Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
STILLITANI ERA NELLA GIUNTA DI CENTRODESTRA DI SCOPELLITI… IMPIEGATI 700 UOMINI NEL BLITZ
È in corso di esecuzione in Italia e Svizzera un’operazione della Guardia di Finanza e della polizia elvetica per l’arresto di 75 persone accusate di essere legate a cosche della ‘ndrangheta. Complessivamente gli indagati sono 158, ai quali sono contestati, a vario titolo, i reati di associazione mafiosa, associazione dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, riciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione ed altri reati, tutti aggravati dalle modalità mafiose.
Colpiti diversi esponenti di affermate famiglie della criminalità organizzata calabrese, operanti principalmente nel territorio che collega Lamezia Terme alla provincia di Vibo Valentia. L’operazione, coordinata dalla Dda di Catanzaro, è condotta dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (Scico) di Roma, con il supporto dei reparti del Comando regionale Calabria, in simultanea con la Polizia Giudiziaria Federale di Berna
Tra le persone indagate nell’operazione “Imponimento” c’è anche Francescantonio Stillitani, di 66 anni, già assessore regionale e sindaco di Pizzo.
Nei suoi confronti la Dda di Catanzaro ipotizza, tra l’altro, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Imprenditore del settore turistico e agricolo, Stillitani era assessore al Lavoro nella Giunta regionale guidata da Giuseppe Scopelliti e dal 2013 ha lasciato la politica. Nell’operazione è indagato anche il fratello Emanuele. Secondo quanto si è appreso la Guardia di finanza ha anche sottoposto a sequestro il villaggio turistico di proprietà di Stillitani.
Durante l’operazione sono stati sequestrati beni per 169 milioni. All’operazione stanno partecipando oltre 700 finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro e dello Scico di Roma, con il supporto dei reparti del Comando regionale Calabria, in simultanea con la Polizia Giudiziaria Federale di Berna.
Il coordinamento è della Dda di Catanzaro e dall’Autorità giudiziaria elvetica. L’operazione è il frutto di anni di lavoro investigativo svolto nell’ambito di una Squadra investigativa comune (Joint Investigation Team) costituita presso Eurojust tra magistratura e forze di polizia dei due Paesi, cui hanno aderito, per l’Italia, la Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro e reparti della Guardia di finanza (Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catanzaro e S.C.I.C.O. di Roma) e, per la Svizzera, la Procura della Confederazione Elvetica di Berna e la Polizia Giudiziaria Federale di Berna. I dettagli dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa in programma alle 11 al Comando provinciale della Guardia di finanza di Catanzaro, alla presenza del procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, del procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dei vertici regionali e dello Scico della Guardia di Finanza.
(da agenzie)
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Luglio 14th, 2020 Riccardo Fucile
SEQUESTRI PER 7,5 MILIONI… COME AVEVAMO DETTO: DARE AIUTI SENZA CONTROLLI PREVENTIVI PORTA A QUESTO, CI SONO IMPRESE CRIMINALI
Una frode fiscale nel settore del commercio di acciaio, con società produttrici di fatture false e
prestanome, che ha portato all’arresto di otto persone legate alla ‘ndrangheta, e sequestri per 7,5 milioni di euro.
Con uno degli affiliati alle cosche calabresi che ha presentato e ottenuto 45mila euro per tre società che hanno partecipato alla frode di contributi a fondo perduto per l’emergenza Coronavirus del decreto legge 34 del 19 maggio 2020.
Tentando anche di ottenere, e ne avevano fatto richiesta, i finanziamenti per il sostegno alle imprese dovute alla crisi del Covid previsti dal decreto legge 23 dell’8 aprile 2020.
Nell’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Milano, con il procuratore aggiunto Alessandra Dolci e il pm Bruna Albertini, il Nucleo di polizia economico tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha individuato le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel tessuto economico lombardo, con uomini del clan Greco di San Marco Marchesano, in provincia di Crotone, federato col potente clan Grande Aracri di Cutro, potentissimo in Emilia Romagna e al centro del maxiprocesso Emilia.
Attraverso diverse imprese, tutte gestite da uomini della cosca attraverso prestanome, gli investigatori del Gico della Guardia di Finanza hanno svelato condotte di autoriciclaggio dei proventi illeciti per oltre mezzo milione di euro, in parte trasferiti in Bulgaria e Inghilterra.
Il clan ha incassato fondi attestando un volume d’affari non veritiero, perchè basato su fatture false. Una delle società intestate a prestanome, in realtà gestite da un soggetto collegato al clan della ‘ndrangheta capeggiato di San Mauro Marchesato, Francesco Maida, ha ottenuto 45mila euro di contributi a fondo perduto per l’emergenza Covid, grazie all’utilizzo di fatture false emesse dalle società inserite nello schema di frode.
(da agenzie)
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Luglio 7th, 2020 Riccardo Fucile
SCANDALI, ARRESTI ECCELLENTI E INCHIESTE GIUDIZIARIE: SILURATO CIRIELLI CHE DECISE LE CANDIDATURE ALLE REGIONALI… RISCHIO IMPLOSIONE: LA MELONI TOGLIE I SUOI DAI POSTI DI POTERE
La situazione è decisamente critica se Giorgia Meloni, la leader sovranista per eccellenza, ha
smesso di vantarsi delle percentuali strabilianti e dei sondaggi favorevoli per intraprendere, almeno per la Calabria, un nuovo percorso d’azione politica, divenuto quasi obbligato: la fuga.
