Aprile 19th, 2020 Riccardo Fucile
“CHI HA FATTO DEL MES UN MOSTRO ORA CONVINCA LA PROPRIA BASE ELETTORALE CHE HA FATTO UNA SCIOCCHEZZA”
“Governare, per me, significa dire la verità ai partiti e ai cittadini, anche quando questo significa prendere misure impopolari. Conte, invece, deve muoversi in un contesto nel quale la realtà delle cose è spesso ignorata e i fantasmi creati per sconfiggere i nemici di parte si rivolgono contro chi li ha creati”.
Così l’ex premier Mario Monti in un’intervista alla Repubblica, che aggiunge: “Chi ha fatto del Mes un mostro adesso può anche convincersi che senza condizionalità quello strumento vada bene; ma ormai tutta la sua base elettorale è pronta a scagliarsi contro chi dovesse dirlo”.
Secondo il senatore a vita, “se Conte facesse quello che la coscienza gli detta e lo andasse a spiegare al Parlamento sarebbe la cosa migliore, ma lo ripeto: è difficile che possa farlo proprio per la natura della sua maggioranza, parte della quale si basa su una falsa narrazione, una vera fake history”.
A proposito del recente voto all’Europarlamento, a parere di Monti, Lega e 5Stelle “sono riusciti a calpestare l’interesse nazionale nella speranza di ricavarne consenso politico. Rendono più difficile la vita al presidente del Consiglio nel negoziato e presentano all’Europa – argomenta Monti – il volto di un’Italia che pretende solidarietà , è spaccata nella solidarietà che vuole e magari poi la rifiuterà . L’ Italia che si presenta divisa e litigiosa sulla scena internazionale è come l’ Italia dei comuni che poi andava a cercarsi il podestà forestiero. Che oggi si chiama troika; i sovranisti temono che, se continuano a governare come in questi due anni, la troika arriverà davvero. E allora ne vedono l’ombra anche là dove proprio non c’è”.
Quanto al Mes, secondo l’ex premier “non è mai stato una creatura malefica in sè, ma nella crisi dell’eurozona è stato utilizzato nei confronti di Paesi con una serie di errori e durezze eccessive. È il caso della troika per la Grecia. Dunque è giusto guardare con grande attenzione la questione delle condizionalità . L’Italia è uno dei Paesi che hanno più interesse a che il Mes esista. Io avrei speso tutta l’energia negoziale italiana, come credo il ministro Gualtieri abbia fatto, per evitare condizionalità improprie o nascoste. Se questo risultato si confermerà , non vedo perchè l’Italia debba rifiutarsi a priori di utilizzare il Mes”.
E per rimborsare i prestiti? Monti, che non vorrebbe esser quello che dice sempre che serve una patrimoniale, risponde che “l’Italia senza dubbio dovrà arrivare a un momento di verità . Da questo punto di vista anche la lotta all’evasione va intensificata”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 11th, 2020 Riccardo Fucile
“SECONDO VOI, QUANDO UN INVESTITORE STRANIERO LEGGE LE AFFERMAZIONI SCRITERIATE DEI SOVRANISTI DOVREBBE ESSERE INVOGLIATO A INVESTIRE NEL NOSTRO PAESE?”
L’accordo raggiunto all’Eurogruppo, “pur con diverse ambiguità , è un altro passo in avanti verso una risposta europea alla crisi da Coronavirus”, dopo le misure prese dalla Commissione e dalla Banca centrale europea.
Esordisce cosi’ in un editoriale sul Corriere della Sera l’ex presidente del Consiglio Mario Monti, per il quale a suo avviso “l’Italia non è uscita male dal negoziato” anche se ora “vi è il rischio di un cattivo uso del risultato ottenuto”.
Monti spiega poi che sono questi due “i mantra utilizzati, uno verso il governo e l’altro verso l’Europa”, utilizzati “insidiosamente sia in partiti all’opposizione, Lega e Fratelli d’Italia, sia forse nel Movimento 5 Stelle, asse portante del governo”, i quali “potrebbero mettere in difficolta’ il premier Giuseppe Conte in vista del Consiglio europeo del 23 aprile e della Fase 2 nella lotta alla pandemia”.
Poi l’ex premier chiamato nel 2011 a sostituire Berlusconi e risollevare le sorti dell’Italia afflitta da un elevatissimo spread, ripercorre la storia di quella stagione scrivendo che il Mes “rappresenta l’evoluzione del Fondo europeo per la stabilità finanziaria” e che “Il Fesf prima e il Mes poi” sono stati preparati e decisi a livello europeo nel 2010-2011 “con l’Italia rappresentata da Silvio Berlusconi nel Consiglio europeo e da Giulio Tremonti nell’Ecofin ed Eurogruppo” in un governo che si reggeva sull’alleanza Pdl-Lega”, con Giorgia Meloni che “ne faceva parte come ministro per il Pdl, Matteo Salvini era europarlamentare della Lega” e dunque “la decisione di istituire il Mes fu presa a livello Ecofin il 9-10 maggio 2010” con la precisazione che “la sua attivazione sarà soggetta a forte condizionalità , nel contesto di un sostegno congiunto Ue/Fmi, e avrà termini e condizioni simili a quelli del Fmi”.
