, 2019 Riccardo Fucile NESSUNA BANDIERA E LE CANZONI DI DE ANDRE’ CONTRO IL SOVRANISMO
Le canzoni di De Andrè’, i pesciolini colorati di cartone, ma niente bandiere: le sardine di
Genova hanno invaso piazza De Ferrari, l’hanno riempita fino all’ultimo angolo al grido di “Genova non abbocca”: ottomila ragazzi, adulti, anziani, famiglie si sono stretti attorno alla fontana fino a palazzo Ducale, al Carlo Felice, e davanti al palazzo della Regione per sire sì alla solidarietà , no all’odio, al sovranismo e al populismo.
Le sardine nel mare di Genova non sono famose, il pesce azzurro per eccellenza sono le acciughe, anzi, le “ancioe”, così, anche lo slogan nazionale cambia, diventa “ancioe per la solidarietà “.
Studenti, professionisti, anziani, bambini: una folla eterogenea legata da un unico slogan, “Genova non abbocca”.
Ma a cosa non abbocca? “Al sovranismo, al populismo, all’odio, al razzismo, alla discriminazione”, chiarisce Roberto Revelli, uno degli organizzatori della manifestazione che, sottolinea, “è apartitica”.
C’è chi sul cartone delle sardine ha riprodotto anche il volto di Don Gallo, il prete degli ultimi, che ha sempre marciato “in direzione ostinata e contraria”.
Sulla scalinata gremita di palazzo Ducale, di fronte alla fontana di piazza De Ferrari, sono in tanti a passarsi il microfono per lanciare il proprio messaggio. Non sono persone note, ma comuni cittadini.
C’è chi si appella alla Costituzione, che “non è un reato ed è per questo che siamo qua stasera, perchè ci riconosciamo nei valori della Costituzione, che è il nostro unico slogan”.
Oppure chi invoca la difesa dei “diritti umani che sono indivisibili: o valgono per tutti o non valgono per nessuno. Non possiamo pensare di toglierli ad alcune categorie di persone e pensare che le altre stiano meglio”.
E ancora, si ricordano le tragedie dei migranti: “Chiediamo di aprire corridoi umanitari subito perchè non vogliamo più seppellire quei morti a Lampedusa: non vogliamo centri di detenzione per stranieri”.
Poi il discorso si allarga e c’è chi sottolinea l’importanza di garantire “il diritto all’istruzione, alla sanità , al lavoro per tutti”. Ad ogni parola, uno scroscio di applausi, ad ogni intervento una canzone
Non c’è rabbia nella piazza: sembra una festa colorata “per ricordarci di essere comunità “, dicono gli organizzatori, “in nome della solidarietà ” perchè, recita un altro cartello già visto in altre piazze, in altre città , stavolta è Genova che “non si lega”.
(da agenzie)
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Novembre 21st, 2019 Riccardo Fucile IL PROCURATORE CAPO: “I SENSORI DEL PONTE MORANDI TRANCIATI NEL 2015 MAI PIU’ SOSTITUITI”… NEGLIGENZE NON SOLO DI AUTOSTRADE MA ANCHE DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE CHE AVEVA IL COMPITO DI CONTROLLO
Il catalogo del rischio, cioè quel documento che certificava lo stato in cui versava il Ponte Morandi, veniva compilato in base ai segnali che arrivavano dai sensori montati sulla infrastruttura anni prima.
E però quei sistemi non funzionavano più dal 2015, quando sono stati tranciati durante i lavori di manutenzione. Secondo le indagini i sensori di cui si parla e danneggiati, non sono stati mai sostituiti da Aspi.
Neppure quando nel 2017 il professore Carmelo Gentile del Politecnico di Milano aveva suggerito di sostituirli con altri di nuova generazione, più all’avanguardia. La concessionaria aveva programmato l’inserimento dei sistemi di controllo nel progetto di retroffitting (consolidamento delle pile 9 e 10 del ponte) che sarebbe dovuto iniziare nell’autunno del 2018. Troppo tardi: il viadotto è crollato il 14 agosto, due mesi prima.
Lo svela il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, all’indomani della notizia pubblicata da Repubblica relativa alla esistenza di quel documento che certificava il “rischio crollo” per il ponte sul Polcevera. La relazione tecnica, compilata nel 2014 e sequestrata lo scorso marzo dalla Guardia di Finanza nella sede di Atlantia, a Roma. Anche se Autostrade ieri in una nota ha precisato che si sarebbe trattato di “rischio teorico”.