Il diktat imposto ai “fratellisti calabresi” è stato la “Fdi-Exit” ossia il rifiuto di esprimere il candidato Sindaco a Reggio Calabria (che sul tavolo nazionale è andato alla Lega), la Presidenza del consiglio regionale (andata a Forza Italia) e la Presidenza della commissione regionale anti ‘ndrangheta.
I motivi alla base di questa scelta riguardano importanti inchieste delle direzioni distrettuali antimafia calabresi che hanno avuto ampia eco nelle testate nazionali e che hanno scosso la Meloni al punto di rimuovere il commissario provinciale del Partito a Reggio Calabria, il salernitato Edmondo Cirielli che era deputato a stilare le liste per le elezioni regionali calabresi.
E pensare che la Meloni nel dicembre 2019 dichiarò, dopo l’arresto per voto di scambio politico-mafioso dell’ex assessore regionale del Piemonte Roberto Rosso, che “la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta ci fanno schifo e ci fa schifo chi scende a patti con loro. Da sempre, noi di Fratelli d’Italia siamo rigidissimi nella selezione e nelle candidature e facciamo tutto quello che è nelle nostre possibilità per proporre agli italiani persone senza macchia”.
Una selezione che, invece, in Calabria pare essere stata scricchiolante, come da lei riconosciuto nelle reprimende ai maggiorenti del Partito.
Già prima delle regionali, il “suo” candidato in pectore a Sindaco di Reggio Calabria, predecessore di Cirielli nel ruolo di coordinatore di Fdi per la provincia di Reggio, Alessandro Nicolò venne arrestato nel luglio 2019 a causa dell’indagine della Dda di Reggio Calabria denominata “Libro nero” che lo vede indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo l’accusa Nicolò avrebbe favorito, in cambio di appoggi elettorali, gli obiettivi della cosca Libri di Cannavò, al cui vertice vi sarebbe Filippo Chirico, genero del boss defunto Pasquale Libri, già condannato a 20 anni di reclusione nell’inchiesta Theorema-Roccaforte.
Non è andata meglio con i “suoi” consiglieri regionali eletti nell’ultima tornata elettorale del gennaio scorso (3 su 4 transfughi del centrosinistra).
Domenico Creazzo, già sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, appena un mese dopo la sua elezione è stato arrestato (ed è tutt’ora agli arresti domiciliari) nell’ambito dell’inchiesta “Eyphemos” della Dda di Reggio Calabria. È accusato di voto di scambio politico mafioso con la cosca Alvaro di Sinopoli.
Nella stessa inchiesta compare l’altro consigliere ex PD fresco di svolta sovranista Giuseppe Neri. Pur non essendo indagato, in un passo dell’ordinanza di custodia cautelare dell’ex consigliere Creazzo si legge che il fratello di quest’ultimo, Antonino, “senza mezzi termini, ascriveva il successo elettorale precedente di Giuseppe Neri ‘all’impegno’ di importanti cosche di ‘ndrangheta, attivate tramite intermediario”.
E se il vicepresidente del consiglio regionale calabrese in quota FdI Luca Morrone è accusato da Nicola Gratteri di “traffico di influenze” nell’ambito dell’inchiesta Passepartout, il capogruppo Filippo Pietropaolo comprare nelle carte del decreto di perquisizione e sequestro del 26 novembre 2008 della Procura di Salerno (emanato nell’ambito dei procedimenti aperti a carico delle toghe catanzaresi e col fine di acquisire gli atti dei procedimenti “Why not” e “Poseidone”, sottratti a Luigi De Magistris) quale prestanome (in qualità di amministratore della Roma 9 s.r.l.) per l’acquisto di un immobile in co-proprietà con Giancarlo Pittelli.
Quest’ultimo è un ex parlamentare in carcere dallo scorso dicembre (arrestato dallo stesso Gratteri perchè indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e ritenuto al centro della maxi-inchiesta Rinascita-Scott), che la Meloni nel 2017 aveva accolto nel Partito twittando: “Pittelli è un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia”.
L’affaire Mark Caltagirone
Non è esente dalla lente del rumors politico nemmeno l’unica deputata calabrese di Fratelli D’Italia e attuale commissaria regionale (e plenipotenziaria) del Partito, Wanda Ferro.
Nel suo caso gli “imbarazzi” riguardano fatti apparentemente classificabili come gossip estivo o cronaca rosa, ma che si prestano anche ad una lettura politica assai differente. Agli inizi degli anni ’90, ai tempi della frequentazione dell’Università a Messina, la pupilla della Meloni è stata fidanzata con Luigi “Gino” Sparacio, allora protagonista assoluto della mafia della città . Sparacio a Messina gestiva appalti, usura, estorsioni. Il primo omicidio lo compì a 17 anni uccidendo il buttafuori del noto ristorante “La Macina”, Sasà Bruzzese. Lui si vantava: “Non c’ è cosa che succeda a Messina che io non voglia…”.
Ma, nonostante questo, la Ferro sostenne davanti ai pubblici ministeri di non aver mai saputo la vera identità del suo fidanzato. In una udienza del maggio 2002 a Catania, Sparacio raccontò di quando venne autorizzato dall’allora capo della Dna Siclari a telefonare alla sua ex fidanzata Wanda Ferro “poichè era amica di una parente dei Piromalli” e che, quindi, “poteva ottenere notizie sull’omicidio di due carabinieri avvenuto a Reggio Calabria”. Sentita come testimone, la Ferro rifilò una sequela di “non ricordo, non ricordo”, quasi al pari della deputata PD Micaela Campana durante l’udienza del processo “Mondo di mezzo”.
