Settembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
MANGO ACCUSATO DI RIVELAZIONE DI SEGRETO D’UFFICIO
Fuga di notizie, indagato un Generale della Finanza. Una doppia indagine alla procura Napoli da parte della guardia di Finanza.
Nel corso di un’inchiesta su concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di un gruppo di imprenditori (alcuni arrestati oggi e altri denunciati) è emerso un altro filone di indagine, totalmente estraneo all’altro, che vede indagato un alto ufficiale della Guardia di Finanza.
Il Generale di corpo d’armata Giuseppe Mango è stato indagato per rivelazione di segreto d’ufficio.
Avrebbe rivelato a un avvocato penalista particolari su un’inchiesta. Che non ha nulla a che fare con quella degli imprenditori.
Mango dal marzo 2015 è il comandante interregionale dell’Italia nord orientale. Nei suoi confronti, in attesa di interrogarlo, la procura di Napoli ha chiesto anche l’interdizione dai pubblici uffici.
Il Generale Giuseppe Mango – 60 anni, romano, sposato, un figlio – è stato promosso Generale di corpo d’armata dal primo luglio 2013, plurilaureato e autore di pubblicazioni e numerosi articoli su riviste specializzate in materia di diritto tributario, penale e penale-tributario.
Nel corso della sua carriera ha ricoperto molteplici incarichi in tutti i settori operativi e funzionali del Corpo, tra i quali, nei gradi di Generale, i Comandi regionali di Piemonte e Campania, il Comando tutela dell’economia e il Comando unità speciali a Roma.
Dal luglio 2013 aveva assunto la responsabilità del Comando aeronavale centrale, massimo organo di comando e controllo della componente aerea e navale della Guardia di Finanza a livello nazionale.
Grazia Longo
(da “la Stampa”)
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Settembre 14th, 2016 Riccardo Fucile
SEQUESTRATI AL LEGHISTA BENI PER UN MILIONE DI EURO… SALVINI NON AVEVA VOLUTO COSTITUIRE LA LEGA PARTE CIVILE PERCHE’ “BELSITO NON HA NULLA”
Francesco Belsito, ex tesoriere della Lega Nord, è stato rinviato a giudizio questa mattina per
evasione fiscale e intestazione fittizia di beni.
Lo ha deciso il giudice per l’udienza preliminare Claudio Siclari.
La vicenda è quella degli oscuri trasferimenti di fondi milionari in Tanzania, fatto per il quale la guardia di finanza lo aveva indagato.
Secondo l’accusa Belsito, difeso dagli avvocati Paolo Scovazzi, Alessandro Vaccaro e Nicola Scodnik, avrebbe dovuto dichiarare al fisco la cifra di circa sette milioni di euro sottratti illecitamente alle casse del Carroccio quando era tesoriere, peraltro rientrati nelle casse della Lega.
Praticamente la tesi si basa sulla convinzione che i vertici politici della Lega non fossero a conoscenza dell’investimento di Belsito in altri Paesi per fini speculativi, peraltro operazione che sarebbe vietata a un partito politico.
Non a caso la Lega non si è costituita parte civile, suscitando parecchio malumore tra gli iscritti, quasi che ci fosse un accordo tacito con Belsito per garantirsi il suo silenzio.
Il processo inizierà il prossimo 12 gennaio.
Il sequestro dei beni a fine gennaio
La guardia di finanza a fine gennaio aveva sequestrato a Belsito una serie di beni ritenuti nella sua disponibilità : le quote societarie del Bar Balilla di via Cesarea, un appartamento da 700mila euro nella stessa strada, le quote della società Movida srl, che gestiva la discoteca Sol Levante di Cavi di Lavagna.
E qui si ritorna al fatto della mancata costituzione di parte civile di Salvini che l’aveva motivata con la tesi (smentita dai fatti, oltre che da chi scrive a suo tempo) per cui Belsito era un poveraccio senza un euro e non era il caso di infierire.
