Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
“NON E’ PIU’ UN PARTITO DI SINISTRA, E’ UN OGGETTO GOVERNISTICO SUBALTERNO A CHIUNQUE LO PORTI AL POTERE, COSI’ COME LA STAMPA CHE ADULA DRAGHI”
Professor Luciano Canfora, lei nel suo ultimo libro Metamorfosi si chiede perchè la sinistra si vergogni delle sue origini e da questa rinuncia alla critica dell’esistente fa discendere l’assenza dell’anima di oggi. Scriviamo l’ultimo capitolo del libro, sull’attuale crisi del Pd.
Ringrazio per questa considerazione delle mie capacità profetiche, cercherò di essere all’altezza. La premessa è già contenuta nella diagnosi fatta in questi giorni da Arturo Parisi. Il Pd è diventato un oggetto subalterno a qualunque interlocutore lo porti al governo.
Game over. Completata la metamorfosi.
Beh. È un oggetto “governistico” che non ha un rapporto con una base intesa non come un mero serbatoio di voti, ma come popolo dentro cui trovare una identità . Credo che il Pd non abbia sezioni, una struttura territoriale degna di questo nome. Ed è la ragione per cui è passata l’idea demenziale che il segretario del partito lo eleggono i passanti attraverso il rituale comico delle primarie. Uno passa e vota… Ma le pare?
Qui arriviamo al nodo di un partito che, parafrasando Gianni Cuperlo, è più forte nel Palazzo che nel paese e che però è riuscito negli ultimi dieci anni a rimanere sempre al governo, pur perdendo le elezioni. Non è la fotografia di una sinistra che si è irrimediabilmente persa?
Non è più un partito di sinistra. Ha sostituito al bagaglio intellettuale e pratico suo caratteristico, una parola priva di senso che diventa un Santo Graal discriminante: l’europeismo. Mi chiedo cosa significhi. Siamo tutti europeisti, ma stai con i lavoratori o con i detentori del capitale? Con gli sfruttati o con chi trae profitto dal lavoro dipendente? Un continente non è un’idea politica, magari lo era nella testa di Altiero Spinelli che diceva “l’Europa, se ci sarà , dovrà essere socialista”. Citano Spinelli ma non hanno letto il Manifesto di Ventotene.
Però europeismo non è un’opzione neutra. È l’opposto del sovranismo che, quella costruzione la metteva in discussione. Si può discutere di un’Europa socialista o conservatrice, ma prima deve esserci l’Europa. O sbaglio?
Sovranismo è una parola inventata e priva di contenuto. Dire che la sovranità nazionale è un disvalore è una stupidaggine. Se una cosa è giusta, anche se la dice un uomo di destra, non cessa di essere giusta. Ad esempio, la difesa della sovranità nazionale di fronte al capitale finanziario non è sbagliata.
Lo ammetto, mi ha fatto saltare la scaletta preparata per questa conversazione. Torniamo all’8 settembre del Pd: occupazione del Nazareno, dirigenti sbandati, Grillo che si candida, Letta richiamato per salvare il salvabile.
Sa cosa mi colpisce, che non si stia parlando per nulla della presa di posizione seria e garbata da parte del presidente della fondazione De Gasperi Domenico Cella il quale ha contestato le procedure attraverso cui è nato il governo Draghi. Governo che senza l’accorrere devoto del Pd non sarebbe mai nato. Il Pd è il portaborse di Draghi.
Prego? Cosa c’è di strano? Il capo dello Stato ha fatto appello un appello alle forze politiche e il Pd, con un certo mal di pancia e senza entusiasmo, lo ha accolto.
La Costituzione prevede l’appello del presidente al Parlamento semmai, non l’appello alle forze politiche. Ripeto: portaborse. L’errore è stato non andare alle Camere e chiedere la fiducia. Non mi dica anche lei che non si poteva votare, perchè si vota in tutto il mondo.
Sono state appena rimandate le amministrative, ma non ci infiliamo in questa discussione. Le chiedo: cosa rappresenta Enrico Letta? Lei lo vede solo come l’esecutore dell’agenda Draghi o l’espressione di un riformismo moderno, capace di dialogare con Draghi, ma anche di ricongiungere riformismo e popolo?
Ho un’ottima considerazione di Letta come studioso, ha avuto un grande successo a Parigi. Persona fine, colta, vittima del bullismo renzismo che il Pd ha ancora dentro di sè. Cosa riesca a fare questo uomo intelligente, colto e molto educato, non lo posso sapere. Temo si troverà alle prese con squali dentro fuori il suo partito. Poi, sa, magari avremo delle sorprese. Nessuno pensava che Mossadeq avrebbe cacciato lo Scià di Persia.
Come si spiega il collasso dopo Draghi? Cioè che proprio il partito che poteva avere più nel Dna questo tipo di soluzione è quello che ne ha pagato maggiormente gli effetti?
Invidio le persone che conoscono il Dna. Perchè lo ha nel Dna? Nel senso che avendo già praticato harakiri ai tempi di Monti è il partito dell’harakiri? Era matematico prevedere che il cittadino che lo ha votato si chiedesse: ma per chi ho votato?
Draghi è una dura necessità . Cogliere, nella necessità , l’opportunità sarebbe il compito della politica. Lei questa opportunità la vede oppure, come parecchi a sinistra, vede solo la preparazione di uno sbocco inevitabile a destra, dopo averla ripulita del sovranismo?
