Maggio 19th, 2015 Riccardo Fucile
IL GOVERNO RESTITUIRà€ AI PENSIONATI SOLO LE BRICIOLE DEI SOLDI CHE MONTI GLI AVEVA TOLTO ILLEGALMENTE
Il ministro dell’Economia, ieri nella sala stampa di palazzo Chigi, metteva le mani avanti:
“Nessuno perde niente. Il problema è chi ci guadagna e quanto”.
Pier Carlo Padoan si riferiva al decreto appena approvato dal Consiglio dei ministri per “sterilizzare” la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il blocco delle pensioni deciso da Mario Monti per il 2012 e 2013.
In sostanza, ai pensionati vanno le briciole o niente di quel che hanno perso (vedi gli esempi qui accanto): il primo agosto riceveranno un versamento una tantum che sembra un’elemosina ribattezzato “bonus Poletti”, dal nome del ministro del Lavoro.
La comunicazione è importante, però il racconto dei nudi fatti dice altro: ad alcuni milioni di cittadini italiani sono stati sottratti illegittimamente dei soldi, ora si decide di ridargliene una parte e gli si chiede pure di essere felici.
“Nessuno perde niente. Il problema è chi ci guadagna e quanto”, secondo Padoan.
Una forma di “ravvedimento operoso” che farebbe la felicità di ladri e rapinatori se potessero usufruirne.
Restituiti 2,1 miliardi su 16: 700mila esclusi dal rimborso
I numeri, prima di scappare via, li ha dati Matteo Renzi.
Il “Bonus Poletti” riguarda 3,7 milioni di pensionati su quasi 4,5 interessati dalla sentenza della Consulta e costerà in tutto 2,1 miliardi per sanare il periodo 2012-2015.
Gli interventi sull’anno prossimo invece — cioè la maggior spesa futura dovuta all’aumento degli assegni da rivalutare — saranno demandati alla Legge di Stabilità . Numeri ufficiali ancora non sono stati considerati, ma secondo Renzi, rispettare la sentenza alla lettera sarebbe costato “18 miliardi” da “togliere ad altri: dagli asili alle infrastrutture”.
Padoan, invece, s’è limitato a dire che il deficit sarebbe schizzato al 3,6%: il costo, insomma, si aggirava sul punto di Pil (poco menodi16miliardi).Inrealtà ,il pregresso dovrebbe valere 10-12 miliardi: anche in questo caso, comunque, lo stanziamento del governo è al massimo il 20% di quanto sottratto ai pensionati in passato e ancor meno se si tiene conto dei mancati introiti futuri.
La mancia: 750 euro in tutto a chi ne prende 1.300 netti
Il governo — per rispettare la “progressività ” chiesta dalla Consulta — ha deciso di individuare varie fasce di reddito da pensione a cui dare i rimborsi: chi ha assegni da 1.700 euro lordi (1.300-1400 netti), ad esempio, avrà 750 euro una tantum e un aumento di 180 euro l’anno. Tutto lordo.
Peccato che secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) gli spettassero circa 3.000 euro di arretrati (2012-2015) e un aumento di reddito annuale di 1.230 euro.
Seconda fascia: chi prende circa 2.200 euro (1.700-1800 netti) avrà 450 euro ad agosto e un aumento di 99 euro l’anno (invece di circa 5mila euro per il pregresso e una pensione più alta di 1.500 euro l’anno).
I pensionati da 2.700 euro lordi (circa duemila netti) potranno folleggiare invece con un “Bonus Poletti” da 278 euro e un aumento da 60 euro: per loro l’Upb ha calcolato un danno subìto di circa seimila euro e una pensione da aumentare di 1.800 e più.
Niente “bonus”, infine, per chi ha assegni sopra i 3.200 euro lordi: la pensione media dei “ricchi” — secondo l’Upb — vale circa 5mila euro lordi al mese e ha avuto perdite per poco meno di diecimila euro per il passato e quasi tremila sul reddito annuo.
