Destra di Popolo.net

NON C’E’ NESSUNA INVASIONE, A OTTOBRE ARRIVI IN LINEA CON QUELLI DELL’ANNO SCORSO

Ottobre 13th, 2019 Riccardo Fucile

IN REALTA’ CRESCONO SOLO GLI SBARCHI FANTASMA DALLA TUNISIA A CAUSA DEL MOMENTO POLITICO CHE ATTRAVERSA IL PAESE

Da quando Salvini ha lasciato il Viminale non c’è stata “l’invasione” tanto paventata dalla Lega. Secondo i dati del Ministero dell’Interno sono stati poco più di 300 (per la precisione 306) i migranti sbarcati sulle coste italiane dall’1 all’11 ottobre.
Numeri in linea con quelli dello scorso anno: a ottobre 2018 i migranti arrivati in Italia via Mediterraneo erano stati 1007 (il dato si riferisce a tutto il mese).
Al momento dunque non c’è nessuna emergenza sbarchi.
Vero è invece che a settembre il numero degli arrivi è stato superiore a quello dell’anno precedente: 2498 contro 947, quasi il triplo.
Secondo gli esperti però l’aumento non è da attribuire nè al governo Pd-M5s nè al presunto pull factor delle navi Ong (che non esiste) quanto piuttosto alle condizioni meteo favorevoli e al fatto che i trafficanti di migranti della Libia avrebbero iniziato a sfruttare le rotte frequentate prevalentemente dai tunisini, ovvero quelle degli sbarchi autonomi o “fantasma”.
E se è vero che l’impennata c’è stata, è altrettanto vero che si tratta comunque di numeri molto bassi rispetto a quelli registrati prima del 2017.
Quanto al presunto fattore di attrazione rappresentato dalle Ong, Matteo Villa dell’Ispi fa notare su Twitter che “all’inizio dell’anno a oggi, dalla Libia sono partite almeno 13.309 persone”.
Di queste, 3.177 hanno preso il mare quando le Ong erano al largo delle coste libiche e 10.132 lo hanno fatto “senza nessun assetto europeo in mare a fare ricerca e soccorso”.
Tra l’1 settembre e il 12 ottobre invece ci sono state 26 partenze al giorno con Ong al largo delle coste libiche e 67 al giorno senza nessun assetto di soccorso al largo.“
In una lettera inviata al Corriere della Sera, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese   ha precisato: “A settembre si è registrato un aumento, ma stiamo risentendo del particolare momento politico che sta attraversando la Tunisia”.
Secondo i dati del Viminale il 28% dei migranti sbarcati nel 2019 arriva proprio dal paese nordafricano.

(da agenzie)

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SONDAGGIO IPSOS: IL 68% DEGLI ITALIANI E’ FAVOREVOLE ALL’ACCOGLIENZA

Ottobre 10th, 2019 Riccardo Fucile

L’IMMIGRAZIONE E’ SOLO AL QUARTO POSTO TRA LE PREOCCUPAZIONI DEI CITTADINI… GLI ITALIANI, SOTTOPOSTI AL BOMBARDAMENTO DEI CRIMINALI RAZZISTI, CREDONO CHE GLI STRANIERI SIANO IL 31% DELLA POPOLAZIONE, INVECE CHE IL 9% REALE

Il 68 per cento degli italiani è ancora ben disposto nei confronti dei rifugiati e a favore del diritto all’accoglienza. Nell’Italia che durante i 14 mesi di Salvini al Viminale è stata lacerata da un rigurgito di odio e razzismo, è sorprendente l’esito della ricerca su italiani e migranti condotta dalla Ipsos di Nando Pagnoncelli per WeWorld Onlus e presentata questa mattina a Bologna.
Un risultato ancor più sorprendente se si considera che gli italiani hanno comunque una percezione falsata della presenza reale dei migranti in Italia, convinti come sono che costituiscano il 31 per cento della popolazione mentre in realtà  sono solo il 9 per cento.
E comunque l’immigrazione non è certo in cima alla lista delle preoccupazioni degli italiani che la mettono solo al quarto posto dopo disoccupazione, situazione economica e tasse.
Un terzo degli intervistati sostiene che non è più possibile accogliere rifugiati e migranti e che quindi vanno chiuse le frontiere. I giudizi nei confronti dell’operato di istituzioni e società  civile nella gestione dei movimenti migratori non sono confortanti. Quasi unanime, l’84 per cento, è la richiesta all’Unione europea di svolgere un ruolo più centrale a sostegno dell’Italia.
Quasi un italiano su due ritiene che l’immigrazione stia dividendo la società  in fazioni opposte e per questo sia negativa.
L’aspetto lavorativo-occupazionale è uno di quelli che più alimenta le paure nei confronti dei migranti. Da un lato è ampiamente condivisa l’idea che siano vittime spesso sfruttate del mercato del lavoro ( 75 per cento), che svolgono mestieri che gli italiani non vogliono più fare ( 55 per cento) e che il mercato del lavoro dovrebbe riconoscere le loro competenze ( 56 per cento), ma la metà  degli intervistati è convinta che le aziende dovrebbero dare la precedenza nelle assunzioni ai lavoratori italiani.
Per quanto riguarda la sicurezza, la metà  degli intervistati è convinta che l’Italia necessiti una maggiore protezione e diffusa tra un italiano su tre è l’idea che la gran parte dei crimini siano opera di stranieri.
Il sondaggio è stato presentato da Pagnoncelli in occasione della tredicesima edizione di Terra di Tutti film festival, rassegna di cinema sociale che si tiene a Bologna da oggi al 13 ottobre.
Questi dati mostrano come il clima d’odio costruito e promosso negli ultimi anni abbia generato percezioni distorte, che alimentano paure infondate verso chi arriviva in Italia in cerca di accoglienza. Paure che diventano prioritarie rispetto a problemi più concreti e reali.