Il sequestro per equivalente era legato all’oscuro trasferimento offshore di 7 milioni di euro di fondi del suo ex partito in Tanzania e a Cipro: anche se quei fondi sono stati successivamente restituiti, nel momento in cui Belsito ne ha avuto la disponibilità , argomenta la Procura avrebbe dovuto dichiararli al Fisco.
L’evasione fiscale ipotizzata dagli inquirenti, e contestata dai legali dell’ex tesoriere, ammonta a circa 2,4 milioni di euro.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2016 Riccardo Fucile
DOPO L’INCHIESTA DI GATTI SUL TRATTAMENTO INUMANO DI 1000 PROFUGHI E LE RELATIVE SPECULAZIONI SULLA LORO PELLE, INTERVIENE LA MAGISTRATURA
Ci sono i primi indagati nell’indagine della Procura di Foggia sulla gestione del Cara di Borgo
Mezzanone a Manfredonia (Foggia).
I reati ipotizzati sono corruzione, truffa, falso e falso in bilancio.
Le indagini sono coordinate dal procuratore Leonardo Leone De Castris e dai sostituti Dominga Petrilli e Francesco Diliso.
La vicenda sulla struttura che ospita i richiedenti asilo che attendono l’esito della procedura di richiesta della protezione internazionale era esplosa dopo l’appello di Eugenio Scalfari su Repubblica (“il governo fermi l’inferno del Cara”) in seguito alla pubblicazione dell’inchiesta di Fabrizio Gatti sull’Espresso.
Anche la prefettura foggiana, su input del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha avviato un’indagine.
Lo stesso Alfano aveva annunciato una verifica su tutte le strutture di accoglienza dei migranti sul territorio italiano e in particolare un programma di interventi strutturali per il Cara di Foggia.
Senza l’inchiesta denuncia di Gatti sarebbe successo lo stesso?
(da agenzie)
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Settembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
CONCESSI GLI ARRESTI DOMICILIARI APPENA SI TROVA UN BRACCIALETTO ELETTRONICO…. E IL “CIVILE POPOLO DI FERMO” NON PORTA NEANCHE UN FIORE SULLA TOMBA DI EMMANUEL
Gli hanno disegnato i fiori sulla lapide, in un angolo del cimitero, perchè tanto sanno che nessuno andrà a trovarlo.
Chinery, sua moglie, che pianse cantando tanto da far commuovere l’Italia, è stata trasferita in un’altra città , in un’altra regione, perchè «ero rimasta sola», dice, e poi perchè visto quello che stava accadendo tutto attorno era meglio così.
Di Emmanuel Chidi Nnamdi, il giovane nigeriano ammazzato con un pugno il 6 luglio scorso a Fermo perchè aveva osato reagire a un insulto razzista alla compagna ( «scimmia africana») non si ricorda già più nessuno.
«Siamo rimasti soli» racconta don Vinicio, il padre della comunità di Capodarco che li accoglieva. Soli perchè la città , o comunque gran parte di essa, ha deciso da che parte stare: con Amedeo Mancini, l’ultras che ha ammazzato Emmanuel
La curva ha cantato prima della partita, domenica scorsa, ricordandolo come «vittima», anzi come «eroe».
Sui social ci sono tre gruppi e centinaia di messaggi di vicinanza a Mancini.
Amedeo Mancini da poche ore potrebbe tornare a casa. Il gip del tribunale di Fermo ha infatti disposto per lui gli arresti domiciliari condizionati però all’uso del braccialetto elettronico.
«Non c’è stata quindi un’attenuazione della misura» tiene a specificare la Procura. La precisazione non è di forma ma di sostanza.
Perchè, spente le luci, attorno al caso di Fermo si è gonfiata una bolla. La moglie di Emmanuel aveva raccontato del pestaggio subito da suo marito, dopo aver ricevuto l’insulto. C’era stato l’insulto razzista, dicevano i magistrati, Emmanuel aveva reagito prendendo un segnale stradale e colpendo Mancini per poi andare via.
