Febbraio 3rd, 2015 Riccardo Fucile
“STOP ALL’AUSTERITY, L’AMERICA TORNA A SPENDERE”
Il presidente Usa presenta la manovra finanziaria da 4.000 miliardi di dollari.
E offre una sponda a Tsipras: «Inutile spremere i paesi che sono nel mezzo della depressione».
«Dobbiamo tornare ad investire, ce lo possiamo permettere». È lo slogan con cui il presidente americano Obama ha presentato la sua legge di bilancio da 4 trilioni di dollari, che marca un cambio di direzione strategica: basta austerity, bisogna tornare a spendere per favorire la crescita.
Poi, quando la ripresa si sarà consolidata, ci saranno il tempo e le risorse per affrontare la questione del debito.
Una logica che il capo della Casa Bianca applica anche all’Europa, in particolare in riferimento alle recenti elezioni vinte da Syriza in Grecia: «Non puoi continuare a spremere i paesi che sono nel mezzo della depressione. Ad un certo punto, ci deve essere una strategia per la crescita, affinchè possano pagare i loro debiti ed eliminare una parte dei loro deficit».
La “finanziaria” di Obama prevede 428 miliardi di investimenti nelle infrastrutture, perchè l’America ha bisogno di rinnovarle, e perchè creano lavoro, consumi e crescita. Nello stesso tempo, offre agevolazioni fiscali alla classe media per 277 miliardi.
La legge di bilancio è il dettaglio di quanto il presidente aveva già annunciato durante il discorso sullo stato dell’Unione di gennaio, in cui aveva promesso di affrontare il problema della diseguaglianza economica.
Il capo della Casa Bianca, infatti, prevede di pagare le nuove spese con un aumento delle tasse per le grandi corporation, in particolare per i profitti all’estero, e per i cittadini più ricchi.
In più, la riforma dell’immigrazione che ha varato con i decreti esecutivi dovrebbe aiutare la ripresa e i conti pubblici, aprendo le porte a più lavoratori regolarizzati.
Il Partito repubblicano, che ha la maggioranza al Congresso e quindi controlla i cordoni della borsa, ha già criticato l’iniziativa di Obama e ha la possibilità di bloccarla in Parlamento.
Tra le sue proposte, però, il presidente ne ha inserite un paio che interessano anche ai suoi oppositori, come quella per sbloccare i finanziamenti della Difesa, e quella per lo sviluppo del infrastrutture.
Il capo della Casa Bianca ora spera di poter negoziare con i repubblicani dei compromessi che facciano passare almeno una parte delle sue proposte, altrimenti i suoi avversari dovranno spiegare agli elettori perchè hanno boicottato le iniziative a favore della classe media
Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa”)
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Dicembre 29th, 2014 Riccardo Fucile
NONOSTANTE I POTERI DIMEZZATI IL PRESIDENTE HA REAGITO: FIDUCIA DAL 45-48% DEGLI AMERICANI
I suoi poteri sono dimezzati. Ma il presidente ha reagito, ritrovando lo spirito del candidato dirompente che era nel 2008.
Negli ultimi due mesi ha varato una massiccia regolarizzazione degli immigrati. Ha portato la Cina a firmare un accordo fondamentale sui cambiamenti climatici. Infine ha clamorosamente aperto a Cuba.
L’opinione pubblica sembra aver colto il cambiamento.
Un sondaggio realizzato da Gallup il 19 dicembre, mostra che il gradimento per il presidente è salito dal 40% di inizio novembre al 45%. Meglio di George W. Bush: 37% alla fine del sesto anno di mandato.
Obama, però, resta ancora staccato da Bill Clinton, 67%, il riferimento moderno dei democratici.
Un’altra rilevazione, condotta dalla Cnn con la Orc, accredita un gradimento più alto a Obama: 48%.
I repubblicani e alcuni analisti indipendenti sminuiscono il risultato. Cuba, gli immigrati e la Cina non c’entrano nulla. Obama è solo fortunato, perchè i cittadini americani sono più bendisposti verso la Casa Bianca da quando la benzina costa due dollari al gallone (3,7 litri): la metà rispetto al 2008.
Il presidente non ha alcun merito, perchè non controlla il mercato petrolifero.
Il fiele degli avversari politici nasconde il timore concreto che il finale della Casa Bianca possa essere così travolgente da segnare la prossima campagna elettorale.
C’è chi indica nell’economia il passaggio decisivo. L’ultimo trimestre si è chiuso con lo squillante più 5% di crescita e solo nel mese di novembre si sono aggiunti oltre 300 mila posti di lavoro.
Se il trend resterà questo, Obama potrebbe raggiungere il picco toccato da Clinton.
Ma il presidente deve affrontare tante altre difficili prove, dalla questione razziale al terrorismo islamico.