(da Open)

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MECCANISMO DISTRIBUZIONE MIGRANTI VA AVANTI: “DIECI PAESI PRONTI A FARNE PARTE”

Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile

DOPO FRANCIA, GERMANIA E FINLANDIA ADERISCONO ANCHE PORTOGALLO, LUSSEMBURGO E IRLANDA… SPAGNA, CIPRO E GRECIA VORREBBERO ESSERE COINVOLTE ANCHE LORO… ROMANIA E BULGARIA FAVOREVOLI MA VORREBBERO IN CAMBIO L’ENTRATA IN SCHENGEN

A Lussemburgo va avanti la trattativa per stabilire un meccanismo temporaneo di redistribuzione per le persone salvate dalle navi delle ong nel Mediterraneo centrale, dopo l’intesa raggiunta a La Valletta tra Italia, Francia, Germania e Malta.
La Finlandia si è già  detta disponibile, altra importante apertura dalla Spagna.
Sulle adesioni dei Paesi all’accordo di Malta oggi “non do numeri”. Resta cauta la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, al termine del suo primo Consiglio degli Affari interni dell’Ue a Lussemburgo, che aveva al centro la trattativa per stabilire un meccanismo temporaneo di redistribuzione per i migranti salvati dalle navi delle ong nel Mediterraneo centrale.
In pratica, estendere ad altri Paesi l’intesa già  firmata a La Valletta da Italia, Germania, Francia, e Malta che prevede ricollocamenti entro quattro settimane, valutazione delle richieste d’asilo a carico dei Paesi che accolgono e la possibilità  che il porto sicuro sia a rotazione.
La ministra francese dell’Ue, Amèlie de Montchalin, ha annunciato che “siamo stati in grado di allargare il cerchio dei Paesi a sostegno” di questo meccanismo “di ricollocamento rapido nel caso dell’arrivo di nuove navi. Ci sono circa dieci Paesi pronti a prendere parte e forse anche altri dopo i dettagli che abbiamo fornito”. Lamorgese evidenzia: “Dobbiamo operare perchè l’accordo abbia una valenza anche per gli altri Paesi. Speriamo di chiudere tra novembre e dicembre“, ha detto la ministra dell’Interno.
Ricordando poi che l’accordo di Malta comunque è “già  operativo” e “le condivisioni le facciamo già , con Paesi che danno la loro disponibilità . Quindi l’attuazione c’è già , anche se non c’è niente di scritto. Ora a noi interessa che sia allargato il più possibile”, ha concluso.
La questione tuttavia si intreccia e si complica con la nuova emergenza sulla rotta del Mediterraneo orientale, con la Turchia che chiede un miliardo di euro per il 2020, per continuare a tenere fede all’accordo stipulato con i Paesi dell’Ue nel 2016.
Un tema portato all’attenzione da Grecia, Cipro e Bulgaria, che in un documento allertano su “aumenti persistenti” degli arrivi di migranti. “La Grecia ha posto il problema degli arrivi, pur apprezzando la nostra iniziativa. Hanno parlato di un aumento nel flusso dalla Turchia ed erano preoccupati“, ha spiegato la ministra Lamorgese.
Resta ottimista invece il collega tedesco Horst Seehofer, secondo il quale c’è “una buona possibilità  che” l’intesa di Malta “possa essere un progetto pilota per una politica comune di asilo”
Secondo alcune indiscrezioni, invece, altri paesi starebbero sfruttando la carta dell’adesione per ottenere vantaggi o elementi in gran parte slegati: è il caso di Romania e Bulgaria, che potrebbero spingere per ottenere in cambio l’ingresso nello spazio Schengen.
Non si sbilanciano per ragioni di politica interna Austria e Belgio (impelagati alla ricerca di nuovi esecutivi nelle loro piene funzioni), ma i   Paesi Bassi alla fine dovrebbero aderire

(da agenzie)