Com’è noto, anche la Ferro venne coinvolta nell’intricato “affaire Mark Caltagirone”, una storia che ha del surreale, ma che ha tenuto banco nei talk show e nel mondo trash di tutta Italia, nonostante abbia delle dinamiche più serie tutte ancora da chiarire, a partire dai vari Vip che dissero di aver pagato per uscire da un giro di ricatti sentimentali.
Una delle protagoniste della vicenda, la ex agente di Pamela Prati, Eliana Michelazzo, dichiarò nel maggio 2019, in diretta tv da Barbara D’Urso che “Wanda Ferro invece di negare il suo coinvolgimento dovrebbe dire la verità . È un’altra che mente”, per poi essere accusata esattamente un anno dopo dalla stessa Prati a Domenica In da Mara Venier di “essere stata plagiata”.
Inoltre, l’altra agente della Prati è tale Pamela Perricciolo di Chiaravalle, provincia di Catanzaro. Cresciuta in “gioventù nazionale”, conosce la Ferro da anni e le foto tra le due fioccano in rete. Perricciolo ha, addirittura, portato più volte con la sua agenzia personaggi dello spettacolo alla festa nazionale ad Atreju di Fratelli D’Italia, a dimostrazione delle sue entrature “forti” in FdI.
Il padre e il fratello di Pamela Perricciolo, a seguito di svariate indagini iniziate con la nota “operazione Gustav” della Squadra Mobile di Ancona, sono stati condannati nel gennaio 2018 dal Tribunale di Macerata per associazione mafiosa (condanna a nove anni e sei mesi per il primo, a 15 per il secondo), essendo ritenuti parte dello spietato clan che gestiva il pizzo della movida di Macerata e delle Marche.
Il nome della Ferro compare anche nelle carte dell’inchiesta “Jonny” della Dda di Catanzaro che ha portato alla condanna per associazione mafiosa, lo scorso dicembre, di Leonardo Sacco (ex leader della “Fraternita Misericordia di Isola Capo Rizzuto) a 17 anni e 4 mesi e dell’ex parroco di Isola Capo Rizzuto Edoardo Scordio, condannato il mese scorso a 14 anni e 6 mesi.
Dall’informativa dei Carabinieri del Ros, allegata al fascicolo di indagine che ruota attorno a una trentina di milioni di euro sottratti alle casse del Cara di Crotone negli ultimi dieci anni, emerge un episodio riguardante “l’attivo coinvolgimento di Sacco Leonardo nella campagna elettorale in favore di Wanda Ferro” (allora candidata alla presidenza della Regione).
Dalle intercettazioni si palesano gli sforzi di Sacco per la candidata: “Domani sera alle nove viene Wanda Ferro in piazza…dobbiamo riempire la piazza…portate cristiani…avvisa che i panini sono gratis”, si legge negli atti.
Insomma, con tutte queste gatte da pelare e con FdI a rischio implosione, sicuramente Giorgia Meloni non utilizzerà il bonus vacanze per venire in Calabria.
(da TPI)
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Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile
IMPEGNATI 200 AGENTI… IN MANETTE I CAPI STORICI DELLE COSCHE DE STEFANO, TEGANO E LIBRI
E’ iniziata alle prime ore di questa mattina una vasta operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, finalizzata all’esecuzione di 21 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse nei confronti dei capi storici, elementi di vertice, luogotenenti e affiliati alle potenti cosche della ‘ndrangheta DE STEFANO-TEGANO e LIBRI operanti nella citta’ di Reggio Calabria, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, diverse estorsioni in danno di imprenditori e commercianti, detenzione e porto illegale di armi, aggravati dal metodo e dalla agevolazione mafiosa.
Gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria e del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, coadiuvati dagli operatori dei Reparti Prevenzione Crimine e di altre Squadre Mobili del Sud, Centro e Nord Italia, stanno eseguendo anche numerose perquisizioni e alcuni sequestri di aziende.
Impiegati circa 200 agenti della Polizia di Stato.
L’operazione e’ stata chiasmata in codice “Malefix”. Gli arresti sono stati eseguiti nella provincia di Reggio Calabria ed in altre province d’Italia, con il supporto delle Squadre Mobili di Milano, Como, Napoli, Pesaro Urbino, Roma.
Le indagini svolte dalla Polizia di Stato – sotto le direttive dei magistrati della Dda di Reggio Calabria – documenterebbero l’esistenza e l’operativita’ delle cosche De Stefano, Tegano e LIbri, in posizione di preminenza nella citta’ di Reggio Calabria e le gravi frizioni registratesi in seno al sodalizio criminale De STefano-TEgano e tra questa consorteria e quella dei LIbri rispetto alla spartizione degli ingenti proventi delle attivita’ estorsive poste in essere in danno di operatori economici e commerciali del centro cittadino di Reggio Calabria.
Un tentativo di scissione stava maturando all’interno del clan De Stefano. Lo hanno documentato, monitorando i summit di ‘ndrangheta, gli investigatori della Polizia di Stato che, nell’ambito delle indagini sfociate stamane nell’operazione “Malefix”, hanno ricostruito le dinamiche criminali del “locale” di Archi, rione di Reggio Calabria.
Il tentativo di scissione sarebbe stato attuato dalla famiglia facente capo a Luigi Molinetti dalla casa madre dei De Stefano storicamente egemone anche nel centro della citta’ di Reggio.
