Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
STAVOLTA IL PD NON SALVERA’ LA PELLE CON UN ACCORDO TRA LE CORRENTI
Zingaretti può ancora tornare indietro sulla dimissioni da segretario del Partito democratico? Una possibilità , seppure minima, c’è ancora. Lo chiedono molti suoi sostenitori, invocando una stretta sulle correnti.
Lo chiedono anche molti suoi avversari, che temono il dibattito interno precipiti nel caos in una situazione acefala. Un fatto è certo: a dispetto di quanto sostenuto da molti retroscena e dietrologi, la mossa di Zingaretti non nasce come espediente tattico bensì da una reale esasperazione per la conflittualità e per gli attacchi subiti nelle ultime settimane.
Quindi, al momento, non c’è motivo di pensare che l’irreversibilità delle dimissioni, ribadita oggi, sia uno schermo di intenzioni diverse.
Cosa può accadere ora, è difficile dire. La soluzione più probabile resta la nomina di un nuovo segretario in Assemblea nazionale il 13 e 14 marzo.
Un traghettatore verso il congresso. Un’ipotesi è che tocchi ad Andrea Orlando. È il vicesegretario e già due volte (Dario Franceschini dopo Walter Veltroni, Maurizio Martina dopo Matteo Renzi) è toccato al numero due assumere la guida del partito dopo il traumatico passo indietro del leader: in entrambi i casi il “reggente” si è poi candidato senza successo alle primarie.
Proprio questo è il punto debole di Orlando, che può legittimamente coltivare ambizioni di segreteria e per questo è giudicato da una parte della minoranza poco super partes per gestire un momento del genere.
C’è poi il problema del doppio ruolo: Orlando è entrato nel governo Draghi e l’incarico ha già suscitato polemiche nel partito per il mantenimento anche della carica di vicesegretario.
D’altra parte, Orlando ha un profilo e una esperienza adatti a un momento così difficile: anche una parte della corrente ex renziana sa bene che sarebbe un rischio notevole per il Pd affidarsi a una reggenza meno ingombrante ma quindi anche meno autorevole, col rischio di affrontare male le amministrative di autunno e arrivare in grande difficoltà a scadenze come l’elezione del presidente della Repubblica e le politiche del 2023.
Questo è appunto l’handicap principale di Roberta Pinotti, ex ministra della Difesa, solido curriculum e possibile punto di equilibrio tra le correnti: la poca consuetudine con le trappole e le responsabilità della leadership ne limita le chance.
Pinotti è espressione della corrente Franceschini. Quella tra Franceschini e Orlando, in teoria entrambi componenti della maggioranza che sosteneva Zingaretti, è la nuova strisciante competizione aperta tra le correnti.
Una possibilità è che il compromesso tra i due ministri, che di fatto si contendono il ruolo virtuale di capodelegazione dem nel governo Draghi, si raggiunga su un nome terzo, che magari abbia un’immagine da padre, o madre, nobile del partito.
Più avanti toccherebbe ai candidati veri, in testa Stefano Bonaccini, lo stesso Orlando. Ma mai come stavolta è chiaro che il Pd, in Assemblea come al congresso, non uscirà dall’angolo con un semplice accordo di nomenclatura.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
LOTTI E GUERINI TENTANO DI TENERE INSIEME LA CORRENTE … ZINGARETTI PREPARA IL SUO “NUOVO PD” CON CUPERLO E CALENDA
Tana libera tutti. O meglio: Renzi libera tutti.
Ormai è chiaro che lavora a un’altra Cosa, sia pur tra mille ambiguità . Perchè i sondaggi, quelli veri, non sono così rassicuranti. Lasciando anche il grosso dei suoi al loro destino. Sconcerto. Smarrimento. Incertezza.
Il Transatlantico pare un formicaio impazzito: “E ora? — chiede un parlamentare del Sud a Boccia — Io avevo una iniziativa convocata per Minniti, che dico alla gente?”. Non è un caso isolato, anzi. Senza il proprio leader e senza il candidato al congresso c’è un intero mondo spaesato.
Nelle stesse ore Nicola Zingaretti, in un’iniziativa molto affollata all’università con Cacciari, in una sala molto affollata parla del suo “nuovo Pd”, aperto alla società civile, inclusivo, per nulla rancoroso.
L’accordo per una gestione plurale prevede Paolo Gentiloni nel ruolo di presidente, la candidatura alle Europee di Carlo Calenda al Nord, e un ruolo di primo piano per Gianni Cuperlo, l’anima più di sinistra e di “discontinuità ” radicale col renzismo.
