Destra di Popolo.net

I DUE SENATORI LEGHISTI (EX GRILLINI) CHE HANNO RESTITUITO IL VITALIZIO A FORMIGONI

Maggio 20th, 2021 Riccardo Fucile

ELETTI NEL M5S IN NOME DELL’ANTICASTA HANNO FINITO PER DIVENTARE DECISIVI PER SALVARE LA CASTA: CHE COERENZA IN NOME DELLA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA

Si chiamano Alessandra Riccardi e Ugo Grassi, a molti i loro volti e i loro nomi diranno poco, se non nulla. E invece raccontano tutto sulla situazione di miseria e degrado di certa politica in Italia e, in particolare, di un certo partito.
Già, perché chi sono Riccardi e Grassi? Sono i due senatori leghisti che hanno contribuito in modo decisivo alla restituzione del vitalizio a Roberto Formigoni, nonostante una condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione nell’ambito del processo Maugeri.
La prima, Riccardi, ha votato a favore un mese fa in commissione Contenziosa. Il secondo, Grassi, ha completato l’opera poche ore fa con il via libera definitivo in consiglio di Garanzia.
Cos’hanno in comune questi due ex carneadi assurti ad angeli custode del Celeste? Sono entrambi stati eletti nel 2018 col Movimento 5 Stelle. Dopodiché, a cavallo tra il 2019 e il 2020, sono entrambi passati magicamente alla Lega negli anni scorsi e, sempre per coincidenza, occupano proprio quelle caselle nelle commissioni decisive per il taglio (o meno) dei privilegi.
Quando abbandonarono i 5 Stelle folgorati sulla via Padana, non se ne andarono certo adducendo improvvisi ripensamenti e cambi di idee e opinioni, ma – come sempre, nell’avvilente liturgia dei cambi di casacca – perché “è diventato impossibile portare avanti idee e progetti per i quali aveva deciso di far parte del M5S” (Riccardi) o – tenetevi forte – “per la (loro) granitica convinzione di essere i depositari del vero e di poter assumere ogni decisione in totale solitudine“ (Grassi).
Risultato? Quelle due caselle in commissione – come racconta il Fatto – da gialle che erano si sono colorate di verde. E due perfetti sconosciuti entrati in Parlamento al galoppo del partito anti-casta per eccellenza hanno finito per diventare i voti decisivi per la restituzione del privilegio più indegno di tutti: il vitalizio a un condannato per corruzione.
Con in più il doppio e prevedibile effetto non solo di aver “salvato” Formigoni, ma di aver creato un pericoloso precedente, grazie a cui tutti gli ex senatori pregiudicati potranno legittimamente ambire a vedersi restituito il vitalizio. E menomale che erano andati via per coerenza (la loro) e per il tradimento dei valori originari (degli altri).
A raccontare il loro singolare percorso ci ha pensato “Il Fatto Quotidiano”, che ricorda anche come “il privilegio” fosse stato “cancellato per i parlamentari condannati a pene detentive superiori ai 2 anni dalla delibera voluta da Pietro Grasso nel 2015. Quella delibera oggi è carta straccia, almeno a Palazzo Madama: erano queste le idee e i progetti che Riccardi e Grassi non riuscivano a esprimere nei 5 stelle? Non è dato saperlo.” Lo stesso “Fatto” avanza un sospetto sulla improvvisa e “provvidenziale” conversione dei due transfughi grillini.
“Di sicuro nelle ultime ore nei corridoi del Senato inizia a diffondersi un sospetto” – si legge sull’edizione online del ‘Fatto’ – “Non è che Matteo Salvini ha programmato accuratamente la campagna acquisti della Lega? E che dunque le adesioni al Carroccio non sono state completamente casuali ma frutto di uno scientifico corteggiamento? Riccardi e Grassi, infatti, erano i due esponenti indicati dai 5 stelle negli organi che decidono sulle controversie interne a Palazzo Madama. La commissione Contenziosa, presieduta dal berlusconiano Giacomo Caliendo, è quella che per prima ha restituito l’assegno a Formigoni.
Decisione confermata dalla consiglio di Garanzia, che è un po’ il tribunale d’appello di Palazzo Madama e come la prima è guidata da un esponente di Forza Italia, Luigi Vitali. “Purtroppo, sia all’interno della Commissione Contenziosa sia nel Consiglio di Garanzia, non siede alcun componente titolare esponente del MoVimento 5 Stelle, la forza politica che da sempre si batte contro questo odioso ed anacronistico privilegio”, ha fatto notare oggi Giuseppe Conte.”
Al di là dei sospetti e delle supposizioni, che andranno dimostrate, qui in gioco non c’è il legittimo cambio di opinione, né il (discutibile) vincolo di mandato, ma qualcosa che vale infinitamente di più: la decenza.
Perché nella vita puoi anche cambiare idea, partito, financo visione del mondo, o – come nel loro caso – offrirti al miglior offerente, ma almeno ci risparmino questa intollerabile, ripugnante, ondata di ipocrisia.
(da agenzie)

