Marzo 30th, 2015 Riccardo Fucile
ANCHE BONIFICI ALLA FONDAZIONE, I REGALI DELLA COOP ROSSA A D’ALEMA CHE REPLICA: “NESSUN ILLECITO O BENEFICIO”
In una delle intercettazioni agli atti dell’inchiesta sulle tangenti a Ischia, Francesco Simone, dirigente della Cpl arrestato, chiama in causa Massimo D’Alema sottolineando la necessità di “investire negli Italiani Europei dove D’Alema sta per diventare Commissario Europeo” in quanto “…D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi ci ha dato delle cose”.
Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Amelia Primavera sottolinea, tra l’altro, che “per comprendere fino in fondo e per delineare in maniera completa il sistema affaristico organizzato e gestito dalla Cpl Concordia, appare rilevante soffermarsi sui rapporti intrattenuti tra i vertici della cooperativa e l’esponente politico che è stato per anni il leader dello schieramento politico di riferimento per la stessa Cpl Concordia, che è tra le più antiche cosiddette ‘cooperative rosse’, ovvero l’On. Massimo D’Alema”.
L’intercettazione ambientale in cui Francesco Simone parla di D’Alema con Nicola Verrini, responsabile commerciale di area della Cpl Concordia, risale all’11 marzo 2014.
Per il gip questa conversazione “appare di estremo rilievo”, “oltre che per il riferimento a D’Alema” e “ad alcuni appartenenti alle forze di polizia”, anche “per il modo in cui gli interlocutori distinguono i politici e le Istituzioni loro referenti, operando la netta ma significativa distinzione tra quelli che al momento debito si sporcano le mani, ‘mettono le mani nella merda’ e quelli che non le mettono, distinzione che appunto dice tutto a proposito del modus operandi della Cpl e dei suoi uomini”.
Secondo il giudice, il termine “investire” utilizzato da Simone (“…investire negli Italiani europei…”) “rende più che mai l’idea dell’approccio di Simone e della Concordia rispetto a tale mondo”.
In un passaggio successivo e relativo ad un’altra vicenda Simone afferma, “in riferimento sempre alla quota associativa da pagare ad un’altra fondazione (della quale , per ragioni investigative, si omette la denominazione): ‘…dobbiamo pagarlo perchè ci porta questo e chiudiamo questo, no venti ma anche duecento..'”.
La Cpl Concordia acquistò “alcune centinaia di copie dell’ultimo libro” di Massimo D’Alema “nonchè alcune migliaia di bottiglie del vino prodotto da una azienda agricola riconducibile allo stesso D’Alema”.
Lo sottolinea il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, definendo questa vicenda “significativa” La Cpl, emerge dagli atti dell’inchiesta, ha anche sponsorizzato la presentazione del volume “Non solo euro” dell’ex leader del Pd a Ischia, l’11 maggio 2014, con l’interessamento del sindaco Giosi Ferrandino, oggi arrestato. Francesco Simone, parlando al telefono con il sindaco, candidato Pd alle elezioni europee (risulterà primo dei non eletti con oltre 80 mila preferenze – ndr) sottolinea l’importanza dell’evento: “…sotto la campagna elettorale faremo una cosa…” e poi “..questo pure è un segnale forte che ti appoggia tutto il partito…”. “Ferrandino – scrive il gip – si mostra molto entusiasta”.
Il giorno precedente, sempre a Ischia, “la moglie di D’Alema ha presentato la sua produzione di vini”.
Di questo vino, la Cpl ne ha acquistate 2.000 bottiglie. È lo stesso Simone ad ammetterlo. “Confermo – dice agli inquirenti – che la Cpl ha acquistato 2.000 bottiglie di vino prodotte dall’azienda della moglie di D’Alema, tuttavia posso rappresentarvi che fu Massimo D’Alema in persona, in occasione di un incontro casuale tra me, lui, il suo autista e il presidente (della Cpl – ndr) Casari, a proporre l’acquisto dei suoi vini”.
Il gip – facendo riferimento ad una intercettazione in cui Simone, parlando con tale Virginia della Fondazione Italianieuropei, diceva che l’acquisto dei libri da parte della cooperativa “è un’eccezione” – annota: “visto il prezzo pagato dalla Cpl Concordia per ciascuna delle 2.000 bottiglie di vino acquistate (non si trattata sicuramente di un prodotto da somministrare in una mensa aziendale), si tratta evidentemente di un’altra delle ‘eccezioni’ cui faceva riferimento lo stesso Simone nel parlare dell’acquisto di libri”.
Il 20 novembre 2014, in una perquisizione presso la Cpl Concordia, gli inquirenti hanno sequestrato tre dispositivi di bonifici effettuati dalla cooperativa in favore della Fondazione Italinieuropei, ciascuno per l’importo di 20 mila euro; nonchè un ulteriore bonifico per l’importo di 4.800 euro per l’acquisto di 500 libri di “Non solo euro” di D’Alema.
Gli investigatori hanno recuperato anche due fatture per l’acquisto da parte della Cpl di due diversi libri scritti dall’ex ministro Giulio Tremonti, rispettivamente di 7.440 e 4.464 euro.