È in questo clima che Luca Lotti, uno che va al sodo, e Lorenzo Guerini, l’altro artefice dell’operazione Minniti, si attaccano al telefono: “Fermi tutti, almeno per 24 ore. Il tema non è uscire o no, ma è costruire una corrente, tenere assieme tutti i nostri”.
Il tentativo delle prossime 24 ore è quello di costruire una diga, prima del rompete le righe finale, accelerato dalla prospettiva di una disfatta congressuale.
Perchè si capisce che l’ex segretario ha in mente un soggetto nuovo: non una scissione, fatta di ceto politico e nomenklatura, ma proprio un’altra cosa. È su questo che è maturato il gran rifiuto di Minniti.
Nel corso dell’ultimo incontro, l’ex ministro dell’Interno ha chiesto a Lotti e Guerini un impegno solenne, scritto, a considerare il Pd l’unica casa comune escludendo progetti di scissione. Fonti degne di queste nome raccontano che i due lo avrebbero anche preso ma che, alla fine di un giro di telefonate, sono stati costretti a rifiutare, perchè c’era tutta l’ala dei falchi del renzismo, Maria Elena Boschi in primis, e con lei Marattin, la Bellanova ad averlo impedito.
Perchè il cosiddetto modello “Ciudadanos” di Renzi, prevede, nell’ambito del suo mondo, sommersi (i più) e salvati (assai pochi): “Il punto — prosegue uno dei protagonista della trattativa finale con Minniti — non è tanto Renzi che ha detto ‘fate quello che volete’ ma sono i suoi, che hanno paura di rompere con Renzi, hanno paura che non se li porti nel suo partito, e dunque non hanno firmato”.
È questa la tensione che si registra all’interno di un mondo che, da protagonista, si sente trattato come una zavorra. Per intenderci: se è da escludere che nella nuova lista non ci saranno i vari De Luca, cacicchi e capibastoni vari, non è da escludere che ci sarà la Boschi, Sandro Gozi, Ivan Scalfarotto e pochi altri.
Anzi sono già nella cabina di comando, con la Boschi addirittura più determinata di Renzi sulla linea di fondare un altro soggetto fuori dal Pd, nell’illusione che ci siano le masse pronte ad accoglierlo, e con lo spirito settario che è meglio comandare in casa più piccola che sentirsi ospiti in casa altrui.
Parliamoci chiaro: non è Minniti, Zingaretti o chicchessia il tema della discussione ma l’impossibilità e l’incapacità di un pezzo di quel mondo a riconoscere un “capo” che non sia Renzi.
L’ipotesi alimenta una dinamica da “liberi tutti”. E rende urgente la decisione sul “che fare”.
C’è chi ha contattato Graziano Delrio, per valutare un sostegno a Martina. C’è chi attende di capire se davvero Renzi andrà fino in fondo perchè non è neanche facile per lui scaricare coloro che hanno condiviso le scelte, il potere, i segreti di questi anni. Dicevamo, Lotti, il pragmatico.
Fosse stato per lui, settimane fa avrebbe già strutturato la “corrente” e fatto un accordo con Zingaretti, negoziando quote di potere nella nuova gestione. Adesso è tutto maledettamente più complicato. A partire dall’ultimo tentativo di “congelare” il congresso affidando a Paolo Gentiloni il ruolo di traghettatore fino alle europee. Un’ipotesi assai poco praticabile, per l’indisponibilità dello stesso Gentiloni e degli altri due candidati che, col mondo renziano allo sbando, hanno a questo punto un congresso in discesa.
E non vivono come un dramma l’abbandono di Renzi: “In fondo — dice Debora Serracchiani — quel che sta accadendo è un elemento di chiarezza. Il tema è che il congresso serve e va fatto per costruire una opposizione forte. Punto”.
A una settimana dalla presentazione delle firme i renziani non hanno un candidato. L’idea più probabile è quella che, alla fine, sarà chiesto il sacrificio a Lorenzo Guerini, la colomba che proprio per evitare traumatiche rotture sin dal primo minuto fu artefice della candidatura di Minnini.
Con l’obiettivo di “tenere assieme la corrente di 70 parlamentari e 500 sindaci. Quanto sarà compatta, dopo il liberi tutti, è altro discorso.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 19th, 2018 Riccardo Fucile
RINVIATO IL NODO SEGRETERIA-CONGRESSO…PD DIVISO, PARTE DELL’ASSEMBLEA ACCLAMA MARTINA
È il giorno dell’assemblea nazionale del Pd con il partito che si presenta diviso.
