Marzo 27th, 2021 Riccardo Fucile
ASSE A SOSTEGNO DELRIO-FRANCESCHINI-GUERINI… MARTEDI’ LA VOTAZIONE
Serracchiani è in rampa di lancio per fare la capogruppo del Pd. Nella sfida tra lei e Marianna Madia, da ieri sera le chance di Serracchiani sono cresciute.
Perchè Base riformista, la corrente che fa capo a Luca Lotti e a Lorenzo Guerini, ha deciso nell’ultima riunione di appoggiare Serracchiani.
A questo punto l’ex governatrice del Friuli, avvocato del lavoro, vice presidente del partito, può contare sull’asse Delrio-Franceschini-Guerini che la sostengono. Soprattutto Graziano Delrio, il capogruppo uscente, è il suo più convinto supporter.
In numeri: 60 deputati dei 93 del Pd, la vorrebbero capogruppo. Martedì la votazione nel gruppo della Camera, difficilmente potrà comparire la terza candidata a sorpresa, di cui ancora ieri mattina si parlava nelle file dem, facendo i nomi di Anna Ascani o Alessia Rotta.
Le fibrillazione sono appunto legate alla presidenza della commissione. Forza Italia, che non ha alcuna presidenza di commissione, ha cominciato a farsi sentire. Ha battuto un colpo, avanzando la richiesta di un proprio candidato. Le grandi manovre non si sono fermate qui.
È stata sondata per la presidenza anche Renata Polverini, ex sindacalista, ex governatrice del Lazio che ha lasciato Forza Italia a gennaio appoggiando il governo Conte 2 per evitarne la caduta. Polverini ha risposto: “No grazie”, e ha avuto un colloquio con Serracchiani a scanso di equivoci, garantendo il suo appoggio.
Comunque, a chi in Forza Italia aveva ambizioni di guidare la commissione è arrivato lo stop ultimativo del Pd. “In politica esistono dei codici di comportamento che vanno rispettati”, è stato l’avvertimento di Enrico Borghi, a cui Letta ha appena affidato la delega alla Sicurezza nella segreteria dem. Borghi ha ricordato la buona regola dello scambio di cortesia: “Quando dopo le dimissioni di Mara Carfagna diventata ministra, Forza Italia rivendicò la continuità per il ruolo di vice presidente della Camera, il Pd rispettò tale richiesta, pur avendo i requisiti per avanzare una propria candidatura”. Continua Borghi: “Se Debora Serracchiani dovesse essere eletta alla presidenza del nostro gruppo, sulla presidenza della commissione Lavoro chiediamo il rispetto della dialettica interna del nostro partito”. L’alt è nettissimo: per Base riformista, la corrente a cui Borghi appartiene, l’insistenza forzista sarebbe una invasione di campo nel dibattito interno al Pd.
Con il M5S l’accordo c’è per una continuità dem alla presidenza. Ugualmente con Leu, il cui rappresentante in commissione Lavoro è Guglielmo Epifani, ex segretario Cgil ed ex segretario del Pd che ha poi seguito Pierluigi Bersani nella fondazione di Articolo 1. Italia Viva non dovrebbe mettersi di traverso.
Sui i nomi. Il Pd potrebbe proporre Antonio Viscomi, professore di diritto del lavoro nell’università della Calabria, che ha un ampio consenso trasversale. Oppure Romina Mura, che ha a sua volta una esperienza di lungo corso. Il nodo commissione Lavoro è l’ultimo ostacolo per via libera di Serracchiani a capogruppo del Pd
(da “La Repubblica”)
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Marzo 25th, 2021 Riccardo Fucile
ORA L’ALLEANZA CON IL M5S DI CONTE VA BENE ANCHE AGLI EX RENZIANI DEM
L’ultima magia di Enrico Letta: far fare una vera e propria inversione di 180 gradi su Conte e i Cinque Stelle a Bonaccini e al fronte dei sindaci (di Base Riformista) Nardella e Gori.
Se ai tempi di Zingaretti l’ex premier con la pochette e i grillini erano quasi i nemici da abbattere, forse più di Salvini, e il Pd non doveva neanche allearsi con loro, arriva la nuova linea degli amministratori ex renziani rimasti ancora nel Pd.