D’Alema: “Nessun illecito o beneficio”.
“Certamente ho rapporti con Cpl Concordia” ma “è un rapporto del tutto trasparente, che non ha comportato nè la richiesta da parte loro nè la messa in opera da parte mia di illeciti di nessun genere”: “non ho avuto alcun regalo” e “nessun beneficio personale”.
Così Massimo D’Alema, in relazione all’inchiesta della procura di Napoli.
“Dalla Cpl – continua l’ex premier – non ho avuto alcun regalo ed è ridicolo definire l’acquisto di 2000 bottiglie di vino in tre anni come un ‘mega ordine’, peraltro fatturato e pagato con bonifici a quattro mesi. Quanto ai libri, nessun beneficio personale, ma un’attività editoriale legittima, che rientra nel normale e quotidiano lavoro della Fondazione Italianieuropei. Inoltre, i libri furono acquistati per una manifestazione elettorale dedicata ai temi europei, alla quale fui invitato dal sindaco di Ischia, che era candidato del Pd”.
“La diffusione di notizie e intercettazioni – aggiunge D’Alema – che non hanno alcuna attinenza con le vicende giudiziarie di cui si occupa la procura di Napoli è scandalosa e offensiva. Ho dato mandato all’avvocato Gianluca Luongo di difendere la mia reputazione in ogni sede”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
DOVE LA BATTAGLIA SUCCESSIVA E’ SEMPRE QUELLA DETERMINANTE
Alfredo D’Attorre, uno dei duri che in direzione ha votato convintamente contro la proposta di Renzi, scomoda i classici: “Ho appena comprato una ristampa dei discorsi di Togliatti, un volume su “la guerra di posizione in Italia”. Ecco…”.
Ecco, cosa c’entra Togliatti col fatto che voterete la fiducia?
“Non sì può mica aprire una crisi di governo mandando per aria il paese. Quella di Civati è una guerra di movimento, che non porta da nessuna parte. Noi, invece, abbiamo ottenuto che il jobs act migliorasse. Ora passa al Senato, alla Camera chiederemo altri miglioramenti perchè le condizioni ci sono visto che Ncd non è determinante e che Sacconi qui non è presidente di Commissione. La guerra di posizione, appunto…”.
Pochi metri più in là c’è Pippo Civati, il movimentista. Entra e esce dal cortile, fuma come un turco, tra una telefonata e l’altra si ferma: “La verità è che Renzi rimarrà qua per i prossimi vent’anni grazie al contributo di quelli che lo odiano. Ora votano tutto. Potevano almeno dire: non votiamo la fiducia per costringere Renzi a un confronto sul testo. O no?”.
Transatlantico, è il giorno della grande resa della minoranza Pd sul jobs act. La resa, atto secondo. La minoranza Pd una settimana fa uscì in frantumi dalla direzione del Pd.
Ora in Parlamento si piega al decisionismo renziano.
I “civatiani” usciranno dall’Aula, non partecipando al voto. Forse. Sono cinque, sei. Alcuni già travagliati: “Aspetto il testo – dice Lucrezia Ricchiuti, senatrice civatiana – mi auguro di constatare passi in avanti per poter confermare la fiducia al governo”.
Ricapitolando: almeno sulla carta, nessun contrario all’interno del Pd. È mattino presto quando Pier Luigi Bersani, il grande accusatore del premier sul metodo Boffo, consegna ai suoi le nuove regole di ingaggio in vista del voto di domani al Senato: “La fiducia è una forzatura ma, mi raccomando, lealtà al governo. Con questa riforma si perde un’occasione, ma ci vuole responsabilità ”.
Già , “responsabilità ”. Perchè votare contro, spiega l’ex segretario del Pd, significherebbe aprire una crisi al buio, dagli esiti imprevedibili, si rischia l’esercizio provvisorio, insomma c’è il famoso bene del paese.
I ragionamenti politicisti vanno oltre il contenuto del jobs act.
Perchè il famoso “testo” della riforma che uscirà dalla penna del ministro Poletti e dei tecnici di palazzo Chigi, a metà pomeriggio, ancora non c’è.
Quindi ancora non si sa quali punti cari agli ex comunisti sono stati accolti nell’emendamento con cui il governo modificherà la delega base.
Il testo è il fantasma che si aggira per il Transatlantico. Mentre il voto di fiducia al governo è reale: “La fiducia — dice il barricadiero Stefano Fassina — non è mai stata in discussione. Ora aspettiamo il testo e vediamo”.
Già , il testo. Dalla crisi al buio alla fiducia al buio. Gianni Cuperlo appare tranquillo: “La fiducia non è in discussione. Ma non si profila mica una delega in bianco. Alla Camera ci sarà una discussione per migliorare il testo”.
È la guerra di posizione. O semplicemente una resa. In fondo, Matteo Orfini, cresciuto alla scuola tattica di D’Alema, l’ha letti subito i rapporti di forza.
Scusi Orfini, c’è una resa totale di Bersani&Co? “Francamente, non l’ho capito sin dall’inizio. Quando metti troppo in alto l’asticella…”.
