Marzo 23rd, 2018 Riccardo Fucile
“RISPETTARE LA VOLONTA’ DEGLI ELETTORI”… “PD SPINTO ALL’OPPOSIZIONE, BOCCIATA L’AUTOESALTAZIONE DEI RISULTATI DEGLI ULTIMI GOVERNI”
“Il nostro punto di riferimento non possono che essere le espressioni della volontà popolare che sono scaturite dal voto” che ha prodotto “un balzo in avanti clamoroso” del Movimento 5 Stelle e della coalizione di centrodestra, “candidati oggi a governare il paese”, e “una pesante sconfitta” per il Pd, “spinto all’opposizione”.
Il voto del 4 marzo dimostra “quanto poco avesse convinto l’autoesaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e partiti di maggioranza”.
Con queste parole Giorgio Napolitano apre la XVIII legislatura, presiedendo l’Aula del Senato chiamata oggi ad eleggere il nuovo presidente.
“Di certo per aprire, nell’attuale scenario, nuove prospettive al Paese sono insieme essenziali il rispetto della volontà popolare e il rispetto delle prerogative del Presidente della Repubblica, al quale rivolgo a nome di voi tutti l’espressione calorosa della nostra stima e fiducia”.
Il presidente emerito della Repubblica ha sottolineato il “forte mutamento dei rapporti fra gli italiani e la politica, quale si era venuta caratterizzando da un po’ di anni a questa parte. Si è trattato di un voto che non solo ha travolto certezze e aspettative di forze politiche radicate nel tempo nell’assetto istituzionale e di governo del paese. Ha messo in questione tradizioni, visioni, sensibilità che erano a lungo prevalse. Gli elettori — ha proseguito l’ex capo dello Stato – hanno premiato straordinariamente le formazioni politiche di radicale contestazione e rottura rispetto al passato”. Una contestazione scaturita da “diseguaglianze, ingiustizie, arretramenti di vasti ceti” e anche dal “senso di un cronico, intollerabile squilibrio fra nord e sud, tale da generale una dilagante ribellione nelle regioni meridionali. Sono stati condannati in blocco – anche per i troppi esempi da essi dati di clientelismo e corruzione – i circoli dirigenti e i gruppi da tempo stancamente governanti in quelle Regioni”,
Dinanzi all’assenza di una maggioranza chiara, Napolitano dice che “occorre corrispondere alle scelte del corpo elettorale e delineare la strada per il prossimo futuro del Paese. Alcuni elementi possono concorrere ad allargare l’orizzonte. Si tratta di far leva sull’interesse generale dell’Italia, che poggia nel senso che non può mancare di un comune destino italiano ed europeo”.
Proprio sull’Europa, Napolitano segnala che “a parte larga di elettori l’Europa è parsa più un insieme di costruzioni che di idealità e possibilità “, ma “resta il solo ancoraggio per un’Italia che voglia contare nel mondo globale”.
Napolitano ha poi lanciato un messaggio affinchè al centro dell’azione di tutti i partiti ci sia la “nonviolenza. Occorre scongiurarla in tutte le sue motivazioni e forme. Sappiamo dove possono condurre le spirali di violenza, non dimentichiamo gli anni 70, abbiamo appena ricordato Via Fani e la barbara uccisione di Aldo Moro”.
(da agenzie)
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Ottobre 25th, 2017 Riccardo Fucile
SEDUTO E AFFATICATO, NAPOLITANO CRITICA LA FORZATURA SUL ROSATELLUM E FA I CONTI CON UNA SCONFITTA CHE IN FONDO E’ ANCHE SUA
Alle 12,15 il presidente Grasso annuncia: “La parola al senatore Giorgio Napolitano. È autorizzato a parlare da seduto”.
Il presidente emerito, 93 anni, è al suo scranno. La fatica, stavolta, impedisce di stare in piedi.
Sul banco è stata montata una luce da tavolo, per favorire meglio la lettura delle sette cartelle.
Tono pacato, sobrio, a tratti pedagogico, nell’analizzare un’esigenza giusta, la legge elettorale, oggetto di appelli sollecitazioni, stimoli al Parlamento non colti negli anni del suo doppio mandato, portata ora avanti in modo sbagliato, con una “compressione” del ruolo del Parlamento: “Quali forzature – dice entrando subito nel tema – può produrre il ricorso a una fiducia che sancisca la totale inemendabilità di una proposta di legge estremamente delicata?”.
L’Aula, che ormai non ha più la solennità di un tempo, per una volta è avvolta da un silenzio denso.
È l’immagine di un uomo dello Stato, di un combattente per cui la politica, come scrisse il suo maestro Giorgio Amendola, è scelta di vita e grande passione laica.
La politica come storia in atto, come iniziativa razionale nella situazione che ogni volta si determina, non come testimonianza, celebrazione o autocelebrazione, alla ricerca dell’effetto, della popolarità , del facile consenso. Fino all’ultimo.
C’è tutto il senso dei tempi nell’immagine: l’ex capo dello Stato, vecchio comunista cresciuto in duri anni brechtiani che, cartella dopo cartella, si aiuta anche con una lente di ingrandimento nella lettura, ma non rinuncia a sottolineare le incongruenze di una legge pasticciata; i banchi della destra berlusconiana, che già si sente establishment di governo, e poco importa se con Salvini o con Renzi, deserti; il Pd che ascolta, senza mai – mai – applaudire, ma senza neanche tanto imbarazzo di fronte a critiche severe, sul metodo su una legge imposta con la fiducia e discutibile su molti punti.