“Non sarò certo io, perciò, a raccomandare a Conte di andare sotto le forche caudine di meccanismi preparati in Europa da un governo Berlusconi-Lega, che poi passò ad altri l’onere di evitare il default dell’Italia” scrive ancora Monti, e però oggi, a causa del coronavirus, “la situazione è completamente diversa” e “la natura della crisi è differente” e in ogni caso ” l’Italia non e’ guardata male come allora, ‘colpevole n. 2’ dopo la Grecia e che se fosse esplosa avrebbe mandato anche l’euro in frammenti”.
Quindi? Quindi “i crediti del Mes per rimettere in sesto e in marcia quei Paesi, verrebbero erogati con la sola condizione che i fondi siano utilizzati per le finalità prestabilite”, sottolinea l’ex primo ministro del 2011, il quale però nel descrivere la situazione odierna esorta i lettori “a mettersi nei panni, diciamo, di risparmiatori e contribuenti tedeschi, che apprendono i seguenti fatti” come per esempio: “Il governo giallo-verde chiede, nella prima bozza del suo programma, che la Bce condoni all’Italia 300 miliardi di euro di debito pubblico; politici di primo piano dicono ‘ce ne freghiamo dell’Europa, delle regole europee’, ‘facciamo tutto il disavanzo che vogliamo’; tutti i partiti fanno a gara a chi promette tasse più basse e tutti rifiutano di considerare tasse sul patrimonio; leggono le stime, ufficiali, sull’evasione fiscale; vedono che ogni anno ci sono condoni fiscali, previdenziali, edilizi, valutari; apprendono che l’Italia non riesce a utilizzare i fondi che già riceve dalla Ue; sentono che Beppe Grillo al Parlamento europeo ha invitato l’Europa a non finanziare l’Italia perchè in quel modo finanzia la mafia”.
Per poi concludere, sulla stessa linea di Conte: “Ma quegli stessi politici italiani esigono solidarietà dall’Europa”.
(da agenzie)
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Febbraio 21st, 2020 Riccardo Fucile
“LUI STAVA AL PARLAMENTO EUROPEO A VOTARE IL TRATTATO DI LISBONA, IO ERO CON IL SUO COLLEGA GIORGETTI A METTERE A PUNTO IL PAREGGIO DI BILANCIO”
Una delle grandi pietre d’angolo della propaganda di Matteo Salvini è da sempre quella di essere stato un fiero avversario del governo tecnico guidato da Mario Monti, considerato uno dei periodi più complessi della storia politica del nostro Paese, non fosse altro per l’emergenza economica che si è trovato ad affrontare.
In quel periodo, tra le altre cose, venne approvata la legge Fornero che alzò l’età pensionabile. La Lega si è sempre vantata di aver fatto di tutto per ostacolare quel governo nato nel 2011.
Mario Monti, ospite a Otto e Mezzo da Lilli Gruber, ha smontato una volta per tutte quella narrazione: «Il senatore Matteo Salvini mi nomina spesso. L’ultima volta lo ha fatto addirittura con una preoccupante accezione positiva, proprio per rimarcare ancora una volta la sua distanza rispetto all’attuale presidente del Consiglio Giuseppe Conte — ha detto il senatore a vita -. Lui dice sempre che mi ha combattuto aspramente mentre ero al governo. Ma questa cosa non è vera semplicemente perchè non c’era».
Monti, infatti, ha ricordato che mentre lui si trovava al governo, Salvini era a Bruxelles da europarlamentare europeo che, tra le altre cose, ha votato — insieme a tutte le altre forze politiche — anche il Trattato di Lisbona, uno dei punti fermi dell’attuale Unione Europea, una sorta di non-costituzione che fissa i principi di questa Europa che il leader della Lega dice continuamente di voler cambiare.
«Ricordo invece — ha proseguito Monti — che il suo Giancarlo Giorgetti, invece, era uno dei primi fautori di quel provvedimento che il mio governo ha introdotto: ovvero la modifica costituzionale sul pareggio di bilancio».
In poche mosse, dunque, Mario Monti ha messo sotto scacco la propaganda di Matteo Salvini su di lui: «È pur vero — ammette infine — che in seguito, con le offese impronunciabili rivolte a me e a Elsa Fornero, si è rifatto ampiamente. Ma soltanto dopo».
