Febbraio 6th, 2019 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELLA COMUNITA’ CINESE HA PERMESSO L’ARRESTO DEL PEDOFILO PADANO
Un pensionato di 67 anni, che frequentava come educatore una parrocchia nella zona nord di Milano, è stato arrestato dalla polizia con l’accusa di aver abusato nella sua abitazione di tre bambini di 10, 11 e 12 anni, che frequentavano la stessa parrocchia.
L’ordinanza di custodia in carcere è stata emessa dal gip di Milano Guido Salvini, a seguito delle indagini del procuratore aggiunto Letizia Mannella e del pm Michela Bordieri, condotte dagli agenti del commissariato Comasina.
Stando a quanto ricostruito dalle indagini, l’uomo, ex operaio in pensione, frequentava da tempo la parrocchia dove svolgeva l’attività di educatore, occupandosi in particolari dei bambini della comunità cinese molto presente in quella zona.
In particolare, nell’ultimo periodo tre famiglie in difficoltà gli avevano affidato i loro bambini e lui si occupava anche di portarli a scuola e di andarli a riprendere.
Già lo scorso dicembre, però, la stessa comunità cinese, anche a seguito di alcuni riunioni di quartiere, aveva iniziato a segnalare comportamenti anomali dell’uomo ed erano scattati i primi accertamenti su di lui.
Gli investigatori, quindi, hanno iniziato a fare degli appostamenti e si sono accorti che alcuni bambini uscivano dalla sua casa la mattina, dove avevano passato la notte. Inoltre, un insegnante avrebbe riferito un racconto che le aveva fatto uno dei bambini.
A quel punto, sono state installate delle microcamere nella sua abitazione che hanno permesso di documentare le molestie e gli abusi e due giorni fa è scattato l’arresto, poco prima che l’uomo si recasse a prendere i bambini a scuola.
I piccoli sono stati portati in una comunità protetta. Gli investigatori nell’ambito dell’indagine ‘vox populi, vox dei’ stanno anche facendo accertamenti per verificare se l’uomo, che avrebbe giustificato le sue condotte come “affetto” per i bambini, in passato possa aver abusato anche di altri minori.
Il pensionato è stato interrogato oggi dal gip, alla presenza anche del pm.
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2016 Riccardo Fucile
IL DRAMMATICO RAPPORTO UE SULLE VIOLENZE AI BAMBINI SCOPERCHIA UNA FOGNA, CON LO STATO LATITANTE… E I PERBENISTI CHE SI SCANDALIZZANO SE UN IMMIGRATO PISCIA CONTROVENTO SULLA PEDOFILIA NON HANNO NULLA DA DIRE
Il padre di Clarissa L. ha cominciato a molestarla quando aveva dodici anni. Diceva di farlo per il suo bene. «Siamo parte di una razza superiore e questo è il mio dono per te».
Una presunta super-intelligenza che si fondava su un’ idea schifosa: «la società è piena di tabù, il mondo vive stipato in una gabbia per polli e noi dobbiamo aprire la gabbia e abbattere i tabù, primo fra tutti quello dell’incesto».
Lo ha abbattuto il tabù e ha abbattuto anche Clarissa. Per sei anni consecutivi.
Poi lei si è rivolta a un insegnante, quindi a uno psicologo, infine ai carabinieri, che sono andati ad arrestare il padre, che di mestiere insegnava matematica.
L’hanno condannato a sei anni e mezzo di galera. Ne ha passato uno ai domiciliari. «Dietro le sbarre, però, non è rimasto neanche un giorno. Ma la cosa che mi fa più male è un’altra. L’ultima frase che gli ho detto prima che salisse sul camper e provasse inutilmente a scappare alle forze dell’ordine è stata: “scusa papà , non ti volevo denunciare”».
I sensi di colpa. La vergogna. L’idea di avere rovinato la famiglia, anche quella mamma, professoressa anche lei, che giurava di non essersi accorta di nulla.
Così Clarissa non sapeva più se di questa storia – la sua – era la vittima o il carnefice. «Ci ho messo del tempo a rendermi conto di come sono andate le cose. Non avevo gli strumenti per arrivarci. Ma dopo avere ritrovato l’equilibrio l’ho denunciato una seconda volta, quando ho scoperto che aveva aperto un blog in cui adescava bambini e bambine». Lei era cambiata. Lui no.
Mentre andava alla polizia postale a denunciarlo le è tornato in mente il materasso dove qualche volta il padre – esattamente come faceva in camera, sotto la doccia, in cucina, sul camper, ovunque – abusava di lei.
Era in mezzo a un campo e per raggiungerlo bisognava attraversare un tunnel naturale fatto di arbusti. . «Attorno al materasso c’erano bambole e macchinine. E io a dodici anni con le bambole non giocavo più». Non è difficile immaginare l’orrore di quel luogo.
La parola che Clarissa usa più spesso per raccontare quegli anni è «confusione», come se il genitore pedofilo le avesse affondato un cucchiaio nella testa per mescolarle il cervello. Sei l’uomo che mi deve proteggere o sei un mostro?
«Alla fine non era tanto il sesso a farmi male, quanto questa gigantesca impossibilità di capire».
Quante sono in Italia le bambine e i bambini come è stata lei? E che cosa facciamo per aiutarli?
Domanda che pretende una risposta sempre più urgente nei giorni delle polemiche sul degrado di Caivano e del Parco Verde a Napoli («gli abusi sessuali in famiglia in queste zone sono elevati a normalità », sostiene il garante dell’infanzia campano), degli arresti contro la pedofilia on line effettuati dalla polizia postale in tutto il Paese e dell’impegno condiviso tra la ministra delle pari opportunità Maria Elena Boschi e la Garante Nazionale per l’infanzia, Filomena Albano, «per agire con tutti gli strumenti necessari per contrastare gli abusi sessuali sulle persone di minore età e la pornografia minorile». Belle parole. Ma c’è qualcuno che conosce realmente le dimensioni di questo disastro e quindi lo affronta?
Il buco nero
Il rapporto dell’Unione Europea sul maltrattamento e le violenze sui bambini dice che tra il 5 e il 10% dei maschi e il 20% delle femmine è vittima di abusi sessuali durante l’infanzia. Una bambina su cinque. Un bambino su otto.