Con una certa malizia, Napolitano prende a paragone il Mattarellum, la legge scritta dal suo taciturno successore al Colle, per sottolineare come sarebbe stata “coerente” la scelta del voto disgiunto, ovvero la “netta distinzione tra candidature nei collegi e quelle nelle liste dei partiti”
In fondo, nel discorso, nel fare i conti con la situazione concreta di una legge elettorale approvata in questo modo, alla fine di una legislatura che iniziò con l’inedito del suo secondo mandato – ricordate quel “fate le riforme o ne trarrò le conseguenze” – c’è tutto il fallimento di questa fase e una sconfitta storica da cui l’ex capo dello Stato non si tira fuori.
Ma di cui, al tempo stesso, individua il principale responsabile. Si capisce quando parla dell’attuale governo come di una vittima di pressioni extraparlamentari, da parte del segretario del suo partito: “Il presidente Gentiloni, sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire a quella richiesta, e me ne rammarico…”.
Parole accompagnante da uno scatto delle braccia, che si allargano in avanti, unica volta nei diciassette minuti di intervento.
Il non detto è che tra la fiducia e un dibattito eterno ci sono parecchie alternative e sfumature: si poteva mettere la fiducia su alcuni punti, selezionare ambiti di discussione consentendo un minimo di discussione.
Le forzature, invece, recano con sè uno strascico di veleni e di macerie, col governo più debole e più debole, al tempo stesso, quell’idea di centrosinistra largo auspicato da Napolitano, Prodi, Letta.
Ma soprattutto macerie nelle istituzioni.
Perchè l’accordone di Sistema tra Pd, Lega Forza Italia e centristi è una manovra, in qualche misura, extra-istituzionale, in cui i leader salvano se stessi e tirano su un meccanismo perfetto per far fuori gli altri.
Una pressione sulle istituzioni e non delle istituzioni, in nome di un disegno generale, che è poi il tratto fondamentale della presidenza di Napolitano, ultimo paladino delle istituzioni, proprio come insegnava il vecchio Pci.
C’è un segno di coerenze nelle sue critiche all’attuale legge elettorale e alla forzatura della fiducia, perchè certo la sua presidenza fu caratterizzata da pressioni, moniti, moral suasion, e da una interpretazione interventista e assai poco notarile del mandato, ma sempre nel solco di una impostazione che parte dalla difesa delle istituzioni, e dunque dalla necessità di una loro riforma.
E non è un caso che, al netto del rammarico, alla fine come si dice in gergo il titolo è su Gentiloni: “Ho compreso la difficoltà del presidente del Consiglio che ho stimato e stimo per il modo in cui ha guidato e guida il paese”.
L’Europa, l’importanza della stabilità , la tenuta del paese. Napolitano prova ad aiutare il premier, nell’immediato su Bankitalia, e a tenere aperta la prospettiva di un discorso a sinistra, dopo le elezioni siciliane.
Ed è evidente che, alla fine, ha annunciato che avrebbe votato la fiducia, perchè il contrario avrebbe indebolito il governo, già abbastanza ammaccato dalla clava renziana.
Forse è poco, forse dal punto di vista del presidente emerito è il possibile nelle condizioni date, in un’epoca che legge con pessimismo, come un’epoca di decadenza e di crisi, di “faziosità “, “scontri di potere”, “personalismi dilaganti come mai” in cui sembra che la stessa democrazia stia “perdendo la ragione”: “È il momento di sollevare lo sguardo dallo scontro quotidiano, dalle sue angustie e dalle sue nevrosi di fine legislatura”.
Alle 12,32 un applauso composto, rispettoso, distante. E torna il consueto brusio dell’Aula di questi tempi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile
NAPOLITANO REPLICA: “PAGATO SEMPRE TUTTO DI PERSONA”… LA SOLITA DEMAGOGIA DA QUATTRO SOLDI DEI GRILLINI… LA SCORTA L’HANNO OBBLIGATORIAMENTE TUTTI I MINISTRI, I SEGRETARI DI PARTITO, GLI EX PRESIDENTI E LE PERSONALITA’ RITENUTE A RISCHIO DAL VIMINALE
“In relazione a recenti polemiche di stampa e all’odierno post di Beppe Grillo “Per Napolitano vacanze dorate pagate da italiani”, devo precisare che il Presidente Emerito Giorgio Napolitano ha sempre pagato di persona, anche negli anni dei suoi mandati presidenziali, le spese delle vacanze trascorse da lui e dai suoi famigliari in alberghi privati, e che egli si riserva di valutare il ricorso alle vie legali contro chi non tenesse conto di questo chiarimento e dei fatti reali”.
E’ quanto si legge in una nota diffusa del portavoce del presidente Giorgio Napolitano che ieri è stato accusato sulla pagina Facebook del deputato M5S Riccardo Fraccaro di fare tre settimane di vacanze sulle Dolomiti a spese dei contribuenti.
Fraccaro è uno dei miracolati del M5S e della politica, uno che quando è entrato alla Camera aveva uno stipendio lordo di 16 mila euro annui e ora ne dichiara 98 mila.
Tra le altre cose l’Onorevole Fraccaro risulta essere parecchio indietro con le rendicontazioni; siamo a fine luglio 2017 e su Ti Rendiconto l’ultima risale al dicembre 2016.
L’attacco di Grillo a Napolitano.