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
“IL PAREGGIO DI BILANCIO? L’ARTEFICE FU IL LEGHISTA GIORGETTI”…. “BERLUSCONI HA AVUTO BEN ALTRO SENSO DI RESPONSABILITA’ NEI CONFRONTI DELL’INTERESSE GENERALE DELL’ITALIA”
“Cosa lamenterei nel giornalismo italiano? Non c’è abbastanza il gusto della memoria. L’altro giorno, ad esempio, ho scoperto che nel 2008 anche la Lega all’unanimità ha partecipato alla ratifica del Trattato di Lisbona, il documento su cui oggi si regge l’Europa. Salvini era parlamentare italiano, allora. Era in Aula e ha votato a favore”.
Sono le parole dell’ex presidente del Consiglio, Mario Monti, ospite di Otto e Mezzo, su La7.
§E aggiunge: “Il leghista Giorgetti è stato l’artefice, e io gliene rendo merito, della modifica costituzionale, che noi abbiamo introdotto nel 2012, per rafforzare il pareggio di bilancio. Ecco, a me piacerebbe che il giornalismo italiano in tutte le direzioni mettesse tutti noi più in difficoltà , ricordando con maggiore frequenza il passato”.
Monti si sofferma poi su Silvio Berlusconi, prima menzionato dal giornalista Massimo Giannini: “Con lui ho avuto motivi di consenso e di dissenso in lunghi anni, però siamo su un altro livello di responsabilità nei confronti del Paese rispetto a quello che vediamo oggi. Io posso testimoniare che nei momenti più difficili di fine 2011, quando è avvenuta una transizione che poi successivamente alcuni hanno chiamato ‘complotto’, quest’uomo, pur con l’amarezza di essersi dimesso, ha cercato in tutti i modi di sostenere in Parlamento e con appoggio personale la mia opera non semplice di far lavorare insieme il suo gruppo e quello di Bersani. Oggi” — continua — “siamo anni luce lontani da questa responsabilità . Devo dire che, quando è arrivato questo governo, mi sono un po’ preoccupato, ma, dall’altra parte, ho avuto speranza, perchè mi sono detto che finalmente arrivano forze politiche non compromesse col passato. Nel capitalismo generale e in quello italiano c’è tanto da riformare. E quindi mi aspettavo che questo avvenisse. Invece, li vedo muti e assenti sui temi della concorrenza, del’Antitrust, dei conflitti di interesse”.
E chiosa: “Spero che questo governo non si metta in collisione con l’Europa, perchè la Ue di fatto ha sempre avuto una influenza che ha agevolato le forze della trasformazione e della modernizzazione dei Paesi”
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
“PIU’ CHE GOVERNO DEL CAMBIAMENTO, SEMBRANO DUE ESECUTIVI DEL NON CAMBIAMENTO”
“Pensavo che questo fosse il governo del cambiamento, ma la cosa che meno si vede di meno per ora nell’attività dell’esecutivo è il cambiamento. Mi sembra che siamo ancora in una fase di apprendimento. Ma, ad ora, di cambiamento ne emerge poco, anche se nutro ancora speranze in questo governo”.
Sono le parole pronunciate a Omnibus, su La7, dall’ex presidente del Consiglio, Mario Monti, che spiega: “Al contrario, c’è aria di grande ritorno a certe tradizioni della politica economica italiana, come il condono, su cui si è soffermato ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sottolineandone l’assoluta novità rispetto al passato in forma di ‘pace fiscale’. A me, invece, sembra uno di quei condoni che tutti i governi, forse tranne uno, hanno introdotto. Quindi, per ora poco cambiamento effettivo e tante indecisioni per quanto riguarda la struttura economica italiana, ma molto cambiamento di breve periodo nella condotta del governo di di giorno in giorno, come nell’atteggiamento verso l’Europa e nelle indicazioni di finanza pubblica”.
Interviene l’economista Antonio Maria Rinaldi, che chiede a Monti: “Non crede che invece nella volontà di questo governo ci sia finalmente la convinzione di invertire il tipo di politica economica, portando avanti politiche tese alla crescita?”.
“La volontà l’hanno sempre avuta tutti governi”, risponde il senatore a vita.
“Però mi sembra che gli altri abbiano un po’ razzolato male, mi si perdoni il termine” — replica Rinaldi — “Anzi, poi hanno fatto delle politiche di austerity particolarmente forti, anche se a voce dicevano il contrario”.
“Anzitutto, la prego di tenere presente che nessun governo fa mai volentieri una politica di austerità ” — ribatte Monti — “Il verbo ‘razzolare’ lo applico piuttosto a quella che è stata una caratteristica della grande maggioranza dei governi italiani, cioè quella di spendere denaro dei cittadini per cercare di guadagnare voti con la promessa di aumentare la domanda e di rilanciare l’economia. Io ho guardato con molta apertura questo governo quando è nato, tanto che in Senato non ho votato contro. Mi sono astenuto, come apertura di credito”.