Un segnale che all’interno del Pd si è cercata una mediazione fino all’ultimo, è che i lavori sono cominciati con un ritardo di più di un’ora e mezza. A prendere la parola per primo è stato il presidente Matteo Orfini, non Matteo Renzi come era previsto.
Con un voto a maggioranza l’assemblea Pd ha deciso di cambiare l’ordine del giorno e non discutere oggi sulla guida del partito e il congresso, ma rinviare a una successiva riunione.
Sono stati 397 i voti a favore, 221 i contrari e sei gli astenuti.
Contro la proposta si sono levate proteste dalla platea, che in precedenza aveva fischiato. “Capiamoci, anche basta”, ha detto Orfini a chi lo interrompeva. L’assemblea si è poi aperta con la relazione di Maurizio Martina.
Niente da fare dunque per i sostenitori del reggente Martina che avevano raccolto le firme a un ordine del giorno per il congresso anticipato, ma con l’elezione del segretario in assemblea “per non lasciare il partito senza guida in una fase delicata per il Paese”.
Il documento prevedeva che si procedesse “all’elezione di un segretario in Assemblea ai sensi dell’articolo 3 comma 2 dello Statuto nazionale del partito” e “di riconvocarsi per procedere all’indizione del congresso anticipato che si dovrà svolgere entro quest’anno”.
La relazione di Martina. “Cari Di Maio e Salvini voi non arrivate dal futuro, voi state riportando l’Italia nel passato e noi non ve lo consentiremo. Altro che governo del cambiamento. Questa è la restaurazione”, dice Martina dal palco dell’assemblea Pd.
Il reggente spiega: “Quale idea di democrazia hanno M5S e Lega, se riducono tutto a un contratto di natura privatistica? Mai l’Italia ha visto una cosa simile”. Martina aggiunge: “Rimango convinto che fosse giusto sfidare il M5S in un confronto di merito: avremmo evidenziato le contraddizioni”.
“Vi ringrazio per la vostra presenza qui, ora è il momento di far fronte alle sfide politiche e a quelle del lavoro, come ci testimoniano le recenti morti bianche. – prosegue -. C’è qualcosa di molto profondo che dobbiamo capire per costruire l’alternativa”.
Sulle future decisioni del partito, Martina spiega: “Faremo un congresso anticipato, chiedo di poter lavorare insieme a tutti voi per portare in maniera unitaria, forte, al congresso, senza la fatica dei detti e non detti che hanno generato ambiguità . Non ho l’arroganza di fare questo lavoro da solo. So che nella transizione questo mestiere si fa così. Ma se tocca a me, anche se per poche settimane, tocca a me. Ve lo chiedo con la massima sincerità . Tocca a me con tutti voi”.
“Il congresso può essere la grande occasione per noi, così le primarie, guai se vi rinunciassimo – continua -. Ma credo che non ci basta una domenica ai gazebo, abbiamo bisogno di un congresso profondo, costituente. Ma profondità e apertura si tengono. E si può fare anche superando tante diversità che ci attraversano, e lo si fa nella consapevolezza che non si debba essere autoreferenziali”.
“Occorre ricordare le ragioni fondative del Pd – prosegue -. Non credo che il Pd debba essere superato, che si debba andare oltre o indietro. Chiedo in un nuovo centrosinistra alternativo a Lega e M5s e alternativo a Fi. Una delle ragioni di questi problemi politici che l’Italia vive oggi è nelle responsabilità di FI ad assecondare quei populismi”.
“Quando dico collegialità – dice ancora Martina – so benissimo che costa fatica. Ma so che questo è il lavoro da fare. Se tocca a me questo lavoro lo faccio assieme a tutti, e introduco anche novità nei gruppi dirigenti. Non per rivincite, ma nella consapevolezza che in una situazione difficile così di deve fare. Se avete voglia questo lavoro lo facciamo insieme”.
Nel passaggio finale dell’intervento del reggente, che dice “tocca a me, tocca a me”, una parte della platea lo applaude fragorosamente e lo acclama: “Segretario, segretario”. Sono per lo più gli stessi delegati, in prevalenza della minoranza, che avevano votato contro l’inversione dell’ordine del giorno per rinviare la discussione sulla segreteria.