L’ultras si era rialzato e aveva colpito con un pugno il profugo nigeriano, per poi infierire quando era a terra.
Dai primi risultati dell’autopsia, è emerso che oltre alla mandibola fratturata Emmanuel ha avuto un ginocchio rotto.
L’accusa, in ogni caso, è di omicidio preterintenzionale con l’aggravante razziale. Un’impostazione che ha retto davanti al gip e al tribunale del Riesame che, infatti, hanno lasciato in carcere Mancini.
Vincolando ora i domiciliari al braccialetto elettronico: fin quando non sarà disponibile, Mancini dovrà restare in carcere.
«Siamo alla tutela della tribù» dice don Vinicio che qualche giorno fa ha incontrato Mancini in carcere. «Sono finito sotto accusa per aver raccontato la verità : che Emmanuel è morto in Italia, dove cercava di essere felice, dopo aver visto l’orrore. È sopravvissuto all’orrore ma non a noi. E ora tutti si sono dimenticati di lui. Purtroppo avviene così: molta misericordia per i propri e severità per gli esterni».
Per la morte di Emmanuel arrivarono le istituzioni, e centinaia di messaggi da tutta Italia, pieni di sdegno e promesse.
Due mesi dopo Chinery è andata via. Ed Emmanuel, il cui corpo doveva rientrare in Nigeria, così come volevano i suoi cari, è ancora qui.
Bloccato per motivi burocratici. Dietro una lapide con i fiori dipinti, perchè nessuno, fuori dalla comunità di Capodarco, vuole portargli quelli veri.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
COINVOLTI POLITICI E IMPRENDITORI IN UN “SISTEMA CRIMINALE DIFFUSO”
Venti arresti eccellenti scuotono la provincia di Caserta. 
Una vicenda di corruzione e appalti truccati nel settore dei rifiuti – ed in vari comuni della zona del Matese – coinvolge amministratori pubblici, funzionari, imprenditori. Venti le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Giudice per le indagini preliminari di Santa Maria Capua Vetere. Sette persone finiscono ai domiciliari, tredici in carcere.
Ad eseguire le misure sono la Guardia di finanza di Caserta, coordinata dal generale Giuseppe Verrocchi e i carabinieri diretti dal colonnello Giancarlo Scafuri.
L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere, guidata dal procuratore capo Maria Antonietta Troncone, durava da oltre un anno e aveva nel mirino presunte dazioni di danaro “e una serie di altre utilità ” in cambio di assegnazioni di lavori nel settore dello smaltimento dei rifiuti.
In particolare, la Procura sottolinea in una nota di aver portato alla luce “un vero e proprio sistema criminale finalizzato all’assegnazione illecita di appalti milionari in diversi Comuni del casertano”.
Agli arresti finiscono tra gli altri Angelo Di Costanzo, oggi presidente della Provincia di Caserta in quota Forza Italia, nonchè sindaco del Comune di Alvignano, insieme a un assessore ed al comandante della polizia municipale dello stesso paese; il sindaco di Piedimonte Matese, l’ex sindaco di Casagiove ed anche il presidente del consorzio di bonifica Sannio-Alifana, Pietro Cappella.
Nelle prossime ore è prevista una conferenza stampa in Procura.
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
LA PROCURA AVEVA CHIESTO ARCHIVIAZIONE, MA IL GIP HA ORDINATO L’IMPUTAZIONE COATTA
Arriva il rinvio a giudizio per Nunzio De Girolamo, l’ex ministro dell’Agricoltura coinvolta nelle
indagini sulla Asl di Benevento.
Il giudice per le udienza preliminare sannita Roberto Meloni ha infatti ordinato che l’esponente di Forza Italia venga processata con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla concussione e al voto di scambio.
