Giugno 10th, 2021 Riccardo Fucile
BELLEGGIA, I FRATELLI BIANCHI E PINCARELLI RISCHIANO L’ERGASTOLO
È iniziata la prima udienza in Corte d’Assise al tribunale di Frosinone per i quattro ragazzi di Artena accusati di aver ucciso a pugni e calci il 21enne di Paliano, Willy Monteiro Duarte.
In carcere con l’accusa di omicidio volontario, i fratelli Marco e Gabriele Bianchi assieme a Mario Pincarelli e Francesco Belleggia rischiano fino alla condanna all’ergastolo, dopo che il giudice ha rifiutato la richiesta dei loro legali di accedere al rito abbreviato.
Il pestaggio mortale è avvenuto la notte tra il 5 ed il 6 settembre 2020 a Colleferro. I familiari del giovane cuoco italo-capoverdiano si costituiranno parte civile insieme ai Comuni di Paliano, Colleferro e Artena. «Willy è con noi e spero ci dia la forza per affrontare questo processo. Provo tristezza, solo tanta tristezza», ha detto la madre del ragazzo.
Dopo il pestaggio che ha portato alla morte di Willy, gli accusati hanno sempre negato non solo di avergli fatto del male, ma anche di averlo toccato. Le intercettazioni in carcere, però, dimostrerebbero il contrario. «Solo ci so, ci so tirato», ha detto Pincarelli in dialetto al padre, mentre erano a colloquio. «Solo lo so un po’ rovinato, gli so tirato quanto steva per terra da chiglio».
Per gli investigatori c’è quindi la certezza che il ragazzo abbia fatto del male a Willy quando era in terra.
Bianchi, invece, a colloquio con il fratello, dà la colpa a Francesco Belleggia, l’unico tra gli accusati dell’omicidio a trovarsi agli arresti domiciliari: «L’ha spezzata chiglio figlio de puttana de Belleggia la vena n’canna (in gola, ndr)».
Con Pincarelli, Belleggia avrebbe preso a pugni Willy, finendolo.
Il corpo di Willy
In seguito all’arresto dei quattro, l’ordinanza del gip descriverà il pestaggio come un episodio caratterizzato da «Colpi sferrati con inaudita violenza da persone esperte ed allenate nonché consapevoli, anche per la sproporzione fisica rispetto alla vittima, della nocività e letalità degli stessi».
Il giudice scrive che «Willy Monteiro Duarte, un ragazzo di appena 21 anni e corporatura esile, era semplice spettatore di una discussione che stava volgendo al termine ed era dunque del tutto impreparato all’aggressione. Per circostanze e velocità dell’azione non faceva in tempo a opporre alcuna resistenza». Secondo i risultati dell’autopsia, il 21enne muore per un’azione «coordinata». Riporterà lesioni al torace e alla carotide.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
IL PM: “SISTEMA DI SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI, OMESSI VERSAMENTI IVA E ONERI PREVIDENZIALI”
20 milioni di euro sequestrati d’urgenza alla Dhl Supply Chain Italy, società colosso nella logistica, a margine di un’indagine della Procura di Milano per presunta frode fiscale sull’Iva.
Su delega del pm Paolo Storari il sequestro è stato eseguito dagli agenti della Guardia di Finanza, mentre le indagini sono state svolte in collaborazione con il settore Contrasto Illeciti dell’Agenzia delle Entrate.
Stando a quanto emerso dall’inchiesta e dalle perquisizioni delle Fiamme Gialle, la società del gruppo Dhl Supply Chain Italy, al fine di avere dei «meri serbatoi di manodopera» si sarebbe avvalsa di un un consorzio a cui facevano capo 23 cooperative di intermediazione di manodopera che assumevano formalmente i lavoratori della logistica, interscambiando i lavoratori l’una con l’altra.