I maligni sussurrano che le battaglie della vecchia guardia assomigliano alla “rivoluzione” della canzone di Giorgio Gaber: oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente.
Oggi c’è la fiducia, domani – in questo caso — ci sarà la legge di stabilità . Dove non c’è un euro per la crescita.
E, di fatto, nemmeno per gli ammortizzatori sociali: “E’ lì — spiega un bersaniano di rango — che si vedrà il bluff di Renzi. Perchè sull’articolo 18 alla fine si arriverà a un testo confuso in cui ognuno dirà che ha vinto. Ma la delega è a costo zero, non avrà effetti. A quel punto Renzi è a un bivio: o scrive la legge di stabilità che vuole la Merkel oppure assume la linea della Francia di sforamento e punta al voto”.
Un bivio, l’ennesimo, anche per i fautori della guerra di posizione.
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Settembre 29th, 2014 Riccardo Fucile
DURI INTERVENTI DI D’ALEMA “NON CI SONO SOLDI PER QUESTA RIFORMA” E BERSANI “QUI METODO BOFFO PER CHI NON LA PENSA COME TE”
La resa dei conti nel Partito democratico sul tema del lavoro va in scena alla direzione nazionale. Dopo i dibattiti sui giornali e a cavallo di Italia e Stati Uniti (dove Matteo Renzi era in viaggio nei giorni scorsi), è il tempo del faccia a faccia sul Jobs Act (qui il contenuto della riforma punto per punto).
Apre il presidente del Consiglio e lancia la sfida ai sindacati, senza escludere la possibilità di confronto.
La mozione della segreteria viene approvata con 130 voti favorevoli, 11 astenuti, 20 contrari. Un esito che il premier indica come il nuovo corso del Pd: “Noi oggi abbiamo detto con serenità che gli imprenditori sono dei lavoratori e non dei padroni e che la sinistra si candida a rappresentarli”.
E dà mandato al vicesegretario Lorenzo Guerini di trattare con la minoranza per un documento finale comune.
La mediazione alla fine salta, le minoranze votano in ordine sparso ma per il premier nulla cambia: a questo punto, intesa o meno, la direzione ha deciso e “da oggi tutti dovranno adeguarsi”.
Quindi, per quanto riguarda le discussioni interne al partito “sono belle anche quando non siamo d’accordo” però poi “alla fine si vota allo stesso modo in Parlamento. Scontro D’Alema-Renzi
Durante la direzione risponde dura la minoranza Pd, guidata da Massimo D’Alema che fa i conti in tasca all’esecutivo: ”Ho sentito frasi che hanno scarsa attinenza con la realtà . Non è vero che l’articolo 18 è un tabù da 44 anni perchè è stato cambiato 2 anni fa. Questa riforma costa più di 2 miliardi e mezzo e non bastano i soldi annunciati”.
Nel corso della direzione, oltre a D’Alema, interviene duramente anche l’ex presidente dem Gianni Cuperlo: “Non c’è un dominus nel Pd, si cerchi la sintesi”.
Il presidente del Consiglio nel suo discorso iniziale dimostra di non voler cambiare obiettivo, ma si dice disposto a modificare (seppur di poco) la strada individuata per ottenerlo.
E per questo si dice disposto ad un dialogo, anche con la minoranza democratica. La prima, importante novità è l’apertura di Renzi alle parti sociali: “Sono disponibile a riaprire la sala verde di palazzo Chigi per un confronto con Cgil, Cisl e Uil e tutti gli altri sindacati. Li sfido su tre punti: una legge sulla rappresentanza sindacale, il collegamento con la contrattazione di secondo livello e il salario minimo”.
La minoranza democratica, che resta almeno nei numeri una piccola parte di quelli che poi voteranno contro (o si asterranno) spara però a zero sul segretario Pd.
Se non fosse bastato il riscontro della “fattibilità degli annunci” di Massimo D’Alema (“Basta slogan”), arriva l’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani: “Noi non andiamo nel baratro per l’articolo 18, ma per il metodo Boffo. Qui se qualcuno vuole deve poter dire la sua senza problemi”.
Non è da meno Pippo Civati: “Su Rai 3 domenica sera ho visto un premier che diceva cose di destra, simili a quello che diceva la destra dieci anni fa”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 24th, 2013 Riccardo Fucile
IMBARAZZO NEL PD SULL’INELEGGIBILITA’, MA IL SEGRETARIO FRENA
«Certo, l’Abc della politica è che gli avversari vanno combattuti e sconfitti politicamente, detto ciò in questo momento abbiamo tutti molto più a cuore i problemi della crisi e dell’economia, quindi non ho neanche avuto modo di leggere le motivazioni della sentenza. Comunque sul nodo dell’eleggibilità sentirò i pareri dei membri della Giunta che dovranno pronunciarsi nel merito».
Guglielmo Epifani è consapevole che la sentenza di Milano pone un ulteriore problema a chi è costretto a condividere le sorti del governo con il Cavaliere, ma ai suoi interlocutori in queste ore fa capire quale sarà la linea che terrà il partito.