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LA STORIA DEI 124 VOLI DI STATO IN UN ANNO DELLA PRESIDENTE DEL SENATO CASELLATI

Aprile 28th, 2021 Riccardo Fucile

LA MAGGIOR PARTE DELLE TRATTE SONO ROMA-VENEZIA-ROMA… PERCHE’ COSI TANTI? “PER LA PANDEMIA”

Una vacanza in Sardegna durante la scorsa estate e un andirivieni Venezia-Roma/Roma-Venezia per tornare nella sua casa di Padova (poi alcune altre, ma rare, tappe). Il totale fa 124.
Si tratta dei voli di Stato utilizzati dalla Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati nel corso dell’ultimo anno.
A riportare la notizia è stato il quotidiano La Repubblica che è entrata in possesso dei registri di volo del Falcon, il velivolo messo a disposizione della seconda carica dello Stato per i suoi spostamenti.
Come spiega il quotidiano di Largo Fochetti, la maggior parte delle tratte coperte dal Falcon (sigla IAM9003) ha coperto per 97 volte la tratta Roma-Venezia (e ritorno). Si tratta di un tragitto noto: il Marco Polo è il punto di approdo più vicino (a livello aereo) per poter arrivare a Padova, dove risiede la famiglia della Presidente di Palazzo Madama.
A questi viaggi si aggiungono le sei volte in cui – nel mese di agosto – il velivolo messo a disposizione della seconda carica dello Stato si è mosso dall’aeroporto romano di Ciampino a quello di Alghero. Si tratta del periodo in cui Maria Elisabetta Alberti Casellati si trovava in vacanza in Sardegna.
Spostamenti leciti? A differenza di quel che accade per chi utilizza i mezzi di Stato per gli spostamenti, chi ricopre il ruolo di Presidente del Senato ha una procedura molto più snella per quel che ne concerne l’utilizzo, come spiega La Repubblica:
Per l’incarico che ricopre, e a differenza dei ministri del governo, non ha bisogno di autorizzazione per prendere l’aereo blu.
Tutto lecito e tutto consentito, dunque. Fonti vicine alla Presidente del Senato hanno spiegato come – prima della pandemia – lei fosse solita utilizzare voli di linea (cosa nota, viste le precedenti polemiche) e treni diretti tra Roma e Padova.
Poi, con l’emergenza sanitaria, si è deciso di procedere con l’utilizzo del Falcon a sua disposizione. Inoltre, le stesse fonti citate da La Repubblica spiegano come Casellati abbia problemi alla schiena che non le permettono di effettuare lunghi viaggi in macchina. Sta di fatto che la seconda carica dello Stato non ha voluto rispondere alla domande del quotidiano.
(da “NextQuotidiano”)

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M5S, RITORNO ALLE ORIGINI IN AUTO BLU: ORA LE CHIAMANO “AUTO DI SERVIZIO”