E nell’ 80% dei casi sono i familiari a molestarli: il padre una volta su due, la madre una volta su dieci, poi gli zii, i nonni, i conviventi della madre, i fratelli, infine gli amici.
Gli estranei rappresentano l’ 8,9% del problema.
Non c’è distinzione di classe. Dal notaio al barista è un orrore diffuso.
E i numeri italiani? Presumibilmente non sono molto diversi. Presumibilmente.
Un numero ufficiale non esiste, perchè non esiste la banca dati nazionale prevista dalla legge 36 del 2006.
«La verità è che tutto ciò che riguarda i minori, non solo la pedofilia, non è monitorato e che c’è una disattenzione progressiva delle istituzioni, della politica e anche della società », dice Sandra Zampa (Pd), vice presidente della commissione infanzia.
Una disattenzione colpevole, per non dire criminale. «Non c’è la volontà politica di affrontare la questione», dice don Fortunato Di Noto, esperto mondiale di pedofilia e fondatore dell’Associazione Meter.
«C’è un problema di percezione della portata della pedofilia nel nostro Paese. La si ritiene un fatto marginale. Però sappiamo tutti che non è così. Io in 13 anni ho accolto più di mille e trecento vittime di pedofilia qui ad Avola. E per cento che ne vengono ce ne sono altri cinquecento di cui non abbiamo idea».
Uno lo aiuti. Cinque si perdono. Sciorina una sfilza di dati spaventosi e racconta dell’infantofilia, l’abuso sui bambini con meno di tre anni, in crescita esponenziale. «Qualcuno ci prende per folli, ma siamo di fronte a un fenomeno enorme. E in Italia avremmo anche le leggi per affrontarlo, ma nessuno le applica. Mi domando se non sarebbe il caso di fare vedere a tutti le fotografie di questo scempio. Magari smuoverebbero le coscienze come il piccolo Aylan sulla spiaggia in Turchia. Invece qui nessuno reagisce».
E se non c’è l’istinto a agire per assecondare le ragioni del cuore, bisognerebbe farlo almeno per quelle del portafoglio.
La prima indagine nazionale sull’epidemiologia del maltrattamento all’infanzia voluta da Terre des Hommes e dal Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento all’Infanzia (Cismai) curata dall’Università Bocconi di Milano, quantifica in 338 milioni e mezzo i costi diretti degli abusi sui bambini (ospedalizzazione, cura della salute mentale, costi per l’amministrazione della giustizia) e in oltre dodici miliardi quelli indiretti (cura della salute da adulti, criminalità adulta, delinquenza giovanile, perdita della produttività per la società ). Intervenendo tardi si producono due danni: adulti feriti e casse vuote.
La dottoressa Monica Micheli, addetta alla comunicazione del Cismai, giudice onorario e supervisore al Centro Aiuto al Bambino Maltrattato che nel comune di Roma ha assistito 1500 bambini e adolescenti in 18 anni, incarna fisicamente la distanza siderale che corre tra la volontà dei singoli di affrontare il tema con coraggio e la sensibilità pressochè nulla delle istituzioni.
«In febbraio siamo stati costretti a sospendere la nostra attività per esaurimento fondi. Mancava il bando, che adesso finalmente è arrivato e che da settembre potrebbe consentirci di rimetterci al lavoro».
Il sistema va a singhiozzo. Le violenze proseguono. E Micheli non può che condividere la visione dei colleghi: «L’attenzione dello Stato verso il tema è prossima allo zero e continua a mancare una politica di investimenti».
Ma che vita hanno i bambini abusati? Dipende dalla gravità dell’abuso. E da quanto è vicina a loro la persona abusante.
Genitori, parenti, religiosi, allenatori, maestri di scuola, bidelli. Tanto più l’abusante è prossimo all’abusato, quanto più il trauma è forte.
«C’è una rottura del rapporto di fiducia e gli effetti di quella rottura condizioneranno il modo in cui il bambino guarderà il mondo. E le cose andranno peggio se la madre non crederà all’abuso. Ma sui bambini si può fare un ottimo lavoro, anche se la cicatrice è destinata a rimanere. Lo psicologo da solo però non basta. È necessario che ci sia una rete».
E qui torniamo alla casella di partenza. A chi tocca costruire la rete? E come deve essere fatta? Come si aiuta davvero un bambino che – citando Sandor Ferenczi – cerca istintivamente il linguaggio della tenerezza e si trova a fare i conti con la violenza soffocante del linguaggio della passione di un adulto fuori controllo?
La Val d’Enza
C’è un posto in Italia dove la lotta alla pedofilia è una priorità assoluta. E i risultati si vedono. È un fazzoletto di terra in provincia di Reggio Emilia dove gli otto comuni della Val d’Enza – 62mila abitanti, 12mila minorenni, 1900 in carico ai servizi , 31 seguiti per abusi sessuali – hanno costituito un’Unione guidata dal sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, per tutelare i minori.
E magari cambiare anche la testa di chi non vede il problema. «Abbiamo fatto rete e lavoriamo con operatori specializzati capaci di dare risposte rapide. La variabile tempo è decisiva», dice Carletti.
È seduto di fianco al medico legale Maria Stella D’Andrea e all’assistente sociale Federica Anghinolfi. «Noi la volontà politica l’abbiamo avuta. E nonostante i tagli abbiamo anche trovato i soldi».
Come li hanno spesi? Facendo formazione sugli operatori per renderli in grado di leggere in anticipo i segnali di malessere, spesso aspecifici, dei bambini, rivalutando la figura dell’assistente sociale, lavorando con gli ospedali e con le scuole e appoggiando in modo esplicito le vittime della violenza.
Ad esempio costituendosi parte civile in un processo contro una madre che faceva prostituire la figlia dodicenne. Favoloso.
Ma i soldi? «Abbiamo cercato di ricorrere meno alle comunità (che pure sono fondamentali) dove per seguire un bambino servono 50mila euro l’anno. E abbiamo incentivato il ricorso agli affidi, che costano molto meno». Le idee. Un piano capillare. La professionalità degli operatori.
«Per noi è decisiva la riumanizzazione delle vittime. E per questo servono empatia e competenze specifiche. Ma sa quanti sono i corsi di laurea, a medicina o a psicologia, che prevedono la materia: “vittime di violenza”? Zero», dice Maria Stella D’Andrea, che chiede al governo interventi non solo teorici.