È una posizione che trova d’accordo anche i più anti-berlusconiani come Rosy Bindi, che pure non fanno mistero di quanto sia difficile portare la croce delle larghe intese. Una linea che già è stata espressa dal capogruppo alla Camera Roberto Speranza, mentre il suo omologo al Senato, Luigi Zanda, ha più volte chiarito di aver personalmente sempre ritenuto che Berlusconi fosse ineleggibile.
E quindi, se un fedelissimo di Enrico Letta come il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia si augura che la sentenza di Milano non abbia «ripercussioni sul governo», è ben comprensibile la cautela del segretario che sa di muoversi su un crinale delicatissimo: nel suo partito l’imbarazzo si taglia a fette, ancor più di fronte alla lettura delle motivazioni della sentenza sui diritti Mediaset, che per i 5Stelle «rafforza la necessità che sia dichiarato ineleggibile», come sostiene la capogruppo Roberta Lombardi.
Detto questo, Epifani non teme di finire nel mirino dei grillini su un voto delicato come quello che si prospetta di qui a qualche settimana nella Giunta per le elezioni del Senato.
«Perchè dico sempre che noi dobbiamo mantenere una nostra identità e un partito serio fa così senza farsi trascinare nelle polemiche».
Insomma, si tratta di un «problema affrontato altre volte e in ogni cosa va mantenuta una certa coerenza, si sa che fanno giurisprudenza i pareri già espressi in passato».
Nel merito, Luciano Violante, già presidente della Camera negli Anni 90, fa notare infatti che una cosa è l’ineleggibilità di cui si parla a proposito di Mediaset, altra cosa sarebbe una condanna eventuale della Cassazione, che comporterebbe cinque anni di interdizione dai pubblici uffici: sono due problemi ben diversi, perchè rispetto alla legge sull’ineleggibilità dei titolari di concessioni dello Stato, siccome il titolare non è lui, noi ci siamo sempre comportati nello stesso modo ogni volta, dal ’92 al 2008. E se la coerenza di un partito è il fondamento della sua credibilità , bisognerebbe essere coerenti anche questa volta».
Ma tra i senatori la fibrillazione sale e l’ex magistrato Felice Casson, uno dei nove membri che il Pd annovera nella Giunta per le elezioni, fa notare subito che «ora ci sono fatti nuovi che vanno valutati bene: e a chi in questi giorni sosteneva che non c’ era nulla di nuovo sull’ineleggibilità , invito a leggere le motivazioni della Corte».
A dare un’ idea di quanto i Democratici siano in affanno è la Bindi, perchè «certo, il problema dell’ineleggibilità si pone e ogni fatto che ci rimette davanti alla contraddizione di Berlusconi rende più difficile e complicato tutto, sia la tenuta del governo, che le decisioni da assumere».
Ma la «pasionaria» del Pd se la prende con i «falchi» del Cavaliere, in quanto «non sono solo le motivazioni particolarmente eloquenti, dove il conflitto di interessi è fotografato nella sua forma più odiosa, bensì gli attacchi alla magistratura che minano la stabilità ».
Comunque sia, «è inutile girarci attorno, dal punto di vista politico Berlusconi è in una posizione di ineleggibilità ».
E se Nicola Latorre sostiene che «va fatta con urgenza una legge sul conflitto di interessi», la Bindi conviene che «il vero problema è questo: non abbiamo avuto la forza di rimuovere un macigno nella vita democratica del paese e questa responsabilità ce la trascineremo dietro».
Carlo Bertini
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Aprile 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI FIRENZE FINIRA’ INCORONATO DALLA VECCHIA GUARDIA DALEMIANA E POPOLARE COI GIOVANI TURCHI… LA SINISTRA DI BARCA HA POCHI SPONSOR
A Matteo Renzi la premiership, meglio se passando prima per la leadership del Pd.
A Massimo D’Alema, e i pochi maggiorenti non scottati dai sei scrutini per il Quirinale, il ruolo di king maker del nuovo astro fiorentino e magari un posto al sole in collina per coronare la carriera.
Questo è quanto si profila sulle macerie del Pd; sempre ammesso che il partito di largo del Nazareno riesca a superare indenne la formazione del governo.
Il sindaco di Firenze sarà incoronato precisamente dai 101 franchi tiratori, che hanno silurato nell’urna Romano Prodi: un asse tra vecchia guardia dalemiana e popolare coi giovani turchi e non solo.
Il resto, la sinistra di Fabrizio Barca o altrimenti intesa, o si aggrega al carro del sindaco e dei suoi numi tutelari oppure può anche far fagotto; come si è già capito non dispiacerebbe ai reniziani più oltranzisti.
Una manovra che passerà per il prossimo congresso del Pd, in calendario per l’autunno, e le successive elezioni politiche.
Elezioni che, su esplicita richiesta di Napolitano, i partiti si sarebbero impegnati a svolgere il prossimo anno con una nuova legge, in modo da concedere al presidente di accomiatarsi come desidera, ma che potrebbero facilmente slittare al 2015, considerato che nel giugno del prossimo anno si votano già amministrative e europee — un genere di consultazione capace di rinvigorire istinti di separazione tra socialisti e popolari nel Pd —, all’indomani delle quali l’Italia sarà per 6 mesi alla guida dell’Unione.