Discussione se votare o meno la relazione di Martina. Ancora non si sa se la relazione del reggente Martina sarà messa in votazione al termine dell’assemblea. A quanto si apprende, un primo accordo prevedeva il voto sulla relazione, con i passaggi sull’opposizione a M5s e Lega. Ma alla fine la scelta potrebbe essere quella di chiudere l’assise senza un voto. Non solo, infatti, trapela il malumore dei renziani per alcuni dei passaggi della relazione, ma c’è anche il fatto che alcuni dei delegati stanno lasciando l’assemblea dopo che si è capito che non si voterà oggi sul nuovo segretario. Ad ogni modo dal banco della presidenza viene annunciato: “Al termine degli interventi si voterà la relazione di Martina”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 7th, 2018 Riccardo Fucile
RESTA IL NODO LISTE E CHI SI CANDIDA ALLA SEGRETERIA
Lo stato maggiore del Pd non se l’aspettava questa accelerazione sul voto anticipato già a luglio. Maurizio Martina fa il punto con gli altri dirigenti dopo l’ultimo giro di consultazioni con Sergio Mattarella al Quirinale, fino a Firenze, dove Matteo Renzi trascorre la giornata.
L’unica debole speranza per evitare le urne in estate la dà il presidente della Repubblica con la sua mossa di governo neutrale a scadenza. “Condividiamo il richiamo alla responsabilità del presidente Mattarella e ci auguriamo che venga ascoltato da tutte le forze politiche in queste ore. Il Pd non farà mancare il suo sostegno all’iniziava preannunciata ora dal presidente”, dice Martina.
Ma non basta a scacciare i fantasmi del voto anticipato.
In Transatlantico i pochi parlamentari Dem presenti fanno ipotesi, congetture. Il percorso da qui alle urne non è per niente chiaro.
C’è un’unica bussola, ma anche questa è tutta da vedere: la possibilità , indicata da molti, renziani e non renziani, di affrontare la nuova eventuale campagna elettorale con Paolo Gentiloni come frontman del Pd e dei suoi alleati (se ci saranno), indicato come candidato premier, anche se formalmente il Rosatellum non ne prevede l’indicazione.
Il punto è che il diretto interessato non è per niente convinto di volerlo fare, a dimostrazione del fatto che nel Pd è tutto un gran caos.
Gentiloni sa che Renzi non ha gradito le critiche che gli ha esposto ieri dagli studi di Fabio Fazio su Raiuno (“Forse si poteva discutere per mettere a nudo il M5S, il gran rifiuto non era indispensabile”, ha detto il premier).
E va da sè che guidare una campagna con un partito ridotto male e Renzi non perfettamente allineato, è un rischio, anche per Gentiloni.
Vero è che, di fronte al voto anticipato, nemmeno il segretario dimissionario ha un piano B. E potrebbe dunque accettare che il timone della nuova corsa al voto sia affidato a Gentiloni, figura di garanzia tra le diverse aree del partito.
Ma il resto è comunque un bazar disordinato in un partito che, dopo la direzione nazionale della settimana scorsa, si tiene insieme a fatica.
Nel caso di voto a luglio, tra i renziani si ipotizza la data del 26 maggio per la convocazione dell’assemblea nazionale, rimandata per via delle consultazioni sul governo. Nel caso di voto a ottobre, congresso e primarie a luglio. Il punto è che al momento non ci sono nomi maturi per la segreteria.
Sia i renziani, ma anche i non renziani non hanno nomi pronti per un incarico del genere: da statuto, il segretario sarebbe anche il candidato premier.
Servirebbe un nome forte. Non sembra che Gentiloni sia disponibile per l’elezione a segretario. E non lo è Graziano Delrio, altro nome che continua a circolare per la segreteria.
E’ per questo che i dirigenti che fanno da ponte tra Renzi e le altre aree del partito prendono in considerazione l’idea che alla reggenza del Pd resti Maurizio Martina, magari affiancato da altre figure di garanzia per la gestione delle liste.
Congresso e primarie verrebbero rimandate: non c’è tempo.
E così verrebbe rimandata la corsa di Matteo Richetti e Nicola Zingaretti, entrambi in pole ma non per l’assemblea, bensì per la gara nei gazebo, quando si farà .
Il problema più grosso però sono le liste elettorali: una bomba che rischia di scoppiare in un partito già dilaniato dagli scontri interni.
Per Renzi l’ideale sarebbe una sorta di armistizio: che implica la presentazione delle stesse liste presentate il 4 marzo. Certo, le ha fatte lui.
Ma man mano che passa la giornata, man mano che si rafforza l’ipotesi di un nuovo voto a luglio (data più probabile il 15 marzo), anche l’idea di mantenere le stesse liste scricchiola.
