Giugno 28th, 2020 Riccardo Fucile
TRA LE NEW ENTRY CON INCARICHI APICALI ANCHE LA MOGLIE DI BRUNO VESPA E L’EX CONSIGLIERE REGIONALE CAPELLI
Roberto Maroni e Angelo Capelli. Entrambi furono protagonisti dalla riforma della sanità lombarda realizzata nel 2015, alla quale ancora oggi ci si riferisce proprio come “riforma Maroni”:
Capelli (Nuovo Centro Destra) ebbe il ruolo di relatore, insieme al collega della Lega Fabio Rizzi. La suddetta riforma è stata ampiamente discussa in questi mesi, sia per gli effetti che ha prodotto anche nella gestione dell’emergenza Covid, sia per l’imminente scadenza della fase sperimentale quinquennale e per la necessità , sollevata da diversi operatori del settore, di una sua profonda revisione.
Tale riforma è stata pesantemente criticata sul piano politico non solo da sinistra, ma anche da Roberto Formigoni, il quale sostiene che il suo successore abbia in questo modo peggiorato il modello sanitario lombardo da lui forgiato.
Ora Capelli entra a far parte del board degli Istituti Ospedalieri Bergamaschi, mentre Maroni diventa consigliere degli Istituti Clinici Zucchi.
Entrambe le strutture fanno parte del Gruppo San Donato, galassia che include anche il San Raffaele e in forza alla quale c’è da tempo anche un altro ministro dell’Interno: Angelino Alfano, ex Forza Italia e poi fondatore del Nuovo Centro Destra.
Dal 2019 Alfano è presidente della holding della famiglia Rotelli, tra i leader nazionale della sanità privata.
Tra i nuovi ingressi annunciati dal prestigioso Gruppo figurano anche Augusta Iannini (moglie di Bruno Vespa), vicepresidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali e già a capo dell’Ufficio Legislativo del ministero della Giustizia.
Iannini è stata nominata nel CdA del Policlinico San Donato e in quello dell’Ospedale San Raffaele, insieme ai consiglieri Patrick Cohen, amministratore delegato del Gruppo AXA Italia, e a Flavio Valeri, già amministratore delegato di Deutsche Bank Ag.
Nel CdA della Casa di Cura La Madonnina entrano poi i consiglieri Ilaria Romagnoli, Head of Italy Wealth Management di Rothschild, e Caterina Bima, notaio, consigliere di amministrazione di UniCredit Leasing, di ASTM Spa e di Fondazione Cassa Risparmio di Torino. Gianni Papa, già direttore generale di Unicredit, entra nel CdA dell’Istituto Clinico Villa Aprica, nonchè del centro Resnati dell’Ospedale San Raffaele, il principale tra quelli gestiti dal Gruppo.
(da TPI)
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Ottobre 14th, 2019 Riccardo Fucile
IN PRIMO GRADO L’EX GOVERNATORE ERA STATO CONDANNATO A UN ANNO
Il sostituto pg Vincenzo Calia ha chiesto di condannare a due anni e sei mesi l’ex presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, tra gli imputati a Milano nel processo di secondo grado con al centro le presunte pressioni per favorire due sue ex collaboratrici.
La richiesta è identica a quella che a suo tempo era stata avanzata dalla Procura di Milano.
Maroni, che in primo grado era stato condannato a un anno (pena sospesa) e a 450 euro di multa solo per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e che era stato assolto dall’accusa di induzione indebita, oggi si è presentato in aula. All’udienza hanno preso parte anche i coimputati, l’allora capo della sua segreteria politica al Pirellone, Giacomo Ciriello (in primo grado identico verdetto e stessa pena di Maroni), l’ex segretario generale della Regione Lombardia, Andrea Gibelli (10 mesi, 20 giorni e 300 euro di multa) e una delle sue ex collaboratrici, Mara Carluccio (6 mesi e 200 euro di multa).
Il pg Calia, nel proporre le pene ai giudici di secondo grado, ha chiesto il pieno accoglimento dei motivi di appello del pm e la riqualificazione del reato da turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente in turbata libertà degli incanti.