La legge di Stabilità del 2016 ha previsto, ad esempio, un “percorso di tutela delle vittime di violenza” rimandando a un decreto della presidenza del consiglio la definizione delle linee guida. Ma il decreto non è mai arrivato.
E anche se arrivasse ci sarebbe la garanzia della sua applicazione? Dubbio legittimo. «Dal 2001 la legge prevede l’obbligo per il sistema sanitario di mettere a disposizione delle vittime uno psicoterapeuta. Ma, mancando i soldi e mancando una visione, mancano anche gli psicoterapeuti. Però tutti zitti. In questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli», dice Anghinolfi.
Così in provincia di Reggio insistono con il fai da te.
E a settembre, grazie anche alla consulenza del centro studi Hansel e Gretel di Torino, apriranno un Centro di Riferimento per minori che garantirà formazione, tutela, ascolto e assistenza. Venite qui, vi diamo una mano. Il sistema? Lo chiamano “riciclo delle emozioni”. Come se i bambini finissero dentro una lavatrice sana e cominciassero a lavarsi dentro. Ora, il modello degli otto comuni dell’Unione Val d’Enza è lì, basta allungare una mano e prenderlo. Interessa?
La nuova vita di Clarissa
Grazie all’appoggio terapeutico, oggi Clarissa ha 26 anni, è una splendida donna laureata e fidanzata, ha scritto un libro sulla sua esperienza che spera di pubblicare, fa la logopedista, ha completato la discesa verso il nucleo oscuro della sua vita interiore e sa con certezza che quell’ uomo che le sembrava capace di conoscere qualunque cosa, dai Fenici a Internet, per quanto suo padre era semplicemente un manipolatore malato.
E sa anche che la sua vita potrà essere talmente piena da consentirle di avere, amare e proteggere un bambino suo, perchè, dice: «C’è stato un tempo in cui ero convinta che avrei potuto strapparmi l’utero con le mie mani. Adesso no. Adesso l’idea di un figlio non mi spaventa più».
Andrea Malaguti
(da “La Stampa”)
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Aprile 29th, 2016 Riccardo Fucile
CAIVANO: DECISIVE LE TESTIMONIANZE DI ALTRI BAMBINI CHE ROMPONO IL MURO DI OMERTA’ DEGLI ADULTI
Gli adulti tacciono ma i bambini si ribellano nel parco degli orrori.
Dopo due anni di silenzi e di paura, grazie al coraggio dei più piccoli arriva la svolta nell’indagine per la morte di Fortuna Loffredo, gettata giù dal sesto piano dell’edificio, al parco Verde di Caivano.
Secondo la ricostruzione dei magistrati: “La bambina è stata uccisa perchè si era rifiutata di subire l’ennesimo abuso”.
Arrestato un uomo con l’accusa di omicidio: si tratta di Raimondo Caputo, il convivente della madre dell’amica del cuore della bambina e madre anche di Antonio Giglio, un bambino morto in circostanze analoghe un anno prima di Fortuna.
La piccola Fortuna a soli sei anni ha detto no alle violenze ed è stata punita con la morte. Altri tre bambini, però, hanno alzato la testa e, nel silenzio del mondo di adulti che li circondava, hanno aiutato gli investigatori a incastrare la rete di pedofili.
Il coraggio dei bambini: “Gli adulti ostacolavano le indagini, i piccoli hanno permesso una svolta”.
Così il procuratore aggiunto di Napoli nord, Domenico Airoma, che ha coordinato l’inchiesta sull’omicidio della piccola Fortuna: il riferimento è al contributo dato da tre minorenni. Airoma ha parlato di “omertosa indifferenza e colpevole connivenza” riscontrate da parte degli adulti.
Il grido della madre: “Da una parte sono contenta perchè ho avuto giustizia, dall’altro dico che quei due devono marcire in carcere perchè hanno ammazzato mia figlia”. Sono amare le parole per Domenica Guardato, la mamma della piccola Fortuna.
La donna se la prende anche con la compagna dell’uomo, sua vicina di casa, in carcere per violenza su un’altra bimba di tre anni, e a loro dice: “Voglio guardarvi in faccia per capire perchè lo avete fatto”.
“Sono sempre stata sicura che fossero stati loro, l’ho sempre detto. Forse si è perso troppo tempo, due anni. Io l’ho detto da quel giorno. Mia figlia amava la vita, non poteva essersi buttata giù. L’ho sempre saputo che era stata uccisa”.
La mamma della piccola Fortuna, ha sempre ripetuto, da quel 24 giugno 2014, che sua figlia era stata uccisa. E da sempre aveva detto che “tra quelle case c’era qualcuno che sapeva”.
“Lui non l’ho mai incontrato, ma a lei l’ho chiesto e ha sempre negato – dice – Lei è malata e c’è anche un’altra persona che sapeva tutto, la mamma di quella donna”.
“Qui c’è un altro bimbo morto come Fortuna, il piccolo Antonio – aggiunge la donna – cosa dicono quei due del piccolo Antonio, cosa?”.
Domenica, Mimma come la chiamano gli amici, fino a quindici giorni fa era in una città della Lombardia, poi è tornata a Caivano. Ha sempre chiesto ai residenti del Parco Verde di Caivano di raccontare quello che sapevano sulla morte di sua figlia. “Ma anche oggi tutti sono rimasti in silenzio – accusa – anche oggi tutti omertosi”. “Pensavo, speravo, che oggi, almeno oggi, qualcuno di questo maledetto parco venisse da me per dirmi qualcosa, un abbraccio, ed invece niente. Qui c’è sempre stato e sempre ci sarà il silenzio. Io so solo che ora mi ritrovo ad essere l’unica condannata – conclude – perchè mi ritrovo con un dolore immenso, che non passerà mai. Perchè amavo Fortuna, come solo una mamma può fare e me l’hanno uccisa. E ad oggi non so ancora perchè”.
L’allarme del procuratore: L’indagine sull’omicidio della piccola Fortuna Loffredo “svela un quadro preoccupante in alcuni quartieri dell’area a nord di Napoli, dove l’infanzia non è tutelata, non si consente ai giovani di avere un normale personeo di crescita”.