Ora nuovi ricorsi, ma Renzi guadagna un paio d’anni
Il decreto del governo sulle pensioni — quando sarà approvato dalle Camere (per ora non c’è nemmeno il testo) — sarà oggetto di una nuova ondata di ricorsi. Non senza ragione. Dice Riccardo Troiano, il legale che ha rappresentato Federmanager e Manageritalia alla Consulta: “Si poteva fare molto di più e molto meglio, così il decreto depotenzia la sentenza: se questa norma dovesse arrivare alla Corte Costituzionale, ci arriverà malconcia. Potenzialmente avrebbero potuto ricevere tutti il rimborso, invece non lo ricevono tutti, non lo ricevono per intero e pure tardi”.
Anche se l’avvocato avesse ragione, il treno della Consulta è lento: male che vada il governo ha comunque guadagnato un paio d’anni.
Sempre che le critiche e le velate minacce arrivate alla Corte in questi giorni non sortiscano effetti riducendola a più miti consigli (una prova si avrà per le prossime sentenze di peso: blocco degli stipendi degli statali; contributo sulle pensioni d’oro; aggio di Equitalia).
D’altronde, se il governo accetta il modello contabile e le rigidità ideologiche della Commissione Ue (e lo ha fatto), conculcare i diritti costituzionali in nome del solo articolo 81 sul pareggio di bilancio è l’unica via che gli resta.
Si potrà andare in pensione prima (con penalizzazioni)
Renzi ieri ha annunciato anche altre novità sul tema previdenza: intanto la pensione arriverà il primo del mese, poi — bontà sua — il governo ha deciso di non decurtare gli assegni nonostante la decrescita del Pil lo autorizzerebbe a farlo (nessuno, però, finora ne ha avuto il coraggio).
Infine, il premier ha fatto sapere che in autunno riformerà la legge Fornero: “Se una donna a 62 anni preferisce andare in pensione prima e stare col nipotino, rinunciando a 30-50 euro, bisognerà trovare le modalità per cui, sempre con attenzione ai denari, questo si possa fare”.
Il problema è che, senza soldi presi dalla fiscalità generale, la penalizzazione col contributivo è assai più onerosa di 50 euro al mese.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 19th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI VUOLE DIVIDERE TRA SCIPPATI DI SERIE A E QUELLI DI SERIE B
Il premier e segretario del partito di governo occupa di domenica pomeriggio il primo canale
della televisione pubblica per annunciare ciò che il Consiglio dei ministri deve ancora decidere, senz’alcun contraddittorio e in spregio delle regole della par condicio a due settimane esatte dalle elezioni europee, e promette soldi a 4 milioni di elettori pensionati, esattamente come aveva fatto alla vigilia del trionfo elettorale alle Europee dello scorso anno con l’annuncio degli 80 euro.
Intanto la sua ministra favorita trova il modo di comparire nelle dirette televisive e nei servizi sulla finale degli Internazionali di tennis al Foro Italico nelle vesti di premiatrice del vincitore Novak Djokovi›, manco fosse la duchessa di Kent a Wimbledon o Miss Maglietta Bagnata al traguardo della Milano-Sanremo.
Detta così, senza i nomi, pare una cronaca di ordinario regimetto berlusconiano con i verbi al passato.
Invece i verbi vanno coniugati al presente, perchè i nomi sono quelli di Matteo Renzi e di Maria Elena Boschi.
Ma c’è anche una questione di merito: e cioè la disinvolta soluzione escogitata dal premier per aggirare, con l’aria di rispettarla, la sentenza della Corte costituzionale sulla legge Fornero che bloccava l’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo: una mancetta al massimo di 750 euro che dovrebbe essere scucita in agosto ad alcuni dei pensionati rapinati.
Renzi avrebbe voluto temporeggiare ancora, ma il ministro dell’Economia Padoan lo ha spinto ad annunciare subito una soluzione (anzi, una non-soluzione) per tener buona l’Europa, che vuole sapere come il governo pensa di uscire dal vicolo cieco in cui non la Consulta, ma il governo Monti e i partiti che lo sostenevano, ha cacciato l’Italia.
Nel suo ormai conclamato analfabetismo costituzionale, l’esecutivo considera la sentenza della Corte poco più di un suggerimento, di un consiglio amichevole, su cui aprire una trattativa e trovare un’intesa a metà strada.
Ma le cose stanno molto diversamente: quando la Consulta dichiara incostituzionale una legge, questa cessa immediatamente di esistere, ed è come se non fosse mai stata in vigore.