Lo sbocco a destra c’è già stato. Gli unici partiti che crescono sono la Lega e la Meloni che ha superato il Pd nelle intenzioni di voto. Era ovvio che accadesse. Dopo anni di contrapposizione frontale è complicato dire: “Possiamo governare assieme senza problemi”. Se la realtà coincidesse con l’elite non ci sarebbero problemi, ma la società è più grande e funziona diversamente, chiede verità . Dovrebbero uscire da questo circolo autoreferenziale nel quale si sono imbottigliati.
Non pensa che sia un errore lasciare Draghi alla destra?
È un meccanismo mentale già conosciuto, penso agli ultimi cancellieri della Repubblica di Weimar, dal 1930 al 1933 venivano elogiati perchè si riteneva che con loro il partito nazionalsocialista sarebbe stato tenuto a bada. E alla fine? Quei cancellieri consegnarono al capo di quel partito il governo della repubblica. Draghi fa il premier, ha intorno alcuni ministri suoi, altri, per dirla alla De Gaulle, sono la ricreazione. Ma l’unico che interloquisce con Draghi, che va lì a protestare, condizionando, è Salvini, come nel caso delle chiusure.
Tutto questo condizionamento non lo vedo. Proprio sulle chiusure c’è una robusta continuità col governo precedente. E, aggiungo, menomale.
Io vedo che è l’unico interlocutore che parla, in un clima di conformismo mediatico su questo governo.
Ci sono due scuole di pensiero sulla fine dell’esperienza giallorossa. C’è chi vede in quel governo un’esperienza di sinistra che la borghesia ha liquidato utilizzando Renzi per arrivare a un equilibrio moderato. Personalmente ci ho visto poca sinistra e tanto governismo che, alla fine, è imploso su contraddizioni mai sciolte.
Non penso che fosse un governo di sinistra. A me è parso il meno peggio. Per esempio su terreni di cui si parla poco come nel caso del dicastero dell’Interno: almeno non avemmo col Conte 2 nuove situazioni tipo Gregoretti, Carola Rackete. eccetera.
Claudio Petruccioli, in un’intervista al Riformista, critica la subalternità della sinistra in quell’esperienza e il suo essere orfana di Conte, neanche fosse Allende.
Non riesco a seguire questa impostazione perchè non mi piace il metodo consistente nel combattere una posizione altrui rendendola la comica. Se cioè attribuisco ai partiti la visione estatica di Conte uguale ad Allende, posso combatterla ridicolizzandola. Ma non è corretto. La vera subalternità è quella di tutta la stampa italiana di fronte all’attuale premier. Mi viene in mente un articolo della Stampa di Torino del 2 dicembre 34: “Il Duce pratica ogni giorno a Villa Torlonia uno sport: il lunedì marcia ad andatura rapida e cadenzata, il martedì nuota…. E così via”..
La parola più abusata, in questa esperienza, è dopoguerra, evocando l’unità nazionale di allora. Allora però fu una scelta, oggi il frutto del default della politica. Non è un paragone del tutto infondato?
Potremmo farlo rispetto alla guerra dei trent’anni, l’Europa a pezzi… Paragoni della mezza cultura che non sa come cavarsela. Amico mio, è qualunquismo parlare di default. Non ha fallito la politica, ci sono state precise responsabilità di qualcuno, cioè Renzi.
Le chiedo: il Pd ha ancora un senso o sono venuti meno i presupposti per cui è nato?
Basta ricordarsi come è nato il “partito a vocazione maggioritaria” come lo definì Veltroni. Che vuol dire? Che il Padreterno ha detto: sarai grande? Che Jahvè sul Sinai ha detto all’autoproclamato Mosè “porterai il popolo alla salvezza”?. È nato da una abdicazione completa, basta vedere il Pantheon di partenza con Norberto Bobbio, John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King. Il decadimento è frutto, tra l’altro, di quella scelta autolesionistica.
Vado ancora più diretto: questo partito è riformabile o è come l’Urss, irriformabile in attesa che precipiti un evento esterno?
Bella domanda. Qualche mese fa forse avrei detto: forse è ancora riformabile. Ora lo penso molto meno.
Dia un consiglio a Letta.
Di non cadere nell’errore commesso la volta precedente. Di non fidarsi di coloro che lo vogliono rassicurare.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 11th, 2021 Riccardo Fucile
“IL PD DEVE TORNARE IL PARTITO DELLA GIUSTIZIA SOCIALE”
Senatrice Cirinnà , il cambio di passo non si vede. I ristori sono fermi a dicembre. Il Recovery Plan è sparito dai radar. Si rincorre la pandemia con più incertezze di prima. Di un nuovo piano di vaccinazioni non se ne sa niente…
La mia opinione è che il Governo Conte era un ottimo governo – dice la senatrice del Pd rispondendo all’Agenzia SprayNews -. Questo è ritenuto il governo dei migliori. Il Governo Conte era il governo degli ottimi. Quindi, non c’è nessuna differenza. Quindi, tutti quelli che hanno criticato il Governo Conte ragionino e si rendano conto che chiunque, compreso chi ritiene di essere il migliore, davanti a una cosa che nessuno aveva mai affrontato, come una pandemia mondiale, possa avere incertezze e ritrovarsi in situazioni che non sa da che parte prendere. E non cambiano le cose se a occuparsene è un grande generale o un grande manager. In questo senso, non vedo una grande differenza fra Domenico Arcuri e il Generale che è stato messo al suo posto.