E chiosa con alcune esortazioni al governo Conte: “Il cambiamento deve riguardare innanzitutto la struttura della economia e della società italiana negli aspetti che non vanno bene. E questo cambiamento non deve essere da una settimana all’altra, nel senso di posizioni dichiarate. In più, auspico che sia il governo del cambiamento al singolare e non “i governi del cambiamento”, cioè che l’azione di coordinamento di Conte trovi la forza per essere più incisiva per evitare la presenza abbastanza visibile di due governi forse del ‘non cambiamento’”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 7th, 2018 Riccardo Fucile
“CON FLAT TAX E REDDITO DI CITTADINANZA SAREBBE UNA STRAGE DEGLI INNOCENTI”
Introdotte insieme, la flat tax e il reddito di cittadinanza aprirebbero la porta a «una strage degli innocenti» e disegnerebbero un mondo in cui «gli italiani di domani farebbero meglio a non nascere».
Mario Monti lo dice con cautela, ben consapevole della gravità della sua profezia. Presi da soli, i due provvedimenti che il centrodestra e i grillini hanno utilizzato per vincere le elezioni, suggeriscono parecchi dubbi al professore ed ex premier.
Non è una missione impossibile, lascia intendere, però il rischio è di «essere stroncati dal debito».
Servirebbero dei correttivi, cose che qualunque governo dovrebbe fare. Come creare un mercato che funzioni, tagliare le tasse, battere l’evasione fiscale e ridurre le diseguaglianze.
Professore, siamo il primo Paese europeo candidato ad essere guidato da un governo anti-establishment. Non è sorpreso, vero?
«In fondo, la campagna elettorale è stata una lotta tra populisti. Due populisti venuti dal basso, Di Maio e Salvini, apparsi più freschi e genuini, hanno sconfitto due populisti più consolidati nel sistema, un po’ logori e meno credibili: il padre storico di tutti i populisti, Berlusconi; e Renzi, che perfino da Palazzo Chigi aveva praticato un suo populismo contro l’Europa».
Era un processo inevitabile?
«Dando spesso all’Europa la colpa dei loro insuccessi (uno di loro sostiene addirittura che abbia complottato per porre fine a un suo governo), sono stati proprio Berlusconi e Renzi a spianare la strada a Salvini e Di Maio, instillando per anni nella mente degli italiani un riflesso anti-Europa sul quale il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno capitalizzato alla grande. Per questo è parso un po’ goffo che Berlusconi abbia cercato di accreditarsi in Europa come il bastione contro gli euroscettici italiani».
Un Paese è sempre quello che vota. Il nostro sta migliorando o peggiorando?
«La politica italiana è riuscita a screditarsi oltre ogni limite. Basta pensare al tourbillon di passaggi da uno schieramento all’altro, da un partito all’altro. Il capitalismo italiano, la classe dirigente dell’economia, le organizzazioni imprenditoriali, non hanno mostrato grande capacità nè volontà di riformarsi».
Cos’è successo?
«Tutti tendono a considerare lo Stato come bestia da fustigare e da mungere al tempo stesso. Sarebbe stato sorprendente che proprio l’Italia restasse immune da quella miscela di risentimento verso la politica, verso tutte le istituzioni, verso l’establishment che in questi anni ha percorso l’Europa e gli Stati Uniti».
Cosa vogliono i populisti?
«Colpire due obiettivi: l’establishment e l’Europa».
Come andrà a finire?
«Mi auguro che riescano a imporre all’establishment una drastica cura per renderlo più moderno, più responsabile, più rispettoso delle leggi e dell’interesse generale».
E l’Europa?
«L’auspicio è che i populisti non compiano un grave errore di prospettiva storica. L’Europa deve essere riformata e migliorata in tanti aspetti. Ma non va depotenziata rispetto agli Stati nazionali, nè bisogna uscirne. In un Paese come l’Italia, il “sogno” di un’Europa espulsa dalla vita italiana, o di un’Italia ritornata alla totale sovranità nazionale, avrebbe conseguenze su cui Di Maio e Salvini, nell’interesse soprattutto dei loro elettori, dovrebbero riflettere».
Faccia un esempio.
«E’ stata l’Europa, per dirne una, a limitare lo strapotere delle caste, a cominciare dalle partecipazioni statali. Ha poi liberato i risparmiatori dall’obbligo, di fatto, di comprare solo titoli dello Stato italiano, per vederseli tosati da ondate di inflazione. Guai se puntassimo tutto su “Prima l’Italia”. Se mai, la traduzione geopolitica di “America First” dovrebbe essere “Prima l’Europa”, con il rafforzamento complessivo del nostro continente nella competizione mondiale. Di ciò necessita un Paese come il nostro, importante ma non molto potente. La Germania ha meno bisogno dell’Ue. L’economia tedesca la farebbe più da padrona in Italia, se l’Unione venisse meno o l’Italia uscisse».