Su questa base la richiesta di condannare Maroni a 2 anni e 6 mesi e l’allora capo della sua segreteria politica al Pirellone, Giacomo Ciriello, alla stessa pena che aveva chiesto il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e cioè a 2 anni e 2 mesi di reclusione. Per l’ex segretario generale della Regione Lombardia, Andrea Gibelli, e per Mara Carluccio (una delle ex collaboratrici di Maroni) ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
Nel concludere la sua requisitoria il sostituto procuratore ha ribadito che “tutto l’entourage di Maroni era consapevole della necessità di trovare un posto alle due ragazze” (Carluccio e Maria Grazia Paturzo: la posizione di quest’ultima riguarda la nota vicenda del viaggio a Tokyo e per la quale c’è stata l’assoluzione in primo grado). Riguardo invece al capo di imputazione relativo al contratto di Carluccio, ha sottolineato che “con la segnalazione del profilo della donna, Maroni e Ciriello hanno dato l’avvio” alla commissione del reato di turbativa affinchè l’ex collaboratrice dello stesso Maroni – condannato a un anno in primo grado – ottenesse un posto nella società Eupolis in base a un curriculum “preconfezionato”.
(da agenzie)
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Settembre 20th, 2019 Riccardo Fucile
ALLA DOMANDA “PERCHE’ LA LEGA NON HA PRESO LE DISTANZE DA SAVOINI?”, L’EX GOVERNATORE NON RISPONDE E LASCIA LA SEDIA VUOTA
Aveva appena detto che Matteo Salvini non stava scappando dal Russiagate e che questa era una vicenda sulla quale nessuno può dare informazioni complete, perchè sono in corso le indagini della magistratura.
Inoltre, aveva detto che si tratta della solita storia che interessa soltanto a chi vuole montare la panna.
Poi Roberto Maroni lascia Piazzapulita senza una spiegazione alcuna quando si accende il dibattito (e lo si approfondisce) su Matteo Salvini, su Gianluca Savoini e sulla presunta trattativa con la Russia per un ipotetico finanziamento alla Lega.
Il risultato? La sedia vuota davanti alla telecamera: Roberto Maroni, in diretta su La7, era collegato con la trasmissione.
A un certo punto, però, non si è visto più e la regia della trasmissione non ha potuto far altro che inquadrare una sedia vuota.
Il dibattito è proseguito negli studi di Piazzapulita, alla presenza del giornalista de La Verità Francesco Borgonovo, del vicedirettore dell’Huffington Post De Angelis e dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini.
In studio sono state mostrate le immagini di un reportage che la trasmissione sta portando avanti e che ha permesso ai giornalisti della redazione di affrontare un viaggio in Russia per approfondire la vicenda.
Roberto Maroni aveva appena fatto in tempo a dire: «Su questa vicenda non so nulla, chiedete a Salvini», mentre in studio si stava parlando di Gianluca Savoini come una persona «che vive di politica».
A questo proposito, da segnalare è l’intervento di Laura Boldrini che ha affermato: «Se dunque tutto ciò è vero, come mai Matteo Salvini e la Lega non hanno mai realmente preso le distanze da Savoini?».
Una domanda, forse, a cui anche Roberto Maroni avrebbe potuto dare una risposta. Ma ha preferito lasciare la trasmissione. E i dubbi in sospeso.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
“GLI SBARCHI BASTA SAPERLI GESTIRE E USARE IL CRITERIO DELLA SUDDIVISIONE AUTOMATICA”
“Luciana Lamorgese è una persona di grandissima competenza e saggezza. Non la considero un tecnico, ma una persona adeguata al ruolo. Il ministero dell’Interno è una Ferrari: bisogna saperla guidare. Lei è certamente in grado di guidarla bene”.
Queste le parole di Roberto Maroni, ospite di “Fatti e Misfatti” su Tgcom24 sulle critiche al nuovo Ministro dell’Interno. “Anche io quando ero al Viminale non avevo profili social, conta poco”.