L’ha dichiarata oggi lo stesso Bonaccini, lasciando a bocche aperte più di una persona al Nazareno. Ecco il nuovo corso di Bonaccini: “Se noi dobbiamo avere alleati, è bene che quei potenziali alleati siano il più in forma possibile”, ha detto il presidente dell’Emilia Romangna intervistato durante il programma tv Omnibus, su La7, riferendosi al M5S. “Se i voti ce li togliamo a vicenda, la destra non si batte. Il tempo dell’autoisolamento mi auguro sia terminato per sempre”.
E poi su Conte: “Io sono convinto che la leadership di Conte al Movimento 5 Stelle possa solo fare bene, in questo momento, perchè gode di stima diffusa e popolarità vera e mi auguro che possa essere un ‘carburante ecologico’ per il Movimento”.
Insomma, una vera e propria marcia indietro rispetto anche a solo poche settimane fa. Roba che quando Zingaretti diceva che era necessario allearsi con i 5 Stelle e Conte, c’era chi saliva sulle barricate. Per la serie: Bonaccini folgorato sulla via di Letta.
(da TPI)
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Marzo 25th, 2021 Riccardo Fucile
LETTA E CONTE: NIENTE ALLEANZE A MACCHIA DI LEOPARDO, MA INTESA TOTALE
“Alle amministrative non possiamo permetterci il lusso di non presentarci uniti ovunque”. A un certo punto della chiacchierata i due ex premier si guardano negli occhi e condividono un obiettivo: niente alleanze a macchia di leopardo, il cantiere della nuova coalizione deve porre come fondamenta una vittoria al debutto elettorale nelle grandi città . “Altrimenti sarà dura proseguire insieme alle Politiche”, è il ragionamento su cui si trovano d’accordo.
Non è un passaggio scontato, quello che Enrico Letta e Giuseppe Conte consumano alle undici del mattino, mentre anche nella sede dell’Arel, che è la “seconda casa” del segretario pd, giungono gli echi della battaglia del Campidoglio, dove i consiglieri dem vogliono sfiduciare la sindaca Virginia Raggi.
Un autentico cruccio per entrambi, la prima cittadina di Roma, il granello di sabbia capace di inceppare la “gioiosa macchina da guerra” che si intende costruire: un centrosinistra largo, da Calenda a Fratoianni, con il Pd al centro e il Movimento in asse.
Da testare sul campo più importante che c’è: la Capitale d’Italia. Dove servirebbe un candidato unico, non dividersi in tre pezzi, tanti quanti sono oggi i potenziali competitor di una possibile coalizione. Nicola Zingaretti è il sogno, l’uomo che non ha mai perso un’elezione. Irremovibile al momento, ma da qui a ottobre c’è tempo: la speranza è convincerlo, alla fine.
“Chi va da solo è meno efficace”, scandisce Conte, accomunato all’altro capo partito dallo strano status di debuttante nel nuovo ruolo ed ex inquilino di Palazzo Chigi, sfrattati dalla stessa mano: quella di Matteo Renzi. E quando, dopo lunga riflessione sul da farsi, Letta decide di postare su Twitter la foto dell’incontro, in tanti pensano a una cartolina per l’ex Rottamatore, che dal canto suo fa sapere, ruvido, che l’incontro con il redivivo Enrico non è ancora programmato.
Nelle pieghe della conversazione durata circa un’ora – un’apertura dedicata all’emergenza Covid, fra vaccinazioni e Recovery – ci sono altri punti di concordia: ad esempio sull’esigenza di portare avanti insieme alcune riforme in Parlamento, dalla sfiducia costruttiva alla norma anti-trasformisti che penalizza i cambi di casacca. Letta ne parlerà , nel pomeriggio, anche alla presidente del Senato.
Restano sul sfondo, pressochè inespresse, le divergenze. Che pure ci sono.
A partire da quelle sulla legge elettorale, che il segretario pd vuole in senso maggioritario e i 5S di stampo proporzionale. Ma ci sarà modo di parlarne, adesso è l’ora delle consonanze. Di definire con chiarezza schema di gioco e regole di ingaggio.
Per costruire quel “fronte civico e sociale ampio” delineato ieri dall’ex ministro Francesco Boccia. Di questa coalizione i 5S saranno alleati principali, non forza organica.