La volonta’ di Gino Molinetti e dei suoi figli di rendersi autonomi dai De Stefano trovava le sue ragioni nel malcontento del gruppo dovuto all’iniqua spartizione dei proventi estorsivi, nel mancato riconoscimento di avanzamenti gerarchici all’interno della organizzazione mafiosa, nella mancata elargizione di prebende che la famiglia pretendeva in virtu’ degli anni di fedelta’ e dedizione alla cosca, nell’avversione alle pretese espansionistiche dei Molinetti sul “locale” di Gallico. Il timore che i dissidi con Luigi Molinetti potessero degenerare avrebbe indotto i fratelli Carmine e Giorgio De Stefano a investire della delicata questione Alfonso Molinetti, fratello di Luigi, ritenuto uno dei loro alleati piu’ fedeli.
Un summit fra i clan De Stefano-Tegano e Libri per mettere appunto un piano di spartizione dei proventi delle estorsioni a Reggio Calabria. Nulla di straordinario nelle dinamiche della criminalita’ organizzata se questa volta a documentarlo non ci fossero state le intercettazioni della Polizia. L’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che stamani si e’ conclusa con 21 arresti nell’ambito dell’operazione “Malefix”, ha portato alla luce i forti attriti tra le cosche De Stefano-Tegano e Libri.
Dalle attivita’ tecniche e’ emerso che ciascuna consorteria raccoglieva le estorsioni secondo prassi che non tenevano conto degli accordi in base ai quali i proventi dovevano essere divisi tra le cosche di riferimento sul territorio. Antonio Libri, che aveva assunto le redini dell’omonima cosca dopo l’arresto dei capi, aveva saputo che, in occasione delle festivita’ natalizie del 2017, era stata raccolta da Carmine e Giorgio De Stefano una consistente somma di denaro, dell’ordine di alcune migliaia di euro, senza che nulla venisse corrisposto alla sua cosca.
L’episodio estorsivo riguardava un noto imprenditore reggino della ristorazione, titolare anche di alcuni locali di intrattenimento. Di questo fatto Libri aveva informato Orazio Maria De Stefano, esponente di vertice dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta nonche’ altri esponenti della famiglia federata dei Tegano, con alcuni dei quali ha organizzato un summit per concordare nuove strategie di profitto attraverso l’innovazione delle modalita’ operative estorsive ai danni degli operatori economici e la formazione di un gruppo misto costituito da appartenenti alle due distinte consorterie, una sorta di “commissione tecnica” con l’obiettivo di evitare sovrapposizioni e fraintendimenti e provvedere a un efficiente sistema di rastrellamento estorsivo lungo tutto l’asse del centro cittadino di Reggio Calabria in danno delle attivita’ economiche, organizzando anche l’imposizione intimidatoria delle assunzioni da parte dei gestori di attivita’.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
SEQUESTRATI 250.000 EURO AL COGNATO DI MESSINA DENARO
I carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari emessa dal gip del Tribunale, su richiesta Dda, nei confronti di 10 indagati (9 in carcere e 1 ai domiciliari), accusati a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni aggravate, furto aggravato, violazione delle prescrizioni imposte dalle misure preventive.
L’operazione ‘Teneo’, portata a termine da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, rappresenta un nuovo colpo nei confronti del mandamento mafioso di Palermo di San Lorenzo e Tommaso Natale.
Finisce di nuovo in carcere Giulio Caporrimo, uscito dal carcere nel 2019 e che avrebbe ripreso il controllo del mandamenti.
L’indagine è la prosecuzione delle operazioni ‘Oscar’ (2011), ‘Apocalisse’ (2014) e ‘Talea’ (2017) che avevano portato in carcere capi e gregari del mandamento con Francesco Paolo Liga (figlio dello storico boss Salvatore Liga, detto “u Tatenuddu”), poi affiancato, a partire dalla sua scarcerazione avvenuta nell’ottobre 2015, da Giuseppe Biondino (figlio di Salvatore, l’autista di Totò Riina), arrestato di nuovo nel gennaio 2018.
L’operazione ‘Teneo’ prende il via dal controllo delle attività di Vincenzo Taormina, imprenditore del settore movimento terra, ritenuto particolarmente vicino a Francesco Paolo Liga reggente non sempre ben visto dagli affiliati.
Questi ultimi, secondo gli investigatori, riponevano grandi aspettative nella scarcerazione nel febbraio 2017 di Giulio Caporrimo e poi di Nunzio Serio e di altri affiliati arrestati nell’operazione ‘Oscar’.
I due erano venerati e ossequiati per la capacità di comando, il carisma e l’influenza nella dinamiche mafiose (“l’hai sentita la buona notizia? E’ uscito Giulio, è uscito”). Gli equilibri mafiosi si sarebbero così spostati immediatamente in favore dello stesso Giulio Caporrimo e di Nunzio Serio, con un evidente ridimensionamento di Francesco Paolo Liga, senza che questi venisse comunque esautorato.
La figura centrale dell’operazione antimafia condotta oggi a Palermo dai carabinieri è quella del boss Giulio Caporrino, tornato in carcere oggi per le terza volta in tre anni. La libertà d’azione del capomafia, in pratica, sarebbe durata solo 7 mesi perchè nel settembre 2017, dopo il primo arresto, era stato destinatario di un nuovo provvedimento restrittivo; da quel momento in poi, le redini del mandamento mafioso sarebbero state prese da Nunzio Serio, anche lui poi arrestato nel maggio 2018. Proprio in quel mese si sarebbe riunita per la prima volta dopo l’arresto di Salvatore Riina, la ricostituita commissione provinciale di cosa nostra palermitana, con la partecipazione di Calogero Lo Piccolo, nuovo rappresentante del mandamento di Tommaso Natale.