E però quel documento sul “rischio crollo”, in cui per la prima volta compare la parola “crollo” per il viadotto genovese, è stato vagliato persino dai consigli di amministrazione di Atlantia e di Autostrade. C’è di più: alle sedute di quest’ultima partecipa un rappresentante del Ministero delle Infrastrutture come membro del Collegio dei Sindaci.
“Ho letto quello che avete letto voi, il contenuto di quello che ho letto è per me inaccettabile. Anche intellettualmente incomprensibile”, dice il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Paola De Micheli, commentando appunto la presenza del Ministero alla riunione del 2015 in cui si evidenziò il rischio per il Ponte Morandi.
Emerge quindi che i vertici del ministero delle Infrastrutture nel 2015 erano a conoscenza del “rischio crollo” per il Ponte Morandi: di quel documento stilato un anno prima, finora segreto ma sequestrato dalla Guardia di Finanza nella sede di Atlantia e di Autostrade.
Alle sedute del consiglio di amministrazione di Aspi partecipa un rappresentante del Mit, membro del Collegio sindacale. E questo organo con il cda ha condiviso “l’indirizzo di rischio basso” per il viadotto genovese, poi crollato il 14 agosto 2018
(da agenzie)
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Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile NESSUNO LO DICE, MA LA PROMESSA DI COMPLETARE LA RICOSTRUZIONE DEL PONTE ENTRO IL 15 APRILE SERVE A TOTI PER LA CAMPAGNA ELETTORALE PER LE REGIONALI
Il tempo stringe e la ricostruzione non procede secondo le aspettative. 
Il nuovo viadotto sul Polcevera fatica a prendere forma: si lavora ormai da più di cinque mesi, ma alla struttura che sorgerà al posto del ponte Morandi mancano ancora 18 campate su 19.
Al momento se ne vede una sola, quel tratto da 50 metri d’impalcato tra le pile 5 e 6 (sul lato ovest) inaugurato il 1° ottobre scorso con una cerimonia solenne, alla presenza del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e del ministro delle Infrastrutture, Paola De Micheli. Dopo di che, più nulla.
I piloni completati sono 4 su 18, tutti a ovest, mentre a est i lavori rimangono nelle primissime fasi.
Di questo passo appare molto difficile rispettare la prossima scadenza-chiave, oggetto di un preciso impegno da parte del consorzio Fincantieri-Salini-Italferr e sottolineata più volte dal sindaco-commissario Marco Bucci (e non solo): quella, cioè, che vorrebbe l’intero “scheletro” del nuovo ponte in piedi entro la fine del 2019, per arrivare al collaudo nel mese di aprile 2020.
Nonostante i turni degli operai coprano 24 ore al giorno, festivi compresi, a rallentare la tabella di marcia sono intervenuti più fattori, dai ritardi nella demolizione al ritrovamento di idrocarburi nel sottosuolo. Fino al meteo, con i nubifragi e le raffiche di vento che hanno colpito Genova nelle ultime settimane (tutt’altro che imprevedibile in autunno in Liguria) complicando ulteriormente le operazioni, in particolare quelle da compiere in quota.
Il piano prevedeva l’avanzamento dei lavori in contemporanea dalle due sponde del Polcevera, ma sul lato di Levante, dove c’è stata l’implosione a fine giugno, l’opera è allo stato embrionale: per quattro pile su nove si sta ancora lavorando sottoterra, con lo scavo delle fondamenta e la realizzazione dei pali di fondazione in ferro. Altre quattro hanno appena cominciato a vedersi, con la posa dei primissimi blocchi, mentre per la pila dieci, la più vicina al torrente, c’è da attendere il completamento di una struttura preparatoria.
Per quanto riguarda gli impalcati tra una pila e l’altra (16 blocchi da 50 metri, più i tre centrali da 100), uno è già al suo posto, un altro sta per essere sistemato tra le pile 4 e 5, altri cinque sono in assemblaggio a terra. Dei restanti non c’è ancora traccia.
