Destra di Popolo.net

“CUORI NERI” DI TELESE, SPERLING CAMBIA COPERTINA

Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile

LA CASA EDITRICE DA’ RAGIONE ALLA RETE: VIA FACCIA DI CARMINATI E NUOVA PREFAZIONE

Un libro divenuto un punto di riferimento.
Un successo editoriale con nove ristampe in altrettanti anni. Poi la decima diventa un caso letterario. Di più: stabilisce un primato.
Perchè non era mai accaduto prima che i lettori convincessero la casa editrice a ritirare e ristampare un volume ormai in viaggio verso le librerie.
Con tutto quello che ne consegue a livello di costi.
E’ successo a Cuori Neri, il romanzo in cui Luca Telese racconta gli anni di piombo ripercorrendo le storie di 21 vittime, tutti giovani di destra, tutti morti nel conflitto di ideologia politica che insanguinò quel pezzo di storia d’Italia.
Il casus belli è l’edizione che celebra il decennale dall’uscita del libro. Nuova prefazione e nuovo capitolo, l’ultimo, in cui il conduttore di Matrix parla degli sviluppi del caso Moro, del filo che collega le stagioni del terrorismo, di Massimo Carminati. Non solo.
Nuovo sottotitolo (“Dal rogo di Primavalle a Mafia capitale, storie di vittime e carnefici“) e soprattutto nuova copertina: sullo sfondo il viso di ‘Er Cecato’, sopra il titolo, bianco, in trasparenza.
Un accostamento, quello tra Carminati e i ‘vecchi’ cuori neri, che fa indignare il popolo di destra. Sul web è una rivolta. Sulla pagina Facebook di Telese centinaia di insulti e accuse.
Poi la svolta. Mercoledì 20 maggio il sito Barbadillo.it chiede ai suoi lettori di inoltrare alla casa editrice Sperling& Kupfer una mail per chiedere di ritirare il libro.
Il motivo? “Non si può in alcun modo legare, con una copertina che genera rabbia e indignazione, la storia patriottica della famiglia e dei fratelli Mattei, di Mario Zicchieri, di Mikis Mantakas, dei ragazzi di Acca Larentia e degli altri figli d’Italia caduti con l’inchiesta della magistratura romana sul malaffare delle cooperative”. Punti di vista.
Fatto sta che in pochi giorni si crea un dibattito culturale molto forte.
All’appello aderiscono politici, semplici cittadini, intellettuali di destra e sinistra, parenti delle 21 vittime raccontate da Telese. Che interviene pubblicamente, ammette che la bozza di copertina non gli era piaciuta, chiede alla Sperling & Kupfer di fare uno sforzo e cambiarla.
Dopo neanche una settimana succede quello che mai era accaduto prima. La casa editrice non solo decide di ‘richiamare’ il libro, ma va ben oltre.
All’inizio pensa a un semplice ricopertinaggio, poi decide di ristampare integralmente Cuori Neri, di cestinare la ‘vecchia’ prefazione e di chiederne a Telese una nuova di zecca per raccontare la levata di scudi in Rete e la scelta della Sperling.
“L’ho finita di scrivere stamattina — dice a ilfattoquotidiano.it Telese, che ha dato la notizia su Twitter – Ora il libro è in stampa”.
Carminati c’è, ma non si vede, almeno in copertina. “Certo che c’è, c’era anche nella prima edizione. E nella mia prefazione ho spiegato perchè deve esserci — spiega l’autore — Di Mafia capitale non mi interessano le carte e i reati raccontati nell’inchiesta, bensì la figura di Carminati e il suo continuo citare i cuori neri con un obiettivo: usarli per sostenere l’aura del suo personaggio pubblico. I Mattei, Ramelli, Mantakas e i ragazzi di Acca Larentia sono vittime, lui è un carnefice: va raccontato, ma non poteva essere il simbolo del libro”.
Lo era diventato. “E infatti mi sono arrabbiato, ma alla decima ristampa l’autore ha un potere davvero relativo. Ora, però, devo fare i complimenti alla Sperling: è un’operazione davvero coraggiosa”.
Telese non è a conoscenza di quanto sia costato in termini economici questo coraggio (si parla di qualche migliaia di euro), ma non ha dubbi sul valore simbolico del cambio in corsa: “E’ la prova che il web può avere una funzione fondamentale, di autocorrezione — sottolinea il giornalista — In questo caso è riuscito a porre rimedio a un errore concepito in un mondo, quello dell’editoria, che va a velocità  opposta rispetto alla sua”.
Carlo Musso, il responsabile editoriale Non Fiction di Sperling & Kupfer e Piemme, preferisce non soffermarsi sul caso in sè, quanto sul dibattito che ne è scaturito: “All’autore e all’editore interessano la riflessione culturale, storica, sociale, editoriale sugli anni di piombo, e sul legame tra la memoria di quella stagione e l’attualità  — spiega a ilfattoquotidiano.it — La copertina dell’edizione 2015 può essere di ostacolo a questa riflessione, o ferire la sensibilità  dei famigliari delle vittime? La cambiamo senza alcun problema, dal momento che non era ovviamente questo l’intento. Ci interessa invece dare spazio a questa riflessione — aggiunge — e su quella non si arretra per nulla, anzi si rilancia: tanto che il libro esce, tra un paio di settimane, non solo con una nuova copertina, ma con una corposa integrazione che dà  conto delle diverse posizioni del dibattito che si è sviluppato in questi giorni”.
Più di ogni risposta, però, vale la nuova bandella.
Che dopo la prima parte (identica sin dalla prima edizione) recita testualmente: “Comparso nelle librerie nel 2006 e ristampato per un intero decennio, il volume ha suscitato polemiche quando — nell’edizione del 2015, integrata con gli accadimenti degli ultimi anni — viene pubblicato con una nuova copertina che riporta la foto di Massimo Carminati, ex militante dei Nar al fianco di Valerio Fioravanti: in un nuovo capitolo l’autore rifletteva sul rapporto tra passato e presente, e ripercorreva (anche) la sua vicenda e il suo passaggio da terrorismo al sodalizio con la banda della Magliana negli anni Ottanta.
Più di vent’anni dopo, uscito dal carcere, Carminati diventa capo di una gang che controlla gli appalti a Roma e viene di nuovo inquisito: le intercettazioni che lo riguardano rivelano quanto sia ancora stretto il suo legame con la memoria di quella stagione.
Ma la foto di Carminati, come un detonatore, fa anche esplodere un acceso dibattito sul rapporto tra la storia delle vittime e quella dei carnefici, tra chi vorrebbe ridurre questo racconto a una rappresentazione di soli angeli, e chi a un tripudio in cui tutti diventano demoni.
L’autore e l’editore decidono così di mandare in stampa una nuova edizione aggiornata (questa) che, rispondendo alle richieste di alcuni lettori, modifica l’immagine di copertina e soprattutto dà  conto di questo dibattito sull’identità .
Luca Telese torna a riflettere sul periodo della lotta armata, sul modo in cui la storia italiana continui a svilupparsi nel perimetro della sua lunga ombra, spiegando perchè questo libro è più attuale oggi di quando è uscito per la prima volta. Ma anche perchè Cuori neri non può diventare una nuova apocalisse o un compendio di vite dei santi: deve restare un libro di storia”.
Che di storico, però, ha anche altro: è il primo libro in cui i lettori sono in qualche modo protagonisti.
Di un cambiamento in corsa, di un dibattito ancora in corso.