Occasioni per confermare la leadership o per precipitare di nuovo nei consensi.
Giuseppe Sarcina
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 17th, 2013 Riccardo Fucile
E NEL PD CI SI CHIEDE QUALE RUOLO PROPORRE AL PROFESSORE IN CASO DI MAGGIORANZA ALLARGATA: SI PENSA ALLA FARNESINA
In politica nulla avviene mai per caso. Men che meno quando un uomo come Giorgio Napolitano, nella sua ultima visita ufficiale negli Stati Uniti, si prende la briga di “difendere” oltre Oceano Mario Monti dagli attacchi che riceve, ormai quotidianamente, “da chi prima l’ha appoggiato”.
Il Capo dello Stato, in realtà , ha voluto dare questo segnale di apprezzamento nei confronti del premier per un motivo molto preciso: rassicurare anche Obama che Monti avrà un ruolo importante anche nel prossimo governo.
Una rassicurazione “in chiave Fiat”.
RUOLO NEL GOVERNO
La questione è all’attenzione delle discussioni più interne a largo del Nazareno, quartier generale del Pd.
Per Monti è stato ipotizzato un ruolo di governo oppure la presidenza del Senato, non volendo Bersani commettere l’errore che fu di Prodi nel 2006, che dopo aver vinto le elezioni per una manciata di voti (24mila) si rifiutò di allargare la maggioranza concedendo al centro di Casini la guida di Palazzo Madama.
Anche stavolta, in verità , quella poltrona è ambita dallo stesso leader Udc, ma concederla a Monti significherebbe togliere al Professore qualsiasi velleità di partecipazione governativa.
Soprattutto evitare che si possa presentare con richieste “imbarazzanti” come il ministero dell’Economia o — peggio — dello Sviluppo economico.
Casomai, si dice al Nazareno, gli si potrebbe concedere la Farnesina, facendo di certo uno sgarbo a D’Alema, ma se non altro lo si terrebbe al riparo da un conclamato “conflitto d’interessi”.
Quale? Quello che, in qualche modo, è andato a difendere Napolitano con Obama: il ruolo della Fiat.
TUTELARE LA FIAT
Ebbene, Mario Monti, agli occhi degli americani e dei vertici della casa torinese, è l’uomo giusto per continuare a tutelare Fiat lasciandogli massima libertà di movimento.
Un governo con Monti dentro, insomma, difficilmente presserebbe oltre misura la prima fabbrica del Paese costringendola a restare saldamente sul territorio nazionale. E ad investire prevalentemente in Italia come invoca invece la Fiom Cgil.
Obama ha un interesse molto preciso in tutto questo gioco, anche se probabilmente non ne ha discusso in questa occasione con Napolitano semplicemente perchè non ce n’è bisogno: Fiat, alla fine del 2013, si è impegnata a comprare il 40% di Chrysler.
Se il nuovo governo dovesse cambiare rotta costringendo la casa torinese a riprendere in mano il progetto di “Fabbrica Italia”, lungamente sbandierato e mai decollato, per la Fiat diventerebbe impossibile tenere fede completamente agli impegni presi con gli americani.
Di qui il nuovo endorsement di Napolitano che non a caso, appena uscito dallo studio Ovale, non ha perso occasione per tessere le lodi di Monti.
Un segnale inequivocabile. Nel Pd masticano amaro, l’esistenza di un problema legato ad un presunto “conflitto d’interesse” di Monti con la Fiat viene sussurrato a mezza bocca, si evitano sapientemente giochi di seggiole e poltrone post elettorali quasi in modo scaramantico.
Ma l’evidenza è tale che poi diventa difficile negare che esista un problema.
D’altra parte, la “passione” di Monti per la Fiat emerge in modo palese anche dalla composizione della lista di Scelta Civica.
Se Luca Cordero di Montezemolo, presidente Ferrari, è il primo sponsor del Professore, tra i candidati ci sono figure come quella del patron della Brembo, Alberto Bombassei, primo fornitore dei freni della Rossa di Maranello e delle ammiraglie della Fiat.
Il dilemma dei democratici, insomma, non è di poco conto.
Il professore serve per l’alleanza nel caso in cui il Senato si riveli a rischio maggioranza, ma si esclude di potergli dare un ruolo di governo che metta pesanti ipoteche sulla futura “linea” di gestione economica del nuovo esecutivo.
A partire proprio dal comportamento da tenere con la Fiat.
La foto di Monti a Melfi, del resto, è forse la prova più pesante di questo intreccio e questo disturba non poco Bersani.
Che ai suoi avrebbe detto, con la sua consueta genuinità contadina, che “prima si pensa a far ripartire l’Italia, poi vediamo di far felici anche gli altri…”.