È il concetto del doppio cerchio contiguo, che serve per rimarcare la differente identità dei due principali azionisti del Conte II, placandone i dissensi interni, ma anche per rassicurare quanti – in primis appunto Renzi – arricciano il naso davanti all’abbraccio con i grillini
Il leader in pectore dei 5s si muove in una curiosa forma ufficiosa. Da solo, senza il portavoce Rocco Casalino al seguito e con la maggior parte di deputati e senatori pentastellati tenuti all’oscuro: in tanti, ieri pomeriggio, hanno cercato al cellulare “Giuseppi” per avere notizie sul faccia a faccia con Letta. Ma senza avere risposta. Il futuro, per ora, è solo immaginato dietro quella carta geografica che anima, si fa per dire, l’immagine della prima uscita del nuovo capo.
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2021 Riccardo Fucile
CHI E’ LA NUOVA CAPOGRUPPO PD IN SENATO: INSEGNANTE MILANESE CON TRASCORSI ALL’ESTERO
Si autodefinisce una donna “con spirito gipsy”, per via di una costante ricerca di “nuovi orizzonti e nuove esperienze”. Ma stavolta per Simona Malpezzi, 48 anni, si tratta in fondo di un ritorno a casa: perchè la neo capogruppo al Senato del Pd, che prende il posto di Andrea Marcucci, ai vertici della rappresentanza dem a Palazzo Madama c’era stata già : era infatti stata la vice di Marcucci dall’inizio della legislatura sino al febbraio del 2020. Adesso un upgrade molto discusso, nel bel mezzo della battaglia interna al Nazareno sulla questione femminile.
Milanese di Cernusco sul Naviglio, ma cresciuta nel piccolo paese di Pioltello, Malpezzi studia Lettere Moderne e si laurea alla Cattolica con una tesi su Amintore Fanfani.
Già dai tempi dell’università , evidentemente, coltiva la passione per la politica oltre a quella per l’insegnamento: dal 1997 è docente di scuola superiore, ma a quest’attività affianca quella di organizzazione di esperienze all’estero e si dedica ai temi della lotta alla dispersione scolastica, dell’alternanza scuola lavoro e dell’orientamento.
Nel 2005 si trasferisce in Germania con il marito Thomas e le figlie e insegna lingua e cultura italiana presso la Volkshochschule di Aschaffenburg in Baviera, dove è animatrice della comunità italiana e partecipa al Mà¼tterzentrum della città , un luogo di incontro e di condivisione per mamme.
L’impegno attivo in politica dal 2009, prima nella segreteria cittadina di Pioltello e poi nel consiglio comunale dello stesso paese. Il grande salto nel 2013, grazie a Matteo Renzi, di cui è grande sostenitrice sin dalle prime Leopolde.
E’ l’ex sindaco di Firenze a volerla in parlamento, nelle elezioni che vedono l’allora segretario Pierluigi Bersani fallire l’assalto alla premiership. Rimasta una fedelissima di Renzi per tutta la legislatura scorsa, nella quale è deputata e membra della commissione Istruzione, Malpezzi passa al Senato nel 2018, ottenendo l’incarico di sottosegretaria ai rapporti con il Parlamento che ricopre tuttora.
Non segue Renzi nella scissione che fa nascere Italia Viva, ma rimane nel Pd di Zingaretti, aderendo alla corrente di Base riformista, costituita da tanti ex fedelissimi del leader di Rignano. L’ultimo traguardo in questi giorni, dopo che il neosegretario Enrico Letta chiede due capigruppo di sesso femminile in parlamento, costringendo Andrea Marcucci a un passo indietro. Ecco l’ascesa di Simona, la presidentessa “gipsy”.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2021 Riccardo Fucile
LETTA OTTIENE QUANTO RICHIESTO: DUE DONNE CAPOGRUPPO SIA ALLA CAMERA CHE AL SENATO
“Chiedo di sottoscrivere la candidatura non di Andrea Marcucci ma di Simona Malpezzi”. Lo ha detto il capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci, in una conferenza stampa al Senato, parlando della nuova capogruppo dem.