Inoltre, secondo quanto emerso dalle indagini, l’azienda avrebbe omesso «sistematicamente il versamento dell’Iva e, nella maggior parte dei casi, degli oneri di natura previdenziale nei confronti dei lavoratori».
Dall’inchiesta sarebbe emersa inoltre «una complessa frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti, da parte della multinazionale, e dalla stipula di fittizi contratti di appalto per la somministrazione di manodopera, effettuata in violazione della normativa di settore».
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
LA PROCURA: ORA ANNULLARE L’ORDINANZA…RIENTRA LA TITOLARE CHE RIPRENDE IL POSTO DELLA SOSTITUTA
Non sarà il gip di Verbania Donatella Banci Buonamici, che ha scarcerato i tre indagati per la tragedia della funivia del Mottarone nella quale il 23 maggio scorso sono morte 14 persone, a dover decidere sull’incidente probatorio chiesto dalla difesa di Gabriele Tadini, il caposervizio della funivia ora ai domiciliari, ma il giudice Elena Ceriotti, “titolare per tabella del ruolo”. Lo ha deciso il presidente del tribunale di Verbania, Luigi Montefusco.
Poco dopo la Procura della Repubblica di Verbania ha chiesto al Tribunale del Riesame di annullare il provvedimento con cui il gip Banci Buonamici lo scorso 29 maggio aveva rigettato la richiesta di misura cautelare per Luigi Nerini, il titolare della “Ferrovia del Mottarone” che gestisce la funivia della strage, e per Enrico Perocchio, l’ingegnere direttore di esercizio. Lo ha confermato il procuratore della Repubblica Olimpia Bossi.
La gip Banci Buonamici, nella sua funzione di “supplente” ha deciso giustamente, rileva il presidente del tribunale, sui fermi dei tre indagati per omicidio colposo plurimo, ma non può decidere sull’incidente probatorio “rilevato – si legge nella nota del presidente del tribunale di Verbania – che il 31 maggio 2021 è cessato l’esonero dalle funzioni di gip di Elena Ceriotti, titolare per tabella del ruolo”.
Dunque sulla richiesta di incidente probatorio sulla fune e sul sistema frenante della cabin, presentata il 3 giugno scorso dall’avvocato Marcello Perillo, difensore di Tadini, si deve esprimere il gip Ceriotti.
Il provvedimento si inserisce nella diversità di opinioni emerse tra il procuratore capo Olimpia Bossi e il gip Donatella Banci Buonamici, presidente di sezione coordinatrice dell’area penale ma a disposizione dell’ufficio gip per sopperire alla “grave situazione di sofferenza dell’ufficio Ceriotti”.
Sotto la lente del presidente del tribunale è finita proprio la decisione della Banci Buonamici di autoassegnarsi il fascicolo sull’incidente della funivia del Mottarone che doveva essere assegnato al giudice Annalisa Palomba “impegnata in udienza dibattimentale”, come emerge in un documento a firma Banci Buonamici.
Se l’udienza di convalida non è in discussione, il presidente del tribunale ricorda che il gip supplente “non deve, per un’equa e coerente distribuzione del lavoro, accollarsi, sino alla definizione del procedimento, affari per tabella non spettantigli”.
Rientrato il giudice titolare ora è tutto nelle mani di Elena Ceriotti: sarà lei a decidere sull’incidente probatorio e su eventuali altre questioni.
Il provvedimento di esonero, su richiesta del presidente del tribunale di Verbania, viene trasmesso alle parti interessate e “per le valutazioni di competenza al consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Torino”, oltre che al presidente della Corte d’appello e al procuratore generale sempre di Torino.
Già sul piede di guerra gli avvocati della difesa: “E’ un provvedimento anomalo. Non è mai capitato che durante una partita venga cambiato l’arbitro nonostante tutti riconoscano abbia operato bene”. Lo ha detto l’avvocato Pasquale Pantano, legale di Luigi Nerini. Aggiunge Marcello Perillo, difensore di Gabriele Tadini, unico dei tre fermati ad essere agli arresti domiciliari: “Non si è mai visto un provvedimento del genere. E’ la prima volta che non per un valido impedimento ma per un problema tabellare sia sostituito un giudice di un procedimento in corso”.