Pierluigi Giordano Cardone
(da “il Fatto Quotidiano“)

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LA GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO E DEL DIRITTO D’AUTORE

Aprile 23rd, 2015 Riccardo Fucile

NUMEROSE LE INIZIATIVE DI PROMOZIONE ALLA LETTURA NELLE VARIE CITTA’

La Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, proclamata come ogni anno per il 23 aprile, è divenuta ormai un appuntamento fisso fondamentale nel calendario delle manifestazioni culturali italiane.
La Conferenza generale dell’UNESCO rende tributo mondiale a libri e autori in questa data, incoraggiando tutti, ed in particolare i giovani, a scoprire il piacere della lettura e mostrare un rinnovato rispetto per il contributo insostituibile di quelle persone che hanno promosso il progresso sociale e culturale dell’umanità .
L’idea di questa celebrazione è nata in Catalogna, dove il 23 aprile, giorno di San Giorgio, una rosa viene tradizionalmente data come un dono per ogni libro venduto.
Il successo Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore dipende principalmente del sostegno ricevuto da tutte le parti interessate (autori, editori, insegnanti, bibliotecari, istituzioni pubbliche e private, ONG umanitarie e mass media), che sono mobilitate in ogni paese dalle Commissioni Nazionali UNESCO, Club UNESCO, Centri e Associazioni, delle Scuole Associate e Biblioteche, e da tutti coloro che si sentono motivati a lavorare insieme per questa celebrazione.
Numerose le iniziative nelle varie città  per promuovere la lettura e la diffusione dell’editoria.

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MASSIMO FINI, IN UN LIBRO LA CARRIERA DI UN GIORNALISTA “PER TUTTI E PER NESSUNO”

Febbraio 16th, 2015 Riccardo Fucile

NELLA SUA AUTOBIOGRAFIA “UNA VITA” RACCONTA EPISODI DELLA SUA ESPERIENZA GIORNALISTICA: LE INTERVISTE AD AGNELLI, CATHERINE SPAAK E SILVIO BERLUSCONI

Pubblichiamo alcuni stralci del saggio di Massimo Fini “Una vita — un libro per tutti o per nessuno”, appena uscito per Marsilio.