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RIMPATRI: ECCO I NUMERI DI CHI PARTE E ARRIVA IN ITALIA

Ottobre 6th, 2019 Riccardo Fucile

IL 36% DEGLI ARRIVI VIA MARE PROVIENE DALLA TUNISIA, IL 26% DALLA LIBIA, IL 21% DALLA TURCHIA, IL 10% DALL’ALGERIA

Secondo i dati dell’Unhcr, aggiornati a fine agosto, i tunisini rappresentano per il 2019 la percentuale più alta tra le varie nazionalità  che raggiungono il territorio italiano via mare. Un paese, il nostro, in cui, come ricorda il capo della Polizia Franco Gabrielli, «non esiste una modalità  di accesso lecito»
Secondo i dati dell’Unhcr, aggiornati a fine agosto, i tunisini rappresentano per il 2019 la percentuale più alta tra le varie nazionalità  che raggiungono il territorio italiano via mare
Tra il 1 gennaio e il 31 agosto 2019, secondo i dati Unhcr, sono arrivate in Italia dal mare 5,135 persone.
Il numero più alto di arrivi via mare per il 2019 è stato registrato ad agosto: 1,268 persone hanno raggiunto le coste italiane, a fronte delle 1,531 nello stesso mese del 2018.
Nei primi otto mesi del 2019, il 26% delle persone arrivate sulle coste italiane è di nazionalità  tunisina. Segue Pakistan (16%), Algeria (10%), Costa d’Avorio (10%), Iraq (8%), Bangladesh e Sudan (4%), Iran (3%), Marocco e Guinea (2% rispettivamente).
Solo ad agosto, 460 tunisini sono stati registrati nei porti di sbarco, soprattutto a Lampedusa, rispetto ai 270 del mese precedente.
Al secondo posto l’Algeria, con poco meno di 200 persone sbarcate soprattutto in Sardegna. Al terzo posto il Pakistan, con 185 persone arrivate sulle coste soprattutto di Puglia e Calabria: mentre solo due pachistani sono arrivati via mare nei primi tre mesi dell’anno, il numero degli arrivi è cresciuto da aprile scorso in avanti, con un picco nei mesi estivi, spiega ancora l’Unhcr.
E mentre gli arrivi degli ivoriani ad agosto erano meno che nei mesi precedenti — 97 a fronte dei 193 di giugno e i 162 di luglio — il loro numero resta significativo: l’8% degli arrivi mensili via mare.
Tra il 1 gennaio e il 31 agosto 2019, sono arrivati sulle coste italiane soprattutto uomini: rappresentano il 73% del totale, dice ancora l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati . Seguono i minori non accompagnati (14%), le donne adulte (8%) e i minori accompagnati (5%). Sono 737 gli unaccompanied and separated children (UASC) che hanno raggiunto le coste italiane dall’inizio dell’anno: 218 arrivati solo ad agosto.
La maggior parte di loro ha nazionalità  tunisina: 252 minori di 18 anni. Segue il Pakistan (136), l’Iraq (56), il Bangladesh (51), e la Costa d’Avorio (50).
Per i minori stranieri non accompagnati (nel gergo legislativo Msna) vige una protezione speciale: dal 29 marzo 2017, con l’approvazione di quella che è conosciuta come la legge Zampa, i minori stranieri che arrivano in Italia senza genitori o figure adulte di riferimento non possono essere respinti e sono tutelati da un sistema di protezione e di inclusione uniforme.
Nei primi otto mesi del 2019, il 36% degli arrivi totali via mare in Italia — 1,828 persone — è partito dalla Tunisia, seguito dal 26% — 1,354 persone — partito dalla Libia, 21% (1,103 persone) dalla Turchia, 10% (499 persone) dall’Algeria, e 7% (350 persone) dalla Grecia.
I luoghi più comuni di partenza in Tunisia sono Sfax, Zarzis e Mahdia. Chi parte dalla Libia si imbarca soprattutto a Zuwarah e Zawiya, mentre le persone che partono dalla Turchia lo fanno imbarcandosi soprattutto da Bodrum, e in misura minore da Izmir, spiega ancora l’Unhcr.
Ad agosto la maggioranza di arrivi via mare — 607 persone, il 48% del totale degli arrivi del mese — veniva dalla Tunisia, spiega ancora l’Unhcr. 248 tra rifugiati e migranti — circa il 20% degli arrivi via mare di agosto — veniva dalla Libia.
Altre 192 persone — ovvero il 15% degli arrivi via mare di agosto — sono partite dalla Turchia. Le partenze da Algeria e Grecia corrispondono rispettivamente al 14 e al 4 per cento degli arrivi del mese di agosto.
Come spiega a Open Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr — l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati — per il Mediterraneo Centrale, in Tunisia ci sono oggi circa 2.847 persone tra rifugiati e richiedenti asilo: è il numero totale delle persone che hanno una procedura con l’Unhcr. Vengono dalla Siria, dalla Costa d’Avorio, dall’Eritrea, dalla Somalia e dal Sudan. Procedura avviata quest’anno per 1,245 di loro — a fronte delle 591 registrate per lo scorso anno.
La Tunisia ha firmato la Convenzione di Ginevra, ma non ha mai implementato una legislazione nazionale per permettere alle persone di richiedere l’asilo politico e ottenere protezione internazionale.
«Non sono le autorità  tunisine a decidere se una persona ha diritto allo status di rifugiato o meno. Lo fa qui l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e lo stesso accade in Marocco, Algeria, Egitto», spiega a Open Vincent Cochetel   «In tutti i paesi del Nord Africa la situazione è questa: siamo noi a valutare se quella persona ha o meno diritto a ottenere lo status di rifugiato».
Il numero di richiedenti asilo in attesa dello status di rifugiato «continua a crescere, nonostante sia stata migliorata la capacità  del personale», spiega l’Unhcr. E anche l’accoglienza dei nuovi arrivati resta una sfida, in Tunisia.