Bucci e la sua squadra però contano su tre nuove mega-gru, arrivate in cantiere negli ultimi giorni dai Paesi Bassi, che dovrebbero velocizzare, e di parecchio, i lavori. “Il prossimo mese sarà decisivo per capire se la scadenza di fine anno è plausibile”, dice a Ilfattoquotidiano.it l’architetto Stefano Russo, uno dei progettisti dell’opera nel team di Renzo Piano. “Se tutto va per il meglio, il ritardo si può recuperare. Altrimenti per gli ultimi pezzi d’impalcato bisognerà aspettare il 2020”.
A sollevare per primo dubbi sull’effettiva possibilità di rispettare i tempi è stato, il 25 ottobre, il Secolo XIX. Il sindaco-commissario si è preso un giorno per rispondere, poi ha sfoderato il solito ottimismo: “Il nuovo ponte va avanti come deve andare. Non ci sono ritardi, anzi è esattamente l’opposto. A fine aprile faremo l’inaugurazione e gli impalcati si vedranno già a fine anno”, ha detto, ammettendo però che “un paio verranno montati nelle prime settimane di gennaio”.
“Ogni project planning ha ritardi e compressioni di tempo, ha argomentato Bucci, la pioggia non ha aiutato, ma altre cose, tipo l’arrivo delle nuove gru, stanno aiutando”.
Ilfattoquotidiano.it ha provato più volte, senza successo, a contattare il sindaco: il suo portavoce fa sapere che la posizione ufficiale è quella trasmessa alle agenzie nei giorni scorsi. Anche il consorzio PerGenova, che riunisce Fincantieri e Salini Impregilo, resta irraggiungibile: alla richiesta di un confronto, con domande precise sullo stato di avanzamento dei lavori, non arrivano risposte. Peraltro, le due aziende (insieme a quelle incaricate della demolizione) hanno firmato un contratto che prevede penali salatissime in caso di ritardo sulla data prevista per il collaudo dell’opera, il 15 aprile del prossimo anno.
Ma le bocche sono cucite anche nelle sedi istituzionali. “Dopo il crollo del ponte, il sindaco ci aveva garantito una commissione ogni settimana per relazionare sull’avanzamento dei lavori”, denuncia il consigliere comunale Pd Alessandro Terrile, “ma negli ultimi due mesi siamo stati convocati una volta sola. Hanno sospeso anche le visite periodiche al cantiere, che comunque erano sempre guidate. Al di là delle frequenti inaugurazioni, si può chiedere come stanno procedendo davvero i lavori? È lecito domandarsi a che punto siamo senza essere tacciati di disfattismo? Attendiamo che la struttura commissariale si degni di venirci a riferire”, attacca.
Sullo sfondo, poi, c’è il nodo delle montagne di detriti rimaste nel quartiere del Campasso dopo la demolizione con esplosivo: 25mila metri cubi andranno a formare la collina artificiale su cui sorgerà il parco pubblico ai piedi del ponte, mentre i restanti 35mila, esclusa l’ipotesi di usarli per il ribaltamento a mare di Fincantieri, saranno trasferiti su gomma in un’area di stoccaggio. Anche quelli, aveva promesso di nuovo la struttura commissariale, “entro la fine dell’anno”. Per il trasporto, a spanne, saranno necessari 2.800 viaggi di camion pesanti. Al momento non ne è stato effettuato neppure uno.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 21st, 2019 Riccardo Fucile SCOPPIA LA RIVOLTA, AGENTI E FUNZIONARI IN FUGA DAL REPARTO, CHIEDONO IL TRASFERIMENTO QUASI LA META’ DEGLI ADDETTI ALL’INFORTUNISTICA
Su circa 25 tra funzionari e agenti di polizia locale che compongono la sezione Infortunistica, il nucleo che si occupa delle indagini sugli incidenti con i feriti più gravi o persone decedute, dieci hanno chiesto nelle ultime settimane di essere trasferiti ad altro ufficio.
Con il rischio di lasciare sguarnita quella che è stata elogiata come «eccellenza genovese» anche dallo stesso procuratore capo Francesco Cozzi.
Un allarme lanciato da Fulvio Monfrecola, segretario ligure del sindacato Csa: «È il segno di un malessere dovuto alle direttive giunte a più riprese dal comandante della polizia locale, Gianluca Giurato, che contesta una scarsa produttività dei colleghi perchè elevano poche sanzioni. E in base a quei numeri, chiede più multe e ventila ripercussioni su valutazioni e premi. Ma l’infortunistica si occupa di altro, rispetto alle bollette. Non vorremmo che fosse in pericolo l’esistenza di questa sezione».