La mia vita, che qui racconto, ha attraversato questa terra di nessuno.
Anche se ha qualche peculiarità  (sono figlio di tre culture, italiana, russa, francese e ho fatto un mestiere, quello del giornalista, che mi ha permesso, forse, di avere un angolo di visuale privilegiato e più ravvicinato su certi protagonisti e su alcune situazioni, sociali, antropologiche e, in misura minore, politiche) non si differenzia da quelle degli uomini e delle donne delle generazioni che si sono susseguite nel dopoguerra”. (…)
La lettera ad Agnelli mai spedita da De Bortoli.
Un giorno di dicembre del 1987 Ferruccio de Bortoli, capo delle pagine economiche del Corriere della Sera, mi telefonò: voleva propormi una serie di servizi e desiderava vedermi. Andai a trovarlo al giornale.
Mi disse che sotto le feste aveva intenzione di pubblicare una serie di lettere di auguri di Natale ad alcuni dei più importanti imprenditori italiani.
“Naturalmente mi spiegò la lettera dovrà  essere un pretesto per fare dei ritratti polemici, dissacranti, come sai fare tu”.
“Non hai bisogno di incoraggiarmi su questa strada”, dissi io, tetro. “Insomma voglio che tu scriva come sai, ti ho chiamato per questo”.
Mi disse di buttar giù una lista di cinque, sei nomi e di portargliela. Io ci misi Ligresti, Lucchini, De Benedetti, Gardini e un altro di cui ora non ricordo il nome.
De Bortoli approvò, ma sostituì Gardini con Gianni Agnelli.
“Agnelli? Ma sei sicuro? — dissi io— È il padrone del Corriere…”. “Non ti preoccupare, io e Anselmi vogliamo dare una maggior aggressività  alle pagine economiche e in una lista come questa Agnelli non puo mancare”.
Poi mi porto da Anselmi che era condirettore (direttore era l’ultrasettantenne Ugo Stille, il mitico ‘ Misha’) e con lui mettemmo a punto gli ultimi dettagli.
Io che ero un po’ stupito di questi improvvisi coraggi che non erano mai appartenuti alla storia del Corriere chiesi timidamente ad Anselmi: “Ma Stille è d’accordo?”.
“Il giornale lo gestisco io” rispose lui, gelido.
La prima ‘lettera’ la mandai a Ligresti e non ci furono problemi, venne pubblicata con bella evidenza il 20 dicembre 1987. (…) La ‘lettera’ a Lucchini fu pubblicata il 22 dicembre. Quelle a De Benedetti e ad Agnelli avrebbero dovuto uscire nei due giorni successivi.
Preparai il pezzo sul presidente dell’Olivetti e lo portai a De Bortoli (il fax non si usava ancora) poi me ne tornai a casa per scrivere quello su Agnelli.
Mentre ero lì che battevo sui tasti, scervellandomi su come cavarmela senza scrivere un soffietto ma anche senza toccare nervi troppo scoperti, mi telefonò De Bortoli: la ‘lettera’ a De Benedetti era troppo hard.
“Bisogna fare dei ritocchi, degli aggiustamenti, ammorbidire, smussare. Vieni domani mattina al giornale”.
Ci andai portando, già  che c’ero, anche il pezzo su Agnelli. Ferruccio mi segnalò i punti a suo dire scabrosi, mi indicò una scrivania e una macchina da scrivere e mi misi al lavoro. Quando finii consegnai il tutto a De Bortoli che lesse con molta attenzione, approvò e scrisse di suo pugno in testa al pezzo le indicazioni per mandarlo in tipografia.
Ma prima lo fece vedere ad Anselmi. Che a sua volta lesse, rilesse e diede l’ok.
“Però — disse — bisogna farlo vedere a Stille. E anche l’articolo su Agnelli”.
Prese i due pezzi e sparì nella stanza del direttore del Corriere che era poco più in là . Ritornò dopo una ventina di minuti. “Stille dice che è troppo duro, che non è da Corriere, che bisogna aggiustare, ritoccare, ammorbidire, smussare”. “Se è così — risposi io — non facciamone nulla e non se ne parli più”. “No, no — disse spaventato Anselmi — abbiamo annunciato una serie, che figura ci facciamo? Gli deve essere saltata la mosca al naso, a Stille, prima o poi gli passa. Tu aspetta qui, tra poco ci torno e lo convinco”.
Da quel momento nei severi e austeri corridoi del Corriere, onusti di gloria e di prestigiosi fantasmi, in un’atmosfera ovattata, gallonata e quasi surreale, insomma in mezzo a quella paccottiglia retorica che tende a occultare che questo giornale è da sempre schierato col Potere, quale che sia, cominciò un penoso deambulare, un andirivieni sempre più frenetico e imbarazzante di Anselmi e De Bortoli e poi del solo Anselmi con la stanza che era stata di Albertini, ora occupata da Stille. Io guardavo e rabbrividivo. (…)
La cosa durò quattro ore. Ritornando affranto dall’ennesima sosta nella stanza di Stille, Anselmi (che, come De Bortoli, è una bravissima persona, cosa rara in giornalismo dove i gaglioffi, oggi più di ieri, abbondano) mi disse, allargando le braccia: “Mi spiace, Stille in genere controlla un pezzo su quattrocento, purtroppo è toccato al tuo”.
“Pazienza — risposi — sarà  per un’altra volta”, sapendo che non ci sarebbe stata. Naturalmente della ‘serie’ sugli imprenditori non si parlò più nè tantomeno del pezzo su Agnelli di cui però feci in tempo a vedere che avevano tagliato il passo sulle concentrazioni editoriali in cui la Fiat, allora più di oggi, era implicata in prima linea. (…)
L’alcool, la depressione e Catherine Spaak.
Nel novembre 1981, a due anni circa dall’inizio della depressione, il direttore di Penthouse italiano, Gian Franco Vene, che voleva dare un po’ di spessore a quel giornale, mi chiese di fare un’intervista jusqu’au bout a Catherine Spaak.
Per me prendere un aereo per Roma era ancora un grande sforzo.
Incontrare la Spaak, che era stata un mito della mia generazione, aggravava le cose. Arrivai in via dell’Anima dove aveva una bellissima casa che, da un lato, dava su piazza Navona.
Nei suoi 38 anni, con i biondi capelli raccolti da un nastrino rosso, era bellissima e affascinante, molto più dell’implume ragazzina che fa impazzire Ugo Tognazzi ne La voglia matta. Io mi sentivo svenire. Temevo di morire davanti a lei.
L’ignominia assoluta. Catherine si accorse quasi subito che c’era qualcosa che non andava. “Non si sente bene?”. “Sì, non mi sento bene”, ebbi il coraggio di confessarle. Lei fu molto comprensiva, accuditiva, quasi materna, caratteristiche che, avendola conosciuta meglio in seguito, non direi che facessero proprio parte del suo carattere.
Era rigida. Incasellava ogni cosa in certe cellette del suo cervello, ben ordinate e separate come quelle dell’alveare di un apicultore.
Questo bisogno d’ordine, quasi maniacale, si notava anche nella sua casa, non c’era incartamento, plico, mazzo di matite che non fosse accuratamente avvolto in un vezzoso nastrino, ognuno di diverso colore. Io la chiamavo ‘la tedesca’.
A quell’età , non più ninfetta, aveva il fascino e l’eleganza di una donna della grande borghesia europea.
Suo zio, Henry Spaak, era stato, con Adenauer e De Gasperi, uno dei padri dell’idea di un’Europa unita. In quel periodo si era messa a fare la giornalista e lavorava con impegno e diligenza per pochi soldi, lei ricchissima. “Venga, andiamo di là , in cucina, a farci un caffè”.
Chiacchierammo per un po’ e poi, tornati in sala, facemmo l’intervista.
Rientrato a Milano scrissi, di notte, l’articolo di 15 cartelle che mi era stato richiesto, cui Vene diede il titolo Catherine Spaak — Una donna dell’Europa borghese (Penthouse, novembre 1981).
Quella confessione fu liberatoria. La depressione si affievolì fino a sparire del tutto. In seguito capii cosa era successo.
Per vent’anni l’alcol mi aveva protetto come una seconda pelle. Dopo mi ritrovai come se al posto della pelle ci fosse la carne viva, allo scoperto.
Nei due anni di depressione avevo dovuto ricostruire la mia personalità , senza la difesa dell’alcol. Giurai a me stesso che non avrei piu toccato una goccia di liquore. Ero stato troppo male. (…)
Le tre domandine che spaventarono B.
Il terzo incontro con Silvio Berlusconi fu un non-incontro. C’erano le elezioni del 1996. Mi telefonò la direttrice di Annabella: “Vogliamo fare due interviste, una a Prodi e una a Berlusconi. Ma vogliamo che chi li intervista non sia un giornalista compiacente, ma che sia anzi un antagonista. Per Prodi abbiamo pensato a Giordano Bruno Guerri, quella a Berlusconi vorremmo che la facessi tu”.
“Ma guarda che a me l’intervista non la dà ”.
“Figurati, siamo sotto elezioni e Berlusconi ha tutto l’interesse a parlare su un giornale ‘femminile’ come il nostro. Eppoi siamo già  d’accordo. Devi solo telefonare all’ufficio stampa di Milano di Forza Italia”.
Telefonai. L’accordo era che avrei fatto delle domande scritte cui Berlusconi avrebbe risposto e poi ci saremmo visti per un vis-à -vis di 45 minuti ad Arcore. Mandai le domande all’Ufficio Stampa di Milano che le trasmise a quello di Roma per un vaglio definitivo. Dovevo quindi telefonare a Roma.
Mi rispose Paolo Bonaiuti. “Ah, sei tu?” domandai un po’ sorpreso.
Quando eravamo stati colleghi al Giorno negli anni Ottanta Bonaiuti era di sinistra, per lui io ero un mezzo fascista.
“Ma qui ci sono delle domande…”. “Paolo, sono domande scritte, lui, o chi per lui, ha tutto il tempo di rifletterci sopra e di rispondere a tono”. “Ma ci sono queste domande sulla mafia…”.
Avevo posto la questione più o meno in questi termini: “Lei dà  molta importanza ai valori di lealtà  e di fedeltà . Ma questi sono anche i valori omertosi della mafia. In che modo i suoi concetti di lealtà  e fedeltà  si differenziano da un legame mafioso?”.
All’interno delle tre domande che vertevano su questo argomento davo naturalmente per scontato che per Berlusconi i valori di lealtà  e di fedeltà  fossero interpretati in modo molto diverso da quello dell’omertà  mafiosa.
Ma questo a Bonaiuti non bastava. “Non potresti togliere quelle tre domande? Eppoi ce ne sono anche un altro paio…”. “No”. “Fammici riflettere. Ne parlerò col Presidente. Ti richiamo io”. Non richiamò. Quell’intervista non si fece.
Mandai a Berlusconi un biglietto: “Egregio Cavaliere, io l’ho sempre criticata ma non le ho mai negato il coraggio. Vederla fuggire, come una lepre impaurita davanti a tre domandine scritte non mi pare degno di lei. Massimo Fini”.
Il biglietto glielo avevo mandato brevi manu spedendo ad Arcore un fattorino dell’Indipendente.
Dopo nemmeno tre ore suonano alla mia porta. È un gigantesco valet gallonato che mi consegna una lettera.
È di Berlusconi che mi copre di insulti di ogni genere. Ma, come scrive Nietzsche, “anche la lettera più villana lo è meno del silenzio”.
Anche questo, a suo modo, era un segno di attenzione.
Che poteva importargli di una zanzara, sia pur molesta, quale ero io ai suoi occhi? Considero Silvio Berlusconi deleterio nella storia del nostro Paese, perchè, col supporto dei suoi ‘ servi liberi’, ha contribuito a togliere agli italiani quel poco di senso della legalità , e oserei dire anche della dignità , che gli era restato.
Massimo Fini
(da “il Fatto Quotidiano”)