“Singolare”. Cosi viene definito il provvedimento da Alberto De Sanctis, presidente della Camera penale del Piemonte occidentale. “Mai – osserva – viene riassegnato ad altro gip un fascicolo in fase di indagini, salvo in casi di impossibilità a svolgere le funzioni (per esempio: maternità o trasferimento ad altro ufficio). È doppiamente singolare che accada in un piccolo tribunale in cui il vero problema dovrebbe essere quello di evitare l’incompatibilità tra gip e gup. Non ‘bruci’ due gip perché avresti problemi a trovarne il terzo per celebrare l’udienza preliminare. È ancora più incredibile che questo avvenga d’urgenza, così di fatto da impedire al gip originario di decidere su una richiesta di incidente probatorio formulata dalla difesa”.
Secondo De Sanctis “queste inspiegabili decisioni rischiano di minare la credibilità della magistratura così come percepita dai cittadini e proprio non ne avevamo bisogno in questo momento storico. Spero – è la conclusione – che qualcuno all’interno della magistratura e dell’Anm se ne accorga così da tutelare l’indipendenza e la terzietà del giudice”.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
TRA I 12 INDAGATI C’E’ ANCHE MISS HITLER… SUI SOCIAL I RAPPORTI DEL GRUPPO CON IL DOCENTE UNIVERSITARIO SOVRANISTA GERVASONI
Le accuse sono pesantissime. Propaganda di idee naziste e antisemite, video e immagini dal contenuto razzista e discriminatorio, tesi negazioniste, istigazione a commettere azioni violente contro ebrei ed extracomunitari.
Queste le accuse che la procura di Roma, al termine di un’indagine del Ros, ha mosso nei confronti di dodici persone, tra i 26 e i 62 anni, ritenute appartenenti a un’organizzazione chiamata “Ordine ario romano” che, negli ultimi mesi, avrebbe persino iniziato a pianificare un’azione contro una struttura della Nato con ordigni confezionati in maniera artigianale anche grazie alla collaborazione di altri gruppi simili che operavano in Portogallo.
Tra gli indagati c’è anche Francesca Rizzi che nel 2019 ha partecipato e vinto “Miss Hitler” svolto sul social network Vk. Rizzi, secondo l’accusa, avrebbe cercato contatti con il gruppo estremista portoghese “Nova Ordem Social”.
L’accusa
Al momento sono state emesse misure cautelari dell’obbligo di presentazione all’autorità giudiziaria. L’accusa è di associazione finalizzata alla propaganda e all’istigazione per motivi di discriminazione etnica e religiosa.
Oltre alle misure, eseguite a Roma, Cagliari, Cosenza, Frosinone, Latina, L’Aquila, Milano e Sassari, sono scattate perquisizioni in diverse città d’Italia. Dalle indagini emerge che i dodici avrebbero avuti rapporti “via social” con Marco Gervasoni, il professore universitario coinvolto in un’altra indagine per minacce e offese al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Le indagini
L’inchiesta è cominciata nel 2009 e ha mosso i suoi primi passi nel mondo dei social. La Procura di Sassari, ad esempio, a marzo ha individuato otto persone, tutti estremisti di destra del gruppo neonazista e antisemita “Ordine ario romano”, attestato sulle piattaforme “VKontatke” e “Whatsapp”.
Nel mirino è finito il fondatore dell’organizzazione, un uomo di 40 anni, di Sassari, al quale sarebbero state collegate diverse persone, residenti in alcune località del territorio nazionale, coinvolte a pieno titolo nel sodalizio. Il promotore del gruppo, secondo gli inquirenti, era impegnato con un’altra persona a diffondere messaggi apologetici della figura di Adolf Hitler e di stampo marcatamente antisemita.