Sulle domande di trasferimento, l’assessore leghista Garassino commenta che «se qualcuno non si trova bene in un posto e vuole andarsene, nessuno lo impedisce».
A febbraio era stato annunciata una riorganizzazione di alcuni uffici, che comprendeva l’accorpamento dell’infortunistica a un’altra sezione, l’autoreparto. Una strada che non era stata intrapresa, anche a seguito dell’interessamento del procuratore Cozzi, che aveva sottolineato quanto fosse importante, per la procura, avere investigatori specializzati nelle indagini sugli incidenti.
A maggio poi i sindacati avevano già denunciato come Giurato avrebbe chiesto un numero maggiore di sanzioni, ventilando la possibilità che, senza un risultato tangibile su questo versante, sarebbero partite procedure di “warning”, un avvertimento disciplinare.
(da “il Secolo XIX”)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile BUFERA SU BUCCI, FRASI PRONUNCIATE IN UNA RIUNIONE DI GIUNTA INSIEME AL CONCETTO “I CANI LI SOPPRIMEREI TUTTI”… LUI PROVA A SMENTIRE MA DUE TESTIMONI CONFERMANO
“Io da bambino prendevo i gattini appena nati, li chiudevo in un sacchetto e li affogavo. E le mamme che non riuscivo a prenderle, le infilzavo con le stecche degli ombrelli, per ucciderle. In più, fosse per me, sopprimerei tutti i cani”: il sindaco Marco Bucci se ne sarebbe uscito così durante una riunione di giunta.
La frase è stata successivamente smentita: attraverso il suo portavoce il primo cittadino ha fatto sapere che “la frase non corrisponde al vero. Chi l’ha riferita ha estrapolato e interpretato una frase dal contesto di una conversazione”.
Ma Marco Preve nelle cronache locali del giornale guidato da Carlo Verdelli ha risposto che due persone presenti hanno confermato a Repubblica la frase.
E anche che la fuga di notizie sulla triste sorte dei gattini è stata comunque mal digerita dal sindaco il quale, in una successiva riunione di giunta, ha detto di avere le idee chiare su chi spiffera le notizie alla stampa.
(da agenzie)
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Agosto 29th, 2019 Riccardo Fucile L’ELEVATO AVEVA AUSPICATO MINISTRI TECNICI AL GOVERNO E CRITICATO CHI SI AGGRAPPA ALLA POLTRONA
Ieri Beppe Grillo ha dimostrato le sue movenze da elefante in cristalleria pubblicando, subito dopo l’ok di Mattarella al Conte Bis, sul suo blog la richiesta di avere ministri tecnici nel nuovo esecutivo.
Questo ha ovviamente segato le aspirazioni di Luigi Di Maio, il quale subito dopo l’uscita del post lo ha chiamato per farlo rettificare a mezzo agenzia di stampa, ma ormai la frittata era fatta.
Racconta Ilario Lombardo su Repubblica:
Quando chiama Grillo, un secondo dopo aver letto il blog, è furioso: «Così mi ammazzi, Beppe» gli dice. Assieme al comico, sentendo anche Palazzo Chigi, studiano come correggere il tiro.
Perchè il post è abrasivo sulle ferite ancora fresche della trattativa con il Pd, anche per il tempismo, che svela il prurito alle mani di Grillo, la voglia di ricalibrare il suo Movimento, nato rivoluzionario e finito a studiare il manuale Cencelli. (…)
Nelle chat dei vertici del M5S spuntano file di punti interrogativi, faccine con gli occhi sbarrati. È lo stupore di una mossa inattesa, deflagrante, l’ennesima con la quale Grillo è tornato centrale in questa lunga crisi d’agosto.
Vorrebbe dire fuori Di Maio e i due ministri sui cui conta di più: Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. Il comico è costretto a giustificarsi e smentire se stesso attraverso la comunicazione del M5S.
Di Maio rivendica a sè il ruolo del capo politico che il garante gli ha già scippato nelle ultime due settimane. La sua leadership già barcolla, soffocata dai gruppi parlamentari in rivolta, l’ascesa di Conte, il ruolo di Davide Casaleggio, l’astuzia di Zingaretti che lo aggira cercandosi altri interlocutori.