Ma chissà se Napolitano, al momento di dare l’incarico al prossimo premier, non metterà sul piatto interessi storicamente più importanti dei nostri anche sul suolo patrio…
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 9th, 2012 Riccardo Fucile
“MONTI STA MODERNIZZANDO L’ECONOMIA, AVANTI COSI’ SU CRESCITA E DEFICIT”…. OGGI ALLA CASA BIANCA INCONTRO TRA OBAMA E MONTI
«L’Italia sta facendo passi impressionanti al fine di modernizzare la sua economia»: il presidente americano Barack Obama parla in esclusiva con «La Stampa» a poche ore dall’odierno incontro con il premier Mario Monti nello Studio Ovale, esprimendo forte sostegno per le misure di risanamento adottate dal governo e delineando l’agenda dei rapporti con l’Europa.
Le parole di Obama testimoniano la convinzione che Monti sta guidando l’Italia verso i sacrifici necessari ed è un leader europeo con il quale discutere la comune ricetta di Usa-Ue per superare la crisi finanziaria.
A testimoniarlo è che Monti nell’intervista alla tv «Pbs» aveva auspicato martedì maggiori firewall finanziari per l’Eurozona «perchè mettendone di più grandi si riduce la possibilità di doverli usare» e Obama ora risponde «sono d’accordo», lasciando intendere la necessità di un maggior impegno della Germania.
Il presidente descrive America e Europa alleate per battere la crisi finanziaria, aiutare le svolte democratiche in Medio Oriente e Nord Africa, costruire la difesa missilistica Nato e sostenere la transizione afghana.
L’interesse americano per il risanamento italiano si deve alla convinzione che sia un passaggio cruciale per ridare stabilità all’Eurozona, scongiurando una nuova recessione negli Stati Uniti.
A conferma dell’attenzione nei confronti dell’ospite, Pennsylvania Avenue lo accoglie con un cerimoniale che prevede dopo l’incontro nello Studio Ovale che Monti parli alla stampa al Pebble Beach, davanti all’entrata della West Wing.
L’intervista che segue è un ulteriore gesto di attenzione nei confronti del nostro Paese perchè finora Obama non ne aveva mai concesse in occasione della visita di un premier italiano a Washington.
Partiamo dalla crisi dell’Eurozona. In più occasioni lei ha espresso la necessità di un’espansione dei «firewall finanziari per l’Europa». Ritiene che l’attuale cooperazione fra i governi di Germania, Francia e Italia vada nella direzione giusta?
«La situazione finanziaria in Europa sarà al centro dell’agenda con il primo ministro Monti nell’Ufficio Ovale. Come ho detto durante la crisi, credo che l’Europa abbia la capacità economica e finanziaria per superare questa sfida. Durante gli ultimi due anni, l’Europa ha compiuto un certo numero di passi difficili e cruciali per affrontare la crisi che cresceva. In Italia e in Europa i cittadini stanno compiendo sacrifici dolorosi.
Sotto la leadership del primo ministro Monti, l’Italia sta ora adottando passi impressionanti per modernizzare la sua economia, ridurre il proprio deficit attraverso una combinazione di misure su entrate e spese, riposizionando la nazione sul cammino verso la crescita.
Più in generale i governi europei si sono uniti nel riformare l’architettura dell’Unione europea. Una delle lezioni che gli Stati Uniti hanno appreso durante la nostra recente crisi finanziaria è stata l’importanza di dimostrare ai nostri cittadini, alle nostre imprese, e ai mercati finanziari che eravamo impegnati a fare ciò che serviva per risolverla.
Questo è il motivo perchè abbiamo chiesto con urgenza ai nostri partner europei di erigere abbastanza firewall finanziari per evitare che la crisi si diffondesse.
Sono d’accordo con quanto il primo ministro Monti ha detto: se l’Europa mette in atto firewall sufficientemente grandi si riduce la possibilità di doverli usare. Ciò che serve adesso è che tutti i governi europei dimostrino il loro impegno totale per il futuro dell’integrazione economica in Europa».
Perchè la soluzione della crisi del debito nell’Eurozona è così importante per gli Stati Uniti?
«È così importante perchè le nostre fortune economiche sono intrinsecamente legate e le relazioni con l’Europa sono una parte importante dei nostri sforzi per creare posti di lavoro e prosperità negli Stati Uniti.
L’Unione europea è il singolo più grande partner economico dell’America, e il commercio e gli investimenti fra noi sostengono milioni di posti di lavoro su entrambi i lati dell’Atlantico.
Le nostre banche e i nostri mercati finanziari sono profondamente connessi.
Quando l’Europa va bene questo è positivo per i posti di lavoro e le aziende in America.
Quando la crescita in Europa rallenta o i vostri mercati finanziari sono instabili, noi ne sentiamo le conseguenze, così come voi avete sentito l’impatto della crisi finanziaria americana quattro anni fa.