“L’ex presidente Napolitano si gode le vacanze dorate in Trentino-Alto Adige, scortato dalla solita schiera di agenti di sicurezza e dai rinforzi inviati dalla Questura di Bolzano. Il soggiorno blindato di Re Giorgio, con tanto di hotel di lusso, è uno scandalo insopportabile a spese degli onesti contribuenti”.
E’ Beppe Grillo a scriverlo su Facebook, riproponendo le parole del deputato M5S Riccardo Fraccaro, che dice, tra l’altro, “dopo 64 anni di politica costata fiumi di soldi pubblici oltre che danni incalcolabili alla democrazia, Napolitano la smetta di pesare ancora sulle spalle del Paese”.
La demagogia imperversa
Vediamo di chiarire i termini della questione.
Ognuno è libero di andare nell’albergo che più gli aggrada, basta che se lo paghi. Napolitano ovviamente se lo paga, quindi sono affari suoi.
Che poi parli di “hotel di lusso” proprio Grillo, abituato a quelli esclusivi del Kenia o della Costa Smeralda, fa sorridere.
Cosa sono 500 euro a notte in confronto ai 15mila euro a settimana che Beppe Grillo chiede per affittare la sua casa di Marina di Bibbona?
Le altre spese, quelle relative alla scorta per ragioni di sicurezza, sono effettivamente, anche se indirettamente, a carico dei contribuenti italiani.
Peccato che la stessa cosa valga anche per i ministri, i segretari di partito, gli ex presidenti di Camera e Senato, non solo della Repubblica, e tutte le personalità a rischio secondo le valutazioni del Viminale.
Quindi la stessa scorta “protegge” pure un Di Maio, un Salvini e compagnia cantando.
Scorta a cui non si può rinunciare, tra l’altro, per ragioni di Stato.
Come da comunicato del Viminale «La tutela dell’ex capo di Stato è assicurata, non a richiesta dell’interessato, ma sulla base delle norme vigenti, con gli stessi criteri e con le stesse modalità utilizzati per analoghi servizi di protezione. I dettagli sulla composizione di detti servizi sono dati sensibili».
Quindi fatevene una ragione e cercate di fare politica con argomenti seri, se ci riuscite.
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
DURO INTERVENTO CONTRO IL “PATTO ABNORME” DEI LEADER SULLA LEGGE ELETTORALE “PER CALCOLO DI CONVENIENZA”
Ancora una volta Napolitano non abdica dal suo ruolo presidenziale.
Ecco il primo passaggio, di un discorso di rara incisività : “È semplicemente paradossale discutere come si sta discutendo. In tutti i paesi democratici europei si vota alla scadenza naturale delle legislature”. Applausi, della composta ed elegante sala.
Prosegue il presidente emerito: “Fare significa dare il massimo contributo negativo alla credibilità politica e istituzionale del paese. È abnorme che il patto extra-costituzione sul voto sia considerato un corollario dell’accordo sulla legge elettorale”.
Palazzo Giustiniani, sala Zuccari. Napolitano interviene a un convegno sull’Europa. Le sue riflessioni si trasformano in un discorso al Parlamento e al paese, contro le elezioni anticipate, critico sulla legge elettorale e contro il “patto” Renzi-Berlusconi-Grillo e Salvini: “Questa grande impresa di quattro leader di partito che calcolano le loro convenienze”.
Asciutto, nel consueto schema di antica scuola che si parte dall’analisi del contesto internazionale, per arrivare poi nell’ambito di questa cornice alle questioni domestiche.
Napolitano cita Mario Draghi sull’irreversibilità dell’Euro, il suo discorso di Lubiana, parla dell’europeismo come di fede incrollabile, vede i segni — dopo le elezioni francesi — di una possibile “controffensiva europeista”.
In questo quadro colloca il ruolo dell’Italia, che, al netto di quanto di buono è stato fatto in questi anni e dal governo in carica, “resta legato al fattore incertezza politica che la espone a rischi di sfiducia dei mercati e delle istituzioni”.
Un discorso di verità , in cui più volte Napolitano fa riferimento alla situazione delicata del debito e dell’economia italiana.
E, ad ogni passaggio, sottolinea i limiti e superficialità del dibattito politico, proprio sul delicato terreno dei conti pubblici: “Si prospetta il rifiuto del previsto scatto della clausola di salvaguardia, senza proporvi valide alternative”; e ancora: “Può il sostegno alla crescita tradursi in una generalizzata propensione alla riduzione della pressione fiscale”.
Insomma, dice Napolitano, “l’attuale incertezza politica circa gli intenti complessivi di politica finanziaria è una rilevante incognita che mina la nostra credibilità “.
Un discorso, interrotto un paio di volte da applausi, formulato con tono di voce non asettico e freddo, ma appassionato, scandito nei passaggi, col piglio del vecchio comunista che, si sarebbe detto una volta, vede in atto il partito della crisi e dell’avventura.
Partito contro cui rivolge passaggi particolarmente polemici: “Ne abbiamo viste di tutti i colori, ora ci sono colori nuovi. Il passaggio dal modello elettorale francese, tranne fare confusione tra modello elettorale e quello costituzionale, in modo . funambolico al tedesco”.
Lo scetticismo non riguarda solo il timing del voto, ma il merito di questa legge, iper-proporzionale: “La governabilità del paese si profila molto problematica, sulla base di quel che si sa sulla legge elettorale”.