Dunque non c’è nulla da mediare, nulla da trattare, nulla da interpretare.
La legge Fornero non esiste e tutti i pensionati che ne hanno subìto le conseguenze devono essere risarciti per i soldi perduti fin qui e, per il futuro, devono riavere le loro pensioni con i necessari adeguamenti al costo della vita.
Il che non vuol dire che il governo non possa, per il futuro, approvare una nuova legge sulle pensioni, per esempio mettendo un tetto a quelle “d’oro”, a cominciare dagli assegni sproporzionati rispetto ai contributi versati, senza dunque toccare i diritti acquisiti.
Nel 2008, per esempio, il premier Prodi bloccò le pensioni di importo superiore a otto volte il minimo, e quella decisione passò indenne il vaglio di costituzionalità della Consulta perchè quella norma — diversamente dalla Fornero — garantiva l’“adeguatezza” e la “proporzionalità ” del trattamento previdenziale, limitandosi a colpire gli assegni “di importo piuttosto elevato” e con “margini di resistenza all’erosione” dell’inflazione.
Ora, il Pd di Renzi dovrebbe fare mea culpa, anzichè prendersela con chi c’era prima.
È vero che Renzi non è mai stato in Parlamento (non ci sta neppure oggi) e non ha mai votato la fiducia ai governi precedenti.
Ma intanto non era mica un passante: era il leader dell’opposizione interna al Pd, e quando la Bce impose all’Italia quelle politiche ingiuste e giugulatorie con la famosa lettera dell’estate 2011, concordata con B. e poi attuata da Monti, elogiò sia la lettera della Bce sia l’azione di Monti-Fornero che la mettevano in pratica.
E quasi tutti i ministri e i sottosegretari del suo governo — renziani e antirenziani, montiani, centristi e alfaniani — e i parlamentari della sua maggioranza (e pure della cosiddetta opposizione di centrodestra) votarono disciplinatamente la legge incostituzionale delle pensioni.
L’obiezione è nota: la sentenza apre una voragine di almeno 17 miliardi nei conti pubblici, quindi non si possono rimborsare tutti i pensionati.
Ma è falso: è la legge Fornero che apre quella voragine, e ora sappiamo che la legge Fornero non è mai esistita.
Dunque le chiacchiere stanno a zero: se, com’è evidente, non si può restituire subito tutto il maltolto a tutti, non si possono nemmeno dividere i pensionati fra scippati di serie A e di serie B.
Altrimenti chi lo fa espone la finanza pubblica al rischio concreto di un’altra bocciatura e di un altro mega-buco.
L’unica strada è indicare subito un percorso graduale, magari scaglionato nei prossimi mesi o anni, che però alla fine restituisca tutto il dovuto a chiunque ne abbia diritto.
Con quali soldi? Con quelli di una nuova spending review, oltre a quella che doveva assicurare risparmi per 10-15 miliardi per evitare altri aumenti dell’Iva ma di cui si sono perse le tracce.
E con altri risparmi ormai improcrastinabili, anche con i requisiti di necessità e urgenza tipici del decreto: basta con i miliardi di inutili incentivi alle grandi imprese, stop all’acquisto di F-35, legge sulla confisca immediata dei proventi di corruzione e di evasione sul modello della norma sui patrimoni mafiosi (che inverte l’onere della prova), ritiro delle truppe dalle guerre in giro per il mondo, via le opere pubbliche inutili e dannose come il Tav Torino-Lione, il Terzo Valico, il progetto sotterraneo di Alta velocità a Firenze, ecc.
Insomma, fine della lunga serie dei governi che rubano ai poveri e agli onesti per dare ai ricchi e ai ladri (che spesso sono sinonimi).
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 17th, 2015 Riccardo Fucile
IL GOVERNO NON RISPETTA LA SENTENZA: INVECE CHE 12 MILIARDI NE RESTITUISCE 2… E A CHI LI SOTTRAE? OVVIAMENTE ALLE MISURE CONTRO LA POVERTA’… UN PENSIONATO SOTTO I 1500 EURO LORDI AVREBBE AVUTO DIRITTO A CIRCA 3.000 EURO DI ARRETRATI
“Nessun pensionato perderà un centesimo. Noi scriveremo una nuova norma rispetto al blocco dell’indicizzazione che restituirà in tasca a 4 milioni di italiani il 1 agosto 500 euro a testa. Saranno tagliate fuori le pensioni oltre 3mila euro”.