Settembre 28th, 2020 Riccardo Fucile

CON QUELLE I CINQUESTELLE RAGGIUNGONO UN AGRITURISMO FUORI ROMA PER DISCUTERE DEL FUTURO DEL MOVIMENTO

È sufficiente un agriturismo non lontano dal centro di Roma per far dire al capo politico grillino Vito Crimi che “questo è un luogo simbolico, in mezzo alla natura. È un ritorno alla natura e alle nostre origini”.
E poco importa se, alla riunione dei big M5s, i ministri sono arrivati a bordo delle auto blu, quelle che adesso preferiscono chiamare “auto di servizio”.
In realtà , in comune con il passato, c’è solo la scelta di incontrarsi in un agriturismo. Ma agli albori, nel 2013, i neo parlamentari grillini erano arrivati da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio in autobus provando a depistare i giornalisti il più possibile e di certo non si erano concessi a taccuini e telecamere. Il luogo era decisamente fuori mano e tenuto davvero nascosto, questa volta il mood è diverso, sullo sfondo ci sono i palazzoni dell’ospedale San Filippo Neri. Anche il look un po’ ‘naà¯f’ di quel tempo è stato sostituito da giacche e cravatte.
“Il Movimento 5 Stelle è cresciuto e accetta nuove sfide. Siamo qui per parlarne”, dice il capo delegazione Alfonso Bonafede. “È un momento di confronto, per stare insieme e fare il punto. Perchè qui? Il posto lo ha scelto il capo politico Vito Crimi, forse perchè voleva farci respirare aria fresca”, aggiunge il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia con un microfono davanti: “L’altra volta siamo venuti in autobus, stavolta con le auto di servizio”.
Per il conclave grillino menu da 25 euro a persona. Si parte con un antipasto a base di frittata cipolle, pecorino col miele, lenticchie in insalata. I primi: risotto con zucca e guanciale croccante e orecchiette melanzane, pomodori secchi e scaglie di pecorino. A seguire, arista con patate al forno e friggitelli. Dulcis in fundo, crostata di pesche.
Presenti per parlare di governo e del futuro M5s , tra gli altri, i ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Sergio Costa, Federico D’Incà , Vincenzo Spadafora, Paola Pisano; il sottosegretario a Palazzo Chigi Riccardo Fraccaro; i viceministri Laura Castelli, Stefano Buffagni, Pierpaolo Sileri, Emanuela Del Re; i sottosegretari Laura Agea, Carlo Sibilia, Angelo Tofalo, Manlio Di Stefano, Roberto Traversi, Mario Turco, Vittorio Ferraresi, Alessandra Todde. Partecipano all’incontro anche i capigruppo di Senato e Camera Gianluca Perilli e Davide Crippa.

(da “Huffingtonpost”)

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L’EX SINDACO DI LIVORNO NOGARIN ENTRA NELLO STAFF DELLA RAGGI PER 27.730 EURO

Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile

DOPO LA CONSULENZA AL MINISTERO PER 40.000 EURO UN ALTRO INCARICO PER ARROTONDARE LO STIPENDIO

“Oggi sono povero. Nessuno mi fa lavorare, sono un ingegnere che ha chiuso il suo studio per fare politica. Mia moglie si è licenziata quando fui eletto sindaco perchè tre bambine in casa dovevano essere accudite”. Così l’ex sindaco di Livorno, il grillino Filippo Nogarin, si sfogò qualche mese fa con il Fatto Quotidiano, non senza riservare una stilettata a Luigi Di Maio, che gli avrebbe fatto il vuoto intorno.
Vuoto colmato però con un provvidenziale incarico da 40 mila euro lordi nello staff del ministro dei Rapporti con il parlamento Federico D’Incà . Ora ulteriormente colmato da una nuova consulenza, stavolta gentilmente concessa dal Comune di Roma della grillina Virginia Raggi.
Dove farà  da supporto all’assessore al Bilancio Gianni Lemmetti, commercialista, ex cassiere della discoteca Seven Apples di Focette che un giorno accolse l’emissario dell’Unione europea con la maglietta dei Metallica. Il compenso è di 27.730 euro lordi annui, che forse serviranno a lenire le residue pene economiche familiari.
ll caso merita di essere segnalato, non fosse altro per una circostanza. Perchè Lemmetti, del quale ora Nogarin sarà  consulente, prima di approdare a Roma era assessore al Bilancio del Comune di Livorno, nominato appunto da Nogarin. Al quale ora evidentemente restituisce il favore, sia pure in sedicesimi, sotto forma di una semplice consulenza.
E passi che sono cose già  viste nel deprecabile sistema dei partiti, dove nessuno del giro che conta deve restare mai a spasso, anche se dopo aver comandato deve rassegnarsi a prendere ordini. Passi pure che la narrazione grillina degli incarichi pubblici assegnati per merito e con trasparenza vada a farsi friggere: non sarebbe nemmeno la prima volta. Ma diversamente, a che cosa servirebbero gli amici?