(da agenzie)

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INTERVISTA A EMMA BONINO: “E’ ORA DI FINIRLA CON IL SOSTEGNO ALLA GUARDIA COSTIERA LIBICA”

Ottobre 5th, 2019 Riccardo Fucile

“TUTTI SANNO CHE E’ COMPOSTA DA TRAFFICANTI: INTERROMPERE I RAPPORTI SAREBBE LA VERA DISCONTINUITA'”… “IL DECRETO RIMPATRI? UN ANNUNCIO FARLOCCO, LA CARICATURA DELLE BUFALE DI SALVINI, IRREALIZZABILE”

“La Guardia costiera libica? Non scopriamo oggi che non esiste in quanto tale, ma esistono e operano una serie di milizie, trafficanti, malfattori e quant’altro. Ho chiesto non so più quante volte che s’interrompesse il rapporto dell’Italia con questa fantomatica Guardia costiera. Questo sarebbe davvero un importante, concreto atto di discontinuità  col passato da parte del Governo in carica”.
A sostenerlo con l’HuffPost è Emma Bonino, leader storica radicale, già  ministra degli Esteri e Commissaria europea, oggi senatrice di +Europa.
Senatrice Bonino, l’inchiesta di Avvenire riaccende i riflettori sui rapporti tra l’Italia e la Guardia costiera libica. Su questi rapporti qual è la sua opinione?
“La mia opinione non è cambiata nel tempo, semmai si è rafforzata. Nel senso che la Guardia costiera libica non esiste in quanto tale, ma esistono e operano una serie di milizie, trafficanti, malfattori e quant’altro, e diversi di questi loschi figuri sembrano essere stati inquadrati in questa cosiddetta Guardia. Ho chiesto non so più quante volte che s’interrompesse questo rapporto italiano con la fantomatica Guardia costiera.
Per venire a quanto scritto da Avvenire, ma che era già  presente in articoli della stampa internazionale, mi pare evidente che occorra fare chiarezza. Se poi lo strumento più idoneo per tale scopo possa essere una commissione parlamentare d’inchiesta o altri strumenti, ciò dipenderà  dalla volontà  del Governo di fare davvero chiarezza su una brutta vicenda. E di chiarezza ce ne è da fare tanta: da quanto si legge, c’è chi sostiene che l’incontro a cui fa riferimento l’inchiesta di Avvenire fosse stato organizzato dall’OIM (l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ndr), mentre altri lo smentiscono. Mi rimane la perplessità  di una riunione segreta con trenta persone. Se questo ‘Bija’ era tristemente noto per inchieste della comunità  internazionale, chi, nella fattispecie, gli ha dato il permesso di ingresso e di circolazione in Italia? Tutto questo va chiarito e va chiarito anche tutto quello che è successo dopo quell’incontro del maggio 2017. Di quel ‘dopo’, ricordo la campagna forsennata di criminalizzazione delle Ong ma forse in questi anni è successo anche qualcos’altro che non sappiamo”.
A chiedere all’Italia di sostenere la Guardia costiera sono le autorità  libiche…
“E chi sarebbero queste ‘autorità  libiche’?.Sarraj non controlla praticamente niente del territorio libico. Lo controllano le milizie, come quella di Misurata ad esempio, e Haftar cerca di attaccare Tripoli. L’interlocutore manca, per cui procediamo con dichiarazioni altisonanti: per esempio, il premier Conte ha definito l’Accordo di Malta sulla ripartizione — accordo che peraltro coinvolge solo 4 Paesi — una svolta epocale. Temo invece , dalle informazioni che ho, che alla riunione di martedì dei ministri degli Interni di tutti i Paesi Ue, si sentirà  un’altra musica”.
A proposito di annunci. Come valuta quello dei ministri Di Maio e Bonafede sui rimpatri?
“Un altro annuncio farlocco. E’ la caricatura della tecnica di Salvini. Ed è irrealizzabile, perchè per rimandare indietro i richiedenti bisogna avere un accordo con i Paesi di origine. E come sanno ormai proprio tutti, noi di accordi del genere ne abbiamo solo 4: Tunisia, Algeria, Nigeria ed Egitto, più il Marocco, ma con modalità  molto particolari. Quindi, siamo a Salvini che in campagna elettorale e dopo proclamava ‘li cacceremo tutti’ e invece questi ‘tutti’ stanno qua. Perchè dai dati ufficiali sia di rimpatri volontari sia di quelli forzati, siamo a qualche migliaio. Quindi, invece dell’ennesimo decreto con fanfara, sarebbe molto più utile per il Paese, per la sicurezza dei cittadini e la legalità  stessa, tentare di regolarizzare i famosi 500mila o più irregolari. Ci sono varie proposte in merito, di cui una firmata da 100mila cittadini, promossa da tutte le organizzazioni del terzo settore e sostenuta da molti sindaci, che si chiama ‘Ero straniero’; questa proposta incardinata alla Camera, relatore Riccardo Magi, è l’unico tentativo serio e rigoroso per iniziare la soluzione di questo esercito di 500mila irregolari nel nostro Paese. Purtroppo l’iter parlamentare di questa proposta procede molto a rilento, siamo ancora fermi alla fase delle audizioni, e invece di fare questo percorso utile e legale si ‘sparano’ altri decreti, si fanno altri annunci che sono semplicemente irrealizzabili. Leggo la lista dei 13 Paesi ‘sicuri”, che dire…si è avuto almeno la decenza di non inserire la Libia. Per il resto, posso fare solo gli auguri per tutti i viaggi annunciati dal ministro di Maio, così si renderà  conto che fare un accordo di riammissione con tutti questi Paesi (Algeria, Marocco, Tunisia, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Senegal, Serbia e Ucraina, ndr) non sarà  certamente nè rapido nè facile. L’unica cosa facile è annunciarlo”.
Sempre in materia di annunci e di decreti, che succede con i decreti sicurezza?
“Fanno parte del programma del non disfare che è alla base dell’accordo di maggioranza di questo Governo, come quota 100 o il reddito di cittadinanza. Questa maggioranza parte con la zavorra di tutte le demagogie e le sciocchezze dei quindici mesi precedenti, che non potranno non avere, come si sta già  vedendo, una ricaduta pesante sulla legge di bilancio”.
Per tornare infine sulla Libia. Cosa è rimasto dei diritti umani?
“Non mi pare che sia rimasto proprio niente. La situazione dei diritti umani in Libia è quella degli anni precedenti: catastrofica”.