Cosa succedeva nelle chat
Si passava da contenuti che incitavano alla violenza nei confronti degli ebrei agli elenchi di cognomi di origini ebraica «in modo da poterli facilmente individuare».
Da qui l’indicazione di alcune caratteristiche somatiche che avrebbero denotato l’appartenenza alla “razza ebraica”. In concorso tra loro si sarebbero persino «scambiati idee su come sconfiggere la “minaccia giudea”, con tanto di indicazioni su come reperire delle armi, ovvero su come fabbricarne di nuove» per la «difesa della razza».
Tra gli argomenti di discussione presenti all’interno di quelle piattaforme, inoltre, c’era anche la progettazione di un attacco – con esplosivi artigianali confezionati utilizzando le istruzioni trovare online – nei confronti di una struttura della Nato. Un progetto ancora in fase embrionale che, però, ha portato i Carabinieri (intervenuti a Cagliari, Cosenza, Frosinone, Latina, L’Aquila, Milano, Roma e Sassari con tutte le perquisizioni del caso) ad accelerare le operazioni per smantellare questa cellula neonazista. Il gruppo “Ordine Ario Romano” aveva anche contatti e sodalizi con altre organizzazioni – dello stesso stampo – straniere, come quella omologa intercettata in Portogallo.
(da Open)
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Giugno 5th, 2021 Riccardo Fucile
PER L’EX PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA CHIESTO IL RINVIO A GIUDIZIO
La Procura di Mantova ha indagato l’imprenditrice Emma Marcegaglia per aver evaso l’Iva e ne ha chiesto il rinvio a giudizio.
Lo scrive la Gazzetta di Mantova. Secondo il quotidiano, l’ex presidente di Confindustria è accusata di non aver versato l’Iva per 800mila euro in relazione a fatture emesse dalla Alba Tech srl con sede a Chioggia a favore della società Albarella srl con sede a Gazoldo degli Ippoliti, di cui è legale rappresentante l’imprenditrice mantovana.
Le fatture si riferirebbero a lavori di pulizia e depurazione eseguiti nel 2007 sull’isola di Albarella dalla stessa Alba Tech, che secondo le accuse non avrebbe attrezzature, capitali e beni strumentali.
L’accusa della Procura si basa su un’indagine della Guardia di Finanza che ha riguardato le dichiarazioni dei redditi dell’imprenditrice dal 2015 al 2018.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2021 Riccardo Fucile
UDIENZA GUP FISSATA PER IL 25 GIUGNO
La procura di Tempio Pausania ha chiesto il rinvio a giudizio per Ciro Grillo e i suoi tre amici nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza italo norvegese. I fatti risalgono al luglio del 2019 e sarebbero avvenuti nell’abitazione di Grillo a Porto Cervo. La ragazza allora aveva 19 anni.
Due giorni fa Ciro Grillo è stato interrogato dai carabinieri di Genova su delega della Procura di Tempio Pausania. Il figlio del Garante dei Cinque Stelle, assistito dal suo avvocato (il cugino Enrico Grillo) ha reso dichiarazioni spontanee e secondo quanto trapela ha ricostruito la sua versione dei fatti.Il giovane è stato ascoltato da un maresciallo del Nucleo Operativo della Compagnia di San Martino.
Hanno invece rifiutato l’interrogatorio gli altri due indagati che avevano chiesto di essere sentiti, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta. A quanto pare i loro avvocati difensori avrebbero gradito che a sentirli fossero il procuratore capo di Tempio Pausania, Gregorio Capasso, e il suo sostituto Laura Bassani. Francesco Corsiglia (il quarto indagato) invece non aveva avanzato alcuna richiesta dopo la chiusura del secondo Acip depositato il 3 maggio scorso e la cui scadenza è stata il 23.