Ma anche lui fu poi arrestato nel gennaio 2019 nell’operazione “Cupola 2.0”, nel corso della quale finirono in carcere ben 6 capi mandamento, compreso Settimo Mineo che avrebbe dovuto assumere la carica di responsabile provinciale.
Nel corso delle indagini le telecamere e le microspie dei carabinieri immortalarono diversi incontri tra Caporrimo e Serio avvenuti, in alcune occasioni, anche al largo delle coste palermitane, sui rispettivi gommoni.
Uno spaccato anche pittoresco dei “costumi” mafiosi visto che le microspie registrarono che il primo si lamentava per la presenza delle moto d’acqua che scorrazzavano nei pressi di Sferracavallo.
Il capomafia raccontava di essere intervenuto personalmente nei confronti di alcuni di loro, originari dei quartieri di Brancaccio e di Pagliarelli, i quali, riconoscendolo, avevano tenuto un comportamento ossequioso tanto da essersi subito spostati sulla zona di Mondello perchè a Sferracavallo “c’era lo zio in porto”.
Gaspare Como, cognato del boss latitante Matteo Messina Denaro, ha avuto confiscati beni per un valore di 250 mila euro da parte della Dia di Trapani, oordinata dalla procura di Marsala. Como, commerciante di Castelvetrano, è il marito di Bice Maria Messina Denaro.
Già sorvegliato speciale di pubblica sicurezza, attualmente è detenuto per associazione a delinquere di tipo mafioso. La confisca segue la condanna definitiva di Como a 3 anni e 6 mesi di reclusione, per trasferimento fraudolento di valori.
Per concorso nel medesimo reato sono stati condannati Gianvito Paladino (un anno e 6 mesi) e Bice Maria Messina Denaro. I beni sottoposti a confisca, già sequestrati dalla Dia nel 2013, sono un’attività commerciale di abbigliamento, un locale di circa 200 mq intestato a Valentina Como (sorella di Gaspare) e un’auto di grossa cilindrata. Gaspare Como, mentre scontava la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, dopo aver espiato una lunga detenzione in carcere, aveva avviato una fiorente attività commerciale a Castelvetrano e continuato a fare investimenti in beni mobili e immobili, nonchè in aziende, intestando tutto a terze persone.
Ma si è arrivati al vero proprietario grazie all’esame delle movimentazioni bancarie degli indagati (sui cui conti operava esclusivamente il Como, apponendo anche firme false) e alle intercettazioni telefoniche sulle utenze delle aziende.
Nel 2018, è stato nuovamente sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, su proposta del direttore della Dia, e arrestato, insieme a Rosario Allegra (altro cognato di Matteo Messina Denaro, poi deceduto) e numerosi altri presunti affiliati a Cosa nostra, perchè ritenuto il reggente della famiglia mafiosa di Castelvetrano.
Vasta operazione antimafia della polizia a Catania con l’esecuzione di un’ordinanza cautelare in carcere per oltre 50 indagati del clan ‘Cappello-Bonaccorsi’. L’inchiesta della Procura Distrettuale etnea per la disarticolazione della cosca coinvolge anche mogli e figli dei boss. Nel blitz ‘Camaleonte’ sono impegnati centinaia di uomini della Polizia, con i reparti speciali e i nuclei investigativi, coordinati dalla Dda di Catania e dal Servizio centrale operativo. Sono in corso perquisizioni e sequestri di beni.
Sono complessivamente 52 le persone destinatarie del provvedimento restrittivo emesso dal Gip di Catania Sono 44 gli arresti in carcere e due ai domiciliari eseguiti da squadra mobile della Questura etnea e dal Servizio centrale operativo (Sco) della polizia.
Ad altre due persone è stato notificato l’obbligo di dimora nel comune di residenza. Ai vertici dell’organizzazione, che ha diverse ‘diramazioni territoriali’, la Dda di Catania colloca lo storico capomafia Salvatore Cappello, ergastolano e detenuto in regime di 41bis. Un’associazione mafiosa, accusa la Procura, dedita alla “commissione di delitti contro la persona, quali gli omicidi, perpetrati al fine di mantenere i rapporti di forza sul territorio, di tutelare i membri della consorteria, nonchè per espandere il proprio predominio criminale”. Il clan commetteva anche reati contro il patrimonio (rapine, furti ed estorsioni) e delitti connessi al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
Tutto questo, ricostruisce la Procura distrettuale, per “acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni e di appalti pubblici e per realizzare, comunque, profitti o vantaggi ingiusti”.
Una parte degli introiti della cosca arrivavano anche dalla gestione di ‘piazze di spaccio’ con l’acquisto, l’importazione e la vendita di cocaina e marijuana. Le indagini hanno preso avvio nel gennaio 2017 e rappresentano il proseguo dell’inchiesta su Sebastiano Sardo, esponente di vertice del gruppo mafioso, a capo di una ‘cellula’ interna dedita prevalentemente al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Si sono concluse nel gennaio 2019.