E sul problema migrazione Maroni aggiunge: “Bisogna prevenire gli sbarchi, ma se dovessero avvenire c’è il criterio della suddivisione automatica in base alla popolazione. Questo risolverebbe il problema senza lasciare agli Stati gli oneri della gestione dei flussi. Questo potrebbe risolvere anche il problema con Malta”.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
GIORGETTI: “BILANCI CERTIFICATI DA MARONI”… LA REPLICA: “COLPA DI SALVINI CHE HA RITIRATO LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEI PROCESSI A BOSSI”
Chi comanda adesso fa il nome di chi comandava prima. Chi comandava prima non ci sta: e invita a rivolgersi a chi il potere lo tiene in mano adesso.
Che quella della Lega fosse la storia di un partito animato da feroci lotte intestine era noto.
Ed è anche comprensibile che gli scontri sotterranei diventino più violenti ed evidenti quando l’argomento è legato ai 49 milioni di fondi pubblici ottenuti con una truffa ai danni dello Stato.
Mai però il conflitto era arrivato a essere esplicitato sui giornali. E con la faccia di due pesi massimi del Carroccio di oggi e di ieri: Giancarlo Giorgetti e Roberto Maroni.
Che non corresse buon sangue tra l’ex governatore della Lombardia e il potente sottosegretario era cosa nota.
Basta andarsi a rileggere l’intervista rilasciata da Maroni a La Stampa nei giorni successivi all’indagine per corruzione sul sottosegretario Armando Siri.
“Il vero problema non è Siri, ma Giorgetti“, aveva detto a sorpresa l’ex ministro dell’Interno, focalizzando l’attenzione mediatica sul Richelieu di Matteo Salvini.
Che aveva replicato lapidario: “Maroni gufa un po’, sta cercando di rientrare in gioco“. “La verità è che più di Richelieu, Giorgetti somiglia a Mazzarino. È l’unico vero politico di tutta la storia della Lega, dopo Bossi”, dice un vecchio e importante esponente del Carroccio al fattoquotidiano.it.
Cresciuto all’ombra del senatùr, arrivato al vertice del partito già ai tempi della secessione della Padania, Giorgetti è rimasto in sella anche durante l’interregno di Maroni, quando riuscì a farsi nominare tra i saggi di Giorgio Napolitano.
“Poi ha capito che il leader del futuro era Salvini, che a tirare sarebbe stato il nazionalismo non la Padania. E si è riposizionato per tempo, eliminando uno a uno i nemici interni. Maroni lo odia per questo. Perchè ha fatto a lui quello che lui aveva fatto a Bossi”, continua la stessa fonte.
In questo senso è facile intravedere una serie di messaggi trasversali anche dall’ultimo botta e risposta a distanza tra i due.
Il solitamente riservato Giorgetti ha convocato una conferenza alla sala Stampa estera per rispondere — tra le altre cose — anche una domanda sugli ormai stranoti 49 milioni di euro. “Che fine hanno fatto quei soldi? Tutti i bilanci sono certificati e pubblici da quando divenne segretario Roberto Maroni, poi le inchieste possono andare avanti anche per decenni… finirà anche questa”, ha detto l’highlander del Caroccio.
Una dichiarazione che può suonare pacifica e minimalista a tutti, tranne che al diretto interessato.
Maroni, infatti, sa bene che il tesoretto lasciato nelle casse della Lega da Bossi è Francesco Belsito comincia a evaporare durante i suoi quindici mesi al vertice del partito di Alberto da Giussano: nel 2011 a bilancio era iscritto un patrimonio da 46 milioni, nel 2017 è sceso a 4,5 milioni.
Che fine hanno fatto quei soldi? Sono semplicemente stati spesi. E i bilanci — come dice Giorgetti — sono stati certificati dalla Pwc, società di revisione ingaggiata proprio da Maroni per diradare ogni ombra su via Bellerio.