Attenzione all’incertezza, che così salta il paese, questo il fil rouge di tutto il discorso. Conclusione e appello. “Dare continuità all’azione del governo in carica invece di metterne in dubbio la sopravvivenza. Questo ci dice l’interesse del paese”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 15th, 2015 Riccardo Fucile
DECISIVE LE AMMINISTRATIVE: SE IL M5S AVANZA, IL GOVERNO MODIFICHERA’ L’ITALICUM, PREMIO ALLA COALIZIONE E NON AL PARTITO
Facciamo le riforme costituzionali e poi parliamo dell’Italicum. E se c’è qualcosa da cambiare ci pensiamo”.
Matteo Renzi nelle ultime settimane l’ha detto a molti dei suoi interlocutori. Da Angelino Alfano a Denis Verdini. E il messaggio l’ha fatto arrivare a Paolo Romani (Forza Italia) come a Pier Luigi Bersani.
La modifica da mettere in campo è quella che vogliono praticamente tutti (a parte i Cinque Stelle): ovvero assegnare il premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale, non alla lista, ma alla coalizione.
Tutti hanno qualcosa da guadagnare. Ncd e Ala ci vedono una possibilità di “contare”qualcosa, Forza Italia punta sull’alleanza con la Lega per avere qualche chance di vittoria, la composita (e indecisa a tutto) sinistra Pd vuole mantenere un rapporto con Sel.
L’M5S, invece, che fermamente correrà da solo, nella sua vittoria ad un eventuale ballottaggio ci crede.
E qui sta il punto. Promesse da marinaio,quelle di Renzi ad alleati e non, per portare a casa le riforme, la legge di stabilità e ogni provvedimento del suo governo?
Dipende. Perchè la tentazione di cambiare l’Italicum il premier ce l’ha, soprattutto guardando i sondaggi, che vedono i Cinque Stelle avvicinarsi pericolosamente. Martedì sera Bruno Vespa a Porta a porta ha fatto vedere un sondaggio di Ipr, che mostrava una crescita del 2% per ilM5s,che si attesta così al 28% a soli 4 punti dal Pd,che cresce solo dello 0,5%.
Decisamente inquietanti in casa democrat soprattutto i sondaggi sulle intenzioni di voto a Roma:sia secondo Ipr che secondo Tecnè, la prossima sfida per il Campidoglio la vince il M5s: al 35 o al 33%. Mentre il Pd resterebbe al 17 o 19%.
Ancora una volta, in questa battaglia l’alleato più fedele per Renzi, quello pronto ad aiutarlo, legittimarlo, consigliarlo e indirizzarlo è Giorgio Napolitano.
Nel suo intervento in Senato martedì l’ha detto senza mezzi termini: “Dobbiamo dare risposte nuove a situazioni stringenti e bisognerà dare attenzione a tutte le preoccupazioni espresse in queste settimane in materia di legislazione elettorale e diritti costituzionali”.
Nelle intenzioni dell’ex inquilino del Colle era anche un assist a Forza Italia, un invito ad aprire il dibattito sulla legge elettorale, che però non l’ha colto.
Marginalizzare i Cinque Stelle è sempre stato uno dei progetti (neanche incoffessati) di Re Giorgio.
Ed ecco cheall’occorrenza ritorna. Ieri dalla maggioranza negavano che la modifica della legge elettorale fosse all’ordine del giorno.
Meglio evitare problemi durante la discussione della manovra. Tradotto: meglio tenere ancora buoni tutti tra promesse e minacce.
La strana coppia Matteo & Giorgio sulla questione discute e riflette. Anche se una data cruciale potrebbe essere quella delle amministrative di primavera: se il Movimento vince Roma e arriva bene in qualcuna delle altre città più importanti (Torino, Milano, Napoli e Bologna), Renzi si vedrà confermare l’incubo che per adesso tiene a bada: un voto alle politiche che lo vede perdere al ballottaggio.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 12th, 2015 Riccardo Fucile
IL FONDATORE DI “REPUBBLICA” REPLICA ALLA LETTERA DELL’EX PRESIDENTE
Alla lettera che Giorgio Napolitano mi ha inviato e che abbiamo pubblicato ieri nel nostro giornale rispondo soprattutto per ringraziarlo per le parole di amicizia e di stima che mi ha rivolto e che contraccambio con identici sentimenti.
Non è la prima volta che questo accade tra noi, ma ieri leggendola mi sono sentito profondamente felice e voglio dirglielo.
Viviamo in un mondo assai accidentato e in una società nella quale gli affetti, anche genuini, sono però molto spesso intrecciati ad interessi, convenienze, obiettivi concreti di tornaconti individuali e lobbistici.
Non è il nostro caso, quel tipo di interessi non c’è mai stato tra noi, lui non ha mai avuto alcun tornaconto a volermi bene e neppure io.
Talvolta è anzi accaduto — sia in occasioni lontane nel tempo e sia ora — che avessimo idee divergenti nella visione del bene comune del nostro Paese e quando è avvenuto ce lo siamo detti sia in private conversazioni sia in pubblico dibattito.
Così sta avvenendo ora su due temi strettamente connessi: la riforma costituzionale del Senato e la legge elettorale che è stata riformata dopo la sentenza abrogativa di quella vigente da parte della Corte costituzionale.
Non sono temi da poco: rappresentano una trasformazione radicale della nostra struttura politica e dunque della politica nelle sue forme.