La rivolta dei big di maggioranza e minoranza contro Renzi la scorsa settimana in direzione (da Martina a Franceschini a Orlando) ha lasciato strascichi evidenti, anche se il segretario dimissionario non è stato messo in minoranza. Anche tra i renziani ci si rende conto che presentare le stesse liste di due mesi fa è un’utopia, con tutti malumori che sono scoppiati nel partito per le candidature decise dal segretario.
Ma i cambiamenti possibili saranno comunque minimi: se davvero si torna al voto tra due mesi, non ci sarà tempo.
Tutto in alto mare. Il Pd naviga a vista. “Vediamo che succede”, dicono in Translantico, la frase tipica dei momenti in cui non si sa che fare.
Dopo il discorso di Mattarella si accende la speranza di non tornare al voto tra due mesi, di non dover correre di nuovo per alleanze e liste.
Emma Bonino lancia l’allarme “sulla procedura democratica, o antidemocratica, in caso di elezioni super-anticipate. Non vi sfuggirà che in questo caso, che il voto sia a luglio o ottobre, è chiaro che potranno presentarsi solo Pd, M5s e centrodestra: tutti gli altri sono esclusi per le procedure previste dalla legge”. Vale a dire le firme da raccogliere.
Mezzo Pd pensa ad un’alleanza con Leu, i renziani non ne sono per niente convinti.
A fine giornata il vicepresidente della Camera Ettore Rosato spera: “Il Presidente della Repubblica ha messo tutti nella condizione di ripartire. Dopo questi sessanta giorni, Mattarella da alle forze politiche la possibilità di riaprire un dialogo. Penso che tutti debbano rispondere con attenzione e saggezza rispetto alla richiesta di non trascinare il Paese in un lungo stallo istituzionale. Il Pd, come ha detto il segretario reggente Maurizio Martina, risponderà positivamente alla richiesta, ma mi auguro che l’intervento del Presidente riesca anche a smuovere le cose tra gli altri partiti, che non si chiudano in logiche di mera convenienza”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 11th, 2018 Riccardo Fucile
UN EVENTO FB CHE CONVOCA UN PARTY CON UN FUMETTO DOVE RENZI ESCE DA UNA BARA, OPERA DEI GIOVANI DEM DEL XIV MUNICIPIO FA ESPLODERE LA LITE
Il Partito Democratico torna a litigare al suo interno a Roma, dove i disastri elettorali evidentemente non bastano mai.
Stavolta sotto accusa finisce un banner utilizzato dai Giovani Democratici del XIV Municipio per un evento intitolato R.I.P.arty che andrà in scena venerdì 13 aprile.
Il manifesto dell’iniziativa ritrae un fumetto in bianco e nero in stile Dylan Dog, con il segretario dimissionario Matteo Renzi che esce da una bara: “Durante la campagna elettorale percepivi un certo malessere? Il 4 marzo ti ha svuotato di energie? La casella di presidente del Senato ti ha dato il colpo di grazia? Festeggiaci su e Rip. Party venerdì 13 aprile”, si legge sull’evento Facebook creato dal gruppo.
L’immagine utilizzata per pubblicizzare l’evento non è piaciuta a Luciano Nobili, renzianissimo deputato nonchè responsabile delle città metropolitane per il Partito Democratico:
I Giovani Democratici del XIV Municipio di Roma hanno organizzato una festa per celebrare la sconfitta del Partito Democratico del 4 marzo e l’hanno dedicata alla “morte” (si spera politica) di Matteo Renzi. Con tanto di “Riposa in pace” e l’immagine del nostro ex segretario davanti alla bara. Neanche i troll più sanguinari del #M5S e della Lega sono mai arrivati ad un’indecenza simile.
Nobili va oltre, anche se non si spinge a fare nomi e cognomi: “Non si tratta di una bravata, ma di un evento promosso dall’organizzazione ufficiale dei GD e come se non bastasse tra i partecipanti ci sono autorevoli dirigenti, tra cui il segretario romano”.
A quello ci pensa Claudia Daconto, responsabile comunicazione del PD Roma e membro del direttivo del Pd 14: “Dopo aver preso atto della sua iniziale adesione, chiedo al segretario romano dei GD Guido Staffieri di chiedere scusa a nome dell’organizzazione giovanile e di dissociarsi ufficialmente da una tale indegnità morale e politica”.