(da agenzie)
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Giugno 3rd, 2021 Riccardo Fucile
“VOGLIO VEDERE COME ANDRA’ A FINIRE QUEST’INCHIESTA”: OGGI HA VISTO COME E’ ANDATA A FINIRE
Nonostante le intercettazioni e le inchieste portate avanti da Report, per Matteo Salvini i commercialisti della Lega agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission erano “persone oneste e perbene”.
“Voglio vedere come andrà a finire quest’inchiesta” aveva aggiunto a ottobre 2020, continuando: “Ognuno con i suoi soldi può comprarsi la casa dove vuole o sul lago di Garda”, aveva detto ancora Salvini parlando delle due villette di Desenzano del Garda sequestrate dalla Guardia di Finanza ai commercialisti Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni (oggi sequestrate definitivamente)
Oggi la condanna.
Alberto Di Rubba a 5 anni e Andrea Manzoni a 4 anni e 4 mesi, imputati a Milano per il caso della compravendita del capannone di Cormano, acquistato dalla Lombardia Film Commission, con la quale sarebbero stati drenati 800mila euro di fondi pubblici. Lo ha deciso il gup Guido Salvini al termine del processo che si è svolto con rito abbreviato.
Accolto in toto l’impianto accusatorio della procura: il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi avevano chiesto 4 anni e 8 mesi per Di Rubba e 4 anni per Manzoni, entrambi imputati per turbativa d’asta e peculato.
I due revisori contabili dovranno anche versare in solido un risarcimento danni di 150mila euro a Lombardia Film Commission, fondazione partecipata dalla Regione e dal Comune di Milano e parte civile nel processo in abbreviato per il caso della compravendita del capannone di Cormano. Disposto un risarcimento di 25 mila euro per il Comune.
Comminata inoltre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena.
(da Globalist)
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Giugno 3rd, 2021 Riccardo Fucile
CONFISCATE ANCHE DUE VILLE A DESENZANO DEL GARDA AI DUE CONDANNATI PER PECULATO
Cinque anni ad Alberto Di Rubba. Quattro anni e quattro mesi ad Andrea Manzoni.
Pene più dure di quanto chiesto dall’accusa per gli ex revisori contabili della Lega in Parlamento, condannati dal gup di Milano Guido Salvini al termine del processo con rito abbreviato sull’affare Lombardia film commission.
Accolto in toto l’impianto accusatorio della procura, che con il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi avevano chiesto quattro anni e otto mesi per Di Rubba e quattro anni per Manzoni.
I due professionisti erano imputati per turbativa d’asta e peculato, accusati di aver pilotato la compravendita sull’immobile di Cormano, grazie alla quale hanno distratto 800mila euro di fondi pubblici stanziati dalla Regione Lombardia.
Il giudice ha disposto inoltre un primo parziale risarcimento di 150mila euro per la fondazione Lombardia Film Commission e di 25mila euro Per il Comune di Milano. Per i due è stata decisa anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dalla professione di commercialista per i prossimi 4 anni.
Disposta anche la confisca delle due ville a Desenzano sul Garda, sul lago di Garda, che erano stata acquistate nel 2017 con i soldi della compravendita come ricostruito dalle indagine dei militari del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano.
(da agenzie)
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Giugno 3rd, 2021 Riccardo Fucile
L’EX PM DEL POOL ANTIMAFIA DI LELLO: “I PARTITI HANNO PERSO IL SENSO DELLE REGOLE”
“Ci sono partiti politici che giocano sull’insicurezza” e che “ignorano cosa sia lo Stato di diritto”. A dirlo è Giuseppe Di Lello, il magistrato che ha fatto parte del pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, convinto che lo sdegno della politica per la scarcerazione di Giovanni Brusca sia del tutto fuori luogo.
Dopo 25 anni e con il fine pena, il boss Brusca, autore di alcune delle pagine più buie d’Italia, è stato scarcerato. Come ha vissuto la notizia?
