Agosto 12th, 2020 Riccardo Fucile
LA PATACCA DI SALVINI E’ SERVITA SOLO A SPUTTANARE 6 MILIONI… A POCHI INTERESSA ANDARE IN PENSIONE PRIMA PERDENDO 200 EURO AL MESE
Secondo dati raccolti dal Sole 24ore la riformetta che tanto piaceva a Matteo Salvini, ovvero la possibilità di andare in pensione anticipata con la cosiddetta quota 100, non piace più agli italiani. A giugno, secondo il giornale di Confindustria, meno di un terzo delle domande rispetto all’anno scorso.
Si tratta del minimo assoluto. La somma di 62 anni di età e 38 di contributi, quota 100, con relative decurtazione però sull’ammontare complessivo dell’assegno pensionistico a fronte di una quiescenza anticipata, potrebbe oggi generare incertezze, percezione di un calo di reddito a fronte di una fase in ci si naviga a vista.
Le domande sono state 47.810. Le minori richieste farebbero risparmiare all’Inps circa tre miliardi, secondo le proiezioni dell’ufficio studi della Cgil.
Le uscite con un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne sono ferme a 79.093 in giugno (-17%).
Quel che rileva il Sole è anche un calo di quelle uscite anticipate comode ma costose per le tasche dei cittadini che vedono grosse riduzioni sull’assegno pensionistico. Tra queste Opzione donna scelta appena da 8.842 persone nei primi due trimestri dell’anno, meno della metà delle domande presentate a giugno 2019. Frenata anche sull’Ape.
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
IN FRANCIA SI GUARDA AL FUTURO, IN ITALIA SI FANNO SOLO SPOT ELETTORALI
In Francia sono in corso violente manifestazioni di protesta contro la nuova riforma delle pensioni varata da Emmanuel Macron. Ma cosa comporta questa riforma di preciso? Il presidente ha scelto di sostenere un unico sistema “a punti” nel quale ogni giorno di attività lavorativa viene ricompensato da un punteggio che permette di accumulare contributi pensionistici.
Questa riforma segnerebbe la fine di un sistema suddiviso in oltre 42 diversi sistemi normativi, che regolano altrettante industrie e settori, con diversi livelli di contribuzione e beneficio.
Attualmente il sistema pensionistico francese può essere comparato al vecchio sistema retributivo italiano, anche se con alcune differenze.
Chi lavora nel sistema pubblico, ad esempio, vede calcolata la propria pensione secondo lo stipendio percepito nei sei mesi precedenti il pensionamento.
Nel settore privato vale lo stesso principio, applicato ai 25 anni precedenti.
Le intenzioni di Macron sono quindi quelle di semplificare il sistema, creando maggiore equità tra i settori, e di diminuire il rischio di deficit sulla spesa.
La proposta del presidente nasce infatti da una previsione di costi che, se non controllati, porterebbero il Paese a produrre un deficit di oltre 17 miliardi di euro prima del 2025, e sarebbe proprio il 2025 la data di inizio della riforma.
Un approccio di programmazione di medio-lungo periodo, calcolato su basi statistiche e di previsione, del tutto diverso da quanto accaduto, ad esempio, in Italia con Quota 100.
Pensiamo alle differenze: in Francia la proposta nasce con 6 anni di anticipo (e la possibilità di posticipare). Un tempo sufficiente per poter gestire la transizione e la programmazione di persone e famiglie.
Quota 100, al contrario, nasce in poco tempo, con una programmazione praticamente contemporanea, e con — probabilmente — obiettivi più legati al consenso politico delle elezioni europee piuttosto che al benessere dei lavoratori e dei cittadini.
Allo stesso modo, mentre l’adozione di Quota 100 ha fatto aumentare la spesa pubblica, con costi che ricadranno necessariamente sulle nuove generazioni, la riforma di Macron punta, almeno nelle intenzioni, a facilitare una maggiore sostenibilità dei conti pubblici.
Un altro Paese dove sono in corso riforme di questo tipo è il Brasile, dove una recentissima riforma costituzionale ha permesso di alzare l’età di pensionamento e modificare alcune norme considerate critiche.