Una vita. Un libro per tutti o per nessuno
di Massimo Fini
casa editrice “Marsilio”
2015 pp. 252   17 euro

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IL TESORO NASCOSTO DEI PICCOLI EDITORI

Gennaio 23rd, 2015 Riccardo Fucile

MARCHI TENACI E INDIPENDENTI CONTRO LA DITTATURA SOFT DEL MERCATO

Se l’Italia – nonostante la crisi e tante indecenze, improvvisazioni e incompetenze – sopravvive con tenacia e vitalità , lo si deve non ai padroni del vapore – spesso incapaci e truffaldini pachidermi di Stato o del grande capitale, che moltiplicano zeri alla fine equivalenti realmente a zero – bensì alle piccole imprese e ai lavoratori, sempre a rischio di essere soffocati e derubati da quella schiuma di zeri.
È la piccola impresa il nucleo del vero liberismo – inseparabile dal liberalismo, come sosteneva Einaudi nella famosa discussione con Croce, e inconciliabile con ogni monopolio, pubblico o privato.
La vita del piccolo imprenditore spesso non è più facile di quella dei suoi dipendenti e la sua, la loro lotta per sopravvivere si fa sempre più difficile.
Ciò vale pure per la piccola e medio-piccola editoria, spesso coraggiosa e pionieristica nelle sue iniziative e nelle sue scelte, sempre più in difficoltà  non solo e non tanto con i costi di produzione quanto con i problemi di distribuzione, con la fatica di far conoscere la propria attività  e i propri libri, di portarli a conoscenza dei lettori e di renderli visibili in libreria, dove sono schiacciati dalle pile dei libri – poco importa se buoni o no – più pubblicizzati.
Purtroppo nell’editoria quel predominio e quella dittatura dell’offerta sulla domanda sono totalizzanti e distruttivi.
Non si legge ciò che si desidera, ciò che si pensa corrisponda ai propri gusti e alle proprie inclinazioni, ma ciò che viene imposto.
Più efficace dei regimi totalitari, il mercato si impone soft e inesorabile.
Pochi cercano i samizdat ovvero quei libri che oggi sono i nuovi samizdat , pochi seguono le proprie passioni.
È difficile comperare e dunque leggere un libro che non si sa che esiste.
Io mi sono procurato a fatica un capolavoro letterario come Il quarto secolo di à‰douard Glissant, edito dalle Edizioni del Lavoro – e difficilmente reperibile sul mercato – nella splendida traduzione di Elena Pessini.
Purtroppo un altro capolavoro della letteratura contemporanea mondiale,
Notizie dall’impero di Fernando Del Paso – un vastissimo e geniale affresco narrativo, innovatore nel linguaggio e nella struttura, cui anche personalmente devo alcune illuminazioni essenziali, tradotto splendidamente da Giuliana Dal Piaz – è stato pubblicato dalla casa editrice Imprint-Profeta di Napoli e temo che, a differenza di quanto è accaduto in tanti altri Paesi, non abbia quasi raggiunto le librerie.
Si potrebbero fare molti esempi.
Se Diabasis fosse una grande anzichè media casa editrice, Il signor Kreck di Juan Octavio Prenz sarebbe probabilmente uno dei libri del giorno.
La splendida versione di Renata Caruzzi di un testo capitale e arduo come Le Elegie Duinesi di Rilke, pubblicata dalla piccola casa editrice Beit, o la preziosa edizione del saggio di Hannah Arendt e Gà¼nther Stern-Anders sulle medesime elegie curata da Sante Maletta per la piccola editrice Asterios sarebbero probabilmente sfuggite anche a me se quelle case editrici non fossero triestine
Gli esempi potrebbero e dovrebbero continuare, perchè farne solo alcuni è ingiusto verso gli altri.
Una di queste meritorie e creative case editrici che sono nell’ombra più di quanto meriterebbero sono le edizioni Hefti, cui si deve una preziosa mediazione della letteratura soprattutto croata ma anche più in generale balcanico-adriatica, con particolare attenzione a quel grande dialogo di secoli passati tra le due sponde di quel mare, che vedeva poeti che si chiamavano Marko Maruli ma anche Marco Marullo e non certo, come in sciagurati secoli successivi, per snazionalizzazione imposta dagli sciovinismi, ma per un libero dialogo che vedeva questi poeti di Spalato, di Curzola, di Traù scrivere in croato come in latino e in italiano, nutrirsi del petrarchismo e trasferirlo nella propria lingua e nella propria tradizione, in un reciproco scambio e arricchimento.
Le edizioni Hefti hanno operato in questa direzione, facendo conoscere eccellenti narratori moderni e contemporanei (per esempio Ranko Marinkovic o Slobodan Novak con le loro storie marine o Predrag Matvejevic, con la prima edizione italiana del suo Breviario mediterraneo ).
Allo stesso tempo hanno fatto conoscere il fiorire di traduzioni croate di Dante o Petrarca o italiane di Krleža, spesso grazie al lavoro di Ljiljana Avirovic, straordinaria traduttrice dall’italiano in croato e dal croato o dal russo in italiano, con una doppia valenza che è già  realtà  concreta di quel dialogo fra culture.
Ma le edizioni Hefti hanno pubblicato ad esempio pure una grammatica della lingua croata di Marina Lipovac Gatti e una folta Antologia della poesia croata contemporanea , curata anch’essa da Marina Lipovac Gatti, che permette di fare i conti a fondo con la travagliata, vitale, drammatica letteratura di un Paese che ha vissuto, come in un concentrato, le lacerazioni e le tragedie d’Europa.
Una vera gemma è la Judita di Marco Marulic, edita nella ristampa della II edizione del 1522 e nella versione italiana (con testo a fronte) di Lucia Borsetto, che rende con forza poetica questo testo che si affianca alle altre grandi Giuditte – l’eroina biblica che salva il suo popolo uccidendo Oloferne – della letteratura europea, a cominciare da quella del grande tragico barocco italiano Federico Della Valle.
Sì, forse una volta, in quei secoli cui si guarda dall’alto del nostro progresso, esisteva l’Europa, che ora sembra sfaldarsi.