Il premier Matteo Renzi, a sorpresa, ha scelto il contenitore domenicale di RaiUno L’Arena per annunciare l’ennesima patacca e per spiegare come il governo ha intenzione di risolvere l’impasse aperta dalla sentenza della Consulta che ha bocciato la norma Fornero.
Dichiarando incostituzionale il mancato adeguamento al costo della vita degli assegni superiori a tre volte il minimo nel 2012 e 2013.
Dopo aver smentito di voler rimandare la decisione a dopo le regionali del 31 maggio — “Chi guida un Paese non può avere paura delle elezioni” — Renzi ha detto che “ovviamente non sarà un rimborso totale. Ma ci sono 2 miliardi che mi ero tenuto per le misure contro la povertà “, che comunque “faremo lo stesso”.
Una restituzione molto parziale. Non solo, la somma restituita sarà un una tantum uguale per tutti coloro che prendono tra 1.486 e 3mila euro lordi.
Esclusi invece i circa 600mila titolari dei trattamenti più alti (che faranno ricorso e lo vinceranno)
I “quattro milioni di italiani” a cui ha fatto riferimento Renzi, corrispondono più o meno al numero di pensionati che prendono tra tre e sei volte il minimo e si sono visti congelare l’introito dal decreto salva Italia del governo Monti.
“Quanti pensano che sia un bonus per le elezioni non potranno dirlo, perchè parte dall’1 agosto”, ha messo poi le mani avanti il premier, forse pensando alle polemiche sul bonus di 80 euro annunciato prima delle Europee del 2014.
Quanto alle coperture, i 2 miliardi verrebbero per la maggior parte da un aumento del deficit dal 2,5 al 2,6% del Pil: il cosiddetto “tesoretto” da 1,6 miliardi, che Renzi aveva detto appunto di voler utilizzare per misure di welfare e contro la povertà .
Ballano circa 400 milioni, che potrebbero derivare da un ulteriore aumento dei risparmi attesi dalla solita spending review.
Salta all’occhio che i cinquecento euro promessi (“da agosto” probabilmente per dare all’Inps i tempi tecnici per adeguarsi) sono una somma ben più bassa rispetto a quella che risulterebbe dalla piena restituzione degli arretrati: secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio considerando anche le maggiori cifre dovute per il 2014 e 2015 a causa dell’effetto trascinamento il rimborso integrale varrebbe, per un pensionato-tipo con assegno pari a 3,5 volte il minimo, circa 3mila euro.
Per il solo 2012, per esempio, questo pensionato-tipo avrebbe diritto a 567 euro, che salgono a 630 nel 2013.
Resta dunque da capire come Palazzo Chigi e il Tesoro pensino di cavarsela così, rischiando nuovi ricorsi.
Anche perchè siamo di fronte a un ladrocinio di Stato.
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
IL GOVERNO TUTELEREBBE SOLO GLI ASSEGNI TRE VOLTE SOPRA IL MINIMO
Il Signor Rossi, come circa 2 milioni di suoi colleghi, percepiva una pensione mensile di 1.639 euro lordi (circa 1.300 netti), un trattamento pari a tre volte e mezzo il minimo.
Arrivò la crisi degli spread e l’emergenza economica, e il governo Monti fu costretto a bloccargli per due anni, il 2012 e il 2013, l’indicizzazione al costo della vita.
Da allora il pensionato Rossi ha cominciato a perdere soldi: nell’intero 2012 ha ricevuto una pensione più bassa di 567 euro, nel 2013 ha perso ulteriori 630 euro per lo stesso meccanismo di mancata rivalutazione e ha cominciato a perdere altri 17 euro per effetto del “trascinamento” (se gli fosse stata corrisposta la perequazione che gli spettava l’anno successivo l’assegno sarebbe stato più alto perchè calcolato su una base maggiore).
In tutto i suoi arretrati, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 30 aprile scorso che ha bocciato la norma del 2011, e in caso di rimborso “pieno”, ammontano a 3.007 euro per i tre anni 2012-2014.