La squadra mobile di Catania e agenti dello Sco hanno anche eseguito il sequestro dell’intero patrimonio aziendale della società ‘Sc Logistica s.r.l.’ di Catania, e di conti correnti e depositi e rapporti finanziari intrattenuti da Mario Strano, accusato di dirigere il gruppo di Monte Po del clan, che era legato alla ‘famiglia’ Santapola-Ercolano e si era poi reso autonomo nel rione di ‘azione’ alleandosi organicamente al clan Cappello-Bonaccorsi
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile
OPERAZIONE ANTIMAFIA, IMPEGNATI 200 AGENTI NEL FEUDO DI MASSINA DENARO, 13 ARRESTI
I carabinieri del Comando provinciale di Trapani stanno perquisendo l’abitazione di Rizzo,
eletto nel giugno 2018 con una lista civica e appoggiato dal centrodestra, e il suo ufficio in Municipio. Lui nel 2019 chiedeva un minuto di silenzio per Giovanni Falcone
C’è anche il sindaco di Castellammare del Golfo, Nicola Rizzo, tra gli indagati nell’inchiesta Cutrara della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha colpito la famiglia mafiosa della cittadina trapanese con 13 arresti.
A Rizzo è stato notificato un invito a comparire per essere interrogato. Indagati anche un ex consigliere comunale di Castellammare del Golfo, che avrebbe chiesto a Francesco Domingo, considerato il vertice della famiglia mafiosa locale, di attivarsi per il recupero di un mezzo agricolo che gli era stato rubato, e un avvocato ex consigliere comunale di Trapani: quest’ultimo, secondo gli investigatori, avrebbe concorso con Domingo e il trapanese Francesco Virga in una estorsione a un imprenditore agricolo.
L’indagine fa particolarmente scalpore anche perchè sulla sua pagina facebook nel 2019 Rizzo invitava ad omaggiare Giovanni Falcone con un minuto di silenzio nell’anniversario della strage di Capaci.
Il blitz denominato “Cutrara” dei militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani, coordinati dalla Dda di Palermo, ha colpito duramente la famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo.
Gli arrestati sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, furto, favoreggiamento, violazione della sorveglianza speciale e altro, tutti reati aggravati dal metodo mafioso. Altre 11 persone sono state denunciate a piede libero. Eseguite inoltre decine di perquisizioni. L’operazione ha visto impegnati impegnati 200 militari dell’Arma con il supporto di unita’ navali, aere e reparti specializzati come lo Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia, nonche’ unita’ cinofile per la ricerca di armi.
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2020 Riccardo Fucile
COLPITE NUMEROSE COSCHE DI COSA NOSTRA DI PALERMO CHE GESTIVANO UN GIRO DI AFFARI ILLEGALE MILIONARIO
Associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori aggravato dal favoreggiamento mafioso.
Sono le accuse alle quali devono rispondere gli otto arrestati nell’ambito dell’ambito del blitz dei finanzieri del locale Comando provinciale di Palermo contro la mafia e il business delle scommesse.
Un affare ambito dai boss di Cosa Nostra svelato grazie all’operazione “All In” della Guardia di Finanza del capoluogo siciliano.Il gip ha disposto anche il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del relativo complesso aziendale di 8 imprese, con sede in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie scommesse; 9 agenzie scommesse, ubicate a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno, attualmente gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro.
L’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo guidata dal procuratore Francesco Lo Voi, ha svelato gli interessi dei clan nel settore dei giochi e delle scommesse sportive ed ha svelato le complicità di alcuni imprenditori che avrebbero riciclato il denaro sporco per conto dei boss.
Personaggi chiave dell’inchiesta sono l’imprenditore Francesco Paolo Maniscalco, in passato condannato per mafia ed esponente della “famiglia” di Palermo Centro, e Salvatore Rubino che per conto dei clan avrebbe riciclato il denaro.
Gli inquirenti hanno ricostruito il modo in cui le cosche si infiltravano nell’economia “legale” controllando imprese, gestite occultamente da loro uomini di fiducia. Come Vincenzo Fiore e Christian Tortora che, partecipando a bandi pubblici, avevano ottenuto le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive.
La rete di agenzie scommesse e di corner gestiti dalle imprese vicine alla mafia si sarebbe espanda grazie ai clan di Porta Nuova e Pagliarelli. Coinvolti nell’affare anche i “mandamenti” della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria di Gesù e Belmonte Mezzagno e San Lorenzo, che avrebbero dato l’ok per l’apertura di centri scommesse nei loro territori. Le operazioni economiche sarebbero state pianificate nel corso di summit a cui avrebbero partecipato anche i massimi vertici del mandamento di Pagliarelli: Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, arrestati nei mesi scorsi.
Negli anni, “grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla “vicinanza” alla mafia, gli indagati avrebbero acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un impero economico costituito da imprese, formalmente intestate a prestanome compiacenti come Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo, che nel tempo sono arrivate a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro” dice la Gdf.
(da Fanpage)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
IL CORONAVIRUS NON HA BLOCCATO LA VOGLIA DEI GIOVANI DI DIRE NO ALLA MAFIA
Erano le 17.57 quando il giudice Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e ai suoi tre agenti di scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, sono stati fatti saltare in aria mentre attraversavano un tratto dell’autostrada A29.
Era il 23 maggio 1992 e le immagini di quel brutale attentato mafioso, nei pressi di Capaci (Palermo), sconvolsero tutta l’Italia. Cosa Nostra si era voluta liberare di uno dei magistrati antimafia più temuti, un uomo con la schiena dritta.