La riforma delle pensioni del Brasile, secondo gli intenti del Governo, porterà ad un risparmio di oltre 195 miliardi di dollari e sarà attuata in circa 14 anni.
Brasile, Francia e molti altri paesi insegnano una lezione importante: per costruire il futuro serve programmazione. E per ridurre il peso del debito sulle future generazioni servono riforme coraggiosi, impopolari, ma che siano efficaci.
(da TPI)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
“CONDANNATE LE FUTURE GENERAZIONI A PENSIONI SEMPRE PIU’ POVERE”
Se l’Italia non aumenta l’età pensionabile e con un mercato del lavoro ancora appesantito da contratti part-time e temporanei, rischia di condannare le prossime generazioni a pensioni sempre più povere.
Nel sistema pensionistico italiano la priorità dovrebbe essere «aumentare l’età effettiva di ritiro dal lavoro» dato che al momento è a 62 anni, di due anni circa inferiore a quella media Ocse e di cinque più bassa rispetto all’età legale di vecchiaia (67).
Lo si legge nel Rapporto Ocse Pensions at a Glance, nella scheda sull’Italia nella quale si ricordano le nuove regole per il sistema previdenziale a partire da Quota 100.
La sfida sarà di «mantenere adeguate prestazioni di vecchiaia limitando la pressione fiscale a breve, medio e lungo termine».
L’Italia spende per il sistema pensionistico il 16% del Pil, il secondo livello più alto nell’area Ocse. Secondo il rapporto, il reddito medio delle persone con più di 65 anni è simile a quello dell’intera popolazione mentre nella media Ocse è più basso del 13%. L’Ocse sottolinea che l’età di ritiro legale è 67 anni, tre anni superiore a quella della media Ocse ma che di recente «è andata indietro rispetto alle recenti riforme introducendo Quota 100».
L’aumento dell’età pensionabile effettiva in Italia «dovrebbe essere la priorità , evidenziando la necessità di limitare il pensionamento anticipato agevolato e di applicare debitamente i collegamenti con l’aspettativa di vita».
Si aggiunge nel rapporto a proposito dell’introduzione di regole che consentono il ritiro anticipato rispetto alla vecchiaia come la Quota 100. Bisogna poi «concentrarsi sull’aumento dei tassi di occupazione, in particolare tra i gruppi vulnerabili, il che ridurrebbe l’utilizzo futuro delle prestazioni sociali di vecchiaia».
L’Ocse sottolinea che l’Italia oltre ad aver introdotto Quota 100 che consente di ritirarsi in anticipo dal lavoro, ha bloccato l’aumento dei requisiti legati all’aspettativa di vita fino al 2026 per coloro che hanno almeno 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini e 41 e 10 mesi se donne. Inoltre non è prevista una revisione per l’età di vecchiaia nel 2021 legata all’aspettativa di vita.
«Il sistema italiano — scrive l’Organizzazione — combina un’alta età pensionabile obbligatoria con un tasso di contribuzione pensionistica elevato del 33%» e ciò comporterà un tasso di sostituzione netto futuro (quando si raggiungeranno i 71 anni, ndr) molto elevato, il 92% per i lavoratori con salario medio a carriera piena contro il 59% in media nell’Ocse.
L’Ocse segnala inoltre che la pensione di cittadinanza ha innalzato i benefici per la vecchiaia portandoli al di sopra della media Ocse per questi schemi. In particolare l’Organizzazione ricorda le difficoltà del mercato del lavoro italiano con una percentuale di lavoro temporaneo e part time che generalmente dà guadagni più bassi, più alto rispetto alla media dei paesi Ocse.
«Queste forme di lavoro — avverte — aumentano il rischio di basse pensioni future dato che il sistema italiano collega strettamente le pensioni ai contributi. Inoltre i tassi di occupazione di giovani e anziani in Italia sono ancora bassi con il 31% di giovani tra i 20 e i 24 anni al lavoro contro il 59% medio Ocse e il 54% tra i 55 e i 64 anni contro il 61% della media Ocse. Anche questo rischio di carriere incomplete pesa sulla pensione futura strettamente legata ai contributi versati».