Insieme alla De Girolamo vanno a giudizio anche Felice Pisapia, ex direttore amministrativo dell’Asl di Benevento, Michele Rossi e Gelsomino Ventucci, rispettivamente ex direttore generale e sanitario dell’Azienda, Arnaldo Falato, ex responsabile budgeting dell’Asl, Giacomo Papa e Luigi Barone, collaboratori della deputata, e il sindaco di Airola, Michele Napoletano.
Sono tutti accusati a vario titolo di associazione per delinquere, concussione e utilità per ottenere il voto elettorale.
Per l’ex esponente del Nuovo Centrodestra il procuratore di Benevento Giovanni Conzo e il pm Nicoletta Giammarino avevano chiesto l’archiviazione, ma il gip Flavio Cusani aveva disposto l’imputazione coatta: la prima udienza del processo è a questo punto prevista per il 3 novembre prossimo.
Il gip Cusani, ordinando l’imputazione coatta, aveva indicato la De Girolamo come organizzatrice e promotrice di un “direttorio politico-partitico” tramite il quale orientò nomine, appalti e clientele dell’Asl di Benevento secondo logiche di potere e di tornaconto elettorale.
In questo senso l’ordinanza del gip aveva stravolto lavoro del pm, ordinando nuove indagini sui misteri dell’appalto del 118.
Un appalto del quale si parlò a lungo nelle riunioni registrate da Pisapia, che successivamente mise a verbale come la De Girolamo intendesse favorire un’impresa vicina al Pdl che aveva partecipato al tesseramento del congresso provinciale 2012. Sempre il gip aveva deciso che l’audio delle riunioni, registrate di nascosto da Pisapia, non dovevano essere distrutte, come invece chiedevano gli avvocati della ex ministra, perchè non rientravano “nelle comunicazioni per le quali è necessario chiedere l’autorizzazione alla Camera e non violano la privacy del parlamentare”.
“Mi aspettavo questo provvedimento anche perchè l’udienza preliminare lascia poco margine decisionale al Gup”, ha detto l’esponente forzista, fresca imputata.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 9th, 2016 Riccardo Fucile
CONDANNATI A 10 ANNI E 6 MESI LA PRESIDENTE DEL PIU’ GROSSO GRUPPO FARMACEUTICO ITALIANO, A 7 ANNI E MEZZO IL FRATELLO
Condannati i vertici della casa farmaceutica Menarini. La presidente Lucia Aleotti condannata a 10 anni e sei mesi per riciclaggio da frode fiscale, 7 anni e mezzo al fratello, Giovanni Aleotti, vipresidente, per gli stessi reati. Lucia Aleotti è stata condannata anche per corruzione.
Ordinata la confisca per un miliardo di euro nei conti all’estero della famiglia. E’ caduta invece l’accusa di truffa.
La più grande casa farmaceutica italiana, la Menarini di Firenze, era infatti accusata di essere diventata tale perpetrando per quasi trent’anni, dal 1984 al 2010, una colossale frode ai danni del sistema sanitario nazionale.
Usando società estere fittizie per l’acquisto dei principi attivi dei farmaci, ne avrebbe aumentato il prezzo finale grazie a una serie di false fatturazioni. Lo Stato, rimborsando medicinali con prezzi gonfiati, ci avrebbe rimesso 860 milioni di euro. La famiglia Aleotti, proprietaria della Menarini, ci avrebbe guadagnato oltre mezzo miliardo di euro: quei soldi sarebbero stati riciclati all’estero insieme con altri proventi illeciti accumulati grazie alla corruzione e a numerosi reati di frode fiscale, per un totale di circa 1.2 miliardi di euro.