(da agenzie)

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IL CANTO DEL CIGNO DEGLI ANTI-CASTA

Agosto 29th, 2020 Riccardo Fucile

CON LA VITTORIA DEL SI’ AL REFERENDUM SI TROVERANNO DISOCCUPATI OPPURE DOVRANNO INIZIARE A COMBATTERE LE VERE CASTE ECONOMICHE-FINANZIARIE CHE IMPERVERSANO IN   ITALIA

Cattive notizie per i professionisti dell’anti-Casta: se si dà  retta ai sondaggi dalle urne referendarie uscirà  vittorioso il “Si”.
A quel punto loro, i campioni della cosiddetta anti-politica, che si sono ritagliati un ruolo fustigando il Palazzo e denunciandone gli abitanti, rischieranno di trovarsi disoccupati, oppure dovranno cambiare rapidamente registro.
Già , perchè il taglio dei parlamentari svuoterà  quel poco rimasto in fondo al giacimento dei privilegi, al barile dei bonus, al forziere dei benefit e al pozzo delle prebende che un tempo alimentavano l’invidia sociale nei confronti degli “onorevoli”.
Ma oggi di “onorevole”, nel rappresentare il popolo, è rimasto ben poco.
Nell’ultimo ventennio siamo passati dal tracotante “lei non sa chi sono io” a un prudentissimo “che non si sappia in giro”, perchè far parte degli eletti può rappresentare un boomerang.
Confida Lucio Malan, senatore perbene, che quando fa i versamenti in banca gli impiegati lo guardano con sospetto, nemmeno fosse un rapinatore; un deputato piemontese racconta di quel negozio dove, invece di fargli lo sconto, hanno aumentato il prezzo seduta stante. Il prestigio dei politici è finito sotto i tacchi
E le loro famose prerogative? Sradicate l’una dopo l’altra.
Colpo di scure sullo stipendio che, rapportato alla media, rimane pur sempre di un altro pianeta: sono circa 6mila euro netti mensili, più altrettanti a titolo rimborso spese (che   vanno giustificate con tanto di ricevute). Ai bei tempi andati, però, un parlamentare intascava sostanzialmente il doppio senza rendicontare nulla; la sua indennità  era agganciata a quella dei magistrati e cresceva di pari passo con l’inflazione. Adesso non più.
Dal primo gennaio 2012, sono spariti i generosi vitalizi che permettevano di maturare 2mila euro al mese con 5 soli anni di mandato; al posto di questo orrore, che faceva il pari con i baby-pensionati del pubblico impiego, è stato introdotto un normalissimo sistema contributivo.
E poi ricalcolo retroattivo delle pensioni agli ex deputati e senatori, anche a costo di sfidare il sacro dogma dei “diritti acquisiti” tramite una forzatura che sta provocando prevedibili ricorsi e incertissime battaglie legali.
Barba e capelli in Parlamento erano un tempo gratis, adesso (giustamente) si pagano come dal barbiere e forse qualcosa in più. Il caffè alla buvette costa quanto al bar e il ristorante della Camera vale una buona mensa aziendale, cui del resto molto somiglia nei prezzi e nel menù.
Le poche auto blu se le litigano una massa di “peones”. Abolite (era ora) le agendine che per Natale venivano stampate a spese di Pantalone e regalate a pacchi. Spariti (evviva) quei tesserini che permettevano agli “ex” di viaggiare gratis, vita natural durante, su treni e autostrade: un privilegio riservato ai soli parlamentari in carica. Altrimenti come farebbe a pagarsi i viaggi Matteo Salvini, che scorrazza continuamente su e giù per l’Italia?
Eliminata perfino l’indennità  funeraria da 2500 euro (ma veniva concessa “una tantum” e per richiederla non c’era la fila).
Otto anni fa ai partiti è stato tolto il finanziamento pubblico. Per coprire i costi della democrazia, lo Stato attualmente concede 2 per mille che, come il sigaro toscano e il titolo di Cavaliere (lo sosteneva Cavour), non viene negato a nessuno.
La politica è talmente in bolletta che pochi milioni di un Maduro qualsiasi, per dire, potrebbero bastare a comprarsela tutta, e non solo una parte rilevante. Chi rappresenta il popolo è sceso giù dal piedistallo.
Il 12 settembre sembra destinato a conquistare l’ultimo storico traguardo: il taglio netto della rappresentanza, considerata alla stregua di un costo da abbattere.
Dopodichè non rimarrà  più nulla.
L’osso del risentimento sarà  completamente spolpato. E per molti anti-Casta già  si annuncia lo stesso travaglio degli anti-berlusconiani che, quando il Cav finì ai margini, un po’ festeggiarono e un po’ lo rivolevano indietro per non restare a girarsi i pollici. La guerra contro i privilegi, in futuro, sarà  costretta a darsi nuovi bersagli.
Anzichè inferire sul fantasma della politica, invece di prendersela con le anime morte sedute in Parlamento, dovrà  combattere le vere caste che imperversano indisturbate: dagli squali della finanza ai padroni del vapore, dalle lobby affaristiche alle combriccole di potere, dai super-burocrati alle toghe intrallazzone.
E sarà  tutta un’altra storia.