Infine l’Ocse ricorda l’alta percentuale di lavoro autonomo nel nostro Paese «Più del 20% dei lavoratori sono autonomi — si legge — a fronte del 15% nei paesi Ocse». E se nella media Ocse questi lavoratori hanno pensioni mediamente più basse del 22% rispetto ai lavoratori dipendenti in Italia c’è il divario più grande con una differenza che supera il 30%
(da agenzie)
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Luglio 8th, 2019 Riccardo Fucile
MA A CAUSARE IL PASTICCIO E’ IL FATTO CHE LA GENTE PENSAVA CONTASSE L’ISEE, INVECE E’ L’ISR… E ALLA FINE CHI HA UNA PENSIONE DI 650 EURO E’ CONSIDERATO DAL GOVERNO UN SOGGETTO RICCO
Una domanda su tre per le pensioni di cittadinanza è stata rigettata dall’INPS. Secondo l’elaborazione dell’Osservatorio CPI su dati INPS il beneficio è stato negato a causa del reddito superiore alla fascia di appartenenza, ma questo apre un contenzioso tra gli annunci e la realtà dei fatti.
Nonostante che sul portale del ministero del Lavoro, nonchè sui siti correlati di previdenza e politiche sociali, campeggi ancora il tetto Isee di 9.360 euro per ottenere il beneficio, di fatto non è l’Indicatore della situazione economica equivalente, l’Isee appunto, a governare la barra ma l’Isr. Ovvero l’Indicatore della situazione reddituale.
Il corrispondente dell’intera somma di redditi percepiti senza gli sgravi fiscali e tanto meno gli affitti e altri ratei e, quindi, inevitabilmente più consistente. Può essere infatti considerato una sorta di «netto-lordo» senza alcuna detrazione aggiunta.
E così, malgrado il pensionato o la coppia di pensionati abbia un Isee contenuto all’interno della fascia minima l’Inps ha decretato la completa inadeguatezza reddituale sulla base dell’Isr.
Questo ha portato la percentuale dei dinieghi intorno al 30% di tutti coloro che sono arrivati al completamento dell’istruttoria. Si tratta di pensionati con all’attivo assegni addirittura al di sotto dei 650 euro al mese.
La povertà è stata abolita, però. Quindi con 650 euro si è ricchi.
E chi se lo aspettava, eh?
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 16th, 2019 Riccardo Fucile
CI SARANNO 5 MILIONI DI PENSIONATI IN PIU’ E 5 MILIONI DI LAVORATORI ATTIVI IN MENO… LA SPESA PENSIONISTICA RAPPRESENTERA’ IL 20% DEL PIL… A RISCHIO L’INTERO SISTEMA
La spesa per le pensioni è destinata a raddoppiare da qui al 2040, al netto degli effetti di Quota 100.
A fare i conti non è l’Europa ma l’INPS guidata da Pasquale Tridico, nominato dal M5S con l’avallo della Lega.
L’allarme, spiega oggi Il Sole 24 Ore, riguarda il fondo pensioni lavoratori dipendenti (Fpld), che rappresenta il 45% dell’intera spesa pensionistica.
Quest’anno paga 8,6 milioni di pensioni al valore nominale medio di 14.700 euro lordi l’anno, per un totale di quasi 143 miliardi.
Tra vent’anni, nel 2039, le pensioni in pagamento stimate nei bilanci prospettivi dell’Istituto salirebbero per il solo Fpld a poco meno di 9 milioni e 300mila (+7%). Saranno assegni del valore medio di 27mila euro lordi, per una spesa che in termini nominali arriverà a sfiorare i 297 miliardi.
Le stime dei bilanci tecnici, l’ultimo è del 2017 e proietta le spese fino al 2046, sono basate su ipotesi di carriere lavorative costanti e calcolano il pieno effetto del contributivo. Il reddito medio annuo sottostante, sempre in termini nominali, passerebbe da 24.200 euro a 44.950, mentre il tasso di sostituzione (ovvero il rapporto tra pensione e ultimo stipendio), resterebbe attorno a una media del 60%.
Le proiezioni (che non sono pubbliche ma Il Sole 24 Ore ha potuto vedere) non contengono naturalmente gli effetti di “quota 100” e delle altre forme di anticipo allargato; misure che entreranno nei calcoli che verranno aggiornati l’anno prossimo.