Claudio Magris
(da “il Corriere della Sera”)

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LIBRI, I PIU’ LETTI DEL 2014: SUL PODIO “COLPA DELLE STELLE” E “LA PIRAMIDE DI FANGO”

Gennaio 1st, 2015 Riccardo Fucile

IL PIU’ VENDUTO E’ “STORIA DI UNA LADRA DI LIBRI” DI MARCUS ZUSAK, TOCCANTE STORIA AMBIENTATA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE… PER IL RESTO CONFERME E I SOLITI TESTI DI RICETTE DI CUCINA E CORSI DI LINGUA

Poche sorprese, molte conferme e la solita vagonata di ricette di cucina e corsi di lingua: questo, in sintesi, il 2014 dei libri più venduti in Italia.
Il podio della classifica dei bestseller di quest’anno vede al terzo posto John Green con Colpa delle stelle (edito da Rizzoli), young adult strappalacrime trainato anche dal film con Shailene Woodley che tanto ha commosso i teenager di tutto il mondo.
Seconda piazza per La piramide di fango (Sellerio), ennesimo trionfo per il maestro Andrea Camilleri.
Ma il libro più venduto del 2014, forse un po’ a sorpresa, è Storia di una ladra di libri (Frassinelli) di Marcus Zusak, toccante storia ambientata durante la Seconda guerra mondiale e dal quale è strato tratto un film di successo.
Gli altri sette posti della Top10 sono un elenco di grandissimi nomi, scrittori contemporanei che da anni compaiono tra i più venduti.
Quarto il sempiterno Ken Follett con I giorni dell’eternità  (Mondadori), seguito da Inferno di Dan Brown in edizione economica (Mondadori) e Paulo Coelho con Adulterio (Bompiani).
Settima la regina italiana del romanzo rosa Sveva Casati Modignani con il suo La moglie magica, edito da Sperling & Kupfer, mentre all’ottavo posto c’è Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (Guanda) di Luis Sepulveda.
Nono è di nuovo Andrea Camilleri con Morte in mare aperto e altre indagini del giovane Montalbano (Sellerio), mentre a chiudere la classifica c’è Una mutevole verità  (Einaudi) di Gianrico Carofiglio.
Gli altri sette posti della Top10 sono un elenco di grandissimi nomi, scrittori contemporanei che da anni compaiono tra i più venduti, come il sempiterno Ken Follett che si classifica quarto
Ma le classifica di vendita dei libri hanno senso solo se scorporate per generi.
E allora, considerando solo la narrativa italiana, Andrea Camilleri occupa il primo, il terzo e il sesto posto (Inseguendo un’ombra, Sellerio), mentre il secondo è della già  citata Sveva Casati Modignani.
Quarto e nono (La regola dell’equilibrio, Einaudi) Gianrico Carofiglio, mentre completano la top 10 Gli sdraiati (Feltrinelli) di Michele Serra, Il telefono senza fili (Sellerio) di Marco Malvaldi, La strada verso casa (Mondadori) di Fabio Volo e L’uragano in un batter d’ali (Newton Compton) di Sara Tessa.
Tra la narrativa straniera, oltre i titoli che già  dominano le vendite generali, trovano posto anche Il cardellino (Rizzoli) di Donna Tartt, uno dei casi editoriali dell’anno, le solite Cinquanta sfumature di E. L. James e gli eterni Stephen King (Doctor Sleep, Sperling & Kupfer) e Wilbur Smith (Il dio del deserto, Longanesi).
Tra i saggi, primi tre posti per Braccialetti Rossi.
Il mondo giallo (Salani) di Albert Espinosa (da cui è tratta l’omonima serie di RaiUno), Ammazziamo il Gattopardo (Rizzoli) di Alan Friedman e Un’idea di destino (Longanesi) dell’indimenticabile Tiziano Terzani.
Particolarmente interessante è la classifica dei libri per ragazzi, con Sepulveda che conquista il primo posto, seguito da Diario di una schiappa.
Guai in arrivo! (Il Castoro) di Jeff Kinney, da un libro sulla divetta Disney Violetta e dall’alternarsi di Suzanne Collins e Veronica Roth con i vari capitoli delle loro saghe distopiche Hunger Games e Divergent.
Resiste al decimo posto un libro che non smette mai di vendere: Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery.
Chiudiamo con la “Varia”, che racchiude tutto quello che non è incasellabile come narrativa o saggistica.
Il libro più venduto è English da zero (Mondadori) di John Peter Sloan, seguito dall’irriducibile Benedetta Parodi con le ricette di Molto bene (Rizzoli).
Terzo posto per Open, l’autobiografia bestseller mondiale dell’ex tennista Andre Agassi. Le altre posizioni sono ancora appannaggio di diete, ricette e corsi di lingua.
Resiste al decimo posto un libro che non smette mai di vendere: Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery
Fin qui le vendite di libri del 2014. Ancora una volta, la quantità  non è sempre amica della qualità .
Ma così come facciamo già  con televisione, musica e cinema, forse è il caso di rassegnarsi anche tra gli scaffali della libreria.