Se andassero al governo, grillini e centrodestra si troverebbero ad attuare politiche che sembrano nel migliore dei casi difficili. È un vicolo cieco?
«Guardiamo anzitutto al contesto. Abbiamo vissuto tempi in cui i mercati finanziari grandinavano sui Paesi che praticavano politiche non ortodosse o si lasciavano andare a promesse non ponderate. Era eccessivo. Ma è altrettanto eccessivo – e più pericoloso perchè può condurre a scelte poco responsabili che i cittadini pagheranno caro in futuro – vivere nel Nirvana finanziario creato da un “quantitative easing” della Bce, a mio parere troppo generoso e che dura da troppo».
E allora?
«Non credo che i partiti, tutti, avrebbero dato tanta prova di irresponsabilità nelle promesse elettorali, se non ci trovassimo con tassi di interesse così bassi da rimuovere psicologicamente il vincolo di bilancio, malgrado le prediche della Ue e dei banchieri centrali. E non credo che i mercati avrebbero mostrato encefalogrammi così piatti, in termini di spread, di fronte a risultati elettorali che in altri tempi li avrebbero fatti rabbrividire. Meglio così, finchè durerà ».
Le promesse sono state chiare. M5s ha vinto col reddito di cittadinanza. Berlusconi e Salvini con la Flat Tax. Sono ricette ardue per un Paese indebitato.
«Ho qualche dubbio sull’uno e sull’altra, presi individualmente. E dubbi ancora maggiori se dovessero arrivare congiuntamente. Resto convinto che un’economia sociale di mercato che funzioni e crei lavoro deve avere grande attenzione sia all’aspetto produttivistico, sia a quello della riduzione delle disuguaglianze».
Qual è la giusta medicina?
«In ogni caso in Italia occorre una politica durissima contro l’evasione fiscale, oltre che il taglio della pressione complessiva, usando lo strumento fiscale contro le eccessive disuguaglianze. Probabilmente, le due visioni di Renzi e Berlusconi, piuttosto simili, avrebbero reso improbabile una tale strategia. Con Di Maio e/o Salvini potrebbe rivelarsi più facile combinare un’impostazione produttivistica “di destra” con un’impostazione distributiva “di sinistra”. Certo, se si introducessero il reddito di cittadinanza e la flat tax, nessuno protesterebbe. Ma sarebbe la “strage degli innocenti”: gli italiani di domani farebbero bene a non nascere, per non essere stroncati dal debito pubblico che scaricheremmo su di loro».
Il suo governo e la legge Fornero vengono spesso indicati fra le cause del populismo in Italia. Si sente colpevole?
«Allora, nel 2012, non era proprio possibile fare diversamente. Tant’è vero che tutti i provvedimenti presentati dal governo sono stati approvati in Parlamento con i voti sia del Pdl di Berlusconi che del Pd di Bersani. Questi due grandi partiti hanno contribuito al successo del M5s alle elezioni del 2013 non perchè abbiano adottato misure impopolari, ma perchè, avendo avuto per una volta una condotta molto responsabile, invece di rivendicare il merito di avere salvato l’Italia, in campagna elettorale hanno preferito dare la “colpa” al mio governo e all’Europa».
(da “La Stampa”)
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Settembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
PROMOSSI E BOCCIATI A CERNOBBIO
Con uno spirito da “Dopo Festival”, mentre tutto intorno ferve il trasloco di sedie e tavolini destinato a ricondurre Villa d’Este alla sua quieta normalità , Mario Monti ragiona sull’anno che è passato e quello che verrà .
È cambiato tutto in dodici mesi, è stato «un gioco interessante della Storia».
Dopo la Brexit, ricorda il professore, trattavano l’Europa «come un ronzino atteso da un concorso equestre», si pensava il peggio per l’Unione e si temeva che l’Italia «potesse deragliare» una volta arrivata al «referendum di dicembre, presentato come un giudizio di Dio». Niente affatto.
«Dopo la vittoria del “no” (che auspicavo) non è successo nulla». Il Paese ora cresce e ha risolto qualcuno dei suoi problemi, sebbene altri ne restino da affrontare. Ma così va la vita, almeno da queste parti.
È stato un Forum Ambrosetti da terra di mezzo.
«Il mondo e l’Europa migliorano dal punto di vista economico – concede l’ex premier -, mentre la situazione globale, strategica e geopolitica, si complica». Tutto vero.
Anche che, come Monti nota con piacere, oggi «c’è molta acqua nel vino degli euroscettici». Il risultato è un ritrovato vigore del progetto continentale che lui fa risalire agli choc vissuti dal mondo anglosassone, la Brexit e l’elezione di Trump, «due eventi a cui abbiamo assistito sgomenti».