Proprio ieri Andrea Orlando aveva denunciato una pagina FB che chiedeva l’espulsione sua e di altri come Cuperlo ed Emiliano dal PD. Il gruppo dei Giovani Democratici aveva scelto di appoggiare proprio Andrea Orlando alle primarie del 2017, con Staffieri in prima linea.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile
NO A UN INCONTRO ORA, SEMMAI SE E QUANDO CI SARA’ UN PRE-INCARICO
La risposta è no. Almeno quella di Matteo Renzi: ma su questa linea l’ex segretario del Pd riesce ancora una volta a tenere tutto il partito, pur tra i mugugni dei non-renziani. E’ quanto trapela dal suo quartier generale dopo l’invito di Luigi Di Maio a incontrare Maurizio Martina per costruire insieme punti di programma di governo, “modello tedesco”, come quello usato da Angela Merkel e i socialisti per la nuova ‘grande coalizione’.
Veramente il reggente Martina è tentato di sedersi al tavolo con Di Maio, almeno come uscita tattica per non restare con il cerino in mano, attaccati ad un no a priori. Ma Martina non è ancora segretario: si gioca la guida del partito all’assemblea nazionale del 21 aprile. Renzi e i suoi gli hanno fatto capire che potrebbero ritirargli l’appoggio qualora decidesse diversamente dalla linea ufficiale: opposizione.
E dunque ufficialmente il Pd potrà incontrare Di Maio soltanto nel caso in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dovesse affidargli un pre-incarico di governo al termine del secondo giro di consultazioni la prossima settimana. Non prima.
“Perchè mai dovremmo incontrarlo adesso? — ci dice dietro anonimato una fonte Dem – Se lo facessimo, ci direbbe di sì a qualsiasi proposta, cancellerebbe il reddito di cittadinanza per accettare il nostro reddito di inclusione e altre cose simili. E’ in evidente difficoltà con Salvini che non molla Berlusconi, ha l’obiettivo di arrivare a Palazzo Chigi: perchè mai dovremmo aiutarlo? L’incontro sul programma sarebbe una finta, una bischerata. E gli serve per spaventare Salvini…”.
Parole che chiariscono il motivo per cui alla fine tutto il partito si accoda al no renziano. Per ora.
L’ex segretario ha tenuto una riunione ristretta con i suoi oggi pomeriggio, prima che Di Maio parlasse dal Quirinale dopo il colloquio con il presidente della Repubblica. Presenti Lotti, Boschi, i capigruppo Marcucci e Delrio, il presidente Orfini.
La linea è sempre quella di opposizione. E anche sull’assemblea nazionale del 21 aprile, ad oggi, non è affatto detto che i renziani sostengano la candidatura di Martina. Dopo le voci di accordo dei giorni scorsi, la bilancia pende di nuovo a sfavore di questa ipotesi. Soprattutto dopo la novità arrivata da Di Maio: questo invito a vedersi non per aderire a un programma pentastellato ma a costruire insieme un programma.
Un invito che ha messo in difficoltà la parte ‘dialogante’ del Pd, che si è posta il problema di come uscirne tatticamente.
“Se quella di Di Maio è un’uscita tattica per giocare con Salvini, noi dovremmo quanto meno rispondere tatticamente”, ci dice un esponente orlandiano commentando a caldo l’uscita del leader pentastellato, mentre nel Pd fervono i contatti per trovare una via d’uscita.
C’è da dire che comunque la scelta di Di Maio di mettere sullo stesso piano il Pd e la Lega non piace nemmeno alla parte dialogante tra i Dem. “Pur volendo come si fa? Non ha mica detto che scommette sul centrosinistra, continua a dire che destra e sinistra si equivalgono, che fare un governo con noi o con Salvini è uguale!”, sbotta un esponente dell’area di Dario Franceschini, che dalla scorsa settimana invita il partito a discutere la linea di opposizione.
Insomma, Di Maio per ora non convince nemmeno i non-renziani. Che però sarebbero andati a sentire cosa vuole, se non fosse per Renzi.
Non è escluso che fino all’assemblea del 21 aprile l’ex segretario rispolveri l’idea di tirare fuori un suo candidato alla segreteria, al posto di Martina che non a caso avrebbe voluto accorciare i tempi dell’assemblea al 15 aprile.