I ristori nel frattempo sono fermi a dicembre. Eppure, per fare solo un esempio, le palestre e le piscine non mi sembra abbiano mai riaperto…
Voglio parlare chiaro, come è mia abitudine. I ristori non sono arrivati solo perchè si è aperta la crisi di governo. Altrimenti sarebbero arrivati in tempo, come i ristori uno, due, tre, quattro e cinque, che io ho tutti votato. Detto questo, chi ha bisogno di soldi bussi alla porta di Italia Viva.
Rimpiange il Governo Conte?
Assolutamente sì. In che cosa sono migliori quelli che ci sono adesso? Per ora in niente. Quando arriva un nuovo governo, arrivano nuovi Capi di Gabinetto e tante persone che devono prima orientarsi. Io ho un’infinita fiducia in tutti i ministri e, in particolare, nei miei ministri. So che Andrea Orlando e Dario Franceschini sono persone ultra competenti. Mi auguro che anche i migliori si diano una mossa.
Nicola Zingaretti ha detto di vergognarsi di un partito che pensa solo alle poltrone. Che effetto le hanno fatto le sue parole?
Penso che il Pd sia un partito devastato da lotte fratricide, il cui apice è la poltrona sulla quale il fratricida si va a sedere. Il punto vero, però, è un altro.
E quale sarebbe questo punto vero?
La rotta. Il punto vero è aver smarrito la carta nautica su cui segnare il percorso e la tua identità . Noi abbiamo un pezzo di Pd che tira verso il centro, un pezzo di Pd che vuole rimanere saldamente a sinistra. E’ evidente che queste diverse posizioni, che afferiscono ai tuoi ideali e ai tuoi valori, finiscono per devastarti. E’ bene che si faccia a tempo debito un Congresso, ma io voglio un Congresso vero, un congresso di mazzate dove, anche a costo di subire altre separazioni e altre scissioni, si dica con chiarezza che cosa è il Pd e dove vuole andare. Per me questo è il nodo da sciogliere. Il resto non esiste.
Quale è l’approdo che si augura? Un Pd fusione e sintesi di molte anime diverse o il ripristino dell’orgoglioso partito della sinistra?
Auspico un grande partito democratico, che abbia al suo interno il pluralismo, ma che nel contempo sia capace di non fare sconti sui valori. Per me il primo valore è abolire ogni discriminazione. Abolire ogni diversità . Abolire ogni ingiustizia sociale. Far ripartire l’ascensore sociale. Una come me, figlia di impiegati della piccola borghesia romana, non sarebbe mai arrivata dove è arrivata, se non ci fosse stato un ascensore sociale. I miei genitori mi hanno fatto studiare e laureare. Poi, forse, un po’ intelligente lo ero e piano piano sono riuscita a realizzarmi senza dovere fare per forza l’impiegata alle Poste. Detto questo, è qui che si gioca la scommessa della globalizzazione da una parte e della pandemia dall’altra. Far ripartire dalla base i valori della grande sinistra storica, che c’è in tutta Europa. Purtroppo il capitalismo ci ha inferto grossi colpi, ma sul piano delle ingiustizie sociali abbiamo molto ancora da dire e possiamo riaprire un grande fronte di lotta.
Nel Pd attuale ci sono anche i cattolici democratici, i liberal democratici e i riformisti…
Sui cattolici democratici non ho nulla da dire. Ho lavorato fianco a fianco con molti di loro in Senato. Hanno votato la legge sulle unioni civili. Il problema non sono loro, ma le politiche neoliberiste, che hanno a che fare soprattutto con il mondo dell’impresa e con il mondo del lavoro. E’ chiaro che lì c’è una dicotomia fortissima. Io per senso di responsabilità ho alla fine votato a favore dell’abolizione dell’articolo 18, ma ricordo bene che sino all’ultimo momento non avrei voluto votarla. E così tante altre norme che abbiamo approvato proprio perchè la parte più liberista del Pd a quell’epoca governava il partito. Questa è una strada sbagliata. Non è questa la vocazione del partito della sinistra democratica e laica di questo Paese.
Quindi, dalla confusione de ne esce solo con un Congresso?
Se ne esce con un Congresso a tempo debito. Se Enrico Letta accetta di prendere il posto di Zingaretti e vuole arrivare a scadenza nel 2023, va benissimo. Faremo il Congresso nel 2023. Non c’è un problema di tempi. C’è un problema di modalità . C’è un problema di verità . Il problema è fare un Congresso vero. Nel frattempo, potremmo anticiparlo con un Congresso per temi e cominciare a ragionare. Nessuno ci impedisce di fare un Congresso tutto online, rispettando le nostre regole, ma senza muovere le carte. Senza mettere in discussione Letta. Un Congresso solo sui temi e sugli ideali. Se Letta ci farà vivere il più tranquillamente possibile questa fase drammatica, in cui il Governo Draghi sta di fatto appiattendo e oscurando un po’ tutti i partiti, noi avremo tutto il tempo necessario per rifondare il partito sui nostri valori e sui nostri ideali. Poi nel 2023 sapremo chi sarà il nostro nuovo condottiero. O condottiera, come io spero vivamente.