(da “Huffingtonpost”)

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LA NUOVA RIVOLUZIONE DEL M5S: DICHIARARE DI NON VOLERE LE POLTRONE VOLENDOLE

Agosto 25th, 2020 Riccardo Fucile

QUATTRO DEI CINQUE CANDIDATI GOVERNATORI DELLE REGIONI SI SONO GIA’ GARANTITI UNA POLTRONA IN CONSIGLIO REGIONALE

“Non mi vendo per una poltroncina” tuonava stentoreo Gian Mario Mercorelli per bloccare qualsiasi accordo con il Partito democratico. Il candidato del Movimento 5 stelle nelle Marche ci ha tenuto a precisare che lui “non è uomo d’apparato” e che gli strapuntini sono roba per altri.
Non si è venduto, questo è certo, ma un regaletto se lo è fatto. Perchè il buon Mercorelli si è autoconferito un posto nelle liste dei consiglieri regionali, cercando di mettere al sicuro una poltroncina in Consiglio.
Già , perchè in quasi tutte le Regioni, al netto di complicate alchimie nell’esito del voto, la “poltroncina” viene acquisita di diritto solo dal candidato presidente arrivato secondo. Tutti gli altri rimangono con un pugno di mosche in mano, lasciando il passo a quella manciata di boss delle preferenze che riescono a strappare i pochi seggi che rimangono appannaggio delle liste che appoggiano chi arriva terzo, quarto e via discorrendo.
“Più importanti dei miei vantaggi personali (mi hanno promesso poltrone certe, prestigio assicurato), ci sono gli interessi dei pugliesi”, diceva la pentastellata Antonella Laricchia, precisando con una certa drammatizzazione da soap opera che lei non avrebbe piegato la testa, “piuttosto tagliatemela”.
Interessi dei pugliesi che evidentemente coincidono con quelli della candidata presidente M5s, visto che anche lei per assicurarsi una sedia nel Consiglio regionale di Bari figura in lista, confidando nei tanti che scriveranno il cognome del presidente sulla scheda, come accade ovunque e da sempre, dandole più chance di raggiungere l’obiettivo.
Destino che la accomuna a Valeria Ciarambino, anche lei candidata presidente in Campania ma in lista a Napoli, perchè Vincenzo De Luca sembra più forte della destra, la quale comunque è più forte dei 5 stelle e quindi non sia mai che si debba tornare alla vita di prima.
Laricchia e Ciarambino lo sanno bene, visto che sembrano da anni le uniche possibili candidate nelle due regioni, e che vengono riproposte nonostante magri raccolti elettorali, in ossequio a potentati locali da non disturbare per non avere più di tanti casini a Roma.
Stessa questione per il veneto Enrico Cappelletti, e meno male che c’è la Toscana, con l’irreprensibile Irene Galletti che un posto in lista non l’ha voluto, tetragona.
Che poi lì la legge elettorale garantisca un posto a tutti i candidati presidenti che superano il 5% è un’altra storia. O forse no. Dichiarare di non volere le poltrone volendole è la nuova rivoluzione dei cittadini portavoce, altro tonno tirato fuori dalla scatoletta, perchè giammai smaniare per una poltrona. Quello lo fa l’establishment