Prevedono una riforma che va ben oltre le modalità dell’articolo 138, destinato a consentire singoli mutamenti che incidono su aspetti marginali di attuazione dei principi e dei valori intangibili della “Carta” approvata dall’Assemblea costituente 67 anni fa.
È pur vero che alcuni di quei principi e dei diritti-doveri allora sentiti sono invecchiati e si sono rivelati insufficienti col passar degli anni per numerose ragioni dovute al trasformazioni internazionali, sociali, scientifiche, tecnologiche.
E proprio per corrispondere a queste nuove esigenze sono stati numerosi i tentativi di porvi rimedio con diverse commissioni bicamerali, la prima delle quali fu presieduta da Aldo Bozzi e poi dalla Iotti, da De Mita, da D’Alema.
Cito a memoria e forse ne scordo altri, ma sono passati oltre trent’anni da quei tentativi, tutti falliti per varie ragioni.
Ha tentato anche Napolitano a ripercorrere quella via con il Comitato dei Saggi e poi con una Commissione presieduta da Quagliariello, peraltro più di orientamento che di obbligo procedurale.
Ma i due disegni di legge dei quali stiamo ora parlando (elettorale e costituzionale, se sarà approvato) e sulle quali le nostre opinioni divergono produrranno un mutamento talmente radicale che a mio avviso equivale ad una riscrittura del contesto costituzionale che soltanto una nuova Costituente potrebbe affrontare.
A cominciare dall’abolizione di una delle due Camere che insieme compongono il potere legislativo, instaurando un sistema monocamerale e introducendo in quest’ultimo un meccanismo che concede al premier di nominare un numero ragguardevole di capilista di varie circoscrizioni, creando un “premierato” al posto della presidenza del Consiglio, con un sistema elettorale che al posto della legge proporzionale che ha regolato i rapporti tra il popolo sovrano e lo Stato per quasi cinquant’anni, destina un premio al partito che raggiunge il 40 per cento dei voti espressi, quale che sia il numero degli astenuti.
Non era mai accaduto che un fatto del genere avvenisse in Italia; bisogna risalire alla legge Acerbo di mussolinana memoria.
La legge-truffa voluta da De Gasperi nel 1952 prevedeva il premio soltanto a quel partito o coalizione di partiti che avesse superato almeno di un voto il 50 per cento.
Fu approvato dal Parlamento ma sconfitto dalle urne e non passò.
Questo è dunque il quadro entro il quale si svolge la nostra discussione.
Personalmente non ho un’affezione particolare al bicameralismo perfetto anche se — come risulta dallo studio dell’apposito Ufficio di palazzo Madama — il tempo medio impiegato dall’approvazione delle leggi in un testo definitivo da entrambi i rami del Parlamento non è affatto lunghissimo: supera di poco i tre mesi e con pochi ritocchi può essere imposto un tempo minimale.
Nel mio ultimo articolo ho prospettato un Senato cui sia tolto il potere di dare la fiducia al governo restando integri gli altri poteri.
Napolitano obietta che questa proposta è irrazionale e probabilmente ha ragione. In altri miei interventi avevo infatti addirittura proposto che il Senato fosse interamente abolito; a rappresentare Regioni e Comuni di fronte allo Stato ci sono già apposite conferenze, basterebbe conservarle, semmai precisando meglio i poteri legislativi di competenza degli Enti locali e la loro autonomia.
Quindi niente Senato, ma solo Camera che ingloba interamente il potere legislativo ed è la sua maggioranza — pur nel rispetto delle minoranze — a determinare la linea politica al potere esecutivo che ha il compito di tradurla in atto.
Ove sviluppasse una linea diversa, la Camera gli toglierebbe la fiducia.
È compatibile questo principio che pienamente realizza quella Repubblica parlamentare che l’attuale Costituzione configura, con il premierato?
Dipende da che cosa si intenda con quella parola. Se si intende che il presidente del Consiglio ha un potere maggiore di quello dei ministri e in caso di contrasto può destituirli senza che questo comporti un rimpasto e un voto di fiducia, questo sì, è pienamente compatibile.
Ma se il premier adotta una politica difforme da quella indicata dalla maggioranza della Camera, allora no, non è compatibile.
Naturalmente nel corso della legislatura la maggioranza della Camera può anche cambiare, senza che con questo si debba andare a nuove elezioni.
Ai tempi della Dc questi mutamenti avvennero molte volte: Fanfani sostituì Scelba, Moro sostituì Fanfani e fu a sua volta sostituito da Colombo e poi da altri. Moro comunque dominò per decenni il partito (e quindi il Parlamento) con maggioranze che dal centrismo passarono ai socialisti di Pietro Nenni e poi addirittura con il Pci di Enrico Berlinguer.
Tutto avvenne con il sistema di voto proporzionale, non ci fu mai, dico mai, il premio di maggioranza che dà al premier troppi poteri.
Questo è lo schema. È pur vero che oggi i tempi sono cambiati. Mi auguro che cambino ancora.
Se — come spero — nasceranno gli Stati Uniti d’Europa, i governi nazionali perderanno una parte notevole della loro sovranità e altrettanto ne perderanno i rispettivi Parlamenti. Ci sarà anche in Europa una sinistra e una destra e sarà un bene la loro alternanza.
Oggi in Italia c’è un centro e un po’ di destra.
La sinistra, caro Giorgio, non c’è più.
Tu non ne parli ma sono convinto che nel tuo intimo te ne rammarichi. Per come ti conosco tu non sei un marxista, sei un liberal-democratico, esattamente come me.