Domenico Naso
(da “il Fatto Quotidiano“)

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RENATO CURCIO ORA DA’ LEZIONI SU AMBIENTE E VELENI

Agosto 12th, 2014 Riccardo Fucile

L’EX BRIGATISTA È STATO INVITATO A PISA PER PRESENTARE IL LIBRO “IL PANE E LA MORTE”

A Perignano, in provincia di Pisa, è esploso il caso Renato Curcio.
L’ex brigatista è stato invitato domenica alla “Festa Rossa”, evento organizzato dall’omonima associazione culturale di ispirazione comunista, per presentare il suo libro Il Pane e la Morte.
Un po’ come Schettino a La Sapienza, la notizia ha suscitato molta indignazione, non per il contenuto del libro, ma per il passato terrorista di Curcio, che mette in dubbio l’adeguatezza del suo invito a una festa popolare.
“Chissà  quanti dei giovani sanno che quel signore ormai anziano è stato il fondatore delle Brigate Rosse, il gruppo terrorista protagonista degli anni di piombo in Italia, responsabile dell’assassinio di poliziotti, carabinieri, giornalisti, sindacalisti, dirigenti dello Stato e politici statisti.
Chissà  se sanno chi era Aldo Moro e la storia del suo rapimento, della sua prigionia e della sua esecuzione da parte del “tribunale del popolo” delle Brigate Rosse”, ha commentato Riccardo Buscemi, vice presidente vicario del consiglio comunale.
“La Rossa” non cancella l’appuntamento e replica per voce del suo presidente Paolo Papucci: “Non siamo un partito, siamo solo un’associazione che vuole parlare e discutere di tematiche forti, insieme a personaggi in grado di farlo. Curcio ha pagato e il suo passato non ci interessa e non è al centro del dibattito”.
Nonostante le polemiche, dunque, l’ex brigatista non è mancato all’evento, e ha parlato di ambiente e veleni del popolo industriale, illustrando i danni delle centrali termoelettriche e del petrolchimico e la connessione di questi con l’alto tasso di mortalità 

Chiara Ingrosso

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“CON FALCONE E BORSELLINO VIVI NON SAREBBE MAI DIVENTATO PREMIER”: ESCE “INDAGINE SUL VENTENNIO” BERLUSCONIANO