(da “Huffingtonpost“)

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IL GRANDE RITORNO DELLE AUTO BLU: IN DUE ANNI AUMENTATE DEL 30%

Giugno 30th, 2020 Riccardo Fucile

IL CENSIMENTO DEL MINISTERO: VERSO 4.000 VETTURE CON AUTISTA… DI MAIO E IL BANDO PER 8.000 AUTO NUOVE

Sono oltre trentamila le auto di Stato ancora in circolazione, una su dieci è una supercar, ovvero 3.366.
Ma il numero delle auto blu, racconta oggi il Messaggero, continua ad aumentare e presto potrebbe sfiorare la soglia delle 4 mila unità .
È in arrivo il nuovo censimento delle autovetture di servizio delle pubbliche amministrazioni condotto dal dipartimento della Funzione Pubblica: dal ministero della pentastellata Fabiana Dadone fanno già  sapere che, complice l’aumento degli enti rispondenti all’indagine, pure quest’anno la quota delle supercar non arretrerà , anzi. Risultato?
Ci si aspetta che le auto blu censite aumentino del 30 per cento rispetto al 2018, quando erano 3.068. Circa una su due si trova nei garage degli enti locali.
La pubblicazione del report di quest’anno era attesa per aprile, ma a causa del lockdown viaggia con tre mesi di ritardo. A meno di sorprese il nuovo censimento sarà  pronto entro la fine del mese di luglio.
Si parte dalle 33.527 auto blu e grigie rilevate un anno fa, ma si prevede che l’asticella salga ancora, per attestarsi questa volta tra le 35 mila e le 40 mila vetture.
Nel 2017 erano 29 mila circa, molte meno quindi. Proprio il Movimento 5Stelle aveva promesso in passato di azzerare le auto blu, per poi cambiare idea.
Un anno fa, ai tempi in cui era vicepremier, l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio era persino finito nel mirino per due bandi targati Consip, del valore complessivo di oltre 160 milioni, per il noleggio e l’acquisto di oltre 8 mila macchine, tra vetture protette, ovvero blindate, auto grigie e blu, motociclette e mini-van.
Un’autentica abbuffata, insomma, che fece scalpore anche perchè si stava consumando sotto il naso degli anti-casta.
Nel 2019 i dati sulle auto blu sono stati forniti da 8.366 enti (si erano fatti avanti in 6.884 l’anno precedente) su un totale di 10.164 amministrazioni coinvolte dall’indagine. Come detto sono soprattutto sindaci, governatori, assessori comunali e regionali a fare uso oggi delle auto blu.
Sono circa 160 le vetture di Stato parcheggiate nei cortili dei ministeri e della presidenza del Consiglio, di cui 70 blu. Nei garage dei Comuni se ne contano invece più di 16 mila: il Comune di Roma, con oltre 100 mezzi, figura tra quelli più forniti.
Le Regioni dispongono di almeno 1.500 autovetture, di cui un terzo sono blu. Proliferano in Campania (una cinquantina in tutto tra giunta e Consiglio regionale) e Calabria (sopra quota cinquanta), ma anche in Molise (dove sono circa venti).
Come mai? La quasi totalità  delle amministrazioni centrali ha un parco auto in uso esclusivo e non esclusivo con autista pari a o inferiore a 5 autovetture, tetto fissato nel 2014 ma che vale, appunto, solo per le amministrazioni centrali.
Ecco perchè nei Comuni di Milano, Napoli e Palermo la Funzione Pubblica nel 2019 ha contato 17 auto blu