Il problema, semmai — come segnalava l’ex revisore Stefano Aldovisi in un esposto alla procura depositato alla fine del 2017 — è capire come siano stati spesi. Come ha raccontato ilfattoquotidiano.it, proprio durante la gestione Maroni alcune voti nei bilanci — pubblici e certificati — esplodono: dai contributi alle associazioni, ai mai chiariti “oneri diversi di gestione“, fino alle spese legali.
Sarà anche per questo che a poche ore dalle dichiarazioni di Giorgetti, il settimanale l’Espresso anticipa i contenuti di un’intervista a Maroni.
Oggetto del colloquio? Ma ovviamente gli ormai notissimi 49 milioni di euro.
L’ex governatore, ovviamente, non fa cenno alle parole del sottosegretario ma si focalizza su un passaggio molto più tecnico: la mancata costituzione di parte civile del Carroccio nei processi a Bossi.
“Sulla storia della truffa da 49 milioni la Lega era parte lesa, perciò i giudici avevano accolto la costituzione di parte civile che avevo fatto io. Così facendo saremmo stati considerati parte offesa e avremmo tutelato la Lega da azioni risarcitorie. Poi avremmo dovuto chiedere noi i soldi ai condannati. Ovviamente non avrei mai obbligato Bossi a ridarci alcunchè, ma in questo modo avrei salvaguardato il partito”.
Maroni, che è tornato a fare l’avvocato nello studio del fidato Domenico Aiello, in pratica ricorda che di quella truffa ai danni dello Stato erano accusati Bossi e Belsito. Se la Lega fosse rimasta parte civile, nessuno oggi avrebbe chiesto al Carroccio quei 49 milioni, oggetto delle ricerche delle procure Genova, Milano e Bergamo. Solo che quella costituzione di parte civile “poi Salvini l’ha ritirata, e il partito oggi paga le conseguenze di questa scelta”, ricostruisce sempre l’ex governatore.
Tradotto: per colpa di Salvini ora il partito deve restituire quei soldi. Dunque chi chiede notizie dei 49 milioni è con l’attuale segretario che deve parlare, non con con quello passato.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile
“C’E’ CHI GUIDA IL POPOLO E CHI GLI VA APPRESSO”
“Un ministro dell’Interno deve parlare con i fatti”, dice Roberto Maroni.
Su di lui è appena uscito il libro di Giacomo Ciriello La mafia si può vincere (Aragno, 330 pp., 15 euro). Un racconto di colui che fu il suo capo di segreteria al Viminale per i 42 mesi che vanno tra il maggio del 2008 al novembre del 2011, e che furono quelli in cui lo Stato italiano diede alle mafie i colpi più devastanti dall’Unità in poi.
“Uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre”, disse allora di Maroni Roberto Saviano.
Quello stesso Roberto Saviano che a Matteo Salvini dà invece oggi del “ministro della malavita”, malgrado Maroni e Salvini vengano dallo stesso partito.
“Non commento e non intendo esprimere giudizi sull’operato di chi è venuto dopo di me al ministero dell’Interno perchè ritengo che il ministro dell’Interno abbia delle responsabilità e dei compiti tali che dovrebbe essere sempre rispettato, qualunque cosa faccia”, mette un po’ le mani avanti.
Però la differenza di stile tra il ministro che si faceva lodare da tutti i quello che sembra cercare apposta la lite è troppo marcata, perchè si possa eludere.
“Saviano aveva riconosciuto l’efficacia della mia azione contro la criminalità organizzata. Non poteva fare altro perchè i numeri erano quelli”, rivendica Maroni. Ma aggiunge: “io mi basavo sui fatti. Facevo le cose e poi annunciavo le cose che avevo fatto. Oggi vale — mediaticamente parlando . tutto e il contrario di tutto. E pur di polemizzare ci si scontra su un tema come quello della lotta alla criminalità , sul quale non dovrebbero esservi divisioni”.