Parole che sanno di resa dopo la lunga assemblea di ieri dei senatori dem con il segretario del Pd, Enrico Letta. Proprio Letta aveva chiesto a Marcucci un passo indietro analogo a quello fatto dal capogruppo della Camera, Graziano Delrio, così da poter nominare come capogruppo dem a Palazzo Madama e Montecitorio due donne. Una richiesta su cui il senatore dem si era riservato di decidere, spiegando che avrebbe comunicato la sua scelta durante l’assemblea dem a Palazzo Madama di domani. Una riunione in cui sarà votato il nuovo capogruppo.
Dunque, domani all’assemblea dei dem a Palazzo Madama Marcucci si presenterà dimissionario e non si ricandiderò ma, con il gruppo riformista, proporrà ‘ la candidatura a capogruppo Pd in Senato di Simona Malpezzi.
“Abbiamo bisogno di qualità , di uomini e donne capaci, con esperienze e capacità necessarie a svolgere un ruolo così delicato. Mi auguro di votare Malpezzi all’unanimità , lo merita, la componente riformista del mio gruppo sostiene questa mia decisione, questa è la strada che abbiamo scelto”, ha spiegato Marcucci durante la conferenza stampa.
Il senatore ha poi aggiunto: “Vedrò fra poco Letta, accompagnandolo alla visita della presidente del Senato, gli ho già comunicato questa nostra scelta, nelle prossime ore raccoglieremo le firme, sono felice, orgoglioso di quello che abbiamo fatto in questi tre anni”.
Poi il senatore ha chiarito: “Non ho intenzione di lasciare il gruppo, nè il partito, nè di chiedere ruoli per me. Qualcuno anche di prestigio mi è stato offerto”.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2021 Riccardo Fucile
SI’ DI DEL RIO, GLI EX RENZIANI TRATTANO LA RESA
“Fidatevi di me. Sono tornato per scrivere insieme un pezzo di storia. Non vi chiamerò mai ex, siamo tutti Democratici”. È emozionato Enrico Letta quando varca di nuovo la soglia di Montecitorio dopo sette anni di assenza. “Mi sento come la madre del film ‘Goodbye Lenin’ che si sveglia molti anni dopo, ma io cercherò di capire come è cambiato il mondo”, scherza. L’occasione però è seria, e lo sa. L’assemblea dei deputati, a cui seguirà quella dei senatori. Ordine del giorno: sostituire i capigruppo con due donne: “Irricevibile una prima fila di soli uomini”, quella è roba da Orban, non può essere il biglietto da visita per un grande partito europeo.
Ed è buona la prima: il segretario supera la linea del Piave, sgretola lo scoglio più visibile delle correnti, incassa un grimaldello per accedere alle truppe parlamentari. Graziano Delrio, con un discorso alto in cui rivendica il “pluralismo” dei deputati, acconsente subito: “Non è una questione personale, mi faccio da parte, la sfida di genere è la mia”.
Avrà voce in capitolo sulla successione, dove Debora Serracchiani è un po’ più favorita di Marianna Madia. Al Senato, il dimissionario Andrea Marcucci si prende 24 ore per riflettere se ricandidarsi, ma (quasi) tutti giurano che alla fine non lo farà . Alle spalle c’è un accordo politico che Luca Lotti ha blindato nel suo primo faccia a faccia con Letta. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è impegnato in una visita in Somalia, ma la linea tra i due è condivisa. I nuovi capigruppo saranno due donne.
Nonostante il “preavviso di sfratto” a mezzo stampa non sia stato gradito, Base Riformista sceglie la via del dialogo: l’ex premier promette una linea diversa da quella di Zingaretti, più riformismo e meno “subalternità ” ai Cinquestelle, loro ci stanno, vogliono condividere le decisioni e non subirle.
Appuntamento a giovedì mattina. La short list delle candidate resta in quota alla corrente, e comprende Valeria Fedeli e Simona Malpezzi. Quest’ultima è sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento e dovrebbe dimettersi, nel caso sostituita — Draghi permettendo — da Alessia Morani.
Marcucci, tuttavia, tiene il punto. Per tutto il giorno gira voce che possa tentare una prova di forza sui numeri. Non basta un incontro con Letta — che chiosa “tra pisani e lucchesi l’accordo si trova sempre” – ad ammorbidirlo. Si sfoga: “Io leale, ho sempre combattuto a viso aperto, no a imposizioni”. Sfida il segretario: “La tua proposta è troppo generica, perchè allora i segretari sono sempre uomini?”. Base Riformista è spaccata, diversi in assemblea chiedono di evitare “punizioni politiche”, ma i numeri per una raccolta firme per ora non ci sono.