Così il procuratore capo di Napoli nord, Francesco Greco, durante la conferenza stampa sulle indagini. “E’ un problema di cui tutti dobbiamo farci carico, penso alla scuola, alla chiesa, al comune, ai servizi sociali”, ha sottolineato Greco.
L’arrestato: Raimondo Caputo, 44 anni, arrestato oggi per l’omicidio di Fortuna Loffredo, era in carcere dal novembre 2015, accusato insieme alla compagna di violenza sessuale su un altro minore.
La donna, Marianna Fabbozzi, di 26 anni, è ai domiciliari ed è madre di Antonio Giglio, un altro bambino di 3 anni morto il 28 aprile 2013 precipitando dal balcone dello stesso palazzo del parco Verde di Caivano in cui morì un anno dopo Fortuna Loffredo.
La storia.
La bimba era precipitata dal sesto piano del palazzo dove abitava con la madre al Parco Verde a Caivano, il 24 giugno di due anni fa. A prima vista, si era pensato a un incidente. Ma poi, con il passare del tempo, aveva sempre più preso corpo l’incubo di un mostro presente proprio nel palazzo del Parco Verde.
E si era subito ricordato il caso di Antonio Giglio. Ora il cerchio sembra chiudersi. L’autopsia sulla piccola Fortuna aveva confermato che la piccola aveva subito “abusi reiterati”.
Nel procedimento la mamma dei familiari della bambina sono assistiti dagli avvocati Gennaro Razzino, Luca Zanchini, Angelo e Sergio Pisani. “Abbiamo avuto sempre fiducia, la mamma di Fortuna e io, che si sarebbero individuati i responsabili. Complimenti agli investigatori”, commenta l’avvocato Gennaro Razzino.
Dall’inizio, insomma, la Procura ha sospettato che Fortuna Loffredo fosse rimasta coinvolta in un giro di pedofilia, del quale forse anche altri bambini del Parco Verde sono vittime. Un sospetto condiviso dalla madre della bimba morta, Domenica Guardato.
Il parroco: “Se quella che gli inquirenti hanno trovato è davvero ‘la’ verità , li ringraziamo. La nostra comunità ha vissuto due anni di sofferenza inimmaginabile, dopo la morte di Fortuna. E se le responsabilità vengono accertate, il colpevole dovrà pagare. Quello che ha commesso è il peccato più orribile che si possa immaginare”. Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, celebrò nel 2014 i funerali della piccola Fortuna e non ha mai smesso di sostenere la ricerca della verità : “Ho ripetuto mille volte, dall’altare e in privato: chi sa, parli. Mi auguro che la verità possa finalmente segnare un momento di rinascita per la gente del parco Verde, realtà segnata da estrema povertà ma dove vivono persone perbene, ingiustamente colpite da sospetti generalizzati”.
Incendiata la casa dei parenti dell’arrestato
Appena il tam tam di Parco Verde ha diffuso la notizia dell’arresto di Raimondo Caputo, qualcuno ha dato fuoco all’abitazione della compagna di lui.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
OGNI NOTTE LA VERGOGNA DELLA TRATTA DEI MINORI…E SPUNTA ANCHE UN PICCOLO DI SEI ANNI
Seduto su una transenna, le gambe penzoloni e lo sguardo che segue il richiamo ai clienti delle due ragazze sedute con lui, prostitute abituali di Piazza Garibaldi a Napoli. Loro sono molto giovani. Lui non sembra avere più di 11 anni.
IL SUK DEL SESSO
Succede nella piazza della stazione centrale, dove dalle otto di sera in poi lungo il perimetro del cantiere della ferrovia si svolge il suk del sesso e c’è la fila di auto in attesa per alcune ragazze.
Cosa ci fa un bambino tra le prostitute? Qualsiasi risposta è un pugno nello stomaco. Purtroppo non è un caso.
Pochi giorni dopo dietro quella stessa transenna i ragazzini erano tre. Poco distante, al corso meridionale, strada lungo la quale da anni si prostituiscono gli uomini, ora ci sono tanti giovanissimi: quindici, sedici, diciassette anni, quasi sempre stranieri, spesso rumeni o rom, a volte bulgari o nord africani.
Berretti, bermuda e telefonino aspettano le auto e si alternano nei check point tutta la notte. Ce ne sono alcuni che hanno la postazione fissa nei pressi di una concessionaria di auto.
IL BAMBINO
Tra loro, una sera, spunta anche un bambino. Sembra non avere più di sei anni, quasi certamente rom. Accanto a lui un uomo grosso e adulto.
Ripassiamo di continuo, per capire se resta tra i prostituti. Lui c’è sempre. Sta lì per tutta la serata. Qualche giorno dopo avviciniamo con una scusa i due ragazzi che «lavorano» abitualmente su quella strada.
Sono dei veri e propri operai della prostituzione: il loro turno è dalle 19.30 in poi.
«Minorenni? Si, ce ne sono. Non sempre però. Dipende dalle famiglie, sono loro che li mettono sulla strada. Io ne conosco qualcuno, sono rom del campo di Gianturco (un enorme discarica/bidonville nella zona orientale della città e poco distante dalla stazione ndr). Ci sarà anche qualcuno che lo fa di nascosto ma in generale sono le famiglie a mandarli».
LA PROSTITUZIONE MINORILE
Il fenomeno della prostituzione minorile è una nuova forma di tratta: i bambini vengono venduti, o usati dalle famiglie per fare soldi.
«Purtroppo è così — spiega Deborah Divertito, operatrice sociale da anni impegnata sul fronte della prostituzione e dei minori — e Napoli è diventata una meta allettante per questi traffici perchè è facile ottenere documenti falsi tramite le organizzazioni criminali o anche attraverso laboratori clandestini del centro città o della zona flegrea. Inoltre i controlli sono pochissimi e c’è molta tolleranza».
Con Deborah facciamo un vero e proprio tour, durante il quale veniamo anche bersagliati con dei sassi.
«Le postazioni sono quasi sempre le stesse, per gli uomini spesso i clienti sono abituali. Sulla strada ci sono per lo più adolescenti, sia maschi che donne. Offrono prestazioni sessuali a prezzi bassi. I ragazzi si riconoscono più facilmente mentre le ragazzine si truccano molto e si vestono in modo da attirare i clienti, quindi sembrano più grandi. Sono quasi sempre ragazze dell’est o nigeriane, quasi sempre vittima di tratta, entrate in Italia con dei sogni e buttate per strada con violenze e ricatti. I ragazzi sono per lo più rom o bulgari e partono dai 13 anni. Molto spesso si prostituiscono nei cinema a luci rosse dove per entrare esibiscono documenti falsi».