(da “NextQuotidiano”)

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IL RISTORANTE DELLA CAMERA, LUOGO SIMBOLICO DELLA KASTA, E’ CHIUSO E LA DEPUTATA GRILLINA PROTESTA

Giugno 29th, 2020 Riccardo Fucile

MARIA LUISA FARO SCRIVE AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE: “SIA GARANTITO IL SERVIZIO”…SONO LONTANI I TEMPI IN CUI DICEVANO CHE NON CI AVREBBERO MESSO PIEDE

Venerdì 26 giugno, ore 14.45. Commissione bilancio della Camera: si dibatte di altissime e urgentissime risoluzioni in tema di “materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonchè di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”.
Ma se il Paese muore di fame, come dicono i Giusti animati da genuina e dunque irrefrenabile indignazione, può capitare che almeno un languorino colpisca il deputato, se i diritti castali dei cuochi e dei camerieri non coincidono col suo, di rivoluzionario, che a una certa ora qualcosa sotto i denti deve pur metterla.
Forse l’evocativo presidente di turno, che risponde al cognome di Buompane, contribuisce a sciogliere i pur labili imbarazzi, e la cittadina onorevole Marialuisa Faro (trentaseienne catanese, esordi non vividissimi nei cinque stelle, nel 2013, col 3.59 per cento raccolto da candidato sindaco di Sannicandro Garganico, Foggia, infine restituita alla sua dimensione con l’ingresso alla Camera nel 2018) interviene sull’ordine dei lavori e avanza la vibrante protesta: il ristorante di Montecitorio è chiuso.
Arrivano giorni festivi, chi ci nutrirà ? Farlo riaprire, secondo il saggio detto popolare che se le cose vanno male lo stomaco non ne deve soffrire. Avvertire dunque il collegio dei Questori e la Presidenza della Camera, nella persona dell’onorevole presidente Roberto Fico. Il quale Roberto Fico, alla prima uscita da terza carica dello Stato, due anni e qualche mese fa, aveva proposto le linee guida improntate a eguaglianza e giustizia: qua si spendono migliaia di euro per il ristorante, mentre la gente non ha di che mettere in tavola.
Ma come conciliare i frugali propositi col calo degli zuccheri?
All’ingresso nel palazzo del potere, sette anni fa, i ragazzi dei cinque stelle si riversavano a intasare la più dozzinale mensa, atto emblematico e rivoluzionario, poichè il ristorante era il simbolo dei simboli della Casta, sinchè Luigi Di Maio non pose il drammatico problema: il ristorante è sempre vuoto, vorremo mica avere sulla coscienza dei licenziamenti? Seguì accesa vertenza e brillante deliberazione: andiamo al ristorante, purchè diventi self service. Sennonchè la faccenda dei camerieri sfaccendati, loro malgrado, sarebbe restata tale, e di self service non si parlò mai più. Toccò andare al ristorante e lenire il dolore nelle pietanze.
Del resto già  a fine 2013 il rivoluzionario in capo, Beppe Grillo, aveva radunato un drappello dei suoi nelle medesime sale di sbafo, chiarendo che Mao Zedong una l’aveva toppata: la rivoluzione, talvolta, può anche essere un pranzo di gala.
Di Maio, che poche settimane prima aveva detto mai e poi mai al ristorante della Camera, si adeguò (nella stessa circostanza disse anche se mi vedete con un’auto blu linciatemi, perchè le auto blu sono il male assoluto, e settimana scorsa in Svizzera ne aveva una decina, ma per scelta del governo elvetico, qui in Italia ne ha solo due o tre).
A un certo punto girò la foto di non ricordo quale deputato a cinque stelle cui il cameriere parlamentare versava un bicchiere di sincero Morellino — e con colleghi di altri partiti, sacrilegio! — e Alessandro Di Battista si incaricò della difesa: a me lì dentro non mi vedrete mai (però lo vedevamo all’Osteria del Sostegno, delizioso e raffinato ristorante di piazza Capranica, prezzi all’altezza dei piatti), ma non siate troppo severi, disse, non è poi tutto ‘sto privilegio; in ogni caso è molto bello il controllo dei cittadini, ci aiuta a migliorare, aggiunse commentando la shitstorm (tempesta di cacca) scatenata sul cedevole onorevole.
Ormai è tutto dimenticato. Si lavora e si mangia.
Il grillino al sacco si è evoluto in grillino al tavolo, come è giusto che sia. E, se giunta l’ora del desinare il ristorante è chiuso, ed egli deve ricaricare le pile e caricare un saltimbocca, può anche essere che gli girino un po’ le scatole.
E interpelli il presidente Buompane il quale, cinque stelle anch’egli, prenda la questione di petto e la giri al presidente Fico. Pare di vederlo, Fico, con le due noci di Fra’ Galdino, a sospirare sui nobili cuori e l’ignobile pancia.