Assolti tutti gli altri imputati compreso la madre dei due fratelli, Massimiliana Landini. Gli altri imputati assolti sono Giovanni Cresci, Licia Proietti e Sandro Casini. Per alcuni capi di imputazione – tra cui la truffa – anche i due fratelli Aleotti sono stati comunque assolti
La tesi della procura di Firenze è stata di fatto accolta stasera dal Tribunale del capoluogo toscano, presidente di giuria il giudice Francesco Gratteri, che dopo un processo durato due anni ha condannato in primo grado i vertici dell’azienda che erano stati accusati a vario titolo di riciclaggio, reimpiego (il secondo ‘lavaggio’ di denaro sporco), evasione fiscale e corruzione.
Tra loro non c’è quello che gli inquirenti hanno considerato ‘l’architetto’ della truffa colossale, l’ex patron Alberto Aleotti, deceduto due anni fa
Al processo si erano costituite parti civili il Ministero della Salute, sei Regioni e oltre 100 Asl.
Ad esempio l’avvocato Francesco Bevacqua, legale rappresentante della Regione Toscana e delle sue tre maxi aziende sanitarie universitarie (Careggi a Firenze, Cisanello a Pisa e Le Scotte a Siena, oltre all’ospedale pediatrico Meyer) aveva chiesto nel corso della sua arringa, un maxi risarcimento da 87 milioni di euro, di cui 57 per danni patrimoniali e 30 per danno d’immagine.
Non essendo però stata provata la truffa – i giudici hanno assolto gli Aleotti da quest’accusa con la formula della ‘vecchia’ insufficienza di prove – non ci saranno risarcimenti.
Ci sarà invece, e cospicuo (100.000 euro) per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Secondo l’accusa dei pm Ettore Squillace Greco, Luca Turco e Giuseppina Mione della procura, grazie a società off-shore interposte e complesse triangolazioni la Menarini avrebbe quindi sovrafatturato per 26 anni il costo dei principi attivi comprati dalle multinazionali produttrici.
Poi – ha spiegato nel corso della sua requisitoria il pm Ettore Squillace Greco (ora procuratore capo a Livorno) — “corrompendo le persone che costituivano gli organi amministrativi deputati alla determinazione del prezzo dei farmaci”, il defunto patron Alberto Aleotti “otteneva prezzi vantaggiosi anche per i prodotti delle altre multinazionali”.
Secondo l’altro pm che si è occupato del caso, il sostituto procuratore Luca Turco, “Aleotti è stato molto intelligente e abile, un’abilità e un’intelligenza criminali”. Parlando dei reati-presupposto del riciclaggio – e cioè la enorme truffa sui farmaci da cui sono stati assolti per insufficienza di prove, la corruzione e la frode fiscale (realizzata tramite quattro professionisti svizzeri che hanno patteggiato in udienza preliminare) Turco ha infatti ricordato che Aleotti fu incastrato negli anni di Mani Pulite dall’inchiesta napoletana sulla Farmatruffa: l’ex patron “pagò Poggiolini e gli altri funzionari che determinavano il prezzo dei farmaci, che così non guardavano nemmeno le carte”.
E “anche se la Menarini era al loro confronto un moscerino, le grandi multinazionali avevano interesse a fare accordi con Aleotti, perchè lui riusciva a ottenere per i farmaci, su questo mercato, prezzi nettamente più alti rispetto a quelli che sarebbero riusciti a spuntare loro”.
Aleotti patteggiò nel 1997 il reato di corruzione e versò un risarcimento allo Stato di circa 3 miliardi di lire, pari a circa un milione e mezzo di euro.
“Così facendo riuscì a nascondere la truffa colossale che stava perpetrando proprio in quegli anni e che gli ha fruttato una provvista occulta di un miliardo e 200 milioni di euro”.
All’origine dell’inchiesta sul riciclaggio dei fondi neri Menarini, c’è un conto segreto in Liechtenstein di 476 milioni di euro di cui nel 2008 erano titolari presso la Banca Lgt del Principato del Liechtenstein il patriarca Alberto Aleotti, morto il 7 maggio 2014, sua moglie Massimiliana Landini e i figli Lucia, Giovanni e Benedetta.