Magari lei?
Non lo so. Io mi reputo una formica. Ci sono tanti altri nomi autorevoli.
(da Globalist)
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Marzo 10th, 2021 Riccardo Fucile
I DIRIGENTI VICINO AL SEGRETARIO DIMISSIONARIO: “LETTA E’ AUTOREVOLE, ANTI-RENZIANO, HA UN OTTIMO RAPPORTO CON ZINGARETTI ED E’ APERTO AD ALLEANZE CON I CINQUESTELLE”
“Renzi fa la mossa del cavallo? E noi rispondiamo col colpo del cartoccio”. Dalle parti dell”ormai ex segretario dem non nascondono la loro soddisfazione. “Letta è autorevole, antirenziano, aperto alle alleanze coi 5 Stelle. Ha un ottimo rapporto con Zingaretti, lo ha pure votato alle primarie. È perfetto. Perfetto”.
Quindi è chiusa? “Questo lo comunicherà Nicola. Noi possiamo dire che le cose vanno bene. Molto bene”.
Dallo staff più stretto vicino all’ ex Segretario le bocche sono cucite. Ma Zingaretti ha già sentito Letta?. “Non sappiamo nulla”, rispondono secchi. E buttano giù il telefono. Comunque se Letta sarà , sarà una proposta della maggioranza che ha retto il partito fino ad ora: Zingaretti, Franceschini, Orlando.
E Base Riformista? “Ci dovranno stare, dove vanno? La mossa di Zingaretti li ha scoperti: Bonaccini, Gori, Marcucci, Nardella non posso più continuare ad attaccare il Pd, almeno per un po’. Letta farà il segretario fino al 2023. E il prossimo anno farà un congresso tematico, proprio quello che aveva proposto Nicola. Ma ora nessuno potrà dire più nulla. A partire da Base Riformista’”, dicono i Dem zingarettiani.
“E poi, sempre parlando di Base Riformista, bisogna anche dire che contano molto poco in assemblea. Non arrivano neanche a 100 delegati su oltre 1.100. Orfini poi ne ha solo 4”.
Andando in profondità nella maggioranza di Zingaretti emerge anche una previsione: “Bonaccini ha capito che mettendosi a capo della mozione ‘Torna a casa Renzi’ non va da nessuna parte. Ora farà finta di stare con Letta, ma il suo obiettivo è sempre quello di far rientrare Matteo e la Boschi al Nazareno. Ma con Letta sarà difficile”.
E che farà ora Nicola? “Resterà in Regione Lazio con Letta al Nazareno e i renziani ‘scoperti’, alla fine è andata bene. Molto bene”.
Intanto però nel PD è “allarme Roma”: i sondaggi riservati che circolano al Nazareno circa la candidatura dell’ex ministro dell’economia Gualtieri a sindaco della capitale non sono affatto buoni: “Molto al di sotto delle attese” spiegano autorevoli fonti dem tanto da ritenerlo già “fuori”. Insomma, un’altra bella gatta da pelare per i nuovi vertici Pd.
(da TPI)
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Marzo 10th, 2021 Riccardo Fucile
LETTA STRAVINCE CON IL 46%, BONACCINI AL 16%
Le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del PD hanno segnato profondamente il partito e la
sua percezione tra gli elettori.
Lo testimoniano i sondaggi, quelli più recenti, che ora vedono i dem staccati, di gran lunga, rispetto a Lega e Movimento 5 Stelle. Ma anche alle spalle di Fratelli d’Italia, in crescita costante da settimane.
Il partito deve trovare una struttura per ricostruirsi e può farlo solamente attraverso la scelta di un nuovo segretario in grado di porre le basi per l’ennesima “ripartenza”. I sondaggi politici offrono uno specchietto sui cui il Nazareno potrebbe (e dovrebbe) riflettere.
L’ultima rilevazione che accende l’occhio di bue sulla percezione degli elettori nei confronti del Partito Democratico è quello Ipsos per Di Martedì, trasmesso in onda ieri sera su La7 e commentato dagli ospiti in studio e in collegamento.
Il focus non è solamente sul Partito Democratico, ma è evidente come le figure tirate in ballo possano essere considerate in legame tra di loro.
“Il centrosinistra avrebbe maggiori possibilità di risollevarsi dal punto di vista elettorale se fosse guidato da…?”.
Il 46% degli intervistati preferirebbe il tandem Enrico Letta e Giuseppe Conte, mentre solamente il 16% opterebbe per il ticket Stefano Bonaccini e Matteo Renzi.
I ticket e i tandem
C’è da sottolineare anche come il 38% delle persone contattate da Ipsos non abbia espresso alcuna preferenza: sia perchè non convinto dalle proposte, sia per un disinteresse rispetto alle vicende del Partito Democratico e del Centrosinistra in generale.
Ovviamente le coppie proposte non sono state scelte a caso: Enrico Letta, per evidenti e storici motivi, non potrebbe viaggiare al fianco di Matteo Renzi. E la figura che meglio si unirebbe al leader di Italia Viva è quella del Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Ma la coppia non scoppia, secondo i sondaggi politici di oggi.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 9th, 2021 Riccardo Fucile
PRESSING PER LA SEGRETERIA PD, LETTA NON E’ INDIFFERENTE ALLA GRAVITAS DEL MOMENTO
Enrico sta davvero “sereno” perchè, come si dice in questi casi, comunque vada sarà un successo e
può permettersi di scansare l’ansia della scelta: non è un’ultima occasione da cogliere, perchè una “riserva” della Repubblica resta tale anche se declina; semmai, a determinate condizioni, può rappresentare una nuova opportunità .