Ma fotografano quello che sta per accadere: il ritiro dal mercato del lavoro delle folte coorti dei baby boomers.
Un boomerang calcolato da tempo, che spingerà la spesa per le prossime due decadi e i cui effetti sono stati in parte attenuati dalle riforme adottate tra il 1992 e il 2011.
Quanto cambieranno quelle traiettorie con “quota 100” e, se arriverà , con “quota 41”, al momento, non è dato sapere.
In soldoni, la spesa pensionistica, da qui al 2040, scalerà una gobba che, a seconda delle stime, potrebbe variare tra il 16 e il 20% del Pil.
E tra vent’anni la transizione demografica ci dice che ci saranno 18,8 milioni di cittadini con 65 anni o più, secondo la proiezione centrale Istat, 5 milioni in più di oggi.
Mentre la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) si sarà ridotta a sua volta di 5 milioni (a 33,7 milioni).
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 1st, 2019 Riccardo Fucile
“STIAMO PAGANDO LE MARCHETTE DI SALVINI E DI MAIO SU QUOTA Q100 E REDDITO DI CITTADINANZA”… “MENO SOCIAL E PIU’ STATO SOCIALE”… SI VA VERSO UNO SCIOPERO GENERALE
“Salvini e Di Maio hanno fatto reddito di cittadinanza e quota 100, noi li stiamo pagando”. Pino Capone ha 41 anni di contributi, un cappellino rosso e un eloquente cartello bianco: “Si scrive conguaglio, si legge ‘vi abbiamo rubato i soldi’”.
Il riferimento, suo e di una piazza San Giovanni gremita di pensionati e sindacalisti di Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil, è al taglio alla rivalutazione degli assegni sopra i 1500 euro, varato dal governo gialloverde a fine 2018.
Una bomba a orologeria piazzata sotto l’albero mentre i pensionati erano distratti dal cenone e dalle luci natalizie.
E che ora esplode in un conguaglio da 3,6 miliardi in 3 anni, che le pantere grigie si vedranno addebitare sul prossimo assegno, in aggiunta al taglio già scattato lo corso aprile.
In sostanza, l’esecutivo si riprenderà quei soldi che in realtà erano già finiti nelle tasche dei pensionati tra gennaio e marzo, grazie all’accordo sulla rivalutazione firmato dal governo Gentiloni.
Un prelievo a scoppio ritardato che i gialloverdi potevano far scattare anche prima, ma che arriva soltanto oggi, a pochi giorni dalle europee.
“Fare il conguaglio prima del 26 maggio sarebbe stato impopolare – spiega ad Huffpost Elena Di Gregorio, segretaria della Spi Cgil Veneto – Prima ci hanno fatto votare, poi ci hanno ripreso i soldi. E’ una beffa, ci prendono veramente per dei fessi”.
Vicino a lei c’è Giuseppe Vinciguerra, uno dei tanti pensionati tacciati di avarizia dal premier Conte durante una conferenza stampa dello scorso 29 dicembre. “Per forza dobbiamo essere avari, non riusciamo ad arrivare alla fine del mese”.
L’uscita infelice del presidente del Consiglio non è andata giù neanche a Carmelo Barbagallo: “Il taglio alla rivalutazione vale 3 miliardi e 600 milioni in 3 anni, 20 in 7 anni. Altro che avaro di Molière. Si fa bancomat sui pensionati per dare soldi ai poveri – continua il segretario Uil – Questo dalle mie parti si chiama gioco delle tre carte, non ripresa economica del paese”.
‘Avari’ o meno, in piazza di pensionati ce ne sono a migliaia, come in un secondo primo maggio. Oltre al taglio della rivalutazione, contestano il flop delle pensioni di cittadinanza e di quota 100, il taglio delle pensioni d’oro, “l’immobilismo” del governo su sanità e legge sulla non autosufficienza. Agitano bandiere e scandiscono slogan. Vogliono “meno stati sui social e più Stato sociale”.