Aprile 7th, 2014 Riccardo Fucile

IL NUOVO LIBRO DI ENRICO DEAGLIO: L’INTERVISTA ALL’AUTORE

Enrico Deaglio è un giornalista italiano di lungo corso.
Nella sua carriera ha raccontato alcuni dei passaggi più importanti della storia italiana recente. E’ stato cronista, direttore di settimanali, autore e ideatore di trasmissioni televisive, documentarista e scrittore di libri di successo.
Nonostante ora si definisca un “anziano, prevenuto e amareggiato” non ha perso il vizio del buon giornalista: indagare la realtà .
Nel suo ultimo libro “Indagine sul ventennio” (Feltrinelli, pp215, 15 euro) ha deciso di accendere i riflettori su qualcosa che lui stesso definisce come “un pasticciaccio brutto”: il ventennio di Silvio Berlusconi.
Analisi e racconti corredati da interviste inedite a politici (Prodi), giornalisti (Lerner), scrittori (Saviano e Sofri), psicologi (Recalcati), giovani studenti.
Deaglio torna, lui che fu tra i primi a farlo nel ’94 con Besame Mucho.
Diario di una anno abbastanza crudele, a occuparsi dell’ex Cav.
Nell’anno in cui l’epopea di Silvio fa venti: dalla discesa in campo (gennaio 1994) alla vicenda della condanna definitiva per frode fiscale e la conseguente decadenza dal Senato (fine 2013).
Un ventennio raccontato attraverso fatti e personaggi, di alcuni di questi l’autore ne ripercorre le gesta in una graffiante appendice, protagonisti di queste due decadi. Deaglio aggiunge all’analisi di ciò che è stato (ed è conosciuto) un elemento nuovo. Nell’ultimo capitolo del libro infatti pubblica alcuni estratti di un riservatissimo rapporto sui risultati investigativi dell’operazione Oceano.
Rapporto che la Direzione investigativa antimafia, pochi mesi prima del voto del marzo ’94, fece arrivare sulle scrivanie di quattro procure italiane.
Un testo di 70 pagine in cui si esaminava lo stato delle indagini sulle stragi del 1992 e del 1993. Proprio le bombe e i morti, secondo la Dia, furono un formidabile volano per la ripresa di quella “strategia del colpo di stato” che aveva come obiettivo lo spostamento a destra dell’assetto politico italiano dopo Tangentopoli.
Deaglio, lei pubblica in anteprima nel libro un rapporto della Dia sull’operazione Oceano. Perchè quelle 70 pagine sono così importanti
Perchè quel documento ci racconta come la Mafia all’inizio degli anni ’90 avesse rapporti non solo con la politica ma anche con il mondo finanziario. Adesso può sembrare normale ma detto 20 anni fa, quando di finanza poco o nulla si sapeva, rappresentava un fattore di novità  forte. Legami e affari che la malavita organizzata già  a quei tempi intrecciava con i grandi gruppi imprenditoriali del paese. Nel rapporto è scritto chiaro: ‘quel nodo bilaterale (mafia, politica) prevalente potrebbe diventare trivalente così da coprire per intero quella realtà  che, in gran parte nascosta attraversa i vari settori della vita del nostro paese’.
Negli estratti non vengono fatti nomi però. Lei pensa che potessero essere coinvolti personaggi di peso dell’imprenditoria italiana
Credo di si. Bisogna specificare che quello che pubblico io è il rapporto di un’indagine molto più complessa nella quale probabilmente alcuni nomi vengono fuori. Certo è che a inizio ’94 alcune procure avevano posto più di un focus sui grandi gruppi imprenditoriali italiani. Era inizio ’94 Berlusconi in fretta e furia organizzò un partito, si candidò e vinse le elezioni garantendosi l’immunità  e riparandosi da ogni possibile pericolo. Mi faccia però aggiungere un elemento.
Prego
Se Falcone e Borsellino nel ’94 fossero stati ancora vivi Berlusconi non sarebbe mai diventato Presidente del Consiglio e il ventennio non sarebbe mai cominciato.
Perchè ne è così sicuro?
Perchè Falcone indagava sui colletti bianchi di Milano e Borsellino prima di altri aveva capito quanto stretti fossero i legami tra la Mafia, gli imprenditori del nord e il mondo della finanza.
Negli ultimi vent’anni però Berlusconi ha vinto 4 volte le elezioni, ha governato per più di tremila giorni e ora continua, seppur tra mille difficoltà , a essere un protagonista della politica italiana. Dentro Forza Italia non si vede nessuno in grado di prenderne il posto, Renzi fa accordi con lui sulle riforme, Napolitano lo riceve in quanto leader di una forza politica. E’ proprio sicuro si sia chiusa un’epoca?
Si credo di sì, lui ormai è vecchio. Sono venuti meno i presupposti che lo portano avanti. E’ certo vero che gli resta un potere contrattuale ma questo solo per la pavidità  di chi lo circonda. Lui è finito ma i disastri che ha fatto ce li ritroveremo per molto tempo.
Nel libro lei non è tenero neanche nei confronti di chi in queste due decadi è stato all’opposizione dell’ex Cav. Chiama in causa gli ex Pci: Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino. Che colpe ebbero?
La prima e la più importante di non denunciare subito il pericolo democratico che rappresentava Forza Italia. Scelsero di trattare e di scendere a patti, vedi la Bicamerale di D’Alema nel 1996. Non fecero mai opposizione vera, illusero un elettorato che credeva potesse esserci in loro una reale alternativa a Berlusconi.
A proposito di sinistra, di Renzi che pensa? E’ d’accordo con chi crede sia un Berlusconi sotto altre spoglie?
No, non penso. Tra di loro ci sono molte differenze. Renzi è un politico, spregiudicato ma è un politico cresciuto facendo politica. E’ possibile che in qualche modo il berlusconismo abbia contaminato il suo modo di farla — penso alla questione della leadership e del partito padronale – ma da qua a definirlo un altro Berlusconi ne passa eccome.
Nel libro c’è spazio anche per Grillo, racconta di quando il leader M5s “scaldava i comizi” di Alfredo Biondi. Pensa che anche lui sia un figlio del berlusconismo?
Assolutamente si. Grillo è un uomo di destra, con pessime idee, con un modo di fare politica tipicamente berlusconiano. Ha fondato un partito autoritario con l’idea che ci sia uno solo uomo al comando che prende decisioni per tutti. Quella che lui chiama democrazia su internet è solo finzione.
In Indagine sul ventennio lei si pone una domanda: “Come ha potuto un paese civile, ricco, con una stampa libera, istituzioni antiche, accettare Berlusconi?” Vuole provare a rispondere
Prima del 94 eravamo convinti che la vittoria sul fascismo avrebbe funzionato da anticorpo a nuovi autoritarismi, credevamo nella forza della nostra — seppur giovane – democrazia. C’eravamo solo illusi perchè con l’arrivo di Berlusconi le basi su cui poggiavamo le nostre certezze si dimostrarono davvero molto fragili.

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LAVORO E STUDIO: LA SPLENDIDA REALTA’ DELLE RAGAZZE NORMALI CHE NON VIVONO DI COMPROMESSI ALLA CORTE DI VECCHI PERVERTITI

Settembre 19th, 2011 Riccardo Fucile

CHI SONO LE RAGAZZE ITALIANE? LE GIOVANI CHE STUDIANO, LAVORANO, PROGETTANO E COSTRUISCONO COSI’ IL FUTURO DEL NOSTRO PAESE?…. ESISTONO ANCORA RIFERIMENTI VALORIALI NELLA SOCIETA’ ITALIANA

Le tv, i giornali, i dibattiti di questi giorni sembrano proporci un’immagine unica.
Ragazze carine, anzi spesso molto belle, che si somigliano tra loro e che usano il corpo con consapevolezza estrema: scambiano quello che hanno – e che possono offrire sul mercato libero delle risorse – per raggiungere un avanzamento economico e sociale.
Ha fatto molto discutere l’ultimo saggio di Catherine Hakim, sociologa della London School of Economics, intitolato Il potere del capitale erotico .
L’autrice sostiene che sarebbe assurdo negare alle giovani donne il diritto, quasi il dovere strategico, di sfruttare al massimo il proprio capitale estetico.
Soprattutto se le giovani donne in questione sono sprovviste di altri mezzi: finanziari, intellettuali, di status sociale.
Recensendo il libro, lo scrittore Will Self ha citato una battuta tratta dalla serie tv ormai globale «The Simpsons».
Lisa dice alla sua insegnante: «Essere belle non è importante»; la signorina Hoover risponde: «Stupidaggini, questo è quello che i genitori brutti dicono alle proprie figlie».
Le ragazze delle intercettazioni sembrano aver imparato bene la lezione: il «capitale erotico» deve fruttare il massimo in quei pochi anni di pienezza che la natura – ora esasperata dalla chirurgia – concede loro.
Sinora si è (quasi) sempre discusso solo di questo: se cioè le ragazze di Berlusconi, dall’Olgettina a Bari, siano figlie del femminismo o piuttosto una distorsione inquietante dell’emancipazione.
Ma a questo punto la domanda più importante è davvero un’altra e chiede di superare quell’immagine unica, e ancora più quel pensiero unico, in cui continuamente ci imbattiamo.
Queste giovani donne, che ossessivamente scrutiamo e commentiamo, rappresentano la maggioranza delle ragazze italiane?
O comunque, pur in minoranza, costituiscono un’avanguardia dietro la quale «le altre» vorrebbero mettersi in coda?
La «sexeconomics» all’italiana è davvero un’espressione di modernità ?
La risposta è no.
La modernità  di tante giovani italiane sta altrove.
Sta nelle università  dove le studentesse ottengono risultati sempre migliori; sta nei curricula che vengono presentati per un’assunzione dove si sommano esperienze all’estero, volontariato, aggiornamento costante delle proprie abilità ; sta nella creatività  delle mamme blogger che sanno costruire dal basso nuove comunità , solidali, capaci di compensare in parte i vuoti del welfare; sta nell’ottimismo delle mamme single, che siano di ritorno o di andata; sta nell’energia delle ventenni pronte a partire per una città  straniera forti solo di sè; sta in chi si impegna per i diritti delle persone, nelle associazioni, che sono un modo nuovo di fare politica; sta nelle giovani immigrate, le più aperte all’integrazione.
Sta nelle storie «normali» di tantissime donne che ogni giorno provano a «tenere insieme» professione, famiglia, se stesse.
L’avanzamento personale e la mobilità  sociale vengono cercate, certo, ma in un altro modo. In un Paese che ha una delle medie più basse di lavoro femminile retribuito (un risicato 48% rispetto a una media Ocse del 59) e dove nello stesso tempo il numero di bambini per donna è uno dei più bassi d’Europa (il 24% delle donne italiane nate a metà  degli anni Sessanta non ha fatto figli rispetto al 10% delle francesi).
È di questo che vogliamo parlare e scrivere.
Di questo gap di modernità  che l’Italia non ha risolto e non risolve ancora, nonostante gli appelli della Banca d’Italia a non sprecare il 50% dei propri talenti – perchè le donne rappresentano più della metà  della nostra popolazione.
Questo non perchè le donne siano migliori, ma perchè le società  dove le donne e gli uomini lavorano accanto – in uno scambio davvero liberato da «un pensiero unico» sulla femminilità  – funzionano meglio e garantiscono un futuro a chi verrà .
E c’è un’ultima cosa: nelle centomila intercettazioni le ragazze parlano e parlano e non è difficile cogliere un filo di malinconia, di abbruttimento, di disagio nell’inseguire il premio contrattato.
Le vite delle nostre ragazze «normali» sono assai più avventurose.