Più semplicemente, gli Stati Uniti hanno un enorme interesse nella crescita dell’Europa e nel successo dell’area dell’euro.
Questo è perchè mi sono consultato strettamente e ripetutamente con le mie controparti europee durante la crisi. Ho condiviso con loro le lezioni rilevanti della nostra crisi recente mentre erano impegnate a fronteggiare questa sfida.
Il mio incontro con il primo ministro Monti è l’ultimo passo di una cooperazione che continua.
Ho intenzione di riaffermare al primo ministro il messaggio che ho portato ai miei partner europei in precedenza, nel caso più recente a Cannes durante il summit del G20: gli Stati Uniti continueranno a fare la loro parte per sostenere gli amici europei nel loro impegno per risolvere la crisi.
Voglio solo aggiungere che si tratta di qualcosa che va oltre l’economia. Americani ed europei hanno un profondo legame di amicizia, forgiato in guerra e rafforzato in pace. Vogliamo davvero che l’Europa si riprenda e prosperi.
Inoltre, l’Italia è uno dei nostri più importanti alleati e operiamo assieme all’Europa in qualsiasi cosa che facciamo nel mondo. Quando l’Europa è forte, prospera e sicura noi assieme siamo più efficaci, e il mondo è più prospero e pacifico».
In maggio nella sua Chicago ospiterà il summit della Nato. Uno dei temi sarà la transizione in Afghanistan. Qual è il ruolo che l’Italia può avere nello scenario del dopo-guerra?
«L’Italia ha avuto un ruolo cruciale e centrale nella Forza di assistenza e sicurezza internazionale della Nato in Afghanistan, uomini e donne delle vostre forze armate hanno servito con coraggio e altruismo, così come hanno fatto i vostri diplomatici e esperti di sviluppo.
Assieme con i nostri partner afghani e la nostra coalizione di 50 nazioni, abbiamo compiuto progressi reali nel raggiungere gli obiettivi condivisi di sconfiggere Al Qaeda, spezzare l’avanzata dei taleban e addestrare le forze di sicurezza nazionali afghane affinchè l’Afghanistan possa assumere la guida della sua sicurezza.
Italiani coraggiosi hanno dato le loro vite per ottenere tali progressi e noi siamo grati del sostegno del popolo italiano a questa missione vitale.
Apprezziamo l’impegno dell’Italia a rispettare gli accordi raggiunti al summit di Lisbona del 2010 per sostenere un processo di transizione guidato dagli afghani che è iniziato lo scorso anno, che consentirà loro di avere la responsabilità della sicurezza entro la fine del 2014.
Aspetto di dare il benvenuto al primo ministro Monti e ai nostri colleghi capi di governo nella mia Chicago per il summit della Nato. Sarà un’opportunità per delineare la prossima fase della transizione in Afghanistan.
La partnership strategica di lungo termine che l’Italia recentemente ha firmato con l’Afghanistan è un’affermazione forte e benvenuta sull’estensione dell’impegno dell’Italia oltre il 2014, proprio come gli Stati Uniti stanno costruendo una partnership duratura con il popolo afghano.
Al tempo stesso, l’Italia e gli Stati Uniti si sono uniti al resto della comunità internazionale nell’offrire sostegno politico ad un processo di riconciliazione guidato dagli afghani che può contribuire a porre fine ad un’insurrezione che ha minacciato il popolo afghano e il resto del mondo per già troppo tempo.
Il summit di Chicago sarà anche un’opportunità per noi di consultarsi su altri temi dell’agenda Nato. La Nato è il pilastro dell’Alleanza transatlantica e della sicurezza europea.
Come l’intervento in Libia ha dimostrato, è anche un pilastro della sicurezza globale. Guardando in avanti, abbiamo bisogno di assicurarci che quando la prossima crisi inattesa si manifesterà , saremo pronti a rispondere.
Questo è il motivo per cui lo “Strategic Concept” della Nato sta preparando l’alleanza per le missioni e sfide del futuro.
Questo è il motivo del perchè i ministri della Difesa Nato recentemente hanno deciso di aggiornare le nostre capacità condivise di intelligence, sorveglianza e controllo. E questo spiega perchè quando ospiterò il summit in maggio, faremo passi importanti per assicurare che la Nato abbia le capacità necessarie per affrontare le sfide del nostro tempo, inclusi i progressi verso il sistema di difesa missilistica Nato».
La Primavera araba si svolge non lontano dalle coste italiane. Come possono i nostri Paesi essere d’aiuto ai nuovi governi arabi affinchè possano costruire società più stabili, libere e prospere?
«È stato un anno straordinario. In Medio Oriente e nel Nord Africa i cittadini si sono sollevati in nome della loro dignità e dei diritti universali. Le transizioni democratiche in Tunisia, Egitto e Libia sono in corso.