In mattinata, in sua difesa, parte la batteria delle dichiarazioni dei grillini a lui più fedeli, sotto la regia del suo staff. «Chi tocca Di Maio tocca il M5S».
(da agenzie)
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Agosto 14th, 2019 Riccardo Fucile 43 VITE SPEZZATE: A UN ANNO DALLA TRAGEDIA PREFERIAMO RICORDARE LE VITTIME, NON RACCONTARE LE PASSERELLE DEI POLITICI
Un istante che ridisegna per sempre lo skyline di Genova e che riporta l’Italia a contatto con i suoi fantasmi. Sì, perchè sono in molti, in quel drammatico 14 agosto, quando il Ponte Morandi si spezza trascinando con sè l’inquietante bilancio umano di 43 vittime, a riandare con il pensiero ad altre stagioni.
Come il terribile 2 agosto del 1980 quando a Bologna, nel corso della drammatica esplosione della stazione, persero la vita ben 85 italiani. Era l’Italia del terrorismo, delle radio libere e delle tv in bianco e nero.
L’Italia del 2019 sembra un altro mondo. Ma, dalle dirette delle tv private al tam tam dei social network, il senso di impotenza è lo stesso.
E molti non resistono alla tentazione di paragonare il crollo del Ponte Morandi alle pagine più buie della storia italiana. Come il padre di Giovanni Battiloro, promettente giornalista di Torre del Greco, che all’indomani della tragedia parla apertamente di “Strage di Stato”. Sì, perchè la rabbia è tanta e il nemico non è più una frangia eversiva.
Il nemico si chiama imperizia, opere pubbliche decadenti, appaltate a privati pronti a massimizzarne i profitti, ma forse incapaci di garantirne la sicurezza, uno Stato paralizzato e spesso incapace di fare gli interessi dei cittadini.
La tragedia del 14 agosto diventa in breve il simbolo dell’Italia di questi anni, il nostro personale e doloroso Titanic.
Da sud a Nord la tradizionale vigilia di ferragosto è un giorno di spostamento per molti vacanzieri o per molti lavoratori pronti a ritagliarsi un giorno di pausa dalla calura estiva. Ma a Genova, così come in larga parte della penisola, quel giorno sembra tutto fuorchè estate.
La pioggia si abbatte sulle le strade liguri e anche sul manto stradale del ponte Morandi, mentre molte famiglie lo attraversano dirette verso mete turistiche sognate da mesi. Uomini, donne e bambini: i volti di chi ha perso la vita in quel tragico giorno di agosto si sovrappone presto nelle edizioni straordinarie dei telegiornali e nelle aperture dei quotidiani on-line.
E le loro storie colpiscono subito l’opinione pubblica. È il caso della famiglia Robbiano, un nucleo composto da Roberto, Ersilia e il piccolo Samuele. I tre erano in partenza verso la Sardegna. Sul cruscotto della macchina gli inquirenti hanno ritrovato un telefonino che squillava all’impazzata. «Mamma» è la scritta che compariva sul display. Dall’altra parte del filo c’era una nonna, disperata, che tentava di parlare con la figlia.
O è il caso della coppia formata da Christian Cecala e Dawne Munroe: i due ragazzi si erano conosciuti in Jamaica ed erano in viaggio verso le vacanze con la figlioletta Crystal nel giorno del crollo.
La tragica fatalità unisce vittime di diversa nazionalità come la famiglia dello chef cileno Juan Carlos Pastenes, 64 anni, da 30 anni abitante a Genova e quella di Alessandro Robotti, astrofilo dell’alessandrino e della moglie Giovanna Bottaro.
E a farne le spese sono spesso i minori. Come i due figli di Claudia Possetti, Manuela (16 anni) e Camilla (12). I due viaggiavano con la madre e con il suo nuovo compagno, Andrea Vittone.
Commosso il ricordo della sorella di Paola: «Mia sorella Claudia stava vivendo uno dei momenti più belli della sua vita. Dopo la separazione e un periodo di convivenza si era risposata da pochi giorni. Era felice, con suo marito erano appena tornati dagli Stati Uniti dove erano andati in viaggio di nozze con i ragazzi nati dal primo matrimonio: Camilla e Manuele — racconta- eravamo legatissime».