Barbara Stefanelli
(da “Il Corriere della Sera”)

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DIRITTO ALLO STUDIO: LIBRI DI TESTO, AUMENTI A RAFFICA

Agosto 27th, 2011 Riccardo Fucile

QUEST’ANNO LE FAMIGLIE SPENDERANNO IN MEDIA L’ 8% IN PIU’ RISPETTO AL 2010…. COLPA DEI RITOCCHI DEI PREZZI E DELLA MOLTIPLICAZIONE DELLE MATERIE…BANCARELLE DELL’USATO IN TUTTA ITALIA

Al ritorno dalle vacanze estive le famiglie italiane dovranno fare i conti con il caro-libri.
E le organizzazioni degli studenti lanciano i “mercatini dell’usato”.
Secondo il Codacons per l’acquisto dei libri di testo scolastici le famiglie italiane spenderanno in media l’8 per cento in più rispetto al 2010.
“Ad incidere sulla maggiore spesa   –   spiega in un comunicato l’associazione dei consumatori   –   non è solo l’aumento dei loro prezzi, ma anche quello del loro numero dovuto all’incremento delle materie insegnate, oltre che l’aumento dei tetti massimi di spesa fissati dal ministero dell’Istruzione”.
Quest’anno, “per venire incontro alle esigenze delle famiglie in questo periodo di crisi, il ministero ha pensato bene di alzare i tetti ministeriali in percentuali variabili tra l’1,4 ed il 3,8 per cento a seconda della scuola”, continua ironicamente il comunicato.
“E pensare   –   spiega il Codacons   –   che nel 2009 il ministero aveva pronosticato, entro i successivi tre anni, una diminuzione di spesa del 30 per cento per l’acquisto dei libri scolastici. Un dato fantasioso, salvo che il prossimo non avvenga un miracolo”.
E, come se non bastasse, secondo le prime rilevazioni condotte dall’associazione dei consumatori “nonostante il loro innalzamento, il 30 per cento delle scuole sforerà  ugualmente i tetti di spesa fissati dal ministero”.
Dovrebbe essere, invece, più contenuto l’aumento dei prezzi per matite, penne, quaderni, zaini e per l’intero corredo scolastico: attorno al due per cento.
Per fronteggiare il rincaro della dotazione libraria gli studenti dell’Uds organizzano mercatini dell’usato in 25 città , dalla Friuli Venezia Giulia alla Sicilia.
“Secondo Federconsumatori   –   si legge in una nota degli studenti   –   un ragazzo di primo liceo spenderà  ad inizio anno 728,6 euro per libri e dizionari più 461 euro di corredo scolastico. Per un totale di ben 1.189.6 euro. E in base ai conteggi del Codacons la spesa familiare per i libri di testo aumenterà  dell’8 per cento”.
“Queste le tristi cifre che anticipano l’inizio dell’anno scolastico, rincari alla spesa e nessuno parla di diritto allo studio”, commentano i ragazzi.
Secondo gli studenti, “le passerelle mediatiche in cui si annunciava la soluzione del problema sono risultate vane”.
“Ad oggi   –   continuano   –   il mercato dei libri scolastici è dominato senza regole dalle lobby editoriali che annualmente modificano i testi senza sostanziali cambiamenti di contenuti. Abbiamo dichiarato da tempo guerra a chi specula sui libri scolastici   –   avvertono gli studenti   –   e sul caro libri.
“Per questo   –   comunicano quelli dell’Uds   –   abbiamo organizzato in tutt’Italia oltre 25 mercatini del libro usato per aiutare gli studenti abbattendo del 50 per cento i costi con il riuso, per sensibilizzare sul problema e rivendicare soluzioni concrete”.
Un’idea sposata anche dal Codacons che lancia per sabato 3 settembre la “giornata dell’usato”. “Per consentire alle famiglie di risparmiare sul costo dei libri”, il Codacons “invita le scuole ad organizzare la Giornata dell’usato”.
Le scuole dovrebbero allestire al loro interno un mercatino dei libri usati per favorire lo scambio diretto tra studenti.
“Inoltre, come già  avviene in alcune realtà , le scuole potrebbero acquistare i libri di testo, per conto di tutti gli studenti, in modo da risparmiare sull’acquisto grazie al grande quantitativo e all’ordinativo all’ingrosso”.
Proposte concrete alle quali si aggiunge la richiesta dell’Uds di “una legge quadro nazionale sul diritto allo studio che imponga alle regioni di far applicare il comodato d’uso per i libri di testo in ogni scuola”.
“Già  esistono buoni esempi   –   concludo gli studenti   –   non stiamo parlando della luna, ma di soluzioni concrete ed efficaci”.

Salvo Intravaia
(da “La Repubblica“)

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