Maroni, sembra dunque di capire che lei preferisca uno stile più di azione che di proclami…
Sì, certo. Questa è la mia natura. Io sono fatto così: poche parole e molti fatti. Basta vedere quello che ho fatto nei tre anni e mezzo da ministro. Io non avevo un profilo Facebook nè un profilo Twitter: comunicavo le azioni fatte. Quando veniva arrestato un boss mafioso comunicavamo: è stato arrestato il superlatitante numero uno. Poi: è stato arrestato il superlatitante numero due. Poi: è stato arrestato il superlatitante numero tre. Poi: è stato arrestato il superlatitante numero quattro. E così via, fino al numero 28. Trenta erano i superlatitanti quando sono arrivato al ministero: 28 di questi sono stati arrestati, con me al ministero. Se tu invece ti metti a dire: voglio arrestarli tutti prima di farlo, va benissimo. Ma è diverso dal dire: li ho arrestati tutti o quasi. Io credo poi che il ministro dell’Interno abbia un dovere di riservatezza istituzionale più che altri ministri, perchè è il responsabile unico nazionale della sicurezza. E quindi deve parlare con i fatti.
Maroni critica dunque lo stile di Salvini?
Se lo stile di Salvini è diverso dal mio, benissimo. Non entro nel merito. Dico solo che io mi sono comportato così, e mi pare che ancora oggi ci sia un riconoscimento delle cose che abbiamo fatto in quegli anni. Un riconoscimento che mi fa molto piacere.
Vogliamo ricordare questo lavoro?
Sì. Mi sono molto impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata facendo cose che hanno prodotto risultati: non solo chiacchiere o propaganda. E i risultati sono lì a dimostrarlo, in due direzioni. Prima di tutto, nel coordinamento delle forze di polizia e degli investigatori, in particolare la magistratura. Era una cosa che non funzionava, soprattutto in certe regioni del Sud. C’era uno scollamento tra chi doveva svolgere attività investigativa — cioè la magistratura e le direzioni antimafia — e le forze dell’ordine. È questo che ci ha permesso in tre anni e mezzo di individuare e catturare 28 dei 30 superlatitanti più pericolosi. Quando io sono arrivato a fare il ministro erano 30 i superlatitanti. Dopo tre anni e mezzo 28 erano in galera. Secondo poi, cosa ancora più importante, abbiamo approvato delle norme di legge per migliorare e aumentare l’aggressione sui patrimoni delle mafie e della criminalità organizzata. Ed è questa la cosa che danneggia di più il sistema criminale. Se tu arresti un boss e lo metti in galera, certo è un danno per loro. Però il boss riesce comunque a pagare gli stipendi ai soi affiliati, riesce in qualche modo, e poi è lì. La sua presenza si sente comunque. Se gli porti via i patrimoni frutto dell’attività gli metti in crisi l’organizzazione e queste leggi che abbiamo fatto sull’aggressione ai patrimoni hanno funzionato, portando a decine di miliardi di patrimoni sequestrati in quegli anni. Immobili, aziende, conti correnti: un danno gravissimo alla criminalità organizzata.
Però adesso questi metodi sono stati messi in discussione con la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo che ha condannato il 41 bis a Provenzano…
È una decisione di chi non si rende ben conto della pericolosità . Va bene i diritti umani; ci mancherebbe altro! Ma quando uno che scioglie nell’acido un bambino, che altro gli ci vorrebbe se non la pena di morte per questa gente qua? Altro che il 41 bis! Sappiamo che non si può, anche se in alcuni dei civilissimi Stati Uniti la pena di morte c’è. Ma ci deve essere una proporzione nelle cose, e a me pare che in certe posizioni, e in certe polemiche ci sia un atteggiamento di favore nei confronti non della vittima ma del carnefice. E io non sono d’accordo con questo. La punizione deve essere esemplare, se no non c’è il deterrente, e continueremo a subire queste cose. Quindi secondo me lo Stato ha fatto quello che doveva fare, anzi poteva anche fare di più; avrebbe potuto fare di più nei confronti di Provenzano! Questo atteggiamento della Corte di Strasburgo non lo condivido assolutamente. Certe situazioni che ci sono da noi non ci sono in altri Paesi, mentre noi le conosciamo bene. A maggior ragione io dico quindi che l’atteggiamento deve essere questo e non può che essere questo. Quindi andiamo avanti così. Sono assolutamente convinto di questo.