Decidiamo di entrare in qualche cinema: in effetti la sala per le visioni è praticamente deserta, mentre nei corridoi, nella hall e verso i bagni è pieno di persone.
In effetti ci sono tanti ragazzini, le loro facce e i berretti tradiscono la giovanissima età . Li senti contrattare con altri clienti del cinema.
Qualche coppia si dirige verso le «cabine»: si tratta di stanzette piccolissime in cui, pagando un’extra si può vedere un film in totale privacy.
Cosa possa succedere in quelle salette è facile immaginarlo. Questo tipo di prostituzione avviene in genere di mattina e nel pomeriggio.
Anche quella nei pressi del Corso Meridionale e del Centro Direzionale avviene alla luce del sole.
LO SCEMPIO
«Sono qui già dalle nove del mattino — racconta Alessandro Gallo, consigliere della IV municipalità — spesso incrociano i bambini che vanno a scuola qui al Centro Direzionale.
Questa vergogna è sotto gli occhi di tutti: qui ci sono le principali sedi istituzionali della città , ci sono gli uffici della Regione Campania e del Consiglio Regionale, c’è il tribunale.
Solo il pensiero che intorno a questa zona si aggirano pedofili fa rabbrividire. Se parcheggi l’auto da queste parti sei costretto a scendere su un tappeto di preservativi usati e fazzoletti.
La gente della zona e dei quartieri limitrofi come il rione Luzzatti, è molto colpita da questo fenomeno e così ho promosso una raccolta di firme, ce ne sono quasi duemila con tanto di documento, per chiedere al sindaco di Napoli un consiglio comunale monotematico per affrontare e risolvere la questione.
Va salvaguardata la sicurezza dei residenti e il diritto dei bambini ad essere semplicemente bambini e non costretti a prostituirsi.
Qui è pieno di sottopassaggi e anfratti e quindi i clienti di prostitute e prostituti hanno gioco facile, anche se proprio i ragazzini spesso si mettono proprio sui muretti del centro direzionale ad aspettare i clienti. L’area è completamente videosorvegliata anche se molte telecamere non sono funzionanti».
C’è una telecamera anche alla fine del Corso meridionale, proprio dove c’è uno dei più frequentati check point. Facciamo un po’ di giri dopo mezzanotte anche nel centro direzionale: ci sono ancora bambini che giocano a pallone o con le biciclette.
Tutti sono accompagnati dai genitori.
Cento metri più in là , per strada, altri bambini, invisibili, a cui hanno rubato l’infanzia.
Amalia De Simone
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
LA COERENZA DIPENDE DAI LORO INTERESSI: PDL E LEGA ORA VOGLIONO L’ACCORPAMENTO MA ALLORA ERANO CONTRARI, IL PD ERA FAVOREVOLE E ORA NON LO VUOLE
Accorpare o no e elezioni regionali di Lazio, Lombardia e Molise con le politiche?
È questo il punto su cui i partiti si stanno scontrando nelle ultime ore.
Da una parte Pdl, Lega e Udc che sono a favore di un unico election day.
Dall’altra il Pd, a cui sta bene la scelta del Viminale di fissare il voto per le tre regioni il 10 e l’11 febbraio, in attesa di rinnovare il Parlamento ad aprile.
Davanti a questa posizione, il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha aperto il fuoco. Forse il partito di Silvio Berlusconi punta a un’unica data per evitare una doppia batosta alle urne?
L’ex ministro della Giustizia assicura che le motivazioni sono altre.
E accusa il Pd. “Bersani – dice – vuole mettere una tassa di 100 milioni di euro sulla testa degli italiani”.
Dunque il niet della destra su due tornate elettorali differenti sarebbe dovuto a una questione di soldi e di risparmio.
Dall’altra parte c’è il segretario del Pd che dice: “La data delle elezioni regionali è dovuta, legge alla mano”.
E a chi replica che l’election day serve a non sprecare altro denaro, risponde: “Si parla di risparmi, ma lo si sa che la Regione Lazio sta perdendo 650 milioni di fondi europei e che è in crisi da settembre?”.
Nella primavera del 2011, però, le posizioni erano diametralmente opposte.
Quando si votò per i referendum abrogativi su legittimo impedimento, privatizzazione dell’acqua e ritorno all’energia nucleare, la decisione fu quella di fissare una data diversa da quella delle amministrative.
Al governo c’era ancora Silvio Berlusconi e l’inquilino del Viminale era Roberto Maroni, oggi segretario della Lega nord e schierato per l’election day.
Allora si andò alle urne il 15 e il 16 maggio per rinnovare i consigli e le giunte di alcuni comuni, mentre per i referendum il 12 e il 13 giugno.
Non mancarono le critiche del Pd, col capogruppo alla Camera, Dario Franceschini: “Così si buttano dalla finestra 300 milioni di euro – disse -, in un momento di grave crisi per le imprese e le famiglie italiane”.
Le accuse arrivarono anche dall’Idv: “Un furto di 350 milioni di euro agli italiani”.
Effetto specchio deformato?
Posizioni piegate all’interesse di parte?
In realtà una differenza, tra i due casi, esiste.
Il referendum è un voto freddo, che non comporta spese aggiuntive all’organizzazione della singola tornata elettorale.
Mentre il ritardo nel rinnovo dei consigli di queste tre regioni – andate a casa per motivi poco onorevoli – continua ad avere un costo piuttosto elevato.
Ad esempio, per l’assemblea ormai inattiva della regione Lazio si spendono 350 mila euro al giorno.
Dal 28 settembre (data in cui si è dimessa la Polverini) fino al 10 febbraio (data presunta del voto) costerà circa 40 milioni di euro.
Inoltre, secondo uno studio della Cna laziale del 9 ottobre, la regione ha perso 356 milioni di euro di fondi europei e altri 80 milioni di finanziamento del Miur per i distretti tecnologici.
Giacomo Galanti
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 1st, 2011 Riccardo Fucile
EPILOGO DELLA STRANA STORIA DI AMICIZIA TRA MONTECITORIO E LA SOCIETA’ DELL’IMPRENDITORE ROMANO CHE ORA LICENZIERA’ 350 ADDETTI
Dopo 15 anni, la Camera dei deputatati rescinde il contratto di affitto con Milano 90 srl e lascia Palazzo Marini.