È la cultura del partito d’Azione. Una sinistra liberale, è questo che ci caratterizza, ma a me sembra lontana anni luce e ne sono francamente angustiato.
Eugenio Scalfari
(da “La Repubblica”)
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Agosto 9th, 2015 Riccardo Fucile
DA MUCCHETTI A SCALFARI LE CRITICHE ALL’EX PRESIDENTE
A sinistra è caduto un tabù.
E’ il tonfo si è sentito, perchè quel tabù si chiama Giorgio Napolitano.
Negli ultimi giorni l’ex capo dello Stato è stato apertamente criticato per la lettera al Corriere della Sera in cui intimava di non rimettere in discussione la riforma del Senato che porta il nome del ministro Boschi.
La stessa su cui, invece, la minoranza Pd sta conducendo la battaglia, forse definitiva, contro il segretario.
Da ultimi, ad attaccarlo, sono stati Massimo Mucchetti (prima con un editoriale al Fatto Quotidiano e poi con un’intervista ad HuffPost) e Rosy Bindi.
Ma le critiche sono arrivate anche da un insospettabile: Eugenio Scalfari.
E’ noto che il fondatore di Repubblica non provi simpatia per Matteo Renzi, ma altrettanto nota è la sua amicizia — ribadita anche nell’editoriale di oggi – con Napolitano.
Una lunga sintonia che ha cominciato a vacillare, almeno politicamente, proprio quando l’allora capo dello Stato ha ‘avallato’ la staffetta a palazzo Chigi con Enrico Letta.
Ma che oggi sembra diventata una vera e propria distonia. La convinzione del presidente emerito, ricorda Scalfari nell’articolo sul quotidiano, “non è certo una improvvisazione”, “è su questa posizione da molti anni ed ora gli preme più che mai vederla portata a buon fine da Renzi che di un appoggio così autorevole ha certo molto bisogno”: “ma su questo tema — sentenzia — sono in totale disaccordo”.
Se quello di Scalfari, in qualche modo, può sembrare il rimprovero di un amico, però, le critiche che arrivano da sinistra sono di un tenore diverso.
Già giovedì, giorno della pubblicazione della lettera di Napolitano, via agenzia, sono state sollevate dalla minoranza dem una serie di perplessità .
Alfredo D’Attorre dichiarava di “rispettare ma non condividere” i contenuti dell’intervento, Doris Lo Moro spiegava che avrebbe preferito che l’ex presidente della Repubblica “restasse fuori da questa vicenda”.
Più duro Franco Monaco che era arrivato a definire “sconcertante” la missiva.
La stessa Rosy Bindi aveva scelto di intervenire con una comunicato per dire di “non condividere affatto” il senso del ragionamento.
Niente a che fare, però, con l’escalation delle ultime ore.
In un’intervista al “Fatto quotidiano”, la presidente della commissione Antimafia, parla addirittura di intervento “inopportuno”.
“Proprio perchè conosce il peso delle parole — aggiunge — dovrebbe evitare di schierarsi. Non condivido il merito ma neppure il metodo”.
Parole che fanno il paio con quelle del senatore Massimo Mucchetti, secondo cui “Napolitano è intervenuto per aiutare Renzi” perchè “ha paura che non abbia i numeri al Senato sulla riforma”.
Insomma, parole che finora mai si erano sentite a sinistra. Nemmeno quando Napolitano, già nel ruolo di senatore a vita, si era premurato di offrire a Matteo Renzi un ombrello sull’Italicum, bocciando gli emendamenti della minoranza e sentenziando che la legge elettorale andava “bene così” com’era.
Anzi, la storia racconta che le critiche arrivavano sempre da destra – da Berlusconi e dai berlusconiani – e che al Pd toccava il compito di difendere l’inquilino del Colle. Evidentemente non questa volta: segno che la battaglia tra i democratici è arrivata a un punto di svolta.
(da “Huffigtonpost”)
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Luglio 11th, 2015 Riccardo Fucile
L’INTERCETTAZIONE TRA DARIO NARDELLA, VICE DI RENZI, E MICHELE ADINOLFI, COMANDANTE IN SECONDA DELLA GUARDIA DI FINANZA
Il 5 febbraio 2014, quando già la staffetta era matura, alla Taverna Flavia di Roma pranzano in quattro: il vicesindaco (poi sindaco) di Firenze Dario Nardella, il generale della Guardia di Finanza allora a capo di Toscana ed Emilia-Romagna Michele Adinolfi, oggi comandante in seconda della Gdf, il presidente dei medici sportivi Maurizio Casasco e l’ex capo di gabinetto del ministro Tremonti nonchè presidente di Invimit, società di gestione del risparmio che amministra immobili pubblici ed è di proprietà del ministero dell’Economia, Vincenzo Fortunato.
I carabinieri del Noe guidati dal colonnello Sergio De Caprio intercettano il colloquio con una cimice sotto il tavolo.
Due le partite: la nomina a sorpresa del generale Saverio Capolupo, anzichè di Adinolfi, al vertice della Finanza da parte del morituro governo Letta.
E la staffetta tra questi e Renzi, amico dei commensali.
In questo contesto l’attuale numero due della Guardia di Finanza dice che il figlio di Napolitano “Giulio oggi a Roma è potente, è tutto”.
Poi sembra dire che il capo dello Stato sarebbe ricattabile perchè “l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e (Enrico, ndr) Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”.