(da “Huffingtonpost”)

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IL COSTO DEI RIMPATRI: CIRCA 7.000 EURO A TESTA

Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile

ECCO QUANTO SPENDE L’ITALIA PER RIMANDARE I MIGRANTI NEI PAESI DI ORIGINE: 11,7 MILIONI

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede   hanno presentato il Piano rimpatri sicuri, che ha l’obiettivo di accelerare le espulsioni dei migranti irregolari arrivati in Italia e che non hanno i requisiti per rimanervi.
Ma la difficoltà  principale dei rimpatri resta il costo altissimo da sostenere.
L’Europa sta spendendo milioni di euro per i rimpatri forzati di migranti verso i loro paesi di origine, con costi fino ai 90.000 euro per singolo rimpatrio in un caso limit
Finora le spese italiane ammontano a 11.731.250 euro, dei quali la maggior parte, 9,7 milioni, sono stati destinati ai rimpatri forzati e la restante parte ai rimpatri volontari.
La distinzione tra rimpatri forzati e rimpatri volontari è necessaria non solo per il differente stato giuridico dei migranti, ma soprattutto per la differenza di trattamento economica dei tue tipi di procedimenti.
Secondo i dati Frontex, gestire una singola pratica di rimpatrio ha un costo medio di 6.800 euro che comprende il volo di linea e l’accompagnamento della persona nel paese d’origine.
L’utopia dei rimpatri
Rimandare in patria i migranti sbarcati sulle nostre coste non solo costa, ma richiederebbe quasi un secolo.
Se si stima che a oggi, in Italia, ci sono circa 500mila immigrati irregolari, un rimpatrio di massa arriverebbe a costare pertanto quasi 3 miliardi di euro. Ma la difficoltà  più grande riguarda anche la possibilità  di stringere accordi di riammissione con i Paesi del Nord Africa e di farli rispettare. Senza questi, un migrante rimpatriato non viene fatto rientrare nel proprio Paese di origine.
Per quanto riguarda inoltre la tempistica, numeri alla mano: se nel 2017 sono stati circa 6mila i migranti rimpatriati, considerando i 500mila “irregolari” sarebbero necessari 83 anni per rivederli tutti “a casa loro”.

(da Tpi)

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L’ACCORDO DI MALTA SUI MIGRANTI E’ SOLO UN PUNTO DI PARTENZA

Settembre 28th, 2019 Riccardo Fucile

CII SONO CONCETTI INACCETTABILI ( COME IL RICONOSCIMENTO DELLA COMPETENZA DEI CRIMINALI DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA, IL MANCATO IMPEGNO DIRETTO DI NAVI EUROPEE, CONCETTI VAGHI SUL RUOLO DELLE ONG) MA REALISTICAMENTE OGGI COME OGGI NON SI POTEVA SPERARE DI PIU’ DA CERTI GOVERNI EUROPEI