Assieme alla comunità internazionale abbiamo chiarito che l’orrenda violenza contro il popolo siriano deve finire e che Bashar Assad deve dimettersi così che una transizione democratica possa iniziare immediatamente.
Ognuna di queste nazioni affronterà esami politici e economici procedendo sulla strada della democrazia. Gli Stati Uniti e l’Europa condividono un profondo interesse nel successo di queste transizioni. Saranno i popoli della regione a determinare il loro futuro ma gli Stati Uniti e l’Europa possono e devono sostenerli in questo momento cruciale.
Per questo ho fatto del sostegno alle riforme politiche ed economiche nella regione una linea d’azione degli Stati Uniti. Continueremo a sostenere le riforme democratiche e puntiamo ad un pacchetto di riforme economiche e di partnership per aiutare queste nazioni ad affrontare le difficoltà economiche che sono anche alla base delle richieste di cambiamento.
Il sostegno internazionale può avvenire sotto molte forme, inclusi commercio e investimenti, assistenza tecnica per le elezioni, potenziamento della società civile e il sostegno fondamentale ai diritti universali. Grazie alla sua ricca esperienza storica in transizioni politiche, l’Europa ha un ruolo particolare da giocare.
L’Italia è stata una tenace promotrice dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto in queste nazioni e noi rendiamo omaggio a tali sforzi per sostenere transizioni che rispettino tali valori.
L’Italia ha inoltre dato contributi importanti al successo dei nostri sforzi per salvare vite e sostenere il popolo libico nel porre fine al regime di Gheddafi. Come ho detto in maggio, ci saranno pericoli che accompagneranno momenti promettenti ma sono sicuro che, con il vostro sostegno, vi saranno giorni migliori e di maggiore speranza per i popoli del Medio Oriente e del Nord Africa, che meritano gli stessi diritti e opportunità degli altri popoli del mondo».
Nel discorso che pronunciò a Berlino nel luglio del 2007 disse che “in questo nuovo secolo americani e europei dovranno fare entrambi di più, e non di meno”. Quali sono le nuove sfide comuni che abbiamo davanti?
«Viviamo in un’era nella quale i destini delle nazioni e dei popoli sono connessi come mai avvenuto prima. In un mondo dove le crisi finanziarie possono diffondersi rapidamente dobbiamo coordinare le nostre risposte, come abbiamo fatto al G-20, per assicurarci che la crescita globale sia bilanciata e sostenuta.
Le nuove minacce attraversano confini e oceani, dobbiamo smantellare i network terroristici e fermare la diffusione delle armi nucleari, affrontare i cambiamenti climatici, combattere la carestia e le malattie.
E poichè i cittadini rischiano le loro vite nelle strade del Medio Oriente e del Nord Africa, il mondo intero è in gioco nelle aspirazioni di una generazione impegnata a determinare il proprio destino.
Dobbiamo affrontare assieme queste minacce e sfide. Non c’è maniera migliore di farlo che attraverso la nostra alleanza con l’Europa, che è la più stretta e forte del mondo, radicata in storia e valori comuni.
Come ho detto spesso, la relazione dell’America con i nostri alleati e partner europei è il pilastro del nostro impegno nel mondo.
Lo abbiamo visto in Afghanistan, dove le nostre forze sono spalla a spalla. Lo abbiamo visto in Libia, dove la Nato ha fronteggiato la necessità assumendosi la responsabilità della protezione civile, dell’embargo di armi e della imposizione della no-fly zone.
L’Italia e le sue forze armate hanno avuto un ruolo vitale in queste missioni. La nostra partnership transatlantica è l’alleanza di maggiore successo e il più grande catalizzatore di azione globale. Sono determinato a fare in modo che resti tale».
Lei non ha antenati italiani ma, come ha detto intervenendo al gala della Fondazione italoamericana Niaf a Washington, è circondato da stretti consiglieri che ce l’hanno: da Leon Panetta a Janet Napolitano e il generale Raymond Odierno, dall’ex presidente della Camera Nancy Pelosi a Jim Messina e Alyssa Mastromonaco. Che cosa prova a lavorare circondato da tanti americani di origine italiana?
«Come presidente è un onore lavorare con così tanti colleghi e componenti dello staff con le radici in Italia. Sono gli ultimi di un lungo elenco di italiani-americani che hanno dato contributi durevoli alla prosperità e sicurezza dell’America, e sono orgoglioso di averne così tanti nel mio team.
Sono anche orgoglioso di lavorare assieme a così tanti leader politici italiani-americani di talento, come la mia amica Nancy Pelosi che ha fatto la Storia diventando la prima donna a presiedere la Camera dei Rappresentanti.