Nardella non fa una piega, anzi.
Scrive il Noe: “Nardella dice che la strada è più semplice. Bisogna fare la legge elettorale e andare alle elezioni anticipate”.
Poi dice che Letta gli sembra “andreottiano” e “attaccato alla seggiola”.
E allude malizioso: “A meno che non ci sia anche da coprire una serie di cose, come uno nomina sei mesi prima il comandante, perchè… a me è venuta la Santanchè pensa, che dice tanto tutti sanno qual è la considerazione di Giulio Napolitano. Prima o poi uscirà fuori”.
Insomma, il segreto non sarebbe più tale. “Se lo sa la Santanchè, vabbè ragazzi”.
Adinolfi resta sul tema: “Giulio oggi a Roma è tutto o comunque è molto. Giusto? Tutto, tutto… e sembra che… l’ex capo della Polizia … Gianni De Gennaro e Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”.
Nardella commenta criptico: “A quello si aggiunge, quello è il colore…”, seguono parole incomprensibili. Fortunato pensa al potere del figlio del presidente: “Comunque lui è un uomo, c’ha studi professionali, interessi. Comunque tutti sanno che lui ha un’influenza col padre. Come è inevitabile… ha novant’anni c’ha un figlio solo”.
Nardella concorda: “È fortissimo!”. Adinolfi: “Non è normale che tutti sappiano che bisogna passare da lui per arrivare” e Nardella sembra accennare a un possibile conflitto di interesse: “Consulenze, per dire consulenze dalla pubblica amministrazione”.
A conferma dell’ipotetica relazione tra la nomina di Capolupo e una presunta ricattabilità di Giulio Napolitano c’è una telefonata del giorno seguente.
Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e delegato per la Legalità di Confindustria nazionale, parla con Adinolfi.
Mentre aspetta Montante confida a qualcuno vicino: “Perchè è stato prorogato… chissà perchè… Figlio di puttana ha beccato ha in mano tutto del figlio di Napolitano, tutto… me l’ha detto Michele… ha tutto in mano sul figlio di Napolitano”. Dove Michele, secondo i carabinieri, è Adinolfi.
Non è chiaro, dalla registrazione, cosa abbia in mano Capolupo.
Potrebbero essere parole in libertà ma una democrazia non tollera ombre.
Anche Giorgio Napolitano non esce bene dalle intercettazioni, come quella di una conversazione tra Fabrizio Ravoni, già al Giornale dei Berlusconi e poi a Palazzo Chigi con Berlusconi e Fortunato.
Il Noe definisce “interessante” la conversazione del 5 febbraio 2014 in cui il burocrate più potente ai tempi di Tremonti, “in contrasto con l’attuale governo Letta sente il bisogno di esternare circa un ruolo anomalo di Giulio Napolitano.
Il discorso — prosegue il Noe — parte da Fortunato che racconta a Ravoni le sue considerazioni sull’azione del Presidente della Repubblica, che avrebbe favorito provvedimenti favorevoli al figlio Giulio imponendo il rigore su altri: ‘Guarda è un uomo di merda io so’ convinto da tempo… prima ha fatto cadere questo poi ha spostato il rigore a parole perchè tra l’altro quando si trattava di far passare i provvedimenti per l’Università che gli stavano al cuore al figlio era il primo a imporci le norme di spesa ma comunque poi ha imposto a tutto il paese un anno di governo Monti al grido rigore, rigore, rigore…’”.
E il Noe ricorda che Napolitano jr. è professore ordinario a Roma tre.
Vincenzo Iurillo e Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
la replica di Giulio Napolitano
“Il Fatto Quotidiano di oggi riferisce di una conversazione da taverna fra una serie di persone, da me mai frequentate, le quali, per spiegare il loro mancato ottenimento di vantaggi e nomine sostengono che ciò sarebbe dovuto al fatto, risibile e assurdo, che io sarei “ricattato” o “ricattabile”
Nei nove anni di presidenza di mio padre ho sempre assunto un profilo pubblico e professionale volutamente in disparte, rifiutando moltissimi incarichi che anche indirettamente avrebbero potuto riverberarsi negativamente sulla attività e la immagine del presidente della Repubblica.
Tant’è che i commensali, nei cui confronti valuterò le azioni da intraprendere, non riescono ad evidenziare un solo fatto, evento, provvedimento che in qualche modo mi avrebbe favorito
Rimane una domanda di fondo: come sia possibile che conversazioni manifestamente irrilevanti, per la loro forma e il contenuto, siano potute entrare nella carte di un procedimento penale che riguarda tutt’altre vicende e da qui diffuse ad arte. Ma si tratta di malattia antica che va ben oltre il maldestro tentativo di gettare fango sulla mia persona”.
Giulio Napolitano
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DIETRO L’EX ESPONENTE SOCIALISTA
Nella nebbia che avvolge la falange di candidati per l’irto Colle orfano del sovrano, sono due le ombre che s’individuano meglio delle altre nella folla degli aspiranti presidenti.
La prima è quella dell’eterno Topolino della Casta al secolo Giuliano Amato, già craxiano e tante altre cose, oggi giudice della Corte costituzionale.
Quando ieri a Montecitorio si è propagata alla velocità della luce la notizia che Giorgio Napolitano era già al lavoro nel suo studio di senatore a vita a Palazzo Giustiniani (contrariamente alle previsioni che riferivano di qualche giorno di riposo dopo le dimissioni di mercoledì), il riflesso malizioso di molti è stato questo: “A Palazzo Giustiniani è stato inaugurato il comitato elettorale di Giuliano Amato”.