Basta con gli ex: “Siamo tutti Democratici”
È il giorno del battesimo parlamentare del nuovo Letta. La prima prova del fuoco, poichè la scelta dei due vice-segretari gli competeva per intero. I gruppi, invece, dovranno votare a scrutinio segreto, ma l’intesa politica spiana la strada: impallinarla sarebbe più che autolesionista. A Montecitorio il clima è più rilassato. Delrio elenca il lavoro del suo gruppo, anche nel momento più difficile del governo gialloverde, si spende per la pluralità al posto del correntismo. Rammenta addirittura alcuni provvedimenti sociali del governo Letta (di cui è stato ministro degli Affari Regionali) che hanno anticipato le misure di questa fase. Applaudito Emanuele Fiano: “Non ci sono ex, siamo tutti Democratici. Chi ha scelto di restare nel Pd lo ha fatto per difenderne l’identità e il pluralismo”. Parole apprezzate e fatte proprie dal leader. Che ribadisce: “Ho imparato che con le vendette non si vince”.
Sull’esito della vicenda capigruppo Letta resta prudente, si dice solo “ottimista”. Sullo sfondo, la partita è molto più ampia: ricucire il rapporto con i militanti “a cui ne abbiamo fatte troppe”, riaprire la discussione sui contenuti nei circoli, ridare un’identità chiara al partito, allargare le alleanze: “Se arriviamo alla sfida del 2023 con il centrodestra con la Torre di Babele abbiamo già perso”. Come già all’assemblea nazionale, chiede “sincerità , verità , confronto”: “Mi sono messo in testa di fermare la crisi del Pd che è di politiche e di rapporti umani deteriorati. Diamo un segnale”. Giovedì la risposta.
(da Huffingtonpost”)
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Marzo 17th, 2021 Riccardo Fucile
SONO DUE ECONOMISTI, PROVENZANO E’ STATO MINISTRO PER IL SUD NEL GOVERNO CONTE DUE
Due vicesegretari: una donna e un uomo. Enrico Letta ha scelto i suoi numeri due: Irene Tinagli e Giuseppe Provenzano. La scelta dei due vicesegretari è arrivata a pochi giorni di distanza dalla nomina di Letta come segretario del Partito democratico. Le nomine saranno sottoposte, nei prossimi giorni, al voto dell’assemblea nazionale dem.
La scelta di Letta di due nomine di genere arriva dopo le tante richieste della conferenza delle donne del Pd di assegnare ruoli di vertice non solo a uomini.
Durante il suo discorso all’assemblea di domenica scorsa il segretario del partito aveva detto: “Lo stesso fatto che sia qui io e non una segretaria donna dimostra che esiste un problema sulla parità di genere. Metterò al centro il tema delle donne: è assurdo che sia un problema”.
Provenzano nominato numero 2 del Pd
Giuseppe Provenzano ha 39 anni ed è nato a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. Laureato e dottorato alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, èeconomista presso la Svimez. Oltre ad aver partecipato alla nascita del Pd, dal 2017 fa parte della direzione nazionale. Nel 2019 è stato nominato responsabile delle Politiche del lavoro nella segretaria del partito e tra il 2019 e il 2021 è stato ministro per il Sud durante il secondo governo Conte.
Tinagli: sarà vicesegretaria vicaria
Irene Tinagli, 46 anni, è nata ad Empoli. Letta l’ha nominata vicesegretaria vicaria del Pd. Economista, si è specializzata in sviluppo economico e innovazione all’Università Carnergie Mellon di Pittsburgh. Ha insegnato Management e Organizzazione all’ateneo Carlos III di Madrid. Tinaglia ha anche partecipato alla fondazione del Pd come componente dell’Assemblea costituente e della commissione che ha redatto lo Statuto. Tra il 2013 e il 2018 èstata deputata della Repubblica. Attualmente presiede la Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo.
(da agenzie)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
LETTA E’ IL SIMBOLO DEL PD CHE I RENZIANI DETESTANO
Furono vere dimissioni? La domanda in ambienti Pd comincia seriamente a circolare dopo tutto quello che è accaduto in seguito all’inaspettato passo indietro dell’ormai ex segretario Nicola Zingaretti.