Quel conto, secondo solo a quello del Granduca del Liechtenstein, era venuto alla luce nel 2008 quando un ex funzionario della Lgt, Heinrich Kieber, aveva venduto ai servizi segreti tedeschi, per 5 milioni di euro, la lista di 3.929 conti riservati di fondazioni e di 5.828 persone fisiche.
Dalla Germania quelle carte della Lgt erano state inviate in Australia nell’ambito della collaborazione internazionale e due anni dopo l’autorità fiscale australiana le aveva mandate prima al Comando generale della Guardia di Finanza e poi, tramite rogatoria internazionale, al Ministero della Giustizia.
Nel corso delle indagini dei carabinieri del Nas, sono state anche documentate “serrate attività di pressione” della famiglia Aleotti “su esponenti politici, negli anni 2008-2009”, per contrastare l’operato di alcune Regioni che “avevano adottato delibere a favore di farmaci generici”.
Pressioni, anche attraverso lettere, sull’ex premier Silvio Berlusconi e sull’ex ministro Claudio Scajola, e ‘interventi’ sull’allora assessore toscano alla salute, e oggi presidente della Regione, Enrico Rossi, e su altri esponenti politici, fra i quali Gianni Letta e vari ex sottosegretari.
Su questo tipo di attività la procura non ha mosso alcun rilievo penale.
Diverso il caso del senatore ex pdl Cesare Cursi, che era accusato di corruzione: la sua posizione è stata archiviata dopo la decisione del Senato di negare l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni che lo riguardavano.
Già presidente della commissione Industria e Commercio, Cursi si attivò più volte, su richiesta degli Aleotti, per bloccare o limitare i poteri delle Regioni sulla prescrizione dei farmaci, con l’obiettivo di difendere la quota di mercato di quelli coperti da brevetto.
E’ per questo episodio corruttivo che è scattato il risarcimento per la Presidenza del Consiglio.
Nell’indagine è spuntata anche, col ruolo di ‘mediatrice’ svolto per Aleotti, la signora Maria Girani Angiolillo, defunta regina dei salotti romani.
“Ai grandi affari servono anche quelle singolari forme di relazioni social-salottiere che abbiamo conosciuto attraverso le agende di Maria Angiolillo. Ci si conosce, ci si annusa, ci si legittima”, ha detto il pm Squillace Greco sempre durante la sua requisitoria.
Nell’ambito delle indagini, i carabinieri del Nas sequestrarono anche i diari della signora Angiolillo, che rimase estranea all’inchiesta, amica dell’ex patron di Menarini, Alberto Aleotti.
Nell’arco dell’inchiesta, come cifra equivalente all’illecito, in due distinte occasioni la procura di Firenze aveva infine fatto sequestrare 1 miliardo e 200 milioni di euro alla famiglia Aleotti, provvedimento poi annullato dalla Cassazione dopo un complesso iter giudiziario.
Adesso la nuova confisca che sarà però attuata soltanto a sentenza definitiva.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 9th, 2016 Riccardo Fucile
UN INCARICO PER UN’AZIENDA ACCUSATA DI MAFIA, ORA MURARO RISCHIA L’ACCUSA DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Ventiduemila euro, iva compresa. L’assegno per Paola Muraro, nominata consulente tecnico di parte
dalla Gesenu di cui è socio il re delle discariche Manlio Cerroni, è stato staccato proprio nei giorni in cui avveniva la nomina ad assessora.
Siamo a fine giugno. Il compenso è per una relazione a firma Muraro che dimostrerà come la società di Perugia, commissariata per mafia e ora a processo, non ha macchie.
La relazione verrà inviata a giorni.
Dalla Gesenu la aspettano perchè le accuse sono pesantissime e su quegli illeciti ci sono in ballo, secondo l’impianto accusatorio, interessi diretti della mafia siciliana.