È con questo spirito che, stamattina, Letta si dedicato alle lezioni a Parigi, nella sua Sciences Po, dove ha trovato, da anni, un baricentro la sua nuova vita dopo le dimissioni del Parlamento.
Dalla passione politica però non ci si dimette. E se sbaglia chi lo immagina lì a telefonare, brigare, sentire questo o quel capocorrente dopo che è stato evocato il suo ritorno, è altrettanto sbagliato descriverlo come indifferente rispetto alla “gravitas” del momento. Questa è la parola utilizzata dai pochi che hanno parlato con lui, “gravitas”: l’emergenza, il collasso del Pd, proprio nel momento in cui servirebbe il massimo di coesione, l’egoismo dei signori della guerra, gli stessi che gli voltarono le spalle e che ora lo invocano come salvatore della patria.
È l’immagine di un partito capace di divorare, secondo medesime logiche, qualunque leader che si è succeduto, alternando segretari e reggenti, secondo una dinamica che riproduce se stessa in modo ferreo e senza mai una soluzione di continuità . È successo anche ai leader più forti e più legittimati dal consenso interno alle primarie e da quello alle elezioni, pensate a Walter Veltroni con i suoi undici milioni di voti, un successo rimasto ineguagliato, ma che non fu sufficiente a rompere l’autoreferenzialità distruttiva delle correnti.
Contatti ce ne sono stati, in questi in giorni. Riposte no, quantomeno ancora non definitive.
Diciamo così: Letta, ben consapevole di tutto questo, sta studiando la situazione. E consapevole che, pur essendo la malattia sempre la stessa, se possibile però con il tempo il corpo si è infragilito, nel consenso (ormai il Pd almeno così lo fotografano i sondaggi, è il quarto partito), nella struttura, nella sua presenza nella società italiana, insomma nella vitalità . La famiglia litigiosa è sempre la stessa, ma invecchiata, inaridita da mai sopiti rancori e da nuove ferite.
Come l’idea sia nata, è facile da raccontare. È un’idea di Dario Franceschini, che parte dalla stessa consapevolezza della gravitas del momento. Perchè in tempi normali si sarebbe potuto pensare anche a un reggente per poi celebrare un normale congresso, ma poichè di normale in questa fase non c’è nulla e, finchè non ci sarà il vaccino, è impossibile tanto il voto quanto i gazebo è complicato pensare si possa affidare a un reggente l’immane compito di gestire questo anno: il governo Draghi, materia politicamente molto fragile, le amministrative di ottobre, l’elezione del prossimo capo dello Stato a febbraio dell’anno prossimo. Nasce da qui l’esigenza di un segretario vero, con un mandato pieno, una comprovata esperienza, un’altrettanta comprovata affidabilità .
In questo senso Letta è perfetto per parlare con Draghi (coi cui il rapporto è visibile in alcune figure del governo), collocare il Pd nella nuova fase, tenere l’asse con i Cinque Stelle, difeso fino al “Conte o voto” e, al tempo stesso, assicurare una continuità in termini di, chiamiamola così, distanza da Renzi e dal renzismo, di cui pagò amaramente l’andata e rappresenta ora un argine in relazione al ritorno. Inteso come disegno: far saltare il Pd, riducendolo come il Ps francese per aprire uno spazio macroniano in Italia all’ombra del governo Draghi.
Perchè Letta è il Pd, il cuore non c’è niente da fare batte lì, come sanno i compagni di Testaccio, dove continua a rinnovare la tessera: Andreatta, l’Ulivo, quel popolo cui è rimasto legato, la sinistra, o meglio un pezzo della sinistra perchè fu proprio un pezzo della Ditta, complice la malattia di Bersani, a spalancare le porte di palazzo Chigi a Renzi.
L’idea di Franceschini è condivisa da Zingaretti e, con meno entusiasmo, anche da altri, perchè la maionese è così impazzita che non se ne viene fuori: Orlando ha messo un veto sulla Pinotti, ma, stando al governo, è complicato per lui fare il segretario, Zingaretti non ha mai voluto investire su Provenzano sin da quando rifiutò di nominarlo vicesegretario una volta che Orlando è entrato al governo, e così via. Insomma uno che li metta insieme tutti non c’è.
Proprio per questo se è vero che Letta può essere la soluzione è anche vero che ci devono essere le condizioni. E che cioè di qui a sabato — al momento l’assemblea è confermata, per la sola giornata di domenica — si realizzi un’unità di massima sui tempi e sulla prospettiva, cioè un mandato non di otto mesi, ma pieno, che non è questione di poco conto.
Resta il tema del male oscuro, che corrode il Pd, dove Letta non ha truppe e rischia di finire come gli inviati dell’Onu nei teatri di guerra. Gli inviati arrivano ma i conflitti, dopo un po’ riprendono.
(da Huffingtonpost)
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Marzo 9th, 2021 Riccardo Fucile
LA MANOVRA E’ CHIARA: STACCARE IL PD DAL M5S, COSI’ IL CENTRODESTRA (SALVINI, BERLUSCONI E RENZI) VINCE A MANI BASSE
C’è qualcosa di interessante, e di grave, nella campagna di disinformazione che ha investito il Pd dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti.