“Guardi sono uno dei più favorevoli alle leggi premiali perché erano e sono l’unico mezzo per cercare di penetrare un’organizzazione chiusa e impermeabile dall’esterno. Certamente queste norme prevedono un premio e quindi Brusca che ha scelto di collaborare, raccontando fatti e innumerevoli omicidi, ha scampato l’ergastolo. Scontata la pena è ovvio che doveva essere scarcerato ma questo non significa che è tornato in libertà perché sono state prese tutte le precauzioni, inclusi quattro anni di libertà vigilata. Non possiamo esaltare le leggi che ci aiutano a sconfiggere la mafia e dopo fare finta di niente sul costo che comportano”.
Sul caso si è sollevato un polverone politico con la gara a chi si indigna di più. Eppure la scarcerazione di Brusca è avvenuta nel rispetto della legge. Come si spiega tanto sdegno?
“È soprattutto un gioco delle parti. Ci sono alcuni partiti politici che giocano molto sull’insicurezza dei cittadini e questo caso, ovviamente, cade a fagiolo per giustificare le loro tesi. In questi giorni tanti dicono che è inaccettabile che un pluriomicida venga scarcerato ma questa è ignoranza dello Stato di diritto che, invece, deve rispettare i patti che ha fatto. Vede la politica è fatta così, ha alti e bassi oltre a continue cadute di stile. Avrà notato che l’indignazione è stata davvero bipartisan e ha riguardato tutti gli schieramenti politici che si sono detti insoddisfatti per l’accaduto. Credo che questo sia il segno che è venuto meno il senso delle regole. Si tratta di qualcosa che riguarda soprattutto il centrodestra ma, me lo lasci dire, anche il Pd non scherza affatto”.
Mentre Maria Falcone chiede di salvare l’ergastolo ostativo, recentemente bocciato della Consulta, Matteo Salvini chiede di ridurre i benefici anche per i pentiti. Quanto propone il leader leghista non le sembra un controsenso?
“Assolutamente si. Poi addirittura invocare una modifica di queste leggi, per giunta in questo momento storico, è estremamente pericoloso. Se lei vede, ormai non ci sono più omicidi perché, da anni, è stata stroncata la mafia che spara e uccide proprio grazie a quelle leggi premiali che ora qualcuno critica. Si tratta di norme che hanno sconfitto la cultura dell’omertà per sostituirla con la cultura della vita. Qualcosa che è stato inaugurato da Buscetta che non ha collaborato perché si è pentito ma perché gli conveniva farlo, esattamente come allo Stato è convenuto che Buscetta cooperasse alle indagini. Questo dimostra che l’incentivo dato a chi collabora non è soltanto utile ma è letteralmente necessario se vogliamo continuare a combattere la mafia”.
Se dovesse passare la linea del centrodestra con Meloni e Salvini che dicono che “uno come Brusca non può uscire dal carcere”, quali ripercussioni potrebbe avere la lotta alla mafia
“Cambia tutto perché a quel punto quando si fanno degli arresti, nessuno avrebbe motivo per collaborare. Diciamoci la verità, le indagini senza i pentiti raramente vanno avanti e spesso si incagliano. Basta questo per capire che si tratta di un contributo essenziale e quindi non si può pensare di eliminare i benefici e i permessi premio che rendono la carcerazione più digeribile e invogliano a collaborare. Deve considerare che non c’è mai stato un mafioso che ha deciso di consegnarsi spontaneamente. La collaborazione è solo di natura utilitaristica“.
Da tempo si dibatte sulla natura del pentimento dei boss. Secondo lei è così improbabile che anche il più efferato dei mafiosi cambi in carcere?
“Io al pentimento interiore non ci credo. In tutti questi anni i mafiosi hanno collaborato solo per ottenere in cambio benefici e premi. Certo non posso escludere che qualcuno si sia realmente pentito ma comunque non è questo il punto del discorso perché lo Stato si deve solo attenere ai fatti anche perché il pentitismo non è rilevabile”.
(da agenzie)
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