Noi «abbiamo dimostrato di essere dei “purosangue”, di saper resistere alle difficoltà ». I guai maggiori adesso li hanno gli altri. «Strutturali e non facilmente risolvibili», quelli britannici. Politici e sociali, quelli americani, «con l’economia e finanza che divergono dalla politica e il razzismo che si è riattizzato».
Questo mèlange di sensazioni è apparso dominante al Forum lariano, l’universo anglosassone che zoppica, il vecchio continente in odore di rilancio, l’Asia – soprattutto la Cina – che si offre come leader e mediatore. Un contesto dinamico, dove l’Italiano tranquillo, Paolo Gentiloni, archivia con orgoglio «la crisi peggiore» e i rivali lo sfidano davanti al gotha nazionale di industria e finanza con parole rassicuranti per conquistare scampoli di consenso.
«Anche Salvini ha usato toni moderati rispetto agli standard», ammette Monti ripensando al discorso del leghista di ieri. Di Maio? «Un raffinato borghese, con una compiuta articolazione intellettuale, mosso dal desiderio di essere e apparire moderato».
Sono loro, gli annacquatori del calice euroscettico. «Sarebbe stato bene che li avessero ascoltati gli osservatori internazionali che erano qui nei giorni precedenti», sospira il professore: «Avrebbero un’idea diversa di quanto accade da noi».
Ci vorrà un’altra occasione. Il Forum è un porto di mare (sul lago) e il viavai è inevitabile e continuo.
A dover scegliere, comunque, Monti farebbe vincere il FestivaL Ambrosetti a Margrethe Vestager, la danese dell’Antitrust europeo, «una politica equilibrata con un lavoro che fortifica», laurea concessa da uno che quella poltrona la conosce bene.
Secondo premio all’olandese Frans Timmermans, il primo vicepresidente della Commissione, «un politico appassionato».
Il presidente dello Houston Methodist Research Institute, Mauro Ferrari, gli pare il concittadino più luminoso. «Bisognerebbe riportarlo a casa o forse no: meglio che rappresenti il talento italiano all’estero, purchè continui a far parte della nostra rete di eccellenze».
Lo ha colpito la ministra degli Esteri cinese, la signora Fu. Straordinaria. Cosa manca ad Alfano per essere come lei? Qui si capisce che Monti avrebbe voglia di fare una battuta, ma si ferma molto prima. Accetta che «è vissuta in un sistema dove i ministri li formano da piccoli», il che lo porta ad ammettere che il male italiano «è anzitutto di natura culturale» e che l’instabilità politica e la debolezza strutturale «derivano da questo».
In fondo, ironizza, l’ultima analisi precisa del Paese l’ha scritta Leopardi nel 1824, col «Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani»: «Da allora non è cambiato molto».
Cambierà ? Cosa ci diremo fra un anno? Monti pensa al calendario. «Avremo archiviato il grande ciclo elettorale cominciato nel 2016 e andremo verso il rinnovo del parlamento e delle istituzioni comunitarie del 2019».
Pertanto, «il gioco principale sarà l’Europa», previsione rafforzata dal «60% di probabilità » che Francia e Germania tentino un rilancio dell’integrazione. L’Italia, beninteso, dovrà partecipare.
Siamo in pericolo? «Intanto è stato un bene che non ci siano state elezioni anticipate, avremo subìto l’attesa del disastro elettorale, che non c’è stato, in Olanda e Francia».
Il resto vien voglia di vederlo. «Il prossimo settembre sarà un momento irripetibile», promette. Nessuno l’avrebbe immaginato un anno fa.
«La sospensione è finita», proclama il presidente della Bocconi. L’Europa può provare a correre in Pace.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 18th, 2016 Riccardo Fucile
“NON MI CONVINCE UN SENATO SNATURATO, ALLORA MEGLIO ABOLIRLO”
“A me risulta impossibile dare il mio voto ad una costituzione che contiene alcune cose positive e altre negative, ma che – per essere varata – sembra avere richiesto una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile – molto più dei limiti della costituzione attuale – dei mali più gravi dell’Italia: evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico”.
Parole perentorie, quelle dell’ex premier Mario Monti, che in un’intervista al Corriere della Sera annuncia il suo No al referendum sulla riforma costituzionale.
Monti spiega così le ragioni del suo No alla riforma costituzionale.
“Non mi convince un Senato così ambiguamente snaturato, nella composizione e nelle funzioni. Meglio sarebbe stato abolirlo. Ci possono essere risparmi nel costo della politica in senso stretto, ma il vero costo della politica non è quello, che pure si deve ridurre, per il personale della politica. È nel combinato disposto fra la costituzione, attuale o futura, e metodo di governo con il quale si è lubrificata da tre anni l’opinione con bonus fiscali, elargizioni mirate o altra spesa pubblica perchè accettasse questo. Ho riflettuto a lungo in proposito”.