DA “ROTTAMATORE” A “RIFONDATORE”
Con una lunga intervista a Repubblica il sindaco “rottamatore” si propone oggi per “rifondare” un Pd versione 2.0, esortando a non “inseguire” Grillo (“Dice delle castronerie incredibili”), per giunta in alternanza col Cavaliere, ma piuttosto a intervenire di petto sul finanziamento pubblico della politica e a ripartire dall’emergenza “lavoro”.
Per Renzi il Pd dovrebbe mettere “la faccia” sin dal prossimo governo, che a suo avviso non deve durare più di un anno per mandare poi al voto con una nuova legge elettorale.
Quanto poi alla sinistra di Fabrizio Barca, o si aggrega al carro del sindaco e dei suoi redivivi numi tutelari oppure può anche far fagotto; come non dispiacerebbe alla sinistra di Sel, propensa a aggregare una formazione in scia a Barca già in corso di legislatura.
Vigenti le dimissioni dalla segreteria di Pierluigi Bersani “da un minuto dopo” l’elezione di Napolitano alla successione di se stesso, martedì è convocata la direzione del Pd per definire la composizione del comitato cui sarà affidata la “reggenza” del partito, nonchè la delegazione incaricata di svolgere le nuove consultazioni per la formazione del governo.
La direzione dovrà inoltre stabilire l’indirizzo politico da affidare agli incaricati delle consultazioni, ma si tratterà certamente di un mandato ampio rimesso per intero alla “saggezza” e le determinazioni del presidente.
GOVERNO CANCELLIERI
Per cominciare, però, il Pd deve riuscire a doppiare lo scoglio del governo.
Il motivo per cui le proteste per l’elezione di Napolitano hanno visto andare in cenere tessere del partito è legato al sospetto che il capo dello Stato abbia posto come condizione per la propria rielezione anche la formazione di una maggioranza di governo di larghe intese.
E, quali che siano i giudizi sulla decisione di Napolitano, le larghe intese vanno di traverso a una gran parte della base democratica. Ma così è.
“Chiusa la stagione Monti”, come riconoscono i più, il capo dello stato affiderebbe volentieri il governo a Giuliano Amato; che peraltro vedeva bene anche come proprio successore.
Ma sul dottor sottile il Carroccio non sente ragioni, e il Cavaliere non fa un passo senza l’alleato leghista.
Berlusconi vorrebbe un governo con esponenti politici di tutti i partiti, a cominciare dal segretario Angelino Alfano.
Il Pd, al contrario, ha bisogno della minore visibilità possibile nell’esecutivo.
Anche l’ipotesi che il vicesegretario Enrico Letta possa andare a palazzo Chigi, quindi, non è così scontata.
Tanto per cominciare i renziani imputano a Letta di “avere le medesime responsabilità di Bersani”, come osserva da Firenze il fedelissimo Erasmo D’Angelis.
E “semmai Letta dovrà prendere la reggenza in qualità di vice”, nota un altro fiorentino, ma dalemiano, come Michele Ventura.
La guida del governo potrebbe perciò essere assunta da Anna Maria Cancellieri, che per il Pd è sicuramente la candidatura più indolore.
A quel punto i partiti potrebbero essere rappresentati nel governo dai saggi, come Luciano Violante e Gaetano Quagliariello, oppure da altri esponenti lontani da ruoli dirigenti.
RISCHIO SCISSIONE SULLA FIDUCIA
Non è impossibile che il Pd si divida già sulla fiducia al governo.
E’ l’accelerazione che probabilmente si augura anche la sinistra vendoliana di Sel dopo aver sostenuto all’ultimo scrutinio la candidatura di Stefano Rodotà , vagheggiando già in corso di legislatura la formazione di uno spicchio di emiciclo alla sinistra del Pd e aperto al dialogo coi 5 stelle come sul nome di Rodotà .
Sennonchè il partito si è ricompattato su Napolitano, lasciando solo 10 voti al giurista, per quanto Fabrizio Barca avesse dato voce alle perplessità definendo “incomprensibile” il fatto che il partito non sostenesse Rodotà o Emma Bonino.
Le parole del ministro sono risultate intempestive anche agli occhi di chi guardava a lui con l’obiettivo di formare una componente si sinistra interna al partito.
Gli unici a compiacersene sono appunto i renziani. “Potrebbe addirittura nascere una formazione di sinistra che unisca Vendola, l’area Ingroia e la parte più grillina della sinistra Pd — si augurano i fedelissimi del sindaco — rendendo così possibile la vera nascita di un Pd riformista e innovatore”.
L’idea di separare “i merli con i merli e i passeri con i passeri”, come disse Armando Cossutta annunciando la nascita del Prc, serpeggi già da un po’ nel Pd.
E le europee del 2014 potrebbero essere l’occasione perchè le famiglie politiche eterogenee che compongono il Pd tornino alle rispettive case socialista e popolare.
Tuttavia non è facile come sembra che le politiche si svolgano in concomitanza con le europee. E’ più probabile che la data slitti di un anno.