Una resa inizialmente interpretata come mero atto di sdegno di un politico pronto a non riconoscersi più nella sua comunità . O, in alternativa, come autocertificazione di scarso spessore politico, la presa d’atto dell’incapacità di tenere le fila di un partito sempre più lacerato.
Più passano i giorni, però, più la mossa di Zinga prende le sembianze di un saggio di tatticismo politico che farebbe impallidire persino il machiavellismo di Renzi. Le sue dimissioni, che in un articolo sul Fatto Quotidiano Antonello Caporale definisce “operose”, hanno infatti innescato movimento anti-renziano inerziale ma inarrestabile all’interno del Partito Democratico.
E così, è arrivata la richiesta quasi unanime ad Enrico Letta di prendere la guida dei dem. Base riformista, la corrente di Lotti e Guerini, ha accettato quasi senza fiatare, persino di fronte al progetto del “francese” di un congresso tematico e di primarie nel 2023 (la fotocopia della linea Zingaretti).
Stefano Bonaccini, che picconava Zinga e preparava, forse, il terreno per la successione, è sembrato spiazzato dal corso che hanno rapidamente preso gli eventi, e di margini di manovra anche a lui ne sembrano rimasti ben pochi.
Ma non è tutto. Zingaretti, nel mentre che si dimetteva da segretario Pd, rinsaldava l’alleanza in Regione Lazio col Movimento Cinque Stelle (a cui sono andati due assessorati in Giunta), un’alleanza, del resto, a cui crede in maniera ferma anche Enrico Letta.
Come aveva già scritto su TPI Marco Antonellis, la presenza di Zingaretti nel Pd che verrà (e che viene battezzato oggi con l’elezione di Letta in Assemblea Nazionale) sarà tutt’altro che marginale.
“Io ci sarò“, aveva scritto Zinga in una lettera a Letta. Secondo Il Fatto, ciò potrebbe tradursi in un ruolo da ministro in un futuro Governo. Non è esclusa nemmeno la candidatura a sindaco di Roma. C’è anche il collegio da deputato in Toscana che, volendo, lo aspetta.
Ma al di là delle cariche ufficiali, Zingaretti sembra sia riuscito a tessere la tela di un disegno politico che rischiava di impantanarsi, quello dell’alleanza strutturale col M5s e di una marginalizzazione delle correnti centriste e degli orfani di Renzi.
Ed è riuscito a farlo, paradossalmente, proprio dimettendosi da segretario.
(da TPI)
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Marzo 12th, 2021 Riccardo Fucile
LA RESA DEI CONTI CON I RENZIANI E’ SOLO RIMANDATA
Pensiate sia finita la battaglia tra renziani e anti-renziani all’interno del Pd? Sbagliato!
È soltanto rimandata, un po’ come al Gioco dell’oca (o il Monopoli, se preferite). Già , perchè — al di là della nomina di Enrico Letta (benedetta, come già scrivevamo, anche da Colle e Palazzo Chigi al fine di stabilizzare l’esecutivo e mettere il Pd in totale sintonia con l’ex presidente Bce) — lo scontro finale è soltanto rimandato.
Nel Pd nessuno crede veramente che i “renziani” deporranno le armi, tanto più se il nipote di Gianni (il grande architetto del governo Draghi) dovesse salire al Quirinale (un pensierino, lui, ce lo sta facendo, e non ne avrebbe fatto mistero con la sua cerchia ristretta: qualcuno sospetta sia stata una delle condizioni poste dal “francese” per rientrare in Italia).
Ma qui si inserisce Nicola Zingaretti, l’ormai ex segretario Pd che non ha intenzione di mollare un millimetro e continuerà a tenere d’occhio la situazione interna affinchè i renziani non rialzino la testa.
Questi ultimi hanno come vero obiettivo le liste elettorali delle prossime elezioni politiche e, per non rischiare di restare a spasso, hanno bisogno di un segretario di assoluta fiducia: un segretario che difficilmente potrà essere Enrico Letta.
Insomma, Nicola Zingaretti terrà alta la guardia e quell’“io ci sarò” pronunciato ieri sta a significare soltanto questo: renziani, vi tengo d’occhio.
(da TPI)
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