Un’uccisione fortemente voluta dal boss Salvatore Riina anche se poi fu Giovanni Brusca a coordinare i dettagli dell’attentato. Da quel giorno sono trascorsi 28 anni.
Oggi, per la prima volta, a causa dell’emergenza sanitaria del Coronavirus e del conseguente divieto di assembramenti, non si terranno manifestazioni pubbliche, non ci sarà la cerimonia nell’aula bunker dell’Ucciardone e non salperà la nave della Legalità . Ci sarà , invece, un flash mob, “Palermo chiama Italia”, organizzato dalla Fondazione Falcone: verranno sventolati lenzuoli bianchi per ricordare sia la strage di Capaci che quella di via D’Amelio (in cui perse la vita Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti della scorta il 19 luglio 1992). “Il coraggio di ogni giorno” è il tema di questa edizione, dedicata inevitabilmente a chi si è distinto nel quotidiano anche e soprattutto in questi mesi di emergenza per il nostro Paese.
Il discorso di Mattarella
Alle 8.35 è cominciata la diretta dal Ministero dell’Istruzione: sono già state srotolate le gigantografie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e delle loro scorte. Pubblicato anche il video-messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella:
I due attentati del 1992 segnarono il punto più alto dell’assedio della mafia nei confronti dello Stato colpendo magistrati di grande prestigio e professionalità che, con coraggio e determinazione, gli avevano inferto colpi durissimi svelando nell’organizzazione legami e attività illecite. I mafiosi, nel progettare l’assassinio dei due magistrati, non avevano previsto un aspetto decisivo, quel che avrebbe provocato nella società . Nella loro mentalità criminale non avevano previsto che l’insegnamento di Falcone e Borsellino, il loro esempio, i loro valori, sarebbero sopravvissuti rafforzandosi oltre la loro morte, diffondendosi e trasmettendo aspirazione di libertà dal crimine, radicandosi nella coscienza e nell’affetto delle tante persone oneste. La mafia si è sempre nutrita di complicità e di paura, prosperando nell’ombra. Le figure di Falcone e Borsellino hanno fatto crescere nella società il senso del dovere e dell’impegno per contrastare la mafia e per far luce sulle sue tenebre, infondendo coraggio, suscitando rigetto e indignazione, provocando volontà di giustizia e legalità . I giovani sono stati tra i primi a comprendere il senso del sacrificio di Falcone e Borsellino e ne sono divenuti i depositari, anche gli eredi. Dal 1992, anno dopo anno, nuove generazioni di giovani si avvicinano a queste figure esemplari e si appassionano alla loro opera e alla dedizione alla giustizia che hanno manifestato. Cari ragazzi, il significato della vostra partecipazione in questa giornata è il passaggio a voi del loro testimone, siate fieri del loro esempio e ricordatelo sempre.
Nel corso della giornata interverranno la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, il capo della Polizia Franco Gabrielli. A seguire verrà depositata una corona, in memoria degli agenti uccisi da Cosa Nostra, alla Stele di Capaci: a farlo saranno Maria Falcone, sorella di Giovanni, e Tina Montinaro, moglie di Antonio.
Alle 17.58, invece, è previsto il momento del silenzio sotto l’Albero Falcone e, in contemporanea, dal Giardino di Capaci. Quest’anno, per la prima volta, non ci sarà la partecipazione dei cittadini.
Quest’anno, come dicevamo, non ci sarà il tradizionale viaggio da Civitavecchia a Palermo che ogni anno ospitava centinaia di studenti e docenti da tutta Italia. Ci sarà , invece, un collegamento dalla nave delle legalità per raccontare le storie delle scuole italiane che negli anni passati hanno partecipato a questo viaggio.
La nave Splendid della SNAV, che in questi anni ha accompagnato i ragazzi nella traversata del 23 maggio, è attraccata al porto di Genova dopo essere stata trasformata in un ospedale galleggiante per i malati di Covid-19.
Il corteo per le vie del centro di Palermo, invece, sarà sostituito da un flash mob voluto dalla Fondazione Falcone che ha chiesto a gran voce di appendere un lenzuolo bianco sui balconi di casa, affacciandosi tutti insieme alle ore 18
Sarà possibile seguire tutte le manifestazioni sui canali social del Ministero dell’Istruzione e della Fondazione Falcone oltre che sui canali Rai. Due i programmi dedicati da Ra 1: “Uno Mattina in Famiglia” dalle 7.45 e “Italia sì” dalle 16.40.
(da Open)
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Maggio 12th, 2020 Riccardo Fucile
COLPITO IL CLAN FONTANA: IL BUSINESS DEL CAFFE’ E DEGLI IPPODROMI
Arresti e processi degli ultimi anni non hanno ancora fermato Cosa nostra siciliana, che continua a
reclutare insospettabili, magari in difficoltà economiche, come Daniele Santoianni, l’ex broker di una società fallita che si era reinventato concorrente del Grande fratello 10.
Finita l’esperienza in Tv, aveva iniziato a fare da prestanome in una società per la vendita del caffè. Ora, è ai domiciliari, la procura di Palermo e il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza l’accusano di essere un ingranaggio importante della grande macchina di riciclaggio architettata fra Palermo e Milano dai rampolli del clan Fontana, storica famiglia di mafia, che da qualche anno si sono ormai trasferiti in Lombardia.
Questa notte, è scattata un’operazione imponente, con 91 ordinanze di custodia cautelare in carcere. A Palermo, stavano i fedelissimi del clan dell’Acquasanta, la zona ovest della città : gestivano estorsioni, controllavano le gare all’interno di alcuni ippodromi, e si erano anche infiltrati in una cooperativa che lavora ai Cantieri navali del capoluogo siciliano.