“Fino al 21 c’è tempo”, dice uno dei suoi, malgrado sulla carta resti l’indisponibilità di Delrio, Guerini e Richetti a candidarsi alla segreteria. L’ultimo dei tre vorrebbe farlo ma solo in un congresso vero con primarie. Di certo c’è che ora la reggenza è di Martina, la guida è di Renzi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 24th, 2017 Riccardo Fucile
OTTERREBBE TRA 160 E 180 DEPUTATI, PER QUESTO LE DEROGHE ALLE TRE LEGISLATURE SARANNO RIDOTTE ALL’OSSO
In base ai sondaggi, se si votasse oggi il Partito Democratico avrebbe cento deputati in meno alla Camera con l’Italicum rivisto dalla Corte Costituzionale e nessun partito raggiungerebbe il 40% dei voti previsto per il premio di maggioranza: quindi i seggi a Montecitorio sarebbero spartiti con un proporzionale puro che porterebbe il PD ad ottenere tra i 160 e i 180 deputati.
Con cento e passa parlamentari in meno (se si scende al 25% gli eletti sarebbero circa 140, col 23% più o meno centoventi), Tommaso Labate spiega che le deroghe per chi ha fatto più di tre legislature saranno ridotte all’osso così come le candidature della società civile:
Nel Pd, i sicuri di un posto alla Camera saranno i 100 capilista. Il primo eletto con le preferenze scatterà in più di metà dei collegi, un altro solo nelle regioni rosse. In caso di pluricandidatura, se la legge non cambia, l’eletto in più collegi non potrà scegliere a chi regalare il posto. Ci sarà , sentenza della Consulta alla mano, un sorteggio. La dea bendata, insomma, si siede al tavolo delle candidature,là dove il destino, una sua parte in commedia, la recitava anche in passato.
Nel 2013, segretario Bersani, Paolo Gentiloni era a un passo dall’esclusione dalle liste. Lo recuperò nella sua quota, insieme a Michele Anzaldi ed Ermete Realacci, l’allora leader della minoranza, Matteo Renzi. E oggi ne ha preso il posto a Palazzo Chigi.
Non erano stati così fortunati, cinque anni prima, nè Ciriaco De Mita nè Sergio Mattarella, che non ottennero la deroga dal Pd. Poco male.
Il primo combatte ancora con tenacia, e fa il sindaco a Nusco. Il secondo, com’è noto, è presidente della Repubblica.
(da “NextQuotidiano“)
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Luglio 2nd, 2017 Riccardo Fucile
LA TESORIERA REGIONALE ALLE PRESE CON UTENZE TELEFONICHE, CONTI CORRENTI SCOPERTI, FUNZIONARI STIPENDIATI, SEI IMPIEGATI, UN AUTISTA E UN’AUTO BLU
Nelle Marche il Partito Democratico litiga per i soldi e per l’autista. I protagonisti sono la deputata Alessia Morani e il segretario regionale Francesco Comi.
Quest’ultimo, dopo la richiesta di congresso locale da parte della deputata condita da allusioni piuttosto estreme («Vorrei sapere cosa fate con i nostri soldi»), parte all’attacco della Morani: «L’unica abusiva è lei che deve 10600 euro al PD Marche».
La Morani su Facebook si arrabbia per l’allusione preannunciando querele e spiega di aver dato soldi al PD provinciale per aiutarlo in un momento di difficoltà economica:
A parte lo squallore della risposta dovuta all’incapacità di rispondere in termini politici (ma questo è purtroppo noto) vorrei che si sapesse che secondo le indicazioni del Pd Marche i parlamentari avrebbero dovuto versare 30.000€ per la candidatura come contributo per la campagna elettorale e 12.000 € per l’attività politica regionale.
Io ho versato 30.000€ al Pd Marche mentre ho scelto di versare per l’attività politica 24.000 € al Pd provinciale per aiutare la mia federazione in un momento di difficoltà economica. E il Pd regionale lo sa. Quindi ho versato esattamente il doppio. È tutto documentato poichè l’ho fatto a mezzo bonifico.
Ma a questo punto entra in scena la tesoriera marchigiana Giorgia Sampaoli, che contesta la ricostruzione della Morani e parla di diverse utenze telefoniche, più conti correnti (uno con scoperto di 20milaeuro),funzionari stipendiati oltre a sei impiegati (che aspettavano soldi da 4/5 mesi) e un autista. Collaborazione da circa 1000 euro, che la tesoriera subentrata non rinnova. E c’era anche l’auto blu: un’Alfa 159 station wagon diesel che il segretario Comi fa subito vendere.