Francesco Merlo, per citare uno degli opinionisti di rango intervenuti sul tema, su La Repubblica ha scritto che Zingaretti si è dimesso perchè aveva paura dei sondaggi. E che questo avrebbe determinato il suo strappo, il suo addio.
E altri — decine di giornalisti, politici, addetti ai lavori, c’è solo l’imbarazzo della scelta — continuano a martellare su un solo tema: “Il Pd sta pagando la sua subalternità a Conte”.
Dunque ecco come viene ricostruito il film degli ultimi mesi in questo racconto ideologico (e ovviamente falso). Il partito è troppo “spostato a sinistra”, questo ha prodotto una perdita di consensi verso il M5S, “adesso va spostato il baricentro” (Claudio Tito, anche lui su La Repubblica).
La nenia che tutti intonano prosegue con il concetto curioso: ovvero che il Pd doveva abbandonare subito Conte (e il M5S) al suo destino, e cavalcare il governo dei tecnici “come sta facendo Salvini”.
Questo è il mantra della cosiddetta sinistra radical chic, che io chiamo “Salvi-chic”, quella che dice di odiare la Lega, ma poi ha voluto a tutti i costi il governo con Giorgetti e Salvini.
Vogliono raccontare al mondo che per il Pd votare il governo con la Gelmini ministro sia un grande successo politico. Una tesi a dir poco curiosa.
Il governo istituzionale, infatti, non si regge con i voti di tutti: è un governo in cui, con una maggioranza garantita dal Pd e dal M5S, governato sette ministri di destra.
Ebbene, questo racconto ideologico della crisi, e della sinistra, è una operazione di mistificazione interessata. Ed è anche questo — ovviamente — del tutto falso. Provo a spiegare perchè.
1) La tanto esacrata linea Zingaretti-Bettini si poneva un problema molto semplice: nel 2022, quando si andrà al voto, di fronte ad una destra che ha già un suo sistema di alleanze solido, il Pd con chi si candida a guidare il paese? Mistero.
Ma la risposta che fa tanto arrabbiare i Salvi-chic è semplice: o correrà con l’alleanza giallorossa o sarà sconfitta prima ancora di scendere in campo. Quindi dire no all’alleanza significa candidarsi alla sconfitta (o ad un nuovo governissimo). La cosa piacerà a molti commentatori, ma non piace affatto — pensa un po’ — agli elettori del Pd.
2) Il Pd nella crisi non si è “sacrificato per Conte”, ma casomai per se stesso. La campagna di demonizzazione e di delegittimazione di quel governo giallorosso, infatti, è servita per dire che il Pd non era un grado di governare da solo (il chè ha preparato il terreno all’idea — falsa — che il governo con la Lega fosse ineluttabile). Non aveva come bersaglio Di Maio: aveva come bersaglio il Pd. Ed infatti, alla campagna contro Conte, se n’è affiancata una parallela (e ancora più forte) contro Zingaretti e la sua linea: “L’ologramma” (il famoso articolo di Concita De Gregorio), l’ameba, il brocco.
Se il Pd ha avuto davvero una flessione nei sondaggi, dunque, è perchè i suoi elettori hanno percepito che il suo segretario era sotto assedio, e che metà del gruppo dirigente del suo partito (i nostalgici di Renzi, quelli che per comodità io chiamo “la corrente saudita”) sparava contro il suo stesso leader, con raffiche di fuoco amico, e giocava con l’altra squadra.
Se molti elettori del Pd (e qui non servono i sondaggi, basta parlare con qualcuno, ogni tanto) hanno tutt’ora una buona opinione di Conte, e una pessima opinione dei suoi nemici interni (a partire dai “sauditi” Lotti e Guerini), il problema non è Conte, ma la pervicacia di questi capi corrente che sono apparsi unicamente “attaccati alle poltrone” (copyright Zinga) non per altri motivi: ma perchè sono attaccati alle poltrone.
Infatti, nel pieno della crisi, davano interviste per attaccare il governo di cui facevano parte, e garantirsi un transito nel nuovo governo. Ma cosa ci sia dietro questi attacchi, dietro questa campagna per cercare di eterodirigere il Pd, questo sito lo racconta da quasi un anno, dai tempi dell’intervista con cui Stefano Bonaccini — interrogato da Giulio Gambino — rivelò le sue intenzioni: far rientrare Matteo Renzi, riconsegnargli il controllo del partito, visto che il suo tentativo di Italia Viva è abortito nel nulla.
Quello di Renzi, infatti, si è dimostrato un partito “scaccia-elettori”, che anche nel migliore dei sondaggi non prende neanche i voti che servono a superare lo sbarramento elettorale. Ecco dunque che il tema da porsi è questo: il centrodestra marcia diviso e colpirà unito.
Il capolavoro politico del Governo Draghi è quello di aver creato una destra che gioca con perfetta disinvoltura su due tavoli. Fuori c’è Giorgia Meloni, che ha il monopolio del dissenso e dello scontento. Dentro c’è Salvini, che mette il cappello su tutto.
Ecco perchè le dimissioni di Zingaretti non sono, come sostiene Marco Damilano, un “gesto egotico” ma una mossa che mette a nudo il re: il segnale di un problema politico.