È tutto nelle cinque pagine della Joint delcaration of intent on a controlled emergency procedure siglato a Malta il senso della bozza di accordo tra Francia, Germania, Italia e Malta.
L’accordo prevede l’impegno volontario degli stati membri che lo hanno sottoscritto a dare vita ad un meccanismo di solidarietà  temporaneo nella gestione dei migranti. Si tratta, come è specificato nel testo, di un meccanismo “pilota” con molti paletti.
Secondo Matteo Salvini si tratta di una fregatura, ma l’accordo in realtà  interviene proprio dove l’azione dell’ex ministro dell’Interno si era dimostrata più inefficace: la ripartizione dei migranti che arrivano a bordo delle navi delle ONG.
Nei   quattordici mesi la soluzione escogitata dal governo è stata quella di “chiudere i porti” alle nave umanitarie. Una chiusura fittizia che è durata in modo variabile ore, giorni o settimane e che si è conclusa con lo sbarco delle persone a bordo. Nella maggior parte dei casi è avvenuto in Italia e la ripartizione, elemosinata di volta in volta con singoli accordi, non è stata molto efficace.
Che l’accordo sia limitato unicamente ai migranti che arrivano a bordo delle navi delle ONG (quindi   una minima percentuale del totale degli sbarchi come ammette Salvini) però è una mezza verità .
Perchè nel testo della bozza non vengono menzionate esplicitamente le Ong. Si parla invece assicurare lo sbarco in un place of safety dei migranti «presi a bordo in alto mare» da non meglio specificate “imbarcazioni”.
Questo senza dubbio esclude dall’accordo i migranti che arrivano a bordo di barchini e barconi (e che sono in ogni caso sempre arrivati) ma non limita il campo d’azione alle navi delle organizzazioni non governative.
Anzi: in linea teorica dovrebbero essere compresi anche quelli tratti in salvo dalle navi della Guardia Costiera o della Marina Militare così come quelli salvati dai pescherecci o da altre imbarcazioni commerciali
Non solo : nella bozza si stabilisce che i richiedenti asilo verranno ripartiti in quota tra le varie nazioni entro 30 giorni e l’ìter della domanda sarà  valutata nei Paesi di arrivo, senza quindi distinzione tra chi ha diritto di asilo e migranti economici. Saranno i singoli Stati a verificare il diritto o meno alla protezione umanitaria e a provvedere a eventuali rimpatri.
Rimpatri che, se passasse la linea Lamorgese, dovranno essere gestiti e finanziati dall’Unione Euopea, non dai singoli Stati.
Il rischio di criminalizzare le ONG
I paletti, dicevamo, ci sono e sono molti. A partire dall’approccio volontaristico e temporaneo alla questione della redistribuzione.
L’accordo — si legge — sarà  valido per un periodo non inferiore a sei mesi. Il rinnovo non sarà  automatico ma soggetto ad un ulteriore accordo oppure potrebbe cessare «in caso di abuso da parte di terze parti».
Nel preambolo poi si sottolinea come la normativa attualmente in vigore sia il Regolamento di Dublino ed infatti i contraenti si impegnano (tra le altre cose) a lavorare ad una riforma del sistema comunitario del diritto d’asilo e delle norme sulla ripartizione contenute nel Regolamento, che prevede appunto non una suddivisione su quote obbligatorie tra tutti gli stati membri ma un’adesione volontaria.
Per forza di cose si tratta di una misura tampone che non è necessariamente una fregatura per l’Italia, per le ONG o per i migranti
Sotto certi aspetti era il meglio che si potesse fare nell’attuale situazione politica e tenuto conto di chi sono le parti in gioco.
Giusto per fare una sintesi: in Italia il partito di maggioranza relativa è quello che fino a venti giorni fa controfirmava allegramente i divieti di accesso emanati da Salvini e il cui leader parlava delle ONG come taxi del mare. In Germania il ministro dell’Interno è quello che prima di scaricare brutalmente il leader della Lega ragionava su come bloccare i migranti (e al tempo stesso ce ne rimanda indietro a migliaia da Nord). La Francia come sappiamo bene si è resa protagonista di episodi di respingimento — e in alcuni casi è intervenuta direttamente sul nostro territorio nazionale — di migranti al confine. Malta da parte sua ha sempre tenuto un atteggiamento di chiusura sui migranti comportandosi in maniera non dissimile all’Italia quando ne ha avuto la possibilità .
Bisogna essere realisti: questo è un accordo politico e per ottenere qualcosa di più è necessario prima un cambiamento politico interno (in Italia, in primis) e a livello europeo. Ma quel cambiamento non c’è, altrimenti tutti i 27 stati membri starebbero già  lavorando ad una modifica del Regolamento di Dublino.
È vero che tra i tanti paletti molti riguardano proprio l’attività  delle ONG che sono ancora nel mirino.
Ad esempio nel preambolo al punto IV è scritto nero su bianco che i trafficanti abusano delle regole di ricerca e soccorso e della presenza di navi vicine alla loro area di operazione «per implementare il loro modello di business» e ancora più sotto al punto X si richiama al fatto che il favoreggiamento dell’immigrazione illegale è un reato che «mette a rischio le vite dei migranti» per cui «l’attività  sistematica di facilitazione dell’immigrazione irregolare costituisce una particolare causa di preoccupazione».
Queste parole non sono poi così diverse dalle accuse mosse in questi mesi alle ONG da Salvini e anche molte procure italiane che hanno indagato (senza successo) le ONG proprio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Ma le cose non stanno proprio così: le persone che vengono salvate dalle ONG arriverebbero comunque. Anzi, generalmente le loro vite — come hanno sottolineato le richieste di archiviazione dei PM — sono già  a rischio e quindi l’intervento è più che legittimato dalle regole e dalle convenzioni internazionali.
Dire che l’attività  delle ONG mette a rischio le vite umane senza dire che quelle vite sono già  a rischio è sbagliato.
Il più contestato è ovviamente il punto sei della bozza di accordo, quello dove si conferma che questo nuovo meccanismo di ripartizione non nasce per creare nuove rotte migratorie verso l’Europa e non dovrebbe creare la nascita di nuovi pull factor ovvero fattori d’attrazione per la migrazione.
Non si sta dicendo quindi che le ONG costituiscono un pull factor, non solo perchè non è vero ma perchè non sarebbero “nuovi” visto che operano già .
Il nuovo pull-factor è semmai proprio l’accordo, la ripartizione dei migranti. Quel punto dovrebbe essere letto più come una rassicurazione per alcuni paesi (la Germania? la Francia?) che magari temono che salvare vite umane e un accordo di ripartizione possa spingere più persone a partire.
Ed infatti successivamente si raccomanda di non ostacolare l’attività  SAR della Guardia Costiera libica e ci si impegna a “potenziare” le capacità  di intervento delle unità  di guardia costiera dei paesi sulla sponda meridionale del Mediterraneo.
Il che costituisce un ulteriore controsenso se si pensa che per l’Unione Europea la Libia non è un porto sicuro e quindi a rigor di logica riportare i migranti in Libia non equivale a sbarcarli in un place of safety.
Si poteva fare di più? No
La domanda a questo punto è una sola: è un buon accordo o un cattivo accordo? Non è possibile rispondere ora perchè bisogna prima vederlo alla prova nei fatti.
Sulla carta è senza dubbio un piccolo passo avanti rispetto alle politiche salviniane. Ma non è una rivoluzione.
Non si parla ad esempio di ripristinare missioni di ricerca e soccorso europee come era ad esempio Triton.
Non si affronta il problema a livello europeo, ad esempio ci si limita ad una delle tante rotte migratorie che portano in Europa, che al momento è quella meno battuta. Mancano la Grecia, la Spagna e la rotta balcanica. Il che potrebbe costituire un problema in futuro quando si cercherà  di allargare il numero di stati che compartecipano all’accordo.
Nel contempo non si può non prendere atto dello sforzo di agire al di fuori delle regole europee in nome di quella logica (corretta in linea di principio) che “chi sbarca in Italia sbarca in Europa”.
Ma questo deve valere anche per chi sbarca in Grecia, in Spagna o arriva in Croazia e Slovenia. Per cambiare le cose però la strada è lunga: non basterà  modificare il Regolamento di Dublino, servirà  anche modificare i trattati europei che prevedono che la gestione dei flussi migratori sia di esclusiva competenza nazionale (è una delle poche materie   non comunitarie assieme alla difesa dei confini esterni).
Un accordo del genere è impossibile da raggiungere in un mese (e non si sa quando, visto gli assetti politici all’Europarlamento) ed era necessario — per il nuovo governo ma anche per smettere di fare politica sulla pelle dei migranti — di un accordo di minima.
Quello siglato a Malta è un primo passo.