Ma il 14 agosto non è per tutti sinonimo di vacanza: per molti è un giorno come un altro, e non sono pochi i lavoratori coinvolti nel maledetto momento del crollo. Portuali, dipendenti pubblici, precari di aziende municipalizzate, ma anche commessi, autotrasportatori e lavoratori occasionali e piccoli imprenditori: è uno spaccato abbastanza fedele del Paese quello delle vittime coinvolte nel crollo del ponte genovese.
Molti dei lavoratori che hanno perso la vita in quel maledetto 14 agosto erano all’opera per racimolare qualche soldo extra, molti lasciano mogli, genitori e figli.
È il caso di Andrea Cerulli, portuale che si stava recando al lavoro verso Voltri, ma anche dei numerosi autotrasportatori che hanno perso la vita sul ponte.
Storie come quelle di Marian Rosca, camionista romeno che viaggiava con il collega moldavo Anatolii Malai nel momento dello schianto: la sua famiglia ha autorizzato dopo l’incidente alla donazione degli organi.
Un destino beffardo che accomuna molti altri camionisti italiani e lavoratori come Gennaro Samataro, autotrasportatore napoletano, Vincenzo Licata, Luigi Matti Altadonna (commesso per la catena Mondo Convenienza), Giorgio Donaggio, ex campione di Trial ricordato anche dall’inviato di Striscia la Notizia, Vittorio Brumotti.
Altri lavoratori ucciso dal Ponte Morandi erano invece addetti alla sicurezza stradale come Mirko Vicini, ultimo tra le vittime a essere trovato, precario dell’Amiu, l’azienda municipale di Genova. Un destino condiviso anche da Bruno Casagrande e Alessandro Campora (dipendente Aster).
E non mancano purtroppo le vittime anche tra i lavoratori occasionali come Marius Djerri, promessa calcistica del Campi Corniglianese, morto con l’amico Edi Bokrina, mentre si stava recando al lavoro per una ditta di pulizia. Inconsolabile la madre: «Continuo a ripensare a quella mattina — dice — di solito lo chiamavo più volte al giorno, anche cinque o sei, e quel 14 agosto, chissà perchè, ci siamo sentiti una sola volta. A volte mi dico che mi basterebbe una sola telefonata in più, sentire la sua voce una volta in più» ha confessato al Secolo XIX .
E come per i due giovani ragazzi albanesi, anche quello di Henry Diaz Henao, ragazzo di origine colombiana e studente di ingegneria, era un lavoro occasionale. Henry stava accompagnando, con un servizio di navetta, una donna, Angela Zerilli, cinquantenne dipendente del comune di Milano verso un centro benessere. Una corsa che si è arrestata drammaticamente su quel maledetto ponte.
«Si sarebbero sposati qui tra meno di un anno e oggi: Marta e Alberto, questo è il vostro matrimonio»: la rivelazione del prete , nel giorno del funerale di Alberto Fanfani e Maria Danisi, medico e infermiera conosciutisi e innamoratisi nell’ospedale di Pisa, ha commosso molti.
Ma quella dei due ragazzi è solo una delle tante storie : il crollo del ponte di Genova è anche la storia di sogni e promesse di coppie che si spezzano improvvisamente, di destini segnati dall’amore e dalla stessa tragica fatalità .
Come quella di Stella Boccia e Carlos Jesus Eraso Trujillo: residenti ad Arezzo i due lavorano e si erano innamorati lavorando insieme nel ristorante dei genitori di Stella.
O quella della coppia di ventenni francesi Melissa Artus e Nathan Gusman, i due fidanzati erano in viaggio con altri due coetanei (Axelle Nèmati Alizee Plaze e William Pouzadoux) verso un rave in Sicilia quando il la strada si è aperta sul vuoto. Commosso il ricordo della sorella di William Pouzadoux, contattata poco dopo l’incidente dal quotidiano francese Le Parisien: «Era testardo, ma aveva il senso dell’umorismo. Faceva il viticoltore, aveva un cane che amava moltissimo e un sogno: acquistare un furgoncino con cui fare il giro del mondo».
Volevano arrivaree invece a Barcellona i quattro ragazzi di Torre del Greco che hanno perso la vita sul ponte Morandi. Il loro dramma si sovrappone a quello di una città e di una nazione intera.