Senza contare che gli ex pci superstiti nel Pd ormai sono i primi in fila per affiliarsi a Renzi.
RENZI SEGRETARIO, D’ALEMA PRESIDENTE?
Lo sganciamento della sinistra è semmai quel che si augura il sindaco di Firenze, convinto da sempre di non poter tentare la scalata a palazzo Chigi a prescindere dal Pd e ora anche dai maggiorenti, come D’Alema e gli ex popolari, che ha cercato di “rottamare” con meno successo di quanto apparso.
Perchè sono proprio loro che, dopo averlo stoppato, adesso si propongono di portare Renzi alla guida prima del partito e poi del governo.
Magari per avere in cambio dopo il voto l’elezione al Quirinale di D’Alema, un laico rispetto al cattolico Renzi, l’unico nome, insieme a Amato, sui cui il sindaco ha detto “non ci sono veti”. L’aveva detto il fedelissimo Matteo Richetti che il siluramento di Prodi fosse “anche un segnale contro Renzi”.
E lo confermano tutte le analisi: “I 101 contro Prodi sono stati un voto scientifico contro Matteo Renzi”, calcola il deputato fiorentino Filippo Fossati.
Dunque i voti delle componenti ex popolare e ex comunista, dalemiani in primis, che insieme ai giovani turchi e non solo avrebbero così inteso dimostrare al sindaco di Firenze che senza il loro benestare l’ascesa al Pd non ha speranza.
LA REGGENZA E IL CONGRESSO
Adesso la parola passa al congresso. “Da un minuto dopo” la rielezione di Napolitano sono infatti divenute effettive le dimissioni di Bersani.
Sulla carta la reggenza passa al vice Letta, al quale si imputano non meno responsabilità che al segretario e che dovrebbe perciò prendere l’onere di reggere il partito anzichè l’onore di guidare il governo.
Anche la presidente Rosi Bindi è dimissionaria, potrebbe comunque essere convocata l’assemblea di circa 3mila persone per eleggere un segretario provvisorio o affidarsi a Letta per traghettare il partito al congresso, come accadde con Dario Franceschini dopo le dimissioni di Walter Veltroni.
A meno che non si decida di chiedere a Bersani di restare fino a ottobre.
Ne discuterà una direzione che sarà convocata già martedì, visto che occorrerà discutere anche e sopratutto del governo e della maggioranza. Poi, appunto, il congresso.
Le procedure prevedono la convocazione di una direzione che stabilisca la data entro cui chiudere il tesseramento, poi vanno convocati i congressi di circolo per le candidature e si tiene una convenzione che stabilisce la data delle primarie.
Da lì occorrono 20 giorni per formare le liste: quelle in cui le diverse componenti — dai dalemiani agli ex popolari ai giovani turchi — sosterranno la candidatura di Renzi alla leadership.
Cosimo Rossi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
UNA PENSIONE DI INVALIDITA’ DI 7.000 EURO OLTRE ALLO STIPENDIO
Lunga vita ad Alberto Sarra.
Ma è giusto che riceva dalla Regione Calabria un vitalizio di invalidità di 7.490,33 euro al mese, dieci volte più alto di quei portatori di handicap che non sono neppure in grado di soffiarsi il naso?
Ed è giusto che accumuli un’altra indennità come sottosegretario regionale nonostante risulti disabile al 100%?
Chiariamo subito: il pensionato-sottosegretario ha, come paziente, tutta la nostra solidarietà .
Reggino, avvocato, 46 anni, da sempre amico, compagno di basket e camerata politico del governatore Giuseppe Scopelliti, già consigliere e assessore provinciale di Reggio, criticato da alcuni giornali locali per avere accettato la difesa di personaggi in odore di ‘ndrangheta, Alberto Sarra fu colpito nei primi giorni del 2010, quando stava scadendo il suo mandato di consigliere regionale, da uno choc emorragico.
Salvato grazie a un delicato intervento chirurgico, si perse le elezioni di marzo.
Tre mesi dopo, visto che era in forma, l’amico Scopelliti lo nominava già sottosegretario regionale alla presidenza, una ridicola carica da retrobottega politico inventata dalla precedente giunta sinistrorsa di Agazio Loiero, mantenuta dal centrodestra e destinata ad essere abolita al prossimo giro proprio perchè insensata.
Da allora, l’archivio dell’Ansa trabocca di notizie su di lui: 156 dispacci.
Lui che incontra i presidenti delle Comunità montane.
Lui che presiede conferenze dei servizi sulle frane.
Lui che inaugura nuove strade. Lui che si occupa dei consorzi industriali.
Lui che riceve l’ambasciatrice cubana in Italia.
Lui che cerca di risolvere il nodo dei forestali.
Insomma, instancabile.
Si sa com’è: governare una Regione è una faticaccia. Come dice Roberto Formigoni, «per fare politica, ci vuole un fisico bestiale».