Alla somma dovuta dallo Stato al nostro pensionato per il pregresso si aggiunge, dal 2015, la maggiorazione che dovrebbe essere incorporata nella pensione come effetto dell’intero ricalcolo pari a 1.229 euro (compresi i 32 euro dei “trascinamenti”).
Il signor Rossi potrebbe presentarsi all’Inps e chiedere indietro 4.236 euro lordi
A fare chiarezza sulla complicata questione che da giorni rimbalza tra governo, Corte costituzionale e Bruxelles, è stato ieri l’Ufficio parlamentare di bilancio, guidato da Giuseppe Pisauro, che ha messo a disposizione i conteggi esatti su quanto hanno perso i pensionati sopra tre volte il minimo negli ultimi quattro anni per effetto del blocco delle indicizzazioni. Naturalmente la cifra è al lordo delle tasse: il Signor Rossi in questione dopo aver pagato l’Irpef, in caso di rimborso completo, si troverebbe in tasca circa 2.400 euro
Il rapporto dell’Upb non entra naturalmente nella strategia del governo, orientata a una restituzione parziale in omaggio all’indirizzo della Consulta volto a tutelare soprattutto i redditi più bassi, e si limita a considerare gli effetti di una ipotetica restituzione totale e integrale. Tuttavia, in base a quanto emerso dal dibattito e dalle indiscrezioni degli ultimi giorni, non è escluso che la scelta del governo possa tutelare in pieno i diritti dei pensionati con tre volte e mezzo il minimo tra i quali si colloca il Signor Rossi.
Il focus dell’Ups, contenuto nell’ampio “Rapporto sulla programmazione di bilancio 2015”, dà conto anche di quanto perso dai pensionati con redditi più alti: chi stava nel 2011 intorno ai 2.100 euro potrebbe aver diritto, in assenza di provvedimenti correttivi del governo, a circa 5.300 euro tra arretrati e maggiorazione nel 2015; chi si aggirava sui 2.500 euro avrebbe diritto in totale a circa 6.300 euro; chi aveva una pensione di oltre 4.000 euro potrebbe vantare circa 10 mila euro per i quattro anni in questione.
Se questi sono i diritti dei pensionati stabiliti dalla Corte, dall’altra parte ci sono le esigenze di rispettare le norme imposte dall’Unione europea e dalla nostra contabilità che rendono assai rischioso un rimborso complessivo che, per il solo quadriennio 2012-2015, sarebbe di 15 miliardi (secondo i dati emersi in questi giorni dalla vecchia relazione tecnica ai provvedimenti). Il primo problema al quale il Rapporto sulla programmazione di bilancio dà una risposta è quello della contabilizzazione degli arretrati e di quanto erogato nel 2015: Sec 2010 e Manuale attuativo Eurostat dicono che il momento in cui va imputata la spesa è quello in cui nasce un diritto «automatico e incontrovertibile» a ricevere l’importo, senza ricorsi di mezzo; dunque fa fede il giorno 30 aprile, data di pubblicazione della sentenza della Corte.
Così basterebbe un intervento di 8 miliardi (0,5 del Pil) per sfondare nel 2015 il 3% nominale, con conseguente procedura per disavanzo di Bruxelles.
E in questo caso si perderebbero anche i benefici della “clausola delle riforme” chiesta per il 2016.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
CAOS DI VOCI SUI RIMBORSI, GOVERNO DIVISO… CONSULTA: “PAGARE È OBBLIGATORIO”
La strategia del governo sulle pensioni dopo la sentenza della Consulta? Non c’è. 
Renzi non si è ancora messo sul dossier e quindi non sappiamo esattamente cosa fare”. Questo il riassunto della situazione che fonti del Tesoro affidano al Fatto Quotidiano: i conti sugli effetti procedono, qualche scenario è stato disegnato, ma la partita si chiude la prossima settimana.
D’altra parte, va notata la bizzarria di un premier che non dice una parola da giorni su un buco di bilancio miliardario.
Non che l’esecutivo stia però con le mani in mano. In assenza dei fatti, si occupa del flusso di notizie: reagisce alla realtà con gli slogan.
Stavolta siamo a un dipresso al Robin Hood previdenziale: pagheranno i ricchi.