(da “NextQuotidiano”)

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ORA DI MAIO DIMOSTRI DI VALERE QUALCOSA: IMPONGA CONTROLLI UE SUI CENTRI DI DETENZIONE IN LIBIA E VADA A TUNISI CON QUALCHE IDEA NEL CERVELLO

Settembre 23rd, 2019 Riccardo Fucile

OCCORRONO MISURE VOLTE AD ASSICURARE UN FUTURO AI GIOVANI TUNISINI STABILENDO ACCORDI SIA COMMERCIALI CHE PER I RIMPATRI

Di Maio ha commentato l’insperato successo della Lamorgese a Malta dicendo   una banalità  tipica della sua cultura reazionaria: “Bene la ridistribuzione, ma occorre bloccare le partenze”.
Affermazione che da privato cittadino al bar avrebbe potuto pronunciare un elettore leghista, ma si dà  il caso che lui sia ministro degli Esteri del governo italiano.
Comprendiamo che stia rosicando perchè la Lamorgese ha ottenuto in 15 giorni quello che il governo precedente non è riuscito a fare in 15 mesi, ma dimentichiamo per un momento i precedenti incivili di chi aveva definito le Ong “taxi del mare” e facciamo finta di trovarci di fronte a un “vero” ministro degli Esteri.
Bloccare le partenze vuol dire continuare ad avallare i criminali libici che taglieggiano i profughi nei lager? Vuol forse dire finanziare i trafficanti della Guardia costiera libica?
Se si vogliono bloccare le partenze occorre agire non solo in Libia ma anche in Tunisia, da cui partono centinaia di giovani tunisini in cerca di fortuna.
Partiamo dalla Libia.
E’ auspicato da molti la creazione di un canale umanitario per consentire arrivi selezionati e in sicurezza. Per farlo il nostro ministro degli Esteri dovrebbe convincere la Ue a imporre che i centri di detenzione vengano sottratti al monopolio libico e affidati a organismi di controllo internazionali. A quel punto si colpirebbero realmente gli interessi dei trafficanti (milizie libiche, criminalità  locale e guardia costiera corrotta), altrimenti le partenze “pilotate” continueranno perchè (qualcuno lo spieghi a Di Maio) i trafficanti sono i militari libici che l’Italia continua a finanziare.
E arriviamo alla Tunisia
L’accordo di Malta esclude gli “sbarchi fantasma”, ovvero i migranti economici che arrivano dalla Tunisia e che dovrebbero quindi essere rimpatriati a nostra cura.
Salvini è solo riuscito a far giustamente incazzare il governo tunisino affermando che “la Tunisia ci manda solo delinquenti”. In 15 mesi è così riuscito nell’impresa di fare meno rimpatri di quanto sono gli arrivi. E qui un ministro degli Esteri avrebbe molto da guadagnare in credibilità , proponendo un patto serio al governo di Tunisi.
La Tunisia, per chi la conosce, non sono solo le spiagge di Hammamet dove gli italiani vanno in vacanza, ma un Paese che ama l’Italia e dove tanti giovani non hanno lavoro, sono le periferie povere di Tunisi, i ragazzini a piedi nudi che vendono le rose del deserto a Tozeur o a Douz per pochi dinari, una rete ferroviaria ridotta con molti treni (donati dalla Francia) che noi avevamo prima della guerra, il contrasto tra giovani che vestono all’occidentale e gli adulti legati alle tradizioni.
Per limitare gli arrivi basterebbe un accordo con il governo che creasse lavoro locale: ad esempio facendo lavorare imprese italiane nell’ammodernamento della rete ferroviaria o (come già  accaduto) nel potenziamento delle strade di collegamento con il Sud del Paese.
Un accordo commerciale che gioverebbe sia alle nostre aziende che allo sviluppo della Tunisia, creando migliaia di posti di lavoro.
E automaticamente verrebbe meno la scommessa di tanti giovani di imbarcarsi per l’Italia, oltre a fornire al nostro governo la carta di pretendere di triplicare i rimpatri attuali di chi non ha diritto di asilo. Aumentando altresì i permessi per i lavoratori stagionali che potrebbero trovare lavoro in Italia per un periodo temporaneo.
Questo è fare una politica estera intelligente, fondata su dialogo, mediazione e interventi reali per “aiutarli a casa loro”, investendo nel futuro delle giovani generazioni.
In attesa di un ministro degli esteri che usi il cervello e non gli slogan.