Salvini a parte, può dare una valutazione su quello che hanno fatto i suoi successori in generale?
Nel contrasto alla criminalità organizzata siamo noi che abbiamo segnato la svolta. Ciò perchè abbiamo creato questo codice anti mafia e queste leggi di aggressione ai patrimoni mafiosi. Numeri alla mano, dal 2009-10 in avanti c’è stato non solo un aumento dei sequestri ma anche e soprattutto una gestione di questo beni. Perchè il problema è che se un immobile lo lasci lì e non lo gestisci, se sequestri una società o un’azienda a Palermo e non la gestisci, se l’azienda poi fallisce il pensiero di chi perde il lavoro è: “si stava meglio quando c’era la mafia”. Noi siamo allora intervenuti per gestire il patrimonio; per darlo subito in gestione ai sindaci e alle associazione anti-racket; per dare il segnale che lo Stato c’è, che interviene e che mette subito a disposizione della collettività . Il modello Caserta l’ho inventato io. E cos’era il modello Caserta? Per 14 volti in tre anni sono andato a Caserta, riunendo le forze dell’ordine e la magistratura per contrastare la camorra in modo efficace. La mia soddisfazione è stata quella di incontrare gli imprenditori di Caserta che mi ringraziavano e dicevano: “adesso io decido di tornare a investire a Caserta invece di andarmene altrove, perchè sento che lo Stato c’è”. E questo è il risultato più importante. L’altra cosa che ho fatto è l’agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati e confiscati. Faccio solo un esempio: mi ricordo che spesso venivano sequestrate le auto di lusso dei boss mafiosi. Tu sequestravi un’auto e che si faceva dell’auto? Fino alla confisca, che poteva accadere dopo anni, la dovevo mettere in un deposito pagando il deposito. Quindi oltre al danno anche la beffa. Che poi quando la ritiravi dopo anni era da rottamare. Noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo consentito alle forze di polizia di utilizzare subito l’auto, anche se non era confiscata, e era solo sequestrata. C’è il risultato di risparmiare, e un risultato ancora più importante che in quell’auto in un quartiere ad alta densità mafiosa fino al giorno prima girava un mafioso, ma il giorno dopo i cittadini vedevano gli uomini in divisa. Un segnale straordinariamente forte sull’efficacia della lotta alla mafia. Tutto questo i lo ho fatto e i miei successori lo hanno continuato, utilizzando gli strumenti che avevo messo a loro disposizione.roberto maroni copertina
Torniamo un attimo ai Social. Non usavo Twitter, non usavo Facebook, ha confessato. Invece la politica è oggi sempre più dominata sa un uso dei Social che tende a diventare direttamente abuso. Sta diventando un problema antropologico?
Non lo so. Mi rendo conto che è un modo di fare politica molto diverso da me. Da quello che succedeva quando io ero ministro: e parlo di 10 anni fa, non del secolo scorso! Come ho detto, io ho avuto il mio profilo Facebook e Twitter quando ho smesso di fare il ministro dell’Interno. Non per una scelta, ma perchè non sentivo quell’esigenza lì. Mi ricordo che i miei dell’ufficio stampa mi dicevano sempre: ministro, mi raccomando, ci deve dare la notizia per le 18, così riusciamo a farla prendere nelle redazioni dei giornali e arriva nei telegiornali delle 20. Fino alle 18 quindi si poteva fare qualunque cosa. Oggi alle 8 del mattino c’è già una diretta Facebook di qualcuno. È un altro mondo. Va benissimo. non sono contro i social. Ci mancherebbe! Ma bisognerebbe evitare che poi tutta la politica divenga solo annuncio o polemica o commenti, e perda di vista la risoluzione dei problemi. E un po’ questo rischio c’è. Basta vedere la gestione della tragedia di Genova, del ponte Morandi. Come è andata e come sta andando. Si è privilegiata la polemica contro i Benetton, trovare il colpevole, e il decreto è stato fatto dopo due mesi invece che dopo due giorni. Questo è il rischio della politica di oggi.