Chi siano, quanto e come pagheranno non si sa, ma tant’è.
Il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, per dire, ieri mattina s’è tolto la camicetta di membro del governo e a nome di Scelta Civica (i rimasugli dei “montiani”) ha messo a verbale quanto segue: “È impensabile che si restituiscano i soldi a pensionati da 3.500-4.000 euro, quando si è chiesto ai giovani di passare al sistema contributivo e ai quasi pensionati di spostare in avanti l’età per andare in pensione”.
Questa non è (solo) l’esternazione di un leaderino in cerca di passaggi tv, perchè Palazzo Chigi nel pomeriggio l’ha di fatto confermata: “Non rimborsare tutti è compatibile con la sentenza della Consulta”, è la tesi.
Ovviamente questa uscita ha spaventato milioni di pensionati, ma pure al Tesoro — diciamo — sono rimasti basiti.
Pier Carlo Padoan, infatti, ha dovuto ripetere quanto dice da giorni: “Pensiamo a misure che minimizzino l’impatto sui conti, ma nel pieno rispetto della Corte”.
Alla fine pure Chigi è costretto alla nota ufficiale: “Valgono solo le parole del ministro”.
Nella realtà le cose stanno così.
La Consulta ha bocciato la norma inserita dal governo Monti nel decreto “Salva Italia”, che bloccava il recupero dell’inflazione per le pensioni superiori a circa 1.400 euro lordi al mese nel 2012 e 2013: quella legge non esiste più e quindi il maltolto va restituito. Punto.
Se farlo a debito, magari a rate, cercando o meno l’accordo con l’Ue sul deficit, è una scelta tecnica del governo.
Non pagare o pagare solo chi si vuole no: il conto fa 8 miliardi e spiccioli e va saldato.
La stessa Consulta, tramite l’agenzia Ansa, ha voluto chiarire la situazione: “Per ottenere il rimborso delle somme non percepite in termini di indicizzazione si deve fare una domanda all’Inps, non serve un ricorso, perchè dopo la sentenza la restituzione è un obbligo da parte dello Stato”.
Certo se poi Inps non paga, allora la parola passerà agli avvocati.
Anche due ex ministri del Lavoro hanno tentato di spiegarlo all’esecutivo.
Cesare Damiano (Pd): “La sentenza della Consulta va applicata. Il governo trovi una soluzione unitaria”.
Maurizio Sacconi (Area Popolare): “Sconsiglio vivamente il governo dall’individuare modalità inappropriate e irragionevoli di copertura degli oneri conseguenti alla sentenza della Consulta. Se pensasse, infatti, di ricalcolare le prestazioni in essere con metodi diversi a seconda delle fasce di reddito realizzerebbe una soluzione iniqua e esposta a un’altra bocciatura della Consulta”.
Sacconi si riferisce a un’idea buttata lì — nei giorni scorsi — da un altro kamikaze della dichiarazione (Filippo Taddei, responsabile economico del Pd): ricalcolare col sistema contributivo tutte le pensioni in essere sopra una certa soglia (quale non si sa).
Intervento, gli ricordava Sacconi, di sicura incostituzionalità .
Insomma, a un certo punto l’ora dello slogan finirà e il governo dovrà pagare per il triennio 2012-2014.
Qualche spazio di manovra, invece, Renzi potrebbe averlo per il futuro.
È vero infatti che la rivalutazione retroattiva aumenta la spesa pensionistica per i prossimi anni, ma è vero pure che la Consulta ha riconosciuto la possibilità di un blocco dell’indicizzazione delle pensioni su quelle più alte: i giudici — in quest’ultima sentenza — citano un provvedimento del governo Prodi che agiva da 8 volte il minimo Inps (circa 4mila euro lordi).
Fino al 2016, peraltro, è in vigore il blocco progressivo voluto dal governo Letta: il 95% tra 1.500 e duemila euro lordi, il 75% fino a 2.500 euro e giù al 45% dai tremila euro lordi al mese in su.
Il problema è che se si volessero prendere di mira i “ricchi” di Zanetti da 3.500 euro lordi, bisognerebbe sapere che si tratta di una percentuale minima della platea: si parla, all’ingrosso, di 350mila persone su 16,5 milioni di pensionati, che valgono 24 miliardi .