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GRANDE VITTORIA DELLA LAMORGESE A MALTA: L’ITALIA NON E’ PIU’ SOLA, ACCORDO ITALIA, MALTA, GERMANIA, FRANCIA E FINLANDIA

Settembre 23rd, 2019 Riccardo Fucile

HA FATTO DI PIU’ LA NUOVA MINISTRA IN QUINDICI GIORNI CHE IL SEQUESTRATORE DI PERSONE IN UN ANNO : ROTAZIONE PORTI DI SBARCO, RICOLLOCAZIONE IMMEDIATA IN TUTTA EUROPA, RIDISTRIBUZIONE ANCHE DEI MIGRANTI ECONOMICI CHE NON SARANNO PIU’ A CARICO DELL’ITALIA… POCHE PAROLE DELLA MINISTRA: “MOLTO SODDISFATTA”

Trovato un accordo sui migranti al mini-summit della Valletta tra Italia, Francia, Germania, Malta e Finlandia.
L’intesa riguarda i ricollocamenti dei richiedenti asilo in “tempi molto rapidi”, ha annunciato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese al termine dei lavori. L’accordo – ha spiegato – prevede che “entro quattro settimane” i migranti richiedenti asilo vengano ricollocati in altri Paesi che si faranno carico delle procedure di verifica dei requisiti e degli eventuali rimpatri.
Un risultato impensabile fino a un mese fa per l’Italia, dal momento in cui le verifiche sullo status dei richiedenti asilo (e dunque l’iter per distinguere tra rifugiati e migranti economici) saranno a carico dei Paesi in cui i migranti verranno ricollocati.
L’intesa si articola in quattro punti:
1) “rotazione volontaria” dei porti di sbarco, non solo quando quelli di Italia e Malta sono saturi;
2) “redistribuzione dei migranti su base obbligatoria” con un sistema di quote che verrà  stabilito in base a quanti dei 28 paesi Ue parteciperanno all’intesa;
3) tempi “molto rapidi” (4 settimane) per i ricollocamenti;
4) la redistribuzione di tutti i richiedenti asilo e non solo di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato.

“Da oggi Italia e Malta non sono più sole, c’è la consapevolezza che i due Paesi rappresentano la porta d’Europa”, ha dichiarato Lamorgese, dicendosi “molto soddisfatta”. “Il testo predisposto va nella giusta direzione – ha aggiunto – ci sono contenuti concreti e abbiamo sciolto dei nodi politici complicati”.
L’auspicio dell’Italia, ha sottolineato la titolare del Viminale, è che l’accordo sia condiviso quanto più possibile tra i paesi Ue.
“Accolgo con favore l’esito positivo sui meccanismi temporanei a seguito degli sbarchi”, ha scritto su Twitter il commissario europeo agli Affari interni Dimitris Avramopoulos. “Conto che altri Stati membri si uniscano quando discuteranno di questo al Consiglio Giustizia e Affari interni l′8 ottobre. I progressi sono possibili se c’è volontà  politica”, ha concluso Avramopoulos.
Quello che è avvenuto oggi a Malta è “molto importante, un primo passo concreto per un approccio di vera azione comune europea”, ha commentato la ministra dell’Interno Lamorgese. “Ho trovato un clima davvero positivo perchè la politica migratoria va fatta insieme agli altri stati. Noi abbiamo sempre detto che chi arriva a Malta e in Italia arriva in Europa. E oggi questo concetto fa parte del comune sentite europeo”, ha aggiunto.
Secondo Horst Seehofer, ministro dell’Interno tedesco, il “meccanismo di emergenza” su cui si è trovato un accordo oggi a Malta “aprirà  la strada alla revisione della politica comune europea d’asilo”, ovvero del regolamento di Dublino.
Il ministro tedesco ha specificato che oggi sono stati “identificati alcuni regolamenti che aiutano Italia e Malta con procedure chiare e prevedibili per la riduzione dei rifugiati” e si è detto “ottimista che in un breve futuro riusciremo a fare una politica comune europea”.
Da New York, a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu, il premier Giuseppe Conte ha commentato: “Macron mi ha dato grandi aperture, e c’è grande disponibilità  da parte di partner europei”

(da “Huffingtonpost”)

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