Sui timori, in Europa, di un successo del fronte del No al referendum, Monti getta acqua sul fuoco.
“Non credo che l’Europa prema per questa riforma costituzionale, e sarebbe molto grave se lo facesse. E poi l’Ue non ha nessun potere di entrare nelle questioni costituzionali, salvo che discendano da specifici atti che sono stati decisi come il fiscal compact. In questi mesi si discute di una riforma costituzionale anche in Grecia, il più sorvegliato di tutti i Paesi, ma non c’è alcuna pressione su questo punto dal resto d’Europa. Naturalmente l’Unione europea è interessata alla performance dell’Italia, come di tutti gli altri Paesi, quindi vede volentieri stabilità e governabilità . Ma ai miei interlocutori spiego che non credo che ci sarebbe un vuoto di potere in Italia, Renzi potrebbe restare anche se vincesse il No o l’attuale maggioranza potrebbe esprimere un nuovo governo”.
Un concetto che l’ex premier ribadisce anche in un altro passaggio dell’intervista.
“Se vincesse il No non sparirebbero gli investitori esteri. Se vincesse il Sì non sparirebbe ogni democrazia. E la Ue, che peraltro non ha mai chiesto questa modifica della costituzione, può stare tranquilla. L’Italia non rischia, come cinque anni fa, di cadere e di travolgere l’euro. Non c’è bisogno che la Ue perda credibilità come arbitro, dando l’idea che se non si dà una dose aggiuntiva di flessibilità all’Italia, vincerebbero ‘i populisti’. I populismi si affrontano promuovendo crescita e occupazione, non autorizzando i governi nazionali ad utilizzare risorse delle generazioni future per avere più consenso oggi”.
In caso di vittoria del No, per Monti non ci sarebbe bisogno di un passo indietro da parte di Renz
“Non vedo ragioni per cui Matteo Renzi dovrebbe lasciare in caso di una vittoria del No, come sostengono molti sostenitori del No e aveva affermato all’inizio lo stesso premier. Ma anche nell’ipotesi che lasciasse, non vedrei particolari sconvolgimenti. Toccherà al Capo dello Stato decidere, ma penso che sarebbe facilmente immaginabile una sostanziale continuazione dell’assetto di governo attuale con un altro premier facente parte della maggioranza.»«Non vedo ragioni per cui Matteo Renzi dovrebbe lasciare in caso di una vittoria del No, come sostengono molti sostenitori del No e aveva affermato all’inizio lo stesso premier. Ma anche nell’ipotesi che lasciasse, non vedrei particolari sconvolgimenti. Toccherà al Capo dello Stato decidere, ma penso che sarebbe facilmente immaginabile una sostanziale continuazione dell’assetto di governo attuale con un altro premier facente parte della maggioranza”.
Nel mirino di Monti anche una delle motivazioni che Renzi utilizza per spingere il fronte del Sì.
“A sentire alcuni ormai sembra improponibile qualunque sistema in cui non si conosce il vincitore la sera stessa. Eppure in Germania non solo non lo si conosce la domenica sera, ma a volte bisogna aspettare mesi. Eppure poi si arriva a un programma chiaro, ben definito e tale da limitare patti fra arcangeli o nazareni. Per quanto mi riguarda mi sono gradualmente convinto sempre più che i problemi dell’Italia non dipendono tanto dalla forma costituzionale e dalla legge elettorale, ma da alcuni connotati fondamentali: l’evasione, la corruzione e una classe politica che usa il denaro degli italiani di domani come una barriera contro la propria impopolarità “.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 6th, 2016 Riccardo Fucile
ZANETTI INCASSA L’OK DELLA DIREZIONE ALLE NOZZE CON VERDINI, MA CONTINUANO A VOLARE GLI STRACCI
La guerra è appena cominciata. E si preannunciano già strascichi nelle aule giudiziarie tra le due anime di Scelta civica.
Da una parte il segretario e vice ministro dell’Economia Enrico Zanetti che, finito in minoranza all’interno del gruppo alla Camera, ha deciso di fare le valigie annunciando le nozze con Ala di Denis Verdini.
Dall’altra i 15 deputati rimasti nel gruppo (16 dopo il ritorno di Stefano Quintarelli) nato all’inizio della legislatura e i 16 componenti della direzione del partito che ne avevano chiesto la convocazione urgente per bloccare l’operazione con i verdiniani. Una direzione travagliata, al termine della quale c’è chi racconta di contestazioni in sala e chi lamenta interventi negati, esclusione dal voto di deputati dissenzienti, che per protesta hanno abbandonato la riunione, e violazioni dello Statuto del partito.