La lobby di “Topolino” e lo schema anti-Renzi
Non è mistero per nessuno che l’ex Re Giorgio consideri “Giuliano” come il suo erede naturale, al punto che l’eventuale successo di questa operazione avrebbe come titolo questo: “Ecco il Napolitano ter”.
La lobby amatiana è forte e composita.
Comprende Silvio Berlusconi, comprende il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore, comprende Massimo D’Alema, che pur di non darla vinta all’odiato premier avrebbe detto ai suoi fedelissimi di far recapitare a Silvio anche il nome di Paola Severino. Insomma, comprende quasi tutti, tranne Renzi.
Nel Pd delle minoranze si confida con un alto grado di attendibilità che le ultime sorprendenti uscite di Napolitano in favore di Renzi possano aver avuto come prezzo proprio questo: l’impegno del premier a eleggere un candidato autorevole e dalla fama internazionale.
E disponibili su piazza sono solo in due con questo profilo.
Uno è Romano Prodi, l’altro è Amato.
La strada per arrivare all’ex craxiano è semplice: imprigionare Renzi nel suo triplice schema mortale, riforme più Italicum più Quirinale, e metterlo spalle al muro, impallinando tutti gli altri candidati. Il calcolo prevede che si arrivi almeno al decimo scrutinio.
La supplica di Pier Luigi a Grillo
Ed è qui che il gioco dell’establishment incrocia la tattica della maggiore opposizione antirenziana del Pd, quella dei bersaniani.
Ieri, in una riunione volante di alcuni colonnelli di “Pier Luigi”, la supplica rivolta nei giorni scorsi a Grillo si è trasfigurata in una disperata e rabbiosa imprecazione: “Ma perchè Grillo è così coglione da non capire che se propone Prodi qui esplode tutto, a cominciare dal Nazareno?”.
Ma Bersani sa che i manganelli per bastonare Renzi sono due.
Oltre Prodi, c’è Amato appunto. Persino Stefano Fassina si sarebbe lasciato andare promettendo che non avrebbe “problemi” a votare Amato. Sintesi estrema affidata a un antirenziano autorevole: “Il premier si sta sempre più infilando in un cul de sac. E i deputati che controlla nel Pd non sono più di duecento. Se non rinuncia alla sua arroganza sarà una battaglia feroce. Certo il problema non si risolverà domani (oggi per chi legge, ndr) in direzione”.
Il dossier Delrio sull’ex demitiano della Dc
La seconda ombra più visibile delle altre che emerge dalla nebbia quirinalizia è quella di Sergio Mattarella, ex demitiano della sinistra dc, giudice costituzionale e fratello di Piersanti , presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nel 1980 (e di cui da poco è uscita la biografia scritta da Giovanni Grasso).
Il nome di Mattarella rimbalza con insistenza da due giorni e sono in tanti ad assicurare che il primo vero dossier istruito da Renzi riguardi lui.
A curarlo il sottosegretario Graziano Delrio.
Per i democristiani del Pd, Mattarella è diventata una speranza concreta dall’altra sera, quando a cena si sono ritrovati i deputati di Beppe Fioroni e il vicesegretario dem Lorenzo Guerini.
In quell’area non tutti però sarebbero d’accordo. In primis i cosiddetti franceschiniani. Loro vorrebbero Pierlugi Castagnetti ma qualcuno rivela che lo stesso “Pierluigi si sarebbe detto d’accordo su Mattarella”.
Il conto non torna e il sospetto è che i guastatori franceschiniani lavorino invece per il loro leader, oggi ministro della Cultura.
In ogni caso la pancia moderata del Pd è eccitata come non mai da mercoledì scorso, giorno delle dimissioni di Napolitano. E in Transatlantico si è pure rivisto Enzo Bianco, sindaco di Catania.
I veleni sul figlio e il derby della Consulta
A dimostrare che il nome di Mattarella sia una cosa seria è il fatto che cominciano a circolare le voci sul figlio Bernardo Sergio, professore di diritto amministrativo e soprattutto capo dell’ufficio legislativo del ministro alla Semplificazione Marianna Madia.
Sul sito del dipartimento della Madia, Bernardo Mattarella ha un curriculum di ben 73 pagine ma questo non ferma le illazioni su consulenze e stipendio d’oro da più di centomila euro annui.
Storie di Casta, di padre in figlio. In ogni caso su Mattarella ancora non c’è una risposta definitiva di Silvio Berlusconi.
E contro il siciliano c’è già il precedente del 2013. Sergio Mattarella fu infatti la prima scelta del Pd di Bersani. Solo dopo venne Franco Marini.
Quando l’allora segretario democratico chiamò B., questi chiese e ottenne di incontrarlo. L’impressione non fu negativa: “Mi avevano detto che lei era peggio della Bindi ma ora che la conosco mi rendo conto che non è così”.
Tuttavia non bastò e venne fuori Marini, poi fucilato dai franchi tiratori di Matteo Renzi, all’epoca minoranza.
Il primo vero derby tra candidati si gioca nel recinto della Corte Costituzionale. Amato contro Mattarella. Il primo è favorito. Anche perchè sarebbe una garanzia assoluta contro lo scioglimento anticipato delle Camere. Parola di Napolitano, senatore a vita.
Fabrizio D’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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