Ad oltre un anno dal dossier presentato dalla deputata radicale Rita Bernardini sulla strana storia di amicizia tra la Camera e la società dell’imprenditore romano Sergio Scarpellini, i tre questori (Francesco Colucci e Antonio Mazzocchi del Pdl e Gabriele Albonetti del PD) hanno comunicato la decisone di traslocare dal palazzo tra piazza S. Claudio, via del Tritone e via del Pozzetto.
Dal ’97 la Camera dei deputati firma infatti contratti di locazione miliardari (ora milionari), oltrechè relativi a vari servizi — commessi ai piani, pulizie, mensa, camerieri di sala, cassieri, barman/banconisti.
“Con la rescissione di Palazzo Marini — racconta Sergio Scarpellini — decadranno di conseguenza anche i servizi relativi ed io mi ritroverò costretto a mandare a casa 350 dipendenti”.
Il cosiddetto Marini però è l’unico palazzo preso in affitto da Scarpellini, dal quale la Camera può andar via con un anno di preavviso.
I contratti relativi agli altri palazzi, tutti nella zona di piazza S. Silvestro e anche questi con durata 9+9, non prevedono infatti alcuna possibilità di recesso anticipato: l’Aula di Montecitorio cioè, scriveva Bernardini, “è prigioniera dei contratti sottoscritti”.
Condizioni vantaggiose per l’imprenditore romano che, per sdebitarsi in qualche modo, offre alla Camera servizi di alta qualità (come gli ottimi piatti serviti nella mensa di “Palazzo San Macuto”) a prezzi sottocosto (poco più di 13 euro per un menù completo che comprende oggi bistecca di chianina, domani scampi appena pescati). Incontriamo Sergio Scarpellini nella sede della Milano 90 srl, “scortato” dal suo legale e dal suo commercialista.
Come nasce questo rapporto con la Camera dei deputati, come siete entrati in contatto?
Abbiamo intrapreso tanti anni fa questa attività : comprare palazzi e poi affittarli, e talvolta anche subaffittarli, garantendo però tutti i servizi. Una cosa convenientissima per la Camera. Partimmo nel ’97, quando stipulammo il primo contratto con l’allora presidente Violante per palazzo Marini. Avevamo però già affittato un palazzo al Senato, all’epoca di Fanfani. Dopodichè, nel ’90, abbiamo comprato l’albergo Marini e abbiamo fatto un’offerta alla Camera, perchè si sapeva che aveva bisogno di uffici. Sa, le notizie girano. Era un periodo storico in cui Camera e Senato volevano assicurare un ufficio ai propri parlamentari.
Quindi siete stati voi a farvi avanti, a proporvi?
Si, certo. Abbiamo fatto quest’offerta e abbiamo iniziato a trattare. Chiavi in mano, la Camera pretese che tutti i lavori, la mobilia ecc., fossero a carico nostro. Non ha speso una lira in più. Tutt’ora, quando cambiano i governi, se ad alcuni parlamentari non va bene l’arredo che c’era prima, siamo costretti, da contratto, a cambiarlo. Tutto a carico nostro. Un contratto convenientissimo. Durante i lavori di ristrutturazione poi, la Camera ci inviò una lettera in cui ci chiedeva altri spazi.
La Camera, quindi, è venuta da voi a colpo sicuro: sapeva che avevate altri palazzi disponibili e li ha richiesti. Perchè però non è stata fatta una gara? Non c’erano altre società , oltre alla sua, a cui la Camera avrebbe potuto rivolgersi per prendere in affitto alcuni palazzi?
Ma quale gara. Noi facciamo questo lavoro. Sa quelle cose come nascono, no? Visto che avevamo già preso i contatti, la Camera ci chiese se avevamo altri spazi. E questi altri spazi, tutti in quella stessa zona, siamo riusciti a trovarli e a comprarli. Ad oggi, sono circa 45 000 metri quadrati gli immobili affittati alla Camera. Una serie di Palazzi che abbiamo comprato esclusivamente per loro. Ci siamo indebitati per loro.
Dunque, voi avete comprato questi palazzi per poi darli in affitto alla Camera. Ma perchè, secondo lei, la Camera non li ha acquistati direttamente, magari accendendo un mutuo?
Quella è una loro scelta. Poi secondo me, alla Camera conviene stare in affitto. A noi invece converrebbe vendere. Quindi la campagna che ha fatto la Bernardini è soltanto una gran casino: non c’è niente di esatto. Non ci crederà , ma rispetto ai prezzi di mercato attuali, quelli che facciamo alla Camera sono bassissimi. I contratti del ’97 sono gli stessi che ancora reggono, senza alcun aumento. I palazzi sono sottostimati. Quello attuale dunque è un prezzo di favore.
Adesso invece che succede?
La Camera l’anno scorso ci ha inviato una lettera in cui diceva che avrebbe rescisso il contratto di Palazzo Marini 1 entro quest’anno. Anche se noi riteniamo che non lo possa fare. Mi trovo costretto così a licenziare 350 persone (ndr. per i quali è stata aperta la procedura di mobilità ) che svolgono vari servizi, che diamo alla Camera. Perchè io con i servizi aggiuntivi non guadagno, sono andato avanti fino ad ora con gli immobili affittati: pagavamo il personale con parte degli introiti provenienti dai contratti di affitto.
E’ abbastanza illogico però prendere tutto quel personale se non riuscite a pagarlo con le entrate che provengono dalla stessa fornitura del servizio (attorno ai 2, 7 milioni di euro all’anno)…
Nel tentativo di fornire un servizio ottimale abbiamo adottato una logica assuntiva in esubero. Attualmente potremmo fornire gli stessi servizi solo con 195 dipendenti, rispetto agli attuali 500 e rotti. Abbiamo assunto tutta questa gente anche perchè abbiamo una alta percentuale di assenteismo attorno al 40%. Proprio per questo, anche se la Camera tornasse sui suoi passi, almeno 200 persone le dovrei mandar via comunque. Certo, poi c’è anche la previsione di riforme costituzionali che confermano il dimezzamento della struttura rappresentativa della Camera dei deputati, ma le cause primarie, per cui siamo costretti a licenziarli, sono i recessi e le revoche dagli appalti.