Sul palco si alternano i rispettivi leader sindacali, passati e presenti. C’è, come detto, Carmelo Barbagallo. C’è Susanna Camusso. Ci sono Annamaria Furlan e Maurizio Landini, Nicola Zingaretti. Al microfono, invece, parla Ivan Pedretti. Il segretario di Spi Cgil si rivolge direttamente al governo: “I soldi prelevati ai pensionati li riprendano dai ricchi, dagli evasori, da quei malfattori che rubano 200 miliardi all’anno non pagando le tasse”. La richiesta, chiara, è di un confronto serio con l’esecutivo. In mancanza di risposte concrete, la strada sarà una sola: “lo sciopero generale”.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI SI SONO ACCORTI DEL BIDONE DI SALVINI
Matteo Salvini aveva promesso di abolire la legge Fornero (e cancellare le accise sulla benzina) ma finora ha partorito la “provvisoria” Quota 100 e poco altro.
E i numeri del provvedimento non sono esaltanti:
Finora 131 mila domande, non si sa quante respinte. Donne poche, un quarto. E pochi con la quota esatta 62+38, tra età e contributi. Prevalgono quote 103, 104, 105. Perchè si preferisce anticipare il giusto, per non tagliare troppo l’assegno, visto che prima esci, meno contributi versi. Agli aspiranti quotisti le penalizzazioni non piacciono, anche se implicite.
E non piace l’idea di trovarsi in panchina, dove il governo li mette vietando il cumulo con i lavoretti. E poi tra tre anni? Si torna alla Fornero, in verità mai tramontata.
I malcapitati sullo scalino tra l’una e l’altra potrebbero lavorare anche sei anni in più di un coetaneo, fino a 68 anzichè 62 anni. renault.it
Ma il problema vero è che gli assegni poi sono tutti più poveri.
Due conti li ha fatti lo Spi Cgil. Se si fosse sempre applicato il metodo Prodi (legge 388 del 2000) per rivalutare le pensioni all’inflazione, una da 1.500 euro lordi al mese sarebbe cresciuta in complesso di 10.612 euro (lordi) tra 2012 e 2019. E invece ne ha incassati appena 3.330.
Una bella differenza, tra zero perequazione di Monti-Fornero, quando i prezzi salivano del 3% e le pensioni erano ferme.
E parzialissimi recuperi da Letta in poi, con il governo Renzi a restituire briciole dopo la sentenza della Consulta che dichiarava illegittimo il blocco Monti.
Una pensione da 3 mila euro lordi lamenta quasi 17.700 euro di ammanco. E così via. Senza pensare agli assegni alti – le cosiddette pensioni d’oro – con prelievi a più non posso per solidarietà fatti da tutti i governi.
Fino a questo che le voleva ricalcolare anche in modo retroattivo con il metodo contributivo. Soluzione tramontata perchè incostituzionale.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEGLI ESPERTI RIVELA IL BLUFF, DATI ALLA MANO
Quota 100 è un successo? Per definire se il provvedimento di pensionamento anticipato (può lasciare chi ha almeno 62 anni di età e 38 di contributi) porterà dei benefici al sistema in termini di staffetta generazionale, nuove assunzioni al posto di chi lascia l’attività , occorrerà attendere probabilmente qualche trimestre.
Tuttavia analizzando i dati di flusso delle domande, che non è detto si traducano in altrettante pensioni, possiamo già fare alcune considerazioni.
Si può stimare un costo totale dell’operazione attorno ai 30-33 miliardi, tra mancato flusso di contributi in entrata nella casse dell’Inps e maggiori spese per le prestazioni anticipate, ipotizzando 300 mila persone che approfittino di quota 100 nel triennio con durate medie dell’anticipo tra i 4,5 anni e un anno e mezzo.
Cifra che tiene conto anche di altre due opportunità concesse a chi vuole lasciare in anticipo il lavoro come l’opzione donna e la possibilità di tagliare il traguardo con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne.
Nell’ipotesi che dopo il 2021 quota 100 non venga rinnovata, e che tutto torni, come probabile, alla legge Fornero, gli effetti finanziari (è l’unica buona notizia), si esauriranno nel 2026 quando anche l’ultimo stock di soggetti avrà raggiunto l’età anagrafica di 67 anni e qualche mese.
Ma quanti posti nuovi per i giovani potrà creare questo ingente investimento?