Di questa consulenza che è un ulteriore elemento che riconduce Muraro agli interessi di Cerroni, non c’è traccia nel curriculum dell’ex consulente Ama diventata assessora.
Sull’asse Muraro-Cerroni lavora da mesi la Procura che indaga sull’imprenditore per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti.
I pm stanno valutando la possibilità che questa accusa possa estendersi proprio a Muraro, finora sotto indagine per abuso e violazione delle norme ambientali nell’ambito dell’inchiesta sulla certificazione degli impianti di trattamento meccanico biologico. Muraro sarà ascoltata la prossima settimana.
Anche questa vicenda riconduce a Cerroni, poichè quei dati sui rifiuti, in entrata e uscita dagli impianti tmb, avrebbero finito con l’agevolare proprio il re delle discariche.
Ora, questo nuovo elemento, ovvero la consulenza diretta per l’azienda perugina sembra confermare l’esistenza di un patto di ferro tra l’assessora e l’imprenditore, da tenere però nascosto per le evidenti implicazioni di immagine.
Ecco perchè l’assessora non ne avrebbe fatto menzione nel curriculum.
Così come non vi è traccia dei compensi percepiti per la sua attività professionale. Un’omissione che riguarda anche Raggi.
Sul sito del Comune di Roma non si trovano neppure quelli della sindaca , in barba alla decantata trasparenza evocata dai Cinquestelle che avrebbe dovuto fare del Campidoglio una casa di vetro.
Per Muraro, la consulenza, legittima per un tecnico, deve forse costituire elemento di imbarazzo, tanto più che riguarda un’azienda coinvolta in un caso di mafia, sotto inchiesta dal 26 ottobre 2015.
Sulla società pende infatti un’interdittiva antimafia della prefettura di Perugia.
Di Gesenu, Cerroni insieme con Carlo Noto La Diega erano soci al 55% e gestivano i rifiuti in 26 comuni dell’Umbria. L’incarico a Muraro risale al febbraio 2016
Muraro, che da assessora ha rivendicato di aver fatto la guerra al ras della monnezza, sventolando la vittoria di Ama nell’arbitrato da 90 milioni di euro, prima di lanciarsi nell’avventura politica ha almeno una volta, dunque, prestato la sua opera per Cerroni e soci
Da responsabile ambiente della giunta Raggi si sarebbe poi spinta a pretendere che Ama tornasse a utilizzare l’impianto di Cerroni intimando all’ex dg della municipalizzata Daniele Fortini di riaprire il tritovagliatore di Rocca Cencia.
Un’impresa, che non riuscirà : Muraro si sbarazzerà di Fortini ma finirà a sua volta nel vortice dei sospetti proprio per quei rapporti opachi con Cerroni che le costano l’inchiesta.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
I FALDONI RIGUARDANO LA MAXI-INCHIESTA CHE COINVOLGE L’ASSESSORA
Nuove acquisizioni di documenti sono state effettuate questa mattina dai carabinieri del Noe
nell’ambito di uno dei filoni della maxinchiesta della Procura di Roma sullo smaltimento dei rifiuti e che vede coinvolta l’assessore all’Ambiente, Paola Muraro.
I militari sono stati in una sede dell’Ama e hanno portato via materiale riguardante il sito di smaltimento di Rocca Cencia.
L’attività di questa mattina rientra nella delega di indagine affidata al Noe dal pm Alberto Galanti, titolare del procedimento.
L’assessore Muraro, accusata di violazione di norme sull’ambiente, è stata per 12 anni consulente di Ama e negli ultimi anni ha avuto responsabilità di controllo sui rifiuti in entrata e uscita degli impianti per il trattamento meccanico biologico dei rifiuti (tmb), tra cui quello di Rocca Cencia, la cui è attività rappresenta uno di filoni di indagine della Procura.
(da agenzie)
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