Andiamo a due polemiche recentissime. Da una parte il delitto Desirèe Mariottini, su cui Potere al Popolo ha scritto: “Desirèe si drogava, aveva mentito alla nonna e se n’era andata a Roma a comprare droga, ma nella sciagura è stata fortunata perchè pare l’abbiano stuprata e uccisa dei migranti; è stata fortunata perchè, perlomeno, le viene riconosciuto lo status di vittima”. Dall’altra Valerio Verri, la guardia ecologica volontaria seconda vittima del killer serbo Norbert Feher alias “Igor il russo”, la cui figlia Francesca ha scritto su Facebook: “oggi lo Stato si è dimenticato di noi probabilmente perchè Igor non ha la pelle nera”. “Siamo qui perchè ha ucciso nostro padre assassinio che si poteva evitare. Siamo qui per assistere ad un processo in tv perchè lo Stato non è riuscito a prenderlo e ha fatto altre vittime in Spagna. Allora il ministro Minniti ci fu comunque vicino”. Il dibattito è arrivato a questi livelli?
Ai miei tempi c’era una comunicazione unilaterale. Il governo comunicava, il ministro comunicava, e i cittadini ascoltavano dalle televisioni, o leggevano dai giornali. Adesso il mondo Social rende tutti attivi, tutti protagonisti. Chiunque può comunicare qualcosa che diventa noto a tutti, come allora non succedeva. A maggior ragione adesso chi fa politica, o meglio chi riveste ruoli istituzionali, deve resistere alla tentazione di correre dietro a queste cose e deve concentrarsi sui fatti. Oggi è più difficile. mi rendo conto, proprio perchè ci sono tutte queste interferenze. Basta un comunicato, basta una dichiarazione per scatenare migliaia di “like”. Ecco: io credo che un leader deve rimanere leader. Non deve diventare follower, perchè altrimenti perde la sua funzione. Ma questo è il rischio che c’è oggi.
Alcuni politologi spiegano la differenza tra le due parole arabe rais e zaim proprio in questo senso: chi guida il popolo, e chi invece gli va appresso…
Esatto, esatto, esatto! E il rischio oggi è questo qua. Bisogna riuscire a distinguere le situazioni e concentrarsi sulle cose da fare, sulle cose da dire.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
CONTRATTI EXPO, LE MOTIVAZIONI DELLE SENTENZA DI CONDANNA DELL’EX GOVERNATORE LEGHISTA …NEI GUAI PER FALSA TESTIMONIANZA ANCHE ISABELLA VOTINO
“I numerosi messaggi intercettati tra Maria Grazia Paturzo e Roberto Maroni costituiscono prova diretta dell’esistenza di una relazione non solo professionale”: questo hanno scritto i giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano nella motivazioni alla sentenza con la quale, il 18 giugno scorso, hanno condannato a un anno di carcere l’ex Governatore leghista della Lombardia Roberto Maroni nel processo su presunti pressioni illecite per far ottenere un contratto e un viaggio a Tokyo a due sue ex collaboratrici.
Maroni è stato ritenuto colpevole del reato di turbata libertà del contraente per l’affidamento di un incarico in Expo all’ex collaboratrice Mara Carluccio, mentre è stato assolto ‘perche’ il fatto non sussistè dal reato di induzione indebita per avere esercitato pressioni finalizzate a far partecipare a una missione in Giappone Maria Grazia Paturzo, a cui, secondo l’accusa, Maroni sarebbe stata legato da una “relazione affettiva”.
Per il capo d’imputazione relativo alla Paturzo, i giudici hanno tuttavia inviato gli atti alla Procura per valutare l’eventuale falsa testimonianza della stessa Paturzo e anche della portavoce dell’ex Governatore, Isabella Votino, oltre che dell’avvocato Cristina Rossello.
Tutte avevano negato l’esistenza di una relazione affettiva tra i due.