Considerando che il punto di massima espansione dell’occupazione si è verificato nel maggio-giugno 2018 con 23.345.000 occupati per poi ritracciare a fine 2018 a 23.269.000 (76.000 in meno) e, alla luce dei «flussi mensili» di nuove assunzioni e nuove dismissioni di personale che stanno mostrando un segno negativo, le aspettative di un discreto rimpiazzo di neopensionati sono modeste.
Tanto più che siamo in presenza di ciclo economico negativo (l’incremento 2019 del Pil sarà forse inferiore allo 0,4% e la produzione industriale è in una fase di forte calo e difficilmente migliorerà nel secondo semestre del 2019).
In questa situazione, come ampiamente accaduto in passato, le aziende cercheranno di liberarsi (anche con forme di pressione e buoni incentivi) di quanti più lavoratori possono, soprattutto tra coloro che sono difficilmente reinseribili nel nuovo ciclo di produzione perchè hanno professionalità obsolete oppure tra le fasce deboli ( tante assenze per motivi di salute o familiari).
In sostanza le categorie previste dall’Ape sociale che si sarebbero potute «trasferire» a costo zero per lo Stato nei cosiddetti fondi esubero o di solidarietà .
D’altra parte se le aziende si devono «alleggerire» di personale in eccesso rispetto al fabbisogno (cosa che sta succedendo dal Duemila al sistema bancario e assicurativo che ha così «prepensionato» oltre 70 mila lavoratori a costo zero per le finanze pubbliche) è più che giusto che paghino le imprese stesse in modo solidaristico e mutualizzando il costo, attraverso i fondi bilaterali.
Invece con quota 100, l’intero costo che poteva essere posto a carico del sistema produttivo (lavoratori e imprese) sarà pagato dallo Stato e quindi da tutti noi: un’occasione perduta.
Era difficile fare questa operazione? No. Bastava copiare quello che fece il governo nel Duemila. Risultato? La maggior parte dei circa 53.000 lavoratori dipendenti del settore privato che al 21 marzo hanno presentato domanda per quota 100 daranno luogo a pochissimi posti di lavoro per i giovani,
forse meno di un 10%. Quanto ai 17.200 autonomi, è più facile che una volta andati in pensione, intesteranno l’attività ai familiari e proseguiranno in «ombra». Molti, soprattutto al Sud, avranno anche diritto all’integrazione al minimo per gli scarsi contributi versati.
Il divieto di cumulo che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto bloccare l’esodo, darà invece luogo ad un incremento del lavoro irregolare, se consideriamo poi che gran parte delle domande provengono da aree in cui operano piccole e micro imprese industriali, ma soprattutto di servizi e turismo o nell’agro alimentare.
Restano infine i 30.500 dipendenti pubblici che andranno a sguarnire settori vitali come la scuola, la sanità e anche l’Inps: per questi la palla passa al governo.
Certo che per fare lavorare i giovani, dover pagare lo stipendio doppio (uno al pensionato e uno al neo assunti) non pare un grande affare tenuto altresì conto della grande perdita di professionalità nel trade-off.
Non era meglio spendere questi soldi per incentivare la nuova occupazione con il super ammortamento del 130% peraltro previsto nel programma della Lega e non trasferito nel famoso «contratto»? Considerando un incentivo medio di circa 17 mila euro, con 30 miliardi si sarebbero potuti finanziare oltre 1,7 milioni di posti di lavoro.
Mentre la decontribuzione totale al Sud denota (come per il governo Renzi) scarsa memoria e poca pratica. Questo sgravio lo abbiamo avuto per 20 anni fino al 1995: non ha portato un posto di lavoro in più. Solo altri costi per le finanze pubbliche e così pure il divieto di cumulo tra redditi da lavoro e quelli da pensione, enorme produttore di lavoro nero.
Infine, vista la rapidità nell’arrivo delle domande, è ipotizzabile che per la fine di marzo saranno superate agevolmente le 110 mila richieste di quota 100, le 40 mila anticipate e le 10 mila opzione donna; ciò significa che entro la fine di quest’anno avremo circa 250 mila lavoratori attivi in meno e altrettanti pensionati in più con un pericoloso deterioramento del rapporto attivi/pensionati che calerà di circa l’1,5% e un aumento del saldo negativo tra entrate contributive e uscite per prestazioni.