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile
PER IL GOVERNO ERA “IMPENSABILE RIMBORSARE TUTTI”, STASERA VIENE SMENTITO
La sentenza della Consulta sulle pensioni rischia di aprire un caso all’interno del governo.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha dichiarato che l’esecutivo “rispetterà le leggi, minimizzando l’impatto per le casse del governo”.
Ma il sottosegretario, e leader di Scelta Civica, Enrico Zanetti la pensa in modo diverso: “Escludo che sia possibile restituire a tutti l’indicizzazione delle pensioni, per quelle più alte sarebbe immorale e il governo deve dirlo forte. Occorre farlo per le fasce più basse”.
Ma fonti della Consulta precisano in serata che le sentenze della Corte Costituzionale, salvo diverse indicazioni contenute nel provvedimento emesso dai giudici – che, in questo caso, non ci sono – acquistano efficacia il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Per ottenere il rimborso delle somme non percepite in termini di indicizzazione – spiegano le fonti – si deve fare una domanda all’Istituto pensionistico, non serve un ricorso, perchè dopo la sentenza la restituzione è un obbligo da parte dello Stato.
Ciò non toglie che, come accaduto in casi analoghi, gli stessi avvocati possano consigliare la via del ricorso come strada per rendere più forte l’azione e per sollecitare il rimborso.
Una precisazione che sembra ribaltare l’opinione – “espressa a titolo personale” – di Zanetti, che ha rischiato di spaccare l’esecutivo.
In prima battuta fonti governative fanno sapere che non rimborsare tutte le pensioni toccate dalla recente sentenza della Consulta è una soluzione “compatibile con la sentenza della Corte” stessa.
Poi fonti di Palazzo Chigi sottolineano come sul tema il governo si sia espresso oggi attraverso le parole del ministro Padoan, quindi le indiscrezioni e ricostruzioni riportate da alcuni organi di informazione non riflettono gli orientamenti dell’esecutivo al riguardo.
D’altra parte la sentenza della Corte costituzionale è chiara: il blocco dell’adeguamento all’inflazione delle pensioni lorde di importo superiore a tre volte il minimo previsto dall’Inps (1.443 euro) è incostituzionale.
Adesso con l’applicazione della sentenza – secondo uno studio della Uil – il rimborso per una pensione che nel 2011 era di 1500 euro lordi, quindi appena superiore alle tre volte il minimo, dovrà partire da 2.540 euro per i due anni di blocco (2012 e 2013) e per gli effetti che questi hanno avuto sul 2014.
La rivalutazione calcolata è di circa 85 euro al mese. Somme che rischiano di pesare fino a 13 miliardi di euro sulle casse del governo.
Addirittura 16,6 miliardi secondo l’ufficio studi della Cgia.
Proprio secondo quest’ultimo studio, il rimborso medio spettante per le pensioni da 2.500 a 3mila euro arriva a 3.791 euro, per poi superare i 5.171 euro per le pensioni al di sopra dei 3mila euro
(da “La Repubblica”)
I
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
BOCCIATO IL BLOCCO DELLA RIVALUTAZIONE DEGLI ASSSEGNI DA 1500 EURO IN SU… ORA TOCCA AL GOVERNO TROVARE I SOLDI
La Corte Costituzionale gioca un brutto scherzo al governo e ai conti pubblici e fa un regalo da 5 miliardi a una parte consistente dei pensionati italiani.
La Consulta ha infatti bocciato il blocco della rivalutazione degli assegni decisa nel 2011 dal governo Monti per gli assegni di importo superiore a tre volte il minimo Inps, cioè poco più di 1500 euro, restando in vigore negli anni 2012 e 2013.
In altre parole, i mancati aumenti decisi allora, e che hanno portato ad incassare pensioni più basse per due anni, sono stati giudicati illegittimi.
Si tratta della cosiddetta norma Fornero contenuto nel “Salva Italia”.
L’impatto sui conti pubblici, stimato dall’Avvocatura dello Stato quando si tenne l’udienza pubblica, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013.
Somma che quindi, verosimilmente, dovrà essere restituita ai pensionati.
E proprio l’ex ministro Elsa Fornero oggi ha commentato la decisione della Corte. “Non fu scelta mia