Se le cose continuano così, infatti, quando arriverà il momento del voto, i due principali protagonisti del centrodestra si sfideranno a chi prende un voto in più, e in questo modo decideranno la loro leadership di coalizione: poi, un minuto dopo, si rimetteranno insieme e governeranno sulle rovine del governo giallorosso. Che però non è stato smontato da una sconfitta elettorale. È stato demolito da questo coro suicida, dal fuoco amico: dall’odio per i giallorossi, dalla guerriglia dei “sauditi”.
(da TPI)
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Marzo 7th, 2021 Riccardo Fucile
QUALCUNO SPERA IN UN SUO RIPENSAMENTO, I BIG STANNO ORGANIZZANDO L’ALTERNATIVA
«Preside’ hai fatto bene ad andartene». «Preside’ troppo hai resistito in quel covo di vipere». Nicola
Zingaretti si è appena congedato da Sergio Mattarella, cui ha fatto da Cicerone nella Nuvola di Fuksas trasformata dalla sua Regione in un grande hub vaccinale. Mancano pochi minuti alle 11, per le strade dell’Eur c’è poca gente e l’ormai ex segretario Pd sta andando a prendere il caffè in un bar lì vicino.
Nonostante la mascherina, in tanti lo riconoscono, dai finestrini abbassati gli urlano parole di incoraggiamento. Un calore mai avvertito, neanche dopo aver vinto le primarie, che ricompensa l’amarezza delle ultime settimane, culminata nel clamoroso «mi vergogno» pronunciato per annunciare le dimissioni.
Non ci ha ripensato, Zingaretti. O almeno «non ancora», confidano i suoi, tuttora fiduciosi di fargli cambiare idea. Convinti che il pressing dei circoli, gli appelli delle federazioni regionali, la marea di militanti che scrivono o chiamano per chiedergli di restare possano prima o poi aprire una breccia.
Far vacillare il muro che per adesso sembra resistere a ogni sollecitazione: «Io ho fatto il mio, ora tocca a voi», ha risposto il governatore del Lazio ai tanti che anche ieri hanno provato a sondarlo.
Non solo per la spericolatezza della manovra: a dieci giorni dall’addio dovrebbe farsi confermare o farsi eleggere in assemblea, come se nulla fosse successo, col rischio di perdere la faccia dopo il pesante j’accuse che ha accompagnato la sua uscita di scena.
Il problema è pure che lo stato maggiore del partito non l’ha presa bene: dipingere il Pd come una sentina di veleni, popolato da dirigenti che pensano soltanto alle poltrone, ha fatto calare il gelo intorno a lui. Rendendo complicato un eventuale ritorno. Contro il quale, però, viste le difficoltà del momento, nessuno opporrebbe resistenza, anzi. «Sarebbe una cosa positiva, forse la soluzione migliore», spiega uno fra i più autorevoli avversari interni.
Una delle poche strade per evitare il caos, lo scontro fra correnti che si sta già materializzando nei primi pour parler per individuare il successore.
L’assemblea nazionale, che salvo rinvio si terrà sabato e domenica, ha difatti solo due opzioni davanti: eleggere il segretario che guiderà il Pd sino al 2023; oppure indire il congresso, che tuttavia la pandemia rende impraticabile.
Precluso per lo meno fino alla prossima primavera: a ottobre ci sono le amministrative, nel febbraio successivo si elegge il presidente della Repubblica. Avviare un confronto di 4-5 mesi (tanto quando dura l’iter che porta alle primarie) a cavallo di scadenze tanto importanti è giudicato da tutti una follia.
Non resta dunque che concentrarsi sul post-Zingaretti, sempre che lui non decida di rientrare in campo. Come i suoi sperano, tanto da aver già predisposto una strategia per l’assemblea: proporre in apertura un ordine del giorno per chiedere al segretario di tornare. Se l’80-90% voterà a favore, lui non potrebbe tirarsi indietro.
Presenterebbe un documento politico di rottura. E nessuno potrebbe obiettare nulla. Lo dice chiaro l’ex ministro Boccia: «Ora decide l’assemblea, non quattro capicorrente». E lo lascia intendere lo stesso Zingaretti, a margine di una visita a Termini: «Nel Pd da mesi sentiamo una voglia di dibattito che però si è risolta in un martellamento quotidiano. Mi auguro che questo momento aiuterà a fare chiarezza».
In attesa di capire come finirà , i big del Pd stanno tuttavia organizzando un’alternativa. D’accordo sul fatto che il prossimo leader non potrà essere debole nè di transizione, ma una figura autorevole, capace di parlare con Draghi, fare il controcanto a Salvini, reggere la competizione con Conte.
Pescare fra le seconde file sarebbe un suicidio. Spiega infatti Dario Franceschini ai suoi: «Non possiamo pensare a soluzioni ballerine, provvisorie, serve un segretario forte, con la maggioranza più larga possibile, che guidi il partito almeno per un anno». Meglio ancora «se condiviso», aggiungono da Base riformista. Identikit che per molti corrisponde a quello di Enrico Letta. Il quale avrebbe un’unica controindicazione: non è una donna, come i più vorrebbero.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 6th, 2021 Riccardo Fucile
DALLE 12 PRESIDIO DEL MOVIMENTO DAVANTI ALLA SEDE DEL PD: “DEVE INIZIARE UNA NUOVA FASE COSTITUENTE PER TUTTI GLI APOLIDI DELLA POLITICA”
Un presidio a oltranza, con tanto di tende e sacchi a pelo. E’ quanto ha deciso di fare il movimento delle 6000 Sardine, che questa mattina alle 12 ha dato il via a una manifestazione davanti alla sede del Partito democratico all’indomani delle dimissioni del segretario Nicola Zingaretti.