Alberto Brambilla
Presidente Centro studi Itinerari previdenziali
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile
SINDACATI IN PIAZZA IL 1 GIUGNO: IL TAGLIO DELLE RIVALUTAZIONI SOTTRARRA’ AI PENSIONATI 2,2 MILIARDI IN TRE ANNI
5,6 milioni di pensionati vedranno diminuire i propri assegni. Dal prossimo primo aprile i trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo (oltre i 1.522 euro al mese) verranno rivisti secondo la legge di bilancio per il 2019. In una circolare l’Inps chiarisce che sono 5,6 milioni i profili interessati. Per 2,6 milioni la riduzione media mensile del lordo è di 28 centesimi. Il ricalcolo è una diretta conseguenza della manovra Finanziaria per impiegare le risorse per Quota 100.
La rivalutazione è piena per i trattamenti fino a tre volte il minimo mentre per quelle superiori si parte da una rivalutazione al 97% per le pensioni tra le tre e le quattro volte il minimo (da 1.522 a 2.029 euro al mese), al 40% per chi supera i 4.569 euro. Le pensioni fino a 1.522 euro riceveranno il pieno adeguamento fissato in maniera provvisoria a 1,1%, mentre quelle superiori nove volte rispetto al minimo recupereranno solo 0,44%.
L’Inps chiederà nei prossimi mesi il conguaglio di quanto dato indebitamente nei primi mesi dell’anno in quanto la nuova perequazione andava applicata già dal primo gennaio.
L’operazione di ricalcolo effettuata dall’Istituto – si legge in una nota dell’Inps – “ha riguardato i trattamenti di importo complessivo lordo superiore a tre volte il trattamento minimo”. Per “importo complessivo lordo” si intende la somma di tutte le pensioni di cui un soggetto è titolare, siano esse erogate dall’Inps o da altri Enti presenti nel Casellario Centrale.
Il ricalcolo rende quindi meno generose le pensioni rispetto a quanto sarebbe spettato ai lavoratori con la formula attiva precedentemente la riforma. “L’istituto – si legge nella nota – comunicherà le modalità di recupero delle somme relative al periodo gennaio-marzo 2019”.
Spi-Cgil rende noto che il conguaglio “sarà di 100 milioni”. Il sindacato ricorda come dal nuovo meccanismo di rivalutazione “il governo arriverà a recuperare dalle tasche dei pensionati 2,2 miliardi nel triennio” 2019-2021.
“Sono somme – continua lo Spi – che verranno sottratte a chi ha lavorato una vita e che non ha alcuna colpa. Se si sostiene che si tratta di pochi soldi che li lascino allora ai pensionati senza sottoporli all’ennesima rapina nei loro confronti”.
I sindacati non ci stanno e preparano una manifestazione nazionale indetta per sabato 1° giugno in piazza del Popolo a Roma. Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil annunciano l’avvio della mobilitazione dei pensionati per protestare “contro la totale mancanza di attenzione nei loro confronti da parte del governo”, che si è “mostrato del tutto sordo” alle loro richieste.
Le sigle sindacali sostengono che “l’unica misura messa in campo è stata quella del taglio della rivalutazione, che partirà dal primo aprile e a cui si aggiungerà un corposo conguaglio che i pensionati dovranno restituire nei prossimi mesi. La tanto sbandierata pensione di cittadinanza invece – proseguono Spi, Fnp e Uilp – finirà per riguardare un numero molto limitato di persone e non basterà ad affrontare il tema della povertà “.
“Nulla è stato previsto sul fronte delle tasse – spiegano i sindacati – che i pensionati pagano in misura maggiore rispetto ai lavoratori dipendenti, e tanto meno sulla sanità , sull’assistenza e sulla non autosufficienza, che sono temi di straordinaria rilevanza per la vita delle persone anziane e delle loro famiglie e che necessiterebbero quindi di interventi e di risorse”.
In conclusione dichiarano Spi, Fnp e Uilp i pensionati sono stati “accusati addirittura di essere degli avari per aver osato protestare a fine dicembre contro il taglio della rivalutazione. La loro mobilitazione è quindi necessaria e non più rinviabile”.
(da agenzie)
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