Si è quindi concordato di accettare un piano di rateizzazione per il versamento dei 30.000 euro e ad oggi la Senatrice Fabbri ha integralmente saldato l’impegno e contribuisce come gli altri con il versamento mensile, l’On. Marchetti versa mensilmente quota parte del contributo una tantum e la quota mensile, l’On. Morani seguiva le stesse abitudini di Marchetti, salvo poi interrompere i versamenti a febbraio 2017, sostenendo che la somma versata, di poco inferiore a 30.000 euro complessivi, fosse idonea a coprire il versamento dell’una tantum di 30.000 euro ed invitando la tesoreria a chiedere i soldi alla federazione pesarese alla quale ha versato oltre 24.000 di contributo.
In merito alla contribuzione dell’On. Morani alla Federazione di appartenenza, c’è sicuramente da renderle grande merito, così come ai parlamentari pesaresi Marchetti e Fabbri, tuttavia i parlamentari eletti nella Regione Marche per essere in regola con le erogazioni liberali, a prescindere dalle loro contribuzioni alle federazioni o alle realtà territoriali minori, debbono aver versato ad oggi al PD Marche 40.300 euro, euro 30.000 assunti con l’impegno pre-elettorale ed € 200 quale contribuzione mensile.
Quasi tutti i Consiglieri ed i Parlamentari versano una quota aggiuntiva e volontaria, oltre quella versata al regionale, ai Circoli o alle loro Federazioni di appartenenza, ci auguriamo pertanto che l’On. Morani provveda quanto prima a mettersi in regola con i pagamenti contribuendo, come i propri colleghi, a risanare il debito che sia io che il Segretario abbiamo trovato.
Ma soprattutto la Sampaoli contesta la questione dei soldi dati dalla Morani,che si presenta nei commenti per replicarle: «In questo post, quindi, trovo la conferma di quanto ho affermato e cioè che tra Pd Regionale e provinciale ho versato 54.000€ (che sono 12.000€ in più rispetto al dovuto). Pertanto definirmi abusiva è una grande offesa e menzogna. Attendo, invece, risposte sul piano politico, non dalla tesoriera naturalmente». La Sampaoli controreplica: «Cara Alessia, per essere in regola con i contributi al pd regionale, come i tuoi colleghi, mancano un po’ più di 10.000 euro, come ti ho scritto. Quanto hai versato alla tua federazione, per quanto encomiabile, è frutto dei vostri accordi e del vostro rapporto. La realtà regionale è una cosa quella del provinciale è altra». I
l bilancio 2015 del PD Marche si è chiuso con debiti per 515mila euro, portati a 485mila nel 2016 grazie ai contributi dei parlamentari.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 1st, 2017 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE REMASCHI AL TELEFONO CON SANTINI: “NON SOLO GLI DO UNA MANO, MA SE POSSO LA DO A TE”… ORA NEGA: “STAVO SCHERZANDO”
Il Corriere della Sera in un articolo a firma di Marco Gasperetti racconta la storia dell’assessore regionale all’Agricoltura, Marco Remaschi, e di Remo Santini, giornalista, candidato del centrodestra in quel di Lucca: in una telefonata registrata dal secondo il primo gli prometteva appoggio alla vigilia del ballottaggio contro il candidato del centrosinistra Alessandro Tambellini, del PD ma non renziano:
«Io non solo non gli do una mano, ma se posso te la do a te».
Elezioni amministrative, vigilia del ballottaggio. A parlare al telefono con il candidato sindaco di Lucca è un assessore regionale.
Una frase normale se l’amministratore e quell’aspirante primo cittadino fossero entrambi dello stesso partito o della stessa coalizione.
Il problema è che invece l’assessore regionale all’Agricoltura, Marco Remaschi è un renziano di ferro del Pd e Remo Santini,giornalista, è il candidato del centrodestra e ha come avversario Alessandro Tambellini, del Pd, ma non renziano.
Alla fine il ballottaggio lo vince Tambellini, ma la telefonata ha dato il via alle polemiche.
Ieri Santini non solo ha reso nota la registrazione della chiamata, ma ha anche denunciato un secondo episodio che vede coinvolto un altro renziano, il consigliere comunale lucchese Lucio Pagliaro, che avrebbe cercato di ottenere con il candidato del centrodestra accordi per il voto disgiunto.
Secca la smentita di Remaschi che ha annunciato una querela nei confronti di Santini.
«Ha equivocato una telefonata scherzosa – si giustifica l’assessore–, come molte altre tra di noi. Sfido chiunque a trovare anche una sola persona a cui io abbia detto di votare il candidato di destra. Nella registrazione poi manca la parte iniziale».
(da “NextQuotidiano”)
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