In Lombardia, stavano invece i registi dell’operazione: i fratelli Fontana, Gaetano (44 anni), Giovanni (42) e Angelo (40), i figli di don Stefano, uno dei fedelissimi del capo dei capi Totò Riina morto nel 2013.
In manette anche la figlia del boss dell’Acquasanta, Rita, e la moglie, Angela Teresi. In Lombardia stavano anche gli insospettabili che gestivano l’ultimo investimento della cosca, la commercializzazione di cialde e capsule di caffè.
E’ un’indagine complessa, questa. E’ stata coordinata dal procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca, dai sostituti Amelia Luise, Dario Scaletta e Roberto Tartaglia (oggi, vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria).
Un’indagine che ripercorre tanti nomi su cui aveva iniziato a indagare il giudice Giovanni Falcone, alla fine degli anni Ottanta: nel regno dei boss dell’Acquasanta, in vicolo Pipitone, c’era la base operativa dei killer di Totò Riina, da lì partivano per gli omicidi eccellenti. Passato e presente tornano a intrecciarsi nelle storie della mafia palermitana. Che appare insidiosa più che mai, per la capacità che ha di infiltrarsi nel tessuto economico, soprattutto in questi mesi di crisi dovuta all’emergenza Covid.
Il gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, Piergiorgio Morosini, rilancia l’allarme: “I clan sono pronti ad approfittare della situazione attuale, sono sempre pronti a dare la caccia ad aziende in stato di necessità — ha scritto nel suo provvedimento – Con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti, i componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire dando fondo ai loro capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza”. Con gli arresti sono scattati anche sequestri di società e immobili per 15 milioni di euro.
La rete milanese
L’anno scorso, era stata già sequestrata una gioielleria dei Fontana a Milano, in via Felice Cavallotti, nel cosiddetto “quadrilatero della moda”, a metà strada fra il duomo e il tribunale.
I rampolli di Cosa nostra puntavano sempre a nuovi affari, per riciclare i soldi provenienti da Palermo. E cercavano di non dare troppo nell’occhio, Gaetano era stato scarcerato tre anni fa, la gioielleria l’aveva intestata alla convivente. E poi aveva pure acquistato degli appartamenti in alcune zone residenziali.
Ma il vero affare su cui puntava era quello del caffè: prima, con alcune aziende che si occupavano della produzione, poi aveva scelto di investire solo sulla distribuzione. Sono tre le società sequestrate: due a Milano, una Palermo. Una amministrata ufficialmente dall’ex concorrente del Grande fratello.
Gli investigatori del nucleo speciale di polizia valutaria, diretti dal tenente colonnello Saverio Angiulli, hanno ricostruito i passaggi di denaro e i nuovi investimenti che stavano per partire. “Cosa nostra spa” non conosce crisi, i Fontana e i loro insospettabili manager avevano a disposizione una grande riserva di liquidità .
La passione per i purosangue
A Palermo, i Fontana puntavano invece su un fidatissimo che non era proprio un insospettabile. Giovanni Ferrante aveva finito di scontare una condanna per mafia nel 2016, era stato affidato in prova ai servizi sociali e ufficialmente era un cittadino modello. Ma è bastato intercettarlo e pedinarlo per scoprire che gestiva il clan in modo energico. E pure lui puntava tutto su alcuni investimenti leciti, attraverso prestanome.
La sua grande passione erano i purosangue, da far correre nei circuiti italiani: ne aveva comprato dodici, che adesso sono stati sequestrati. Ferrante li faceva correre a modo suo naturalmente. Ovvero, aggiustando le gare. Vecchia passione dei padrini, tre anni fa il prefetto di Palermo Antonella De Miro aveva fatto scattare un’interdittiva antimafia per la società che gestiva l’ippodromo della Favorita, che ancora oggi è chiuso.
Le intercettazioni della Guardia di finanza hanno svelato gare truccate negli ippodromi di Torino, Villanova D’Albenga (Savona), Siracusa, Milano e Modena. Gli episodi risalgono a due anni fa. Alcuni fantini sarebbero stati corrotti, altri avvicinati, per non vincere. Nelle intercettazioni, i boss parlavano anche di sostanze dopanti da somministrare ai cavalli
Nuovi equilibri
Cosa sta accadendo davvero in Cosa nostra? Due anni fa, la procura di Palermo e i carabinieri hanno ascoltato in diretta i preparativi per la ricostituzione della nuova Cupola, un blitz sembrava aveva spazzato via tutti i nuovi capi delle famiglie di città e provincia. Due hanno anche deciso di collaborare con la giustizia.
Qualche mese dopo, la polizia ha arrestato i mafiosi che Riina aveva esiliato negli Stati Uniti nel 1981 perchè usciti “perdenti” dalla seconda guerra di mafia: gli Inzerillo. Un nuovo duro colpo per l’organizzazione. Adesso, arrivano altri 90 arresti. Mentre in città si susseguono sequestri di cocaina.
Ecco, cosa sta succedendo a Palermo. Le cosche hanno ripreso i traffici internazionali di stupefacenti, come non accadeva dagli anni Ottanta. I soldi della droga e delle scommesse on line stanno ridando vigore all’azienda mafiosa. E soprattutto liquidità , quella che adesso i padrini offrono alle imprese in difficoltà . Un abbraccio mortale.
(da agenzie)
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