L’Italia può essere fiera del fatto che i suoi figli e le sue figlie continuano a dare contributi inestimabili al successo degli Stati Uniti e alla nostra partnership bilaterale. Ovviamente devo aggiungere che due persone come Danilo Gallinari e Marco Belinelli garantiscono un certo buon nome anche alla Nba».
Maurizio Molinari
(da “La Stampa“)
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Maggio 28th, 2011 Riccardo Fucile
LA MAGGIOR PARTE (IL 22,8%) E’ A BASE SESSISTA, POI CI SONO LA BLASFEMIA, L’OMOFOBIA, GLI INSULTI AGLI AVVERSARI… IL 15,8% CONTRO GLI STRANIERI, IL 7% CONTRO GLI EBREI, IL 12,3% BASATI SU UN EGO SOVRADIMENSIONATO
L’edizione francese dello Slate (il molto seguito magazine online americano, che pubblica notizie e commenti sull’attualità ) poco più di un mese fa ha pubblicato un lungo articolo sulle gaffe del nostro presidente del Consiglio. Con tanto di torte, grafici e tabelle, ha analizzato le poco felici uscite del premier dal 2000 al 2010, individuandone 44 “memorabili”.
Partendo da un assunto di base: “I giornalisti devono cominciare a prepararsi al vuoto che il Cavaliere lascerà ”, visto che non ci sarà per lui “un ultimo mandato”.
E dunque, ecco alcune di queste perle, che il dossier mette insieme.
Si va da considerazioni sul sesso femminile (“Ho scoperto qual è il punto G delle donne… l’ultima lettera di shopping”), alle accuse contro i giudici (“sono una metastasi”), passando per gli insulti agli elettori avversi (“ho troppa stima dell’intelligenza degli italiani per pensare che siano così coglioni da votare contro i loro interessi”) ai complimenti imbarazzanti ad Obama (“giovane, bello e abbronzato”), fino alle incredibili considerazioni su di sè (“Io sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, paziente, mi sacrifico per tutto il mondo”).
Al di là delle categorie, lo Slate fa anche una divisione delle occasioni prescelte dal premier per sfogare la sua particolare vena creativa: come destinatari privilegia i giornalisti (il 34%), o le sedi internazionali (il 19,1%).
Ma non disdegna i sindacati e i giovani (il 10,6%).
Oltre ovviamente alla campagne elettorali (l’8,5%).
Lo Slate fa anche una suddivisione per anni: il picco viene raggiunto nel 2009.
Da notare una cartina interattiva, con tutti i luoghi che il premier ha allietato con le sue figuracce: ovviamente l’Italia in pole position.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 27th, 2011 Riccardo Fucile
SILVIO TEME I RIFLESSI NEGATIVI CHE POTREBBE AVERE ALL’ESTERO UNA SCONFITTA ELETTORALE… E IN ITALIA SI APRIREBBE LA CORSA ALLA SUA SUCCESSIONE
Fino a pochi giorni fa Palazzo Chigi ha tentato in tutti i modi di ottenere il bilaterale col presidente degli Stati Uniti.
La mediazione dell’ambasciata italiana a Washington per ottenere quel faccia a faccia con Obama a margine del G8 che sarebbe stato trasformato dal Cavaliere in un mega spot a ridosso dei ballottaggi.
Ma la Casa Bianca quel bilaterale non lo aveva in programma e non lo ha concesso. Nasce anche dalla stizza di quel rifiuto – raccontano – il blitz con il quale il presidente del Consiglio Berlusconi ha giocato la carta della disperazione.
L’abbordaggio di Barack Obama in pieno vertice, mossa pianificata e ben congegnata, tutt’altro che estemporanea come le immagini tv d’altronde hanno dimostrato.
Il tentativo ultimo di salvaguardare quel che resta dell’immagine internazionale di un premier.
Silvio Berlusconi teme che la marea elettorale in arrivo travolga anche la sua credibilità all’estero.
«Ho una nuova maggioranza» annunzia allora al presidente Usa quasi per disinnescare le notizie che fra tre giorni varcheranno i confini.
Il premier avverte il rischio che tra poche ore, da lunedì, possa essere considerato una volta per tutte un’anatra zoppa dalle cancellerie.
Per lui sarebbe l’inizio della fine.
D’altronde, il giudizio maturato in seno alla diplomazia Usa sul presidente del Consiglio italiano è noto, già filtrato attraverso i cables di WikiLeaks pubblicati a febbraio.
Un premier che «con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata delle parole» ha offeso «quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader politico europeo» si leggeva nelle 30 mila pagine di documenti top secret.
E ancora, «la sua volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa e ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell’Italia».
Questo e altro nei cables carpiti da Assange.
Berlusconi si sente dunque sotto scacco al cospetto dei grandi, prova a suo modo a risalire la china, davanti alle telecamere.