Contemporaneamente, mentre gli amici si congratulavano per il suo attivismo, il dinamico sottosegretario avviava le pratiche per farsi riconoscere invalido al lavoro. Finchè il 13 giugno scorso, mentre lui era impantanato nelle trattative sulla forestazione, una commissione di cui faceva parte il suo cardiologo di fiducia Enzo Amodeo, dichiarava che «considerata la patologia – aneurismi dei grossi vasi arteriosi del collo e del tronco complicati da dissezioni della aorta torico-addominale – si ritiene l’avvocato Alberto Sarra permanentemente inabile a proficuo lavoro».
La settimana dopo, record mondiale di velocità burocratica, l’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale riconosceva al sottosegretario l’«inabilità totale e permanente dal lavoro».
Poche settimane d’attesa e il Bollettino Ufficiale, come ha raccontato Antonio Ricchio sul Corriere della Calabria, pubblicava la Determinazione 439 che concedeva a Sarra un assegno mensile di 7.490,33 euro «al lordo delle ritenute di legge, a titolo di vitalizio, con decorrenza dal 7 gennaio 2010».
Per capirci: gli riconosceva gli arretrati per un totale di 30 mesi pari (stando a quei numeri) a circa 225 mila euro.
Cioè quanto un normale disabile totale e permanente, uno che non solo non è in grado di ricevere l’ambasciatore bielorusso ma magari neppure di portarsi il cibo alla bocca, prende in 24 anni e mezzo.
Ricordate la storia che abbiamo raccontato mesi fa di Giulia, la ragazza padovana con «insufficienza mentale medio-grave in paraparesi spastica»?
Per permetterle di vivere seguendola 24 ore al giorno il padre e la madre Gloriano e Mariagrazia, obbligata a lasciare il lavoro per dedicarsi solo alla figlia, ricevono una pensione mensile lorda di 270,60 euro più un’indennità d’accompagnamento di 487,39 per un totale di 757 euro e 99 centesimi.
Un decimo.
«E di casi così in Italia, di persone che dipendono dai familiari in tutto e per tutto, ce ne saranno almeno centomila», spiega Pietro Barbieri, presidente della Fish, la federazione italiana delle associazioni di sostegno all’handicap.
«Sia chiaro: se Sarra non è più in grado di lavorare, è giusto che l’invalidità gli sia riconosciuta. Ma nessuno nelle sue condizioni, in Italia, ha mai visto un vitalizio con delle cifre simili. Nessuno».
Di più: quel vitalizio stratosferico rispetto ai trattamenti miserabili concessi agli altri invalidi totali che non fanno parte del mondo dorato della politica, va a sommarsi con l’indennità e le altre prebende riconosciute ai sottosegretari regionali calabresi.
Per carità , non ci permetteremmo mai di sottovalutare i problemi avuti dall’esponente pidiellino.
Anzi, che abbia trovato la forza per riprendersi è una cosa che non può che rallegrare noi e tutti i cittadini.
Ma c’è o non c’è una contraddizione tra quella invalidità assoluta e permanente a ogni lavoro e la sua permanenza ai vertici del governo di una regione italiana?
E sono accettabili quelle cifre in un paese come l’Italia che dal 2008 al 2013, come dice un’analisi di Antonio Misiani, ha visto il Fondo per le politiche sociali precipitare nelle tabelle degli stanziamenti da 929,3 milioni di euro a 44,6?
Come possono capire i cittadini calabresi, sapendo che la loro regione risulta essere, stando ai dati Istat, l’ultima delle ultime per stanziamenti nell’assistenza e nell’aiuto alla disabilità ?
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Novembre 26th, 2009 Riccardo Fucile
PERSINO “LIBERO” PARLA DI UN “PERICOLOSO AUTOGOL DEL GOVERNO” E DI UNA “CLAMOROSA MARCIA INDIETRO”… IL PROBLEMA E’ FARE PROMESSE A VUOTO E NON MANTENERLE MAI… ASPETTARE LE ENTRATE DELLO SCUDO FISCALE CERTIFICA SOLO UNO STATO ACCATTONE CHE ATTENDE LA MANCETTA DAGLI EVASORI
Ormai è stato chiarito: nella legge finanziaria non è prevista alcuna riduzione dell’Irap, dell’Irpef e nemmeno la cedolare secca sugli affitti.
In pratica il governo non intende operare alcun taglio alle tasse, smentendo quello che aveva annunciato poche settimane fa.
Lo avevamo ampiamente previsto, attirandoci le solite critiche di “inguaribili pessimisti”: era evidente a chiunque che quelle promesse inattuabili non avrebbero mai dovuto essere fatte.
Oggi leggiamo che non siamo improvvisamente più soli , nell’area di centrodestra, a esprimere critiche al modus operandi del governo.
Ecco cosa scrive Maurizio Belpietro su “Libero”: “Il problema non è la cancellazione di un singolo provvedimento, bensì la negazione di un programma politico sulla base del quale si è chiesta la fiducia degli elettori…Berlusconi le elezioni le ha vinte promettendo di diminuire le imposte, non certo annunciando il ponte sullo Stretto, le ha vinte cavalcando l’aspettativa di un cambiamento radicale rispetto a chi c’era prima e che sfilava nottetempo i soldi dalle tasche dei contribuenti”.