(da “Huffingtonpost”)

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RETROMARCIA DELLA LEGA SULL’AUMENTO DI MILLE EURO PER LA GIUNTA LEGHISTA DEL PIEMONTE (PERCHE’ GIOVEDI ARRIVA SALVINI)

Febbraio 10th, 2020 Riccardo Fucile

IL TIMORE DI “DANNO ALL’IMMAGINE” ALLA BASE DELLA DECISIONE… MA L’AUMENTO VERRA’ RIPRESENTATO PIU’ AVANTI (MAGARI SOTTO FERRAGOSTO)

Retromarcia. La Regione rinuncia all’aumento di mille euro nello stipendio per gli assessori e per il presidente Alberto Cirio.
La Lega ha ritirato la proposta di legge che prevedeva di riallineare i compensi della giunta a quelli dei consiglieri.
Quest’ultimi infatti guadagnano di più dei componenti del governo regionale perchè godono di 3500 euro di rimborso spese, cifra che viene invece ridotta a mille euro per il presidente Cirio e per gli assessori che usano l’auto blu. La proposta di legge non sarà  nemmeno inserita nel collegato alla Finanziaria, come sembrava in un primo tempo, ma accantonata (per ora)
La decisione arriva dopo le polemiche nate nell’opinione pubblica e dai banchi dell’opposizione per quello che è stato bollato come “un regalo alla casta”.
Il partito di Matteo Salvini corre infatti ai ripari re ritira la proposta che porta come prima firma quella del capogruppo della Lega Alberto Preioni e che rischia di incrinare l’immagine della Lega e del suo leader Salvini, che sarà  giovedì a Torino per incontrare militanti e sostenitori al Lingotto.
“Alla luce delle polemiche strumentali generate in questi giorni a mezzo stampa, che stanno provocando il fraintendimento da parte dell’opinione pubblica della ratio alla base di questa proposta, abbiamo ritenuto opportuno di ritirare l’articolo in questione, pur rivendicandone l’assoluta legittimità  e la necessità  di un correttivo a una disposizione che riteniamo ingiusta” spiega il gruppo regionale della Lega in un comunicato.
“Rimanderemo il tema a una riorganizzazione più ampia dei criteri di definizione dell’indennità  di coloro che rappresentano i cittadini nelle istituzioni del Consiglio e della Giunta regionale, dal momento che quelli attuali non rispettano il principio di giustizia del peso e delle effettive responsabilità  dei ruoli e delle diverse funzioni” aggiungono i consiglieri regionali del Carroccio.
“Ce lo meritiamo” ha spiegato il vice presidente Fabio Carosso che ha gennaio ha avuto un compenso netto di 5900 euro, il compenso più magro della squadra di governo. La busta paga di Alberto Cirio, nello stesso mese, è stata di 6700, a fronte degli stipendi di un consigliere a Palazzo Lascaris che, grazie all’intera cifra dei rimborsi spese, viaggia tra i 6800 e i 7200 euro netti.
Tranquilli, lo ripresenteranno.

(da agenzie)

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