Tanto più adesso che la piena elettorale è in arrivo e qualcuno in Italia già lavora a un governo tecnico, facendo leva anche sull’indebolimento internazionale.
Sa che la freddezza di Washington può diventare il vero detonatore della crisi. Soprattutto se la situazione economica dovesse evolvere negativamente e le richieste dell’Unione europea dovessero diventare più pressanti.
In Italia, in sua assenza, la missione di costruire argini è assegnata ai luogotenenti pidiellini.
«Comunque vadano i ballottaggi il governo andrà avanti–mette le mani avanti Gaetano Quagliariello – perchè avremo la maggioranza in Parlamento che ci consentirà di andare avanti».
Eccola la strategia, un governo che si prepara a blindarsi alla Camera e al Senato, forte dei numeri, per resistere al crollo di consensi fuori dal bunker.
Va da sè che in questa chiave il presidente del Consiglio non si sente affatto rassicurato dal Carroccio tornato minaccioso.
«Sono stanco dei personalismi dei nostri e dei distinguo dei leghisti» si lamentava anche ieri a margine del G8 di Deauville, la testa assai lontana dalla crisi economica internazionale, dalla primavera araba, dalla guerra in Libia e di tutti i dossier sul tavolo del vertice.
C’è altro a cui pensare, c’è Calderoli che suona la campana dell’ultimo avvertimento, c’è Bossi che prende di nuovo le distanze da una campagna «troppo nervosa».
Tutto questo per Berlusconi ha lo stesso effetto dei lampi che precedono il temporale. Preludio, intanto, di una sconfitta che lo stesso premier ritiene ormai pressochè inevitabile nella sua Milano.
Sta di fatto che Berlusconi ha deciso nelle ultime ore di campagna di tentare di salvare il salvabile. E puntare tutto su Napoli, puntare al «pareggio».
Di questa campagna elettorale comunque il Cavaliere si è già stancato. E non ne fa mistero.
Guarda oltre e non vede rosa: c’è tutto un mondo fino a ieri vicino che adesso marca platealmente le distanze.
La Marcegaglia denuncia i dieci anni sprecati, in cui il «Palazzo ha pensato ad altro» e per otto su dieci anni il governo lo ha avuto in mano proprio Berlusconi.
E poi c’è il fronte Pdl, sempre più instabile anche quello.
Per un Formigoni che già invoca le primarie e preannuncia la sua candidatura, c’è un fedelissimo, Cicchitto, che lo bacchetta ed esclude «qualsiasi passo indietro» del premier.
Ma sono tutte avvisaglie della slavina che da martedì minaccia di trasformarsi in valanga.
Lopapa Carmelo
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile
“L’INDEX OF ECONOMIC FREEDOM” PONE L’ITALIA AL 74° POSTO DIETRO LA GRECIA…”IL LIVELLO DELLE RELAZIONI ECONOMICHE BILATERALI E’ DELUDENTE”… LA DESTRA REPUBBLICANA CHE AVEVA RIPOSTO FIDUCIA IN BERLUSCONI HA DOVUTO RICREDERSI
Il nome di Ronald Spogli, designato da Bush ambasciatore in Italia e in carica a Roma per 4 anni (2005-2009), è ormai legato al ciclone WikiLeaks.
Portano la sua firma i primi dispacci che mettono in allarme il Dipartimento di Stato sui rapporti tra Berlusconi e Putin.
Come quello del gennaio 2009 sulla «torbida connection Berlusconi-Putin» e i sospetti di «profitti personali».
Oggi Spogli si guarda bene dal rievocare quei dispacci segreti, che hanno distrutto la confidenzialità di quattro anni di lavoro da ambasciatore.
Tornato all’ attività privata (è un investitore di private equity), non rinuncia però a criticare l’ Italia e il modo in cui è governata.
«Il livello delle relazioni economiche bilaterali con gli Usa – dice – è deludente, potrebbe essere molto più intenso».
E per quali ragioni le imprese americane non investono di più?
Spogli ricorda che «la crescita media dell’ economia italiana nell’ ultimo decennio è stata la più bassa di tutta l’ Ue, lo 0,5% di aumento annuo del Pil, è peggio perfino della media dei cosiddetti Pigs, è inferiore a Grecia e Portogallo».
Poi arriva l’ affondo decisivo. «Sul Wall Street Journal – dice Spogli – potete leggere tutti l’ Index of Economic Freedom. Ebbene, l’ Italia arriva al 74esimo posto in quella classifica, siete dietro la Grecia e poco avanti alla Bulgaria». La scelta di quell’ indicatore è significativa.
L’ Index of Economic Freedom misura quelle libertà economiche che contribuiscono a creare un ambiente favorevole alla crescita.