Alla fine Zanetti incassa il via libera alla sua linea, matrimonio con Ala compreso. Capitolo chiuso? Neanche per sogno. Dentro Scelta civica gli stracci continuano a volare.
E siamo solo all’inizio.
Con Mariano Rabino che accusa via Facebook di comportamento «irresponsabile e politicamente, oltre che moralmente, disonesto» gli ex colleghi, a cominciare da Giovanni Monchiero (capogruppo di Sc), Andrea Mazziotti e Gianfranco Librandi, «solo per citare i più facinorosi», per aver fatto «trapelare futuri squilli di tromba a suon di ricorsi legali, tanto temerari quanto infondati visto l’inoppugnabile responso della direzione di Scelta civica».
Un attacco a cui è lo stesso Mazziotti, presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, a rispondere per le rime: «Responso inoppugnabile? Evidentemente Rabino ha scambiato il partito per il Politburo dell’ex Unione sovietica — ironizza —. E ce ne siamo accorti: in occasione dell’ultima direzione sono state violate le più elementari regole della democrazia prima che dello Statuto. Ma in Italia tutte le delibere sono impugnabili».
Fatto sta che, forte del mandato ottenuto dalla direzione (ma che i dissidenti considerano illegittimo), il segretario di Sc Zanetti, insieme allo stesso Rabino e agli altri fedelissimi Giulio Cesare Sottanelli, Angelo Antonio D’Agostino e Valentina Vezzali (aggiuntasi in corsa), ha suggellato l’intesa parlamentare con il plotone dei verdiniani a Montecitorio (Abrignani, D’Alessandro, Faenzi, Galati, Lainati, Mottola, Parisi e Romano), due eletti all’estero del Maie (Ricardo Antonio Merlo e Mario Borghese) e il tosiano Marco Marcolin.
Depositando la documentazione e chiedendo la deroga per la costituzione del nuovo gruppo parlamentare “Scelta civica verso Cittadini per l’Italia-Maie”.
La cui nascita, dipenderà a questo punto dalla decisione, che dovrebbe arrivare a settembre, dell’Ufficio di presidenza della Camera di concedere o meno la deroga richiesta, necessaria come in questo caso quando la domanda arriva da un numero di deputati inferiore a 20.
Un caso inedito, fanno osservare gli ex compagni di Zanetti in rotta con il segretario. E una situazione complicata con la quale l’organo di vertice di Montecitorio dovrà fare i conti.
Da una parte il gruppo storico formato esclusivamente da eletti nelle liste di Scelta civica dall’altra un gruppo in cui i rappresentanti della stessa Sc sono in netta minoranza (5 su 16), in lite per la titolarità del nome e del simbolo del partito che sembrano ormai destinati a diventare oggetto di una controversia giudiziaria. «Ovviamente non possiamo sapere cosa deciderà l’Ufficio di presidenza, ma se desse il via libera alla nascita del nuovo gruppo si creerebbe un precedente pericoloso — ragiona un esponente del gruppo storico di Sc che preferisce rimanere anonimo —. Perchè si rischierebbe, di fatto, di spostare le decisioni sui gruppi parlamentari dalla presidenza della Camera alle direzioni di partito».
Una questione procedurale che, evidentemente, non preoccupa più di tanto il tandem Zanetti-Verdini.
Al punto che, in attesa del verdetto dell’Ufficio di presidenza, si sono già portati avanti con il lavoro. Assegnando gli incarichi in seno al nuovo gruppo, per ora solo eventuale: presidente Sottanelli; vicepresidente vicario Parisi; vicepresidenti Merlo e Vezzali; delegato d’Aula Faenzi; portavoce Abrignani e Rabino; tesoriere Galati.
Ma è sulla composizione del nuovo gruppo che tra i deputati di Scelta civica anti-zanettiani c’è chi maliziosamente ironizza sull’eterogeneità dei suoi componenti: «Come faranno a mettersi d’accordo su provvedimenti cruciali per il governo come la riforma della giustizia e della prescrizione?».
Riferimento alle tre anime del nuovo aspirante gruppo. Quelle degli zanettiani, che fanno parte del governo, dei verdiniani, che sostengono l’esecutivo senza farne parte, e del Maie, che spesso e volentieri ha votato contro la fiducia.
Come proprio sul sito del movimento il presidente Ricardo Merlo in persona ha rivendicato di recente: «Ieri, il Maie — come sempre — ha votato No alla fiducia al governo Renzi, ma perchè? Il motivo è chiaro. Perchè chi ha votato la fiducia ha, una volta ancora, manifestato il suo appoggio al governo Renzi. Ha cioè votato a favore anche delle politiche renziane per gli italiani all’estero. Quindi, chi vota a favore, ha votato a favore dei tagli alla lingua e alla cultura italiana all’estero, a favore dei tagli all’assistenza diretta e indiretta ai nostri connazionali bisognosi».
Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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