Gabriele Paglino
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 25th, 2011 Riccardo Fucile
SONO 618 LE FIRME FALSIFICATE PER LA LISTA DI FORMIGONI…15 LE PERSONE INDAGATE, TRA QUESTE 4 CONSIGLIERI PROV DEL PDL E CLOTILDE STRADA, COLLABORATRICE DI NICOLE MINETTI
La Procura di Milano si è costituita come parte nella causa civile avviata dai Radicali contro l’amministrazione regionale e i consiglieri per chiedere l’annullamento delle elezioni.
La Procura ha depositato nella causa civile la perizia effettuata in sede di indagini penali in base alla quale è stata contestata la falsita’ di 618 firme presentate per la lista “Per la Lombardia” di Formigoni e i verbali dei cittadini che hanno riconosciuto le firme come false.
I legali della Regione Lombardia, invece, hanno chiesto che il giudice della quinta sezione civile di Milano, Margherita Monte, disponga una propria perizia d’ufficio per valutare la presunta falsita’ delle firme.
Per i legali, contrariaramente a quanto esposto dai Radicali, non si puo’ chiedere al giudice civile di annullare le elezioni, perche’ questo rientra nella competenza dei tribunali amministrativi.
Il 17 ottobre scorso il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha chiuso l”inchiesta. Nell’avviso di chiusura delle indagini per falso ideologico, notificato a 15 persone, tra cui 4 consiglieri provinciali milanesi del Pdl e Clotilde Strada, collaboratrice di Nicole Minetti e all’epoca responsabile del partito per la raccolta delle firme.
Secondo la magistratura il sistema di falsificazione delle firme per le elezioni del 28-29 marzo 2010 era già stato messo in piedi tra gennaio e febbraio.
Clotilde Strada, come si legge nell’avviso di chiusura che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, ha agito ”in qualità di vice responsabile del settore elettorale del Pdl Lombardia, ma in concreto unica effettiva responsabile dell’attività di raccolta delle firme dei sottoscrittori necessarie per la presentazione delle liste”.
E ha agito in ”concorso” con i consiglieri provinciali Massimo Turci e Barbara Calzavara, anche loro indagati, assieme agli altri due consiglieri della Provincia, Nicolò Mardegan e Marco Martino.
Strada, stando al capo di imputazione, avrebbe consegnato a Turci e Calzavara, nell’ambito di un ”disegno criminoso”, gli ”elenchi dei sottoscrittori” delle liste ”già compilati con le generalità complete e le firme apocrife”.
I consiglieri, che dovevano autenticare le firme in qualità di ”pubblici ufficiali”, attestavano invece ”artatamente” di avere ”previamente identificato ciascun sottoscrittore con il documento”, quando in realtà non lo avevano fatto.
E in più, sempre stando all’imputazione, attestavano ”falsamente” come ”vere, autentiche ed apposte in loro presenza” firme che non lo erano.
Al consigliere Turci è contestato di avere da solo autenticato 536 firme false del listino di Formigoni e 205 di quello del Pdl.
Tra gli indagati anche il consigliere provinciale di Varese del Pdl Franco Binaghi, il sindaco di Magenta (Milano) Luca del Gobbo, il consigliere provinciale di Pavia Gianluigi Secchi e quello provinciale di Monza Massimo Vergani.
L’inchiesta era nata a seguito di un esposto in Procura dei Radicali che, dopo aver dato battaglia nei tribunali amministrativi per chiedere l’annullamento delle elezioni, si erano presentati con tre scatoloni con dentro oltre 500 firme da loro ritenute false. Nel corso delle indagini era anche stato sentito come teste Guido Podesta’, presidente della Provincia di Milano ed ex coordinatore lombardo del Pdl.
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Settembre 30th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO IL VOTO CONTRO LA MOZIONE PER SFIDUCIARE SAVERIO ROMANO, LA RABBIA DEI MILITANTI DELLA LEGA NON SALVA PIU’ NESSUNO DEI VERTICI DI VIA BELLERIO: “NON CI RAPPRESENTATE PIU’, PENSATE SOLO AI VOSTRI INTERESSI E A SALVARVI IL CULO”
“La famosa base ha detto basta. Non ci rappresentate più, e prima o poi dovrete scendere dal cadreghino e girare per le città . Le monetine sono pronte anche per voi”.
Sono durissimi i commenti dei leghisti all’indomani del voto contro la mozione per sfiduciare Saverio Romano, il ministro dell’Agricoltura accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Che la Lega ha deciso di salvare, dimenticando la sua base e il cappio che sventolava in aula nel 1993.
E insieme agli elettori è insorto anche il sindaco leghista di Macherio, Giancarlo Porta che ha fatto coming out contro il partito in una lettera pubblicata oggi sul Corriere della Sera.
“Ho anch’io i miei sospetti sui mille interessi della Lega — scrive — ma ormai la tenaglia probabilmente ricattatrice del premier ci sta portando alla deriva, sia come Italia che come Lega”.
E sentire traditi gli “ideali di onestà , rettitudine e coerenza di idee” provoca un sentimento di “tristezza che sconfina in grande delusione”.
I dissensi dalla base elettorale sono emersi con forza dalle scorse amministrative milanesi dove, in seguito agli insulti indirizzati alla coalizione di governo e al premier, è stata decisa anche la chiusura del forum di Radio Padania.
Poi sono arrivati il salvagente per Marco Milanese e ieri per Saverio Romano, considerati dal sindaco “bocconi amari” difficili da mandar giù.
Nella lettera poi denuncia un partito dove “troppi ‘furbi’ si azzuffano per le poltrone, ovviamente imbottite di stipendi, magari due, magari tre, e così via”. E il divario tra amministratori locali e dirigenza risulta insanabile al punto che Calderoli dal palco di Venezia, ha “detto ai sindaci che ‘senza la Lega non siete niente e ritornerete polvere’”.
Gli stessi umori che trapelano anche sul web.
Su Padania.org prevale l’indignazione per “avere salvato il Romano”.
“Dopo il grande camorrista e quello della P4 ora abbiamo salvato anche lui. Con buona pace di Maroni, ora ce lo rinfaccerano a vita”, scrive Fausto Padano.