Lo elabora la Heritage Foundation di Washington, un think tank che è sempre stato vicino ai neoconversatori, oggi di nuovo in voga grazie all’ ideologia anti-statalista del Tea Party.
La pessima performance dell’ Italia nella pagella dei liberisti, pubblicata annualmente sul Wall Street Journal, rivela un altro fronte di sfiducia verso il governo Berlusconi.
Quando Spogli s’ insediò a Roma nel 2005 il clima era di forte benevolenza della destra americana nei confronti del leader del Polo.
Berlusconi era considerato come un alfiere della libertà d’ impresa, il leader che poteva portare in Italia le riforme strutturali.
Ben presto Spogli ha dovuto ricredersi, e con lui la destra repubblicana.
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Aprile 15th, 2010 Riccardo Fucile
NEL 1985 ERANO 65.000, ORA SONO 23.300, DI CUI SOLO 8.000 ATTIVE… SONO NOVE I PAESI CHE LE POSSIEDONO: I CINQUE STATI MEMBRI PERMANENTI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA, A CUI SI SONO AGGIUNTI INDIA, PAKISTAN, NORD KOREA E ISRAELE… E L’IRAN PUNTA A PRODURLE
Ogni tanto si fanno summit per cercare un accordo sulla riduzione delle testate nucleari, ma di fatto vi sono Paesi che, in barba a qualsiasi autorizzazione, le hanno costruite o le stanno costruendo.
Così, quasi per assurdo, se da un lato si può dire a ragion veduta che ci sono meno super bombe in circolazione, dall’altro non si può negare che le possiedano Paesi più pericolosi, anche in prospettiva.
Nel 1985 c’erano al mondo 65.000 testate nucleari, adesso si sono ridotte a 23.300, di cui solo 8.000 attive.
Quanto ai Paesi detentori, attualmente sono nove.
Cinque di questi sono i Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, in quanto vincitori della seconda guerra mondiale.
Sono i cinque Stati che hanno anche firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) il 5 marzo 1970, che stabiliva che armi atomiche le potevano possedere solo i cinque Stati che già le avevano a quella data, cioè loro. Vediamo nel dettaglio: gli Stati Uniti detengono ancora 9.400 testate, di cui 2.626 attive, la Russia ha 12.000 testate di cui 4.650 attive, il Regno Unito ha 185 testate, di cui 160 attive.
La Francia, potenza atomica dal 1960, ha 300 testate, tutte attive.
La Cina, potenza atomica dal 1964, ha 240 testate, di cui 180 attive.
Ci sono poi tre Paesi che possiedono la bomba atomica, senza aver mai aderito al Tnp.
Due non lo firmarono proprio: l’India, potenza nucleare dal 1974, con 80 testate di cui 60 attive e il Pakistan, potenza nucleare dal 1998, con 90 testate, di cui 70 attive.
La Corea del Nord invece, fornita di una decina di testate, uscì dal trattato nel 2003, proprio per poter fare il suo primo test nel 2006. Continua »
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Luglio 25th, 2009 Riccardo Fucile
SONO QUASI 34 MILIONI I CITTADINI AMERICANI CHE USANO LA LORO SOCIAL CARD PER ACQUISTARE 100 DOLLARI DI CIBO AL MESE.….IL 20% DEGLI STATUNITENSI FA RICORSO DURANTE L’ANNO ALMENO UNA VOLTA AI PROGRAMMI DI ASSISTENZA… SE QUESTO E’ IL MODELLO ULTRALIBERISTA DA SEGUIRE NE FACCIAMO VOLENTIERI A MENO
Da un lato colui che ha portato al fallimento la General Motors, Rick Wagoner, che per l’addio al gruppo dove ha lavorato come amministratore delegato per 32 anni, riceverà una liquidazione di 8,5 milioni di dollari, a partire dal 1 agosto.
Dall’altro lato il 10% dei cittadini Usa che vive di Food Stamps, una specie della nostra social card. Sono le due facce del Paese a stelle e strisce, modello economico di tanti nostri uomini politici che sbavano per essere ricevuti nei salotti capitalisti che contano.
Le lancette dell’orologio negli States sembrano essere tornate indietro di 60 anni, un picco analogo a quello che negli anni ’60 indusse il governo americano a lanciare la tessera annonaria, la Food Stamps per l’appunto.
Il primo campanello di allarme è suonato un anno fa nell’Ohio, dove una grossa fetta dei residenti riusciva ad arrivare a fine mese solo grazie alla tessera annonaria che consente di acquistare 100 dollari di cibo al mese a spese del governo federale.
I numeri dell’Ohio segnavano la drammatica cifra di 235.000 posti di lavoro persi, un milione di persone con in tasca la tessera e altre 500.000 che ne avevano fatto richiesta invano. Continua »
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