Conclude Belpietro: “Adesso che qualche segnale di ripresa dalla crisi si intravede, non mantenere la promessa è un errore grave”.
E a chi sostiene che “non ci sono soldi”, Belpietro ricorda la battaglia per l’abolizione delle Province e la necessità dell’innalzamento dell’eta pensionabile.
Cerchiamo di andare per ordine: se un padre di famiglia ha a malapena la possibilità di far coniugare ai figli il pranzo con la cena, non promette certo loro per Natale le vacanze a Cortina.
A maggior ragione un governo serio dovrebbe evitare continue sparate propagandiste senza dar poi mai seguito a nulla.
Secondo quesito: è vero o no che in cassa non c’è un euro?
E’ verissimo, tanto che per racimolare 3,8 miliardi si deve fare la figura dello “Stato accattone” che si mette all’angolo della strada e spera entro Natale che i ricchi supervasori mettano nel cappello qualche banconota. Continua »
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Novembre 25th, 2009 Riccardo Fucile
DUE SENATORI PRESENTANO UNA PROPOSTA PER GARANTIRE MINIMI DIRITTI A 300.000 COPPIE DI FATTO: SEPARAZIONE BREVE E PENSIONE DI REVERSIBILITA’…. I CAPICASERMA DEL PDL: “INACCETTABILE, PRIMA IL QUOZIENTE FAMILIARE”… E PERCHE’ NON LO FATE? IL QUOZIENTE ERA NEL PROGRAMMA, LE LEGGI AD PERSONAM NO
Diritti alle coppie di fatto da inserire in Costituzione, separazione breve per i coniugi senza figli minori e pensione di reversibilità anche per i conviventi. Due senatori del Pdl, Ida Germontani, di area finiana, e Salvo Fleres, forzista di area laico-repubblicana, hanno presentato tre disegni di legge per legittimare le 300.000 coppie italiane che oggi convivono senza matrimonio. Ma due ore prima della conferenza stampa di presentazione a Montecitorio, arrivano, come a Teheran, le guardie della rivoluzione ( peraltro mai fatta) in moto, nelle vesti dei capigruppo-colonnelli del Pdl che bloccano tutto.
I due senatori vengono chiamati a rapporto dai due rispettivi capimanipolo, Gasparri e Quagliarello, che li sottopongono al “processo interno”, contestando loro la mancata comunicazione dell’iniziativa, come se un parlamentare dovesse chiedere loro il permesso per svolgere i compiti per cui è stato eletto dagli italiani.
I due capigruppo a quel punto ricordano che “in campagna elettorale abbiamo promesso il quoziente familiare, per essere credibili dobbiamo realizzarlo e aiutare la famiglia tradizionale, prima di riconoscere diritti ad altre forme di unione”.
Concordiamo: non siete credibili, di quoziente familiare ne parlate da anni durante le campagne elettorali, non avrebbe certo un costo devastante e aiuterebbe più equamente le famiglie con figli a carico, ma poi ve ne dimenticate.
Salvo usarlo come alibi ridicolo: prima il quoziente familiare? E fatelo, siete voi al governo, non altri. Chi cazzo lo deve approvare? Continua »
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Settembre 2nd, 2009 Riccardo Fucile
A SEI MESI DALLA “FUSIONE A FREDDO”, SOLO IN UNA REGIONE SU TRE IL PDL E’ DIVENUTO REALTA’ CON UN UNICO GRUPPO IN CONSIGLIO… NEGLI ALTRI FORZA ITALIA E AN MARCIANO ANCORA DIVISI: LOTTE INTESTINE E DOPPIO RIMBORSO ALL’ORIGINE DEL RITARDO
Forza Italia e Alleanza nazionale non sono poi un così vago ricordo: in ben 14 regioni su 20, infatti, a distanza di sei mesi dai rispettivi congressi di scioglimento e dalla successiva “fusione a freddo” tra lacrime (poche) e tripudi (anch’essi scarsi), il “gruppo unico” è ancora un fantasma del castello. Si aggira per i corridoi delle sedi regionali, ma non si manifesta direttamente.
In due terzi delle regioni, berluscones ed ex missini viaggiano separati, nonostante gli imput dall’alto, con relativi gruppi consiliari, segreterie e portaborse.
Il sistema adottato da molti è aver denominato i rispettivi gruppi con la sigla “Forza Italia verso il Pdl” oppure “An verso il Pdl”, ma se tale dicitura poteva avere un senso prima dello svolgimento dei rispettivi congressi di scioglimento e la successiva nascita del Pdl, che significa oggi andare verso qualcosa che già esiste da sei mesi?
O ci vai o non ci vai, direbbe un cittadino avulso dal politichese.
Le regioni dove i gruppi sono ancora distinti sono tante: Liguria, Calabria, Basilicata, Molise, Campania, Marche, Umbria, Toscana, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Lazio. Proprio nel Lazio la sostituzione recente del capogruppo di “Forza Italia verso il Pdl” ha evidenziato il momento di difficoltà : invece di cogliere l’occasione per fare gruppo unico, ci si è limitati ad un normale avvicendamento, nell’ambito del partito di appartenenza. Continua »
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