E Maria Sandra aggiunge: “Vergogna a tutti leghisti che hanno permesso alle camere di diventare rifugio per i delinquenti (basta anche il sospetto)”.
Raffica di commenti al vetriolo anche contro Berlusconi (“Se si comportasse da persona corretta i magistrati non lo cercherebbero. Anche Totò Riina allora si dovrebbe lamentare dei magistrati che lo perseguitano”, aggiunge Marcodei) intervallati da altri utenti che copiano e incollano la lettera di Giancarlo Porta al Corriere.
Ma oltre alla delusione emerge la consapevolezza del disinteresse dei papaveri: “Credo sia inutile chiedere agli elettori del Cavalier Patonza cosa fare e cosa ne pensano del loro partito e del loro leader — nota Caio49-. Come sta facendo la Lega che nonostante i consigli, le proteste, le prese di posizione, continua imperterrita a fare ciò che vuole. L’importante e salvarsi il c.. tra di loro, tutto il resto non conta”.
Sul Forum dei giovani padani invece, in tanti si chiedono quali siano le ragioni profonde che hanno indotto il Carroccio ad abdicare alla legalità .
La risposta per alcuni sta nelle quote latte. Anche se Fireflash ammette: “In più di un decennio di militanza, ancora devo capire perchè Bossi si ostina a difendere alcune centinaia di allevatori che han fatto i furbi con le quote latte”.
La disillusione di oggi, però, affonda le radici nel passato, quando al posto del federalismo Umberto Bossi incitava ancora alla secessione.
“Concordo parola per parola con la lettera di Giancarlo Porta e con le critiche degli elettori — osserva Corinto Marchini, ex senatore già a capo delle Camicie Verdi, il corpo paramilitare nato per la difesa del Senatùr — lo avevo già detto nel 1996: il vertice della Lega allora come oggi cercava di nascondere le contraddizioni fra partito di lotta e di governo, come facevano i comunisti”.
Marchini parla di una dirigenza offuscata, lontana dagli elettori e “talebana”.
E il nodo centrale rimane l’alleanza col Cavaliere.
“Se avesse raccolto più consensi alle regionali — conclude Marchini — forse si sarebbe riuscita a smarcare da Berlusconi. Ma a Milano ha perso e il giocattolo si è rotto. Gli amministratori e gli elettori vivono la realtà . Da cui ormai i vertici a Roma si sono distaccati”.
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Agosto 8th, 2011 Riccardo Fucile
CONTRATTI AZIENDALI ESTESI, IL GOVERNO PREME, IL SINDACATO E’ DUBBIOSO
Gli esperti si sono già messi a fare i conti, arrivando a una conclusione univoca: anche a essere molto cattivi, dalla spesa per l’assistenza sociale sarà impossibile tirar fuori 17 miliardi di euro, quanti ne servono per anticipare il pareggio di bilancio, entro la fine del 2013.
E così si fa strada l’ipotesi di nuovi interventi sulle pensioni per evitare di pescare nel serbatoio delle agevolazioni fiscali, destinato a finanziare la riduzione delle aliquote Irpef, e in qualche modo a bilanciare i tagli.
Ufficialmente l’argomento non è all’ordine del giorno, e il governo non ha neanche accennato alle parti sociali nell’incontro di due giorni fa.
Prima di tutto, con loro, c’è da affrontare il problema delle norme per estendere “erga omnes” la contrattazione aziendale.
Il governo le vuole, la Confindustria le sollecita, ma i sindacati hanno ancora qualche perplessità .
Mettere subito sul piatto anche la questione previdenziale sarebbe forse troppo.
Resta il fatto che tra i tecnici dell’esecutivo e gli esperti del settore, la discussione sulla previdenza è già avanzata.
Il perchè è presto detto: dalla riforma dell’assistenza, in soli due anni, si possono tirare fuori al massimo 4 miliardi di euro.
È vero che a regime, cioè in un tempo più lungo, potranno essere molti di più.
Ma i soldi per arrivare al pareggio di bilancio un anno prima del previsto, nel 2013, servono subito.
E dunque si ragiona su almeno tre fronti: l’età di pensione delle donne nel settore privato, le pensioni di reversibilità , e soprattutto quelle di anzianità .
Per le donne si tratterebbe di accorciare drasticamente il periodo di avvicinamento ai 65 anni degli uomini, che si concluderà solo nel 2030.
Mentre sui 5 milioni di pensioni di reversibilità , che l’Italia concede con generosità senza pari in Europa (38 miliardi l’anno), l’intervento sarebbe più graduale, dovendo far salvi i diritti acquisiti.
Il vero problema, come il grosso della spesa e dei possibili risparmi, è nelle pensioni di anzianità .
Nel 2010 l’età media effettiva di pensionamento degli uomini è stata di appena 58,5 anni.
Nel 2011 salirà a 58,8.
Da qui al 2014, a tirar su l’asticella, contribuirà l’aumento progressivo delle “quote”, date dalla somma di contributi ed età anagrafica.
Tra tre anni, tuttavia, si potrà ancora andare in pensione a 61 anni (a 62 per gli autonomi).
E di questo passo, per arrivare a un pensionamento effettivo a 65 anni ci vorranno almeno trent’anni.
Perpetuando ancora a lungo, per giunta, le ingiustizie del “doppio binario”.
Chi va in pensione anticipata oggi, ci va con il vecchio sistema “retributivo”, cioè con un assegno pari alla media degli ultimi dieci anni di stipendio.
Chi arriverà alla pensione di anzianità fra quindici anni, invece, ci andrà parecchi mesi dopo, e con il sistema “contributivo”, ovvero con una pensione di gran lunga più bassa.
C’è dunque anche una ragione di equità , oltrechè l’emergenza del momento, che potrebbe spingere il governo a compiere il passo decisivo e finale sul sistema previdenziale.
Gli esperti valutano due strade possibili.
La più drastica è l’abolizione tout-court delle pensioni di anzianità , lasciando nell’ambito della legge sui lavori usuranti le uniche vie di fuga prima dei 65 anni (che poi saliranno con l’agganciamento alle speranze di vita).
C’è chi suggerisce, invece, la strada dei disincentivi: un “x” per cento in meno di pensione per ogni anno che manca al limite della vecchiaia, oppure il ricalcolo dell’assegno solo con il meccanismo contributivo.
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