“I numerosi messaggi intercettati – spiegano i giudici – esulano da un normale rapporto lavorativo e di semplice amicizia per via del registro linguistico utilizzato costellato di espressioni affettuose e del tenore intrinseco dei messaggi”.
(Da “Huffingtonpost”)
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Giugno 18th, 2018 Riccardo Fucile
TRANQUILLI LEGHISTI, PRIMA O POI TOCCA A TUTTI
L’ex presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, è stato condannato a un anno nell’ambito del processo in cui era accusato di pressioni illecite per far ottenere vantaggi a due sue collaboratrici, tra cui un viaggio in Giappone spesato da Expo.
Il pm chiedeva una pena di due anni e mezzo.
I giudici della quarta sezione penale di Milano hanno riconosciuto Maroni – che oggi non era presente in aula per la lettura della sentenza – colpevole solo di uno dei due reati che gli venivano contestati, la turbata libertà del contraente per l’affidamento di un incarico in con Eupolis, ente di ricerca della Regione, alla ex collaboratrice Mara Carluccio.
Assolto “perchè il fatto non sussiste”, invece, dal reato di induzione indebita per avere esercitato pressioni illecite finalizzate a far partecipare a una missione a Tokyo un’altra sua ex collaboratrice, Mariagrazia Paturzo, a cui, secondo l’accusa, Maroni sarebbe stata legato da una “relazione affettiva”.
Condanna a un anno anche per Giacomo Ciriello, ex capo della segreteria politica di Maroni (2 anni e 2 mesi la richiesta); dieci mesi per l’ex segretario generale del Pirellone, Andrea Gibelli (un anno chiedeva il pm) e sei mesi per la Carluccio (10 mesi la richiesta), a cui sono state concesse le attenuanti generiche.
Il collegio ha disposto l’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena per Maroni, Ciriello e Gibelli.
La non menzione della condanna nel casellario giudiziario, invece, è stata disposta per tutti tranne che per l’ex governatore.
Il collegio ha anche disposto, come chiesto dal pm, la trasmissione degli atti per falsa testimonianza per Paturzo, Isabella Votino portavoce dell’ex governatore, per l’avvocato Cristina Rossello, amica di Paturzo e parlamentare di Forza Italia e per l’allora direttore generale di Eupolis Alberto Brugnoli.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
“CONTE? DICONO CHE NON ARRIVERA’ A NATALE”… “IL MINISTRO DEGLI INTERNI DEVE ESSERE SUPER PARTES, NON PUO’ ESSERE SEGRETARIO DI UN PARTITO”
Il ruolo di ministro dell’Interno, che Matteo Salvini si appresta a ricoprire, è “incompatibile” con quello di segretario della Lega.
Lo sottolinea il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, in un’intervista a La Stampa, dove aggiunge: “Si rischia di creare dei problemi di cortocircuito e questa è una cosa che Matteo non aveva considerato”.
Maroni spiega che “il ruolo” di ministro dell’Interno “deve essere istituzionale e super partes, sennò non funziona”.
Maroni esclude una sua possibile candidatura a segretario del Carroccio in caso di un passo indietro di Salvini.
“Io ormai sono fuori, posso dare una mano. Guardate Obama, ha smesso di fare il presidente degli Usa e ora si occupa d’altro. Ecco, quello è il mio modello. Non sono come Berlusconi che a 80 anni è ancora lì che briga…”.
I rapporti tra Maroni e Salvini sembrano ritornati buoni, come spiega lo stesso governatore, che riferisce di una telefonata avvenuta ieri.
“Era due mesi che non ci parlavamo. Si sa, io dico sempre quello che penso ma per me la Lega è la Lega. Così è stato come ritrovare lo spirito del 2013, quando io mi dimisi e Matteo divenne segretario. Abbiamo ritrovato lo stesso feeling”.
Sul premier incaricato, Giuseppe Conte, Maroni dice:
“Direi che non è partito benissimo. Si dice che non arriverà a Natale. C’è chi pensa a chissà quali retroscena, ma io credo sia stata solo una scelta superficiale. Alla fine il pressapochismo non paga”.
(da agenzie)
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