Alla testa del presidio al Nazareno, che ricorda l’Occupy Pd che nel 2013 portò i giovani indignati del partito a occupare le sedi locali dei democratici dopo le dimissioni dell’allora segretario Bersani, c’è Mattia Santori.
Il volto mediatico del movimento questa mattina ha spiegato le ragioni della protesta in un post su Facebook.
“Oggi si va al Nazareno a dire che le assemblee tra pochi non bastano più. Oggi andiamo a chiedere che inizi una nuova fase costituente: aperta, democratica, innovativa. Non per il Pd, non per le Sardine. Ma per tutti gli apolidi della politica”.
E continua: “Ci sono mattine in cui vorresti startene a letto. Giorni in cui ti dici ‘chi me lo fa fare?’. Mesi in cui rimpiangi di non essertene stato zitto e buono. Poi ti guardi intorno e vedi ancora schiere di opinionisti, flotte di disillusi, plotoni di culi pesi e tastiere pesanti. Apprezzo i benpensanti ma non è con le penne fini che le cose cambieranno. Stimo gli intellettuali ma credo che quando si tratta di ricostruire serva soprattutto chi si sporca le mani. Pensate quello che vi pare, ma la crisi del Pd – scrive ancora Santori su Facebook – è la crisi del centrosinistra, una crisi che ci riguarda e che vi riguarda anche se la politica vi fa schifo o vi ha stancato. Datemi del pazzo ma ho visto troppa bellezza quest’anno per riuscire a rassegnarmi”.
(da agenzie)
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Marzo 6th, 2021 Riccardo Fucile
LA SINISTRA IN EMERGENZA
I sogni portano sfiga. Ma nessuno li può controllare, nè costringere a un minimo di attendibilità . Infatti l’ultimo è quanto di più fantasioso si possa immaginare.
C’erano tutti i capitribù del Pd (che è peggio della Libia) in conclave nei loro caratteristici costumi e copricapi.
Era giovedì sera e s’interrogavano sul da farsi dopo le dimissioni di Zingaretti. Ciascuno sfornava il nome del suo segretario preferito, un po’ come Guzzanti-Veltroni che cercava il candidato premier del 2001 (Heidi, Topo Gigio, Napo Orso Capo, Amedeo Nazzari…). E col medesimo effetto-risata.
Guerini? “E chi è?”. Bonaccini? “Sta in zona rossa e poi è già mezzo imparolato con Salvini”. Franceschini? “Aridaje!”. Lotti? “È inquisito e a quel punto tanto vale richiamare Matteo”. Pinotti? “Dà i, è uno scherzo!”. Di nuovo Zinga? “Ma se dice che si vergogna di noi!”. Zanda? “Tanto vale chiamare De Benedetti”. Fassino? “Seee, serve giusto un portafortuna”. Gentiloni? “Meglio la melatonina”. Orfini? “Piuttosto un cappio”. Marcucci e Delrio? “Allora meglio Fassino!”.
Il barista che portava le tisane aveva La7 sullo smartphone e guardava uno strano tipo dall’accento emiliano che spiegava a un misirizzi due o tre cose sulla sinistra. Che non può innamorarsi di Draghi. Che non può farsi fare di tutto senza reagire, tipo la cacciata di Arcuri (“Con lui eravamo primi in Europa per i vaccini e dopo il taglio siamo ancora ai livelli di Germania, Francia e Spagna: fra sei mesi vedremo dove siamo”). Che non può rinunciare a Conte, massacrato e poi silurato non certo perchè poco di sinistra, semmai troppo. Che deve lavorare a un campo largo progressista col M5S e col 40-45% di incerti, delusi e astenuti, anzichè ammucchiarsi con Lega e Forza Italia Viva. Che deve battersi per i brevetti liberi dei vaccini e dei farmaci salvavita e contro l’ennesimo condono fiscale.
A quelle parole, i capitribù ebbero una strana sensazione, come di dèjà vu. “Queste cose mi pare di averle già sentite da qualche parte”. “Anch’io, ma tanti anni fa”. “Pure a me sono familiari, forse mio nonno, la maestra, chissà …”. “Una volta, in un incubo terribile, ho sognato che le dicevo anch’io”. “A me quel tipo pare tanto di averlo già visto, ma non mi ricordo dove!”. Il barista li interruppe: “Coglioni, quello è Bersani, il vostro ex segretario, che avete lasciato andare via perchè non piaceva a quello di Rignano! Fatevi curare”.
Lo presero in parola e chiamarono un virologo. Il quale li visitò, diagnosticò a tutti una nuova mutazione del Covid e dettò una terapia d’urto: mettersi in quarantena per 10 anni e richiamare Bersani come segretario. Quelli, terrorizzati, obbedirono. Poi lessero il referto: “Variante saudita”.
Marco Travaglio
(da “il Fattp Quotidiano”)
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