Tra loro Matteo Bentornati, rampollo di una delle dinastie più importanti di Torre del Greco nel settore del corallo, Antonio Stanzione, deejay promettente e Gerardo Esposito, per gli amici Gerry, grande amante dell’Inghilterra.
Tra di loro anche Giovanni Battiloro, promettente e conosciuto giornalista del napoletano per il quale si è mobilitato anche il sindaco De Magistris: «Esprimo la mia profonda tristezza per la tragica scomparsa a Genova di Giovanni Battiloro, unitamente ai suoi tre amici Gerardo, Antonio e Matteo, giornalista di Julie che negli anni ho imparato ad apprezzare non solo per la bravura con la macchina da presa ma anche per l’educazione ed il garbo con cui svolgeva il suo lavoro. L’amministrazione comunale abbraccia forte la famiglia ed è accanto a tutti quanti gli hanno voluto bene». L’ennesima vita spezzata, l’ennesimo tassello di una Spoon River che ha macchiato per sempre quella maledetta estate italiana.
(da agenzie)
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Giugno 6th, 2019 Riccardo Fucile QUALCUNO RICORDA QUANDO IL SINDACO LEGHISTA DI GENOVA PROMETTEVA 30.000 POSTI DI LAVORO IN PIU’?
A venticinque anni Davide Acquanita ha scoperto l’America in Spagna. «Mi ero appena laureato in ingegneria e sono andato a Madrid per un master sulle energie rinnovabili».
La Spagna ha conosciuto una crisi peggiore di quella italiana, ma ne sta uscendo più in fretta. Il suo Pil cresce a un ritmo doppio del Pil italiano, e le sue aziende diventano approdo per giovani da tutta Europa. Giovani come Acquanita.
«Dopo il master a Madrid in energie rinnovabili, ho trovato impiego in un’azienda spagnola, Vector Cuatro». Vector Cuatro fa parte del gruppo Falck, ragione per cui oggi Acquanita è tornato a lavorare e vivere in Italia. Ma non nella sua città .
«Come tanti genovesi, vivo a Milano. In un certo senso, continuo a riempire le fila dei migranti».
Una media di 37 mila liguri, circa il 2,5% dei residenti, sposta ogni anno la propria residenza altrove, in un’altra regione o all’estero.
Da Genova, solo nel 2017, se ne sono andati in più di 11200; l’Ufficio statistico comunale ci dice che la maggior parte di loro, il 79%, si è trasferita verso altri comuni del Nord Italia, in gran parte nelle regioni del Nord Ovest, a farla da padrone soprattutto Piemonte e Lombardia e che un 10% è andato all’estero.
Di quel 10% che nel 2017 ha oltrepassato i confini italiani – in totale 1206 persone – la maggioranza si è diretta verso i paesi dell’Unione Europea, principalmente Regno Unito, Francia, Germania e Spagna, ma tra i paesi nella top ten delle preferenze dei giovani in fuga spuntano anche il Belgio e, tra gli Stati non comunitari, la Svizzera.
L’America, invece, resta un sogno un po’ troppo lontano.
Nel 2017 le persone che hanno scelto di trasferirsi negli Stati Uniti sono state appena 54, con una crescita minima rispetto agli ultimi anni, basti pensare che nel 2009 a migrare oltre oceano sono stati in 48.
Tra i genovesi che hanno scelto di cercare fortuna fuori dall’Italia molti sono nati e cresciuti nei quartieri più fortunati della città .
Su 1207 persone che nel 2017 hanno spostato la residenza da Genova all’estero, 119 sono partite dal quartiere di Prè-Molo-Maddalena, che comprende strade dagli alti o altissimi valori immobiliari, come via Cairoli, via Garibaldi, salita Santa Caterina; altre 113 hanno lasciato Albaro, mentre 98 sono partite da Castelletto e 93 da Sturla e Quarto.
Giuseppe Campo Antico rientra alla perfezione in questa casistica. «Sono cresciuto ad Albaro. Mi sono trasferito a Milano per l’Università e da lì, dopo la laurea triennale, ho proseguito l’università a Rotterdam dove poi ho lavorato per un anno in uno studio di architettura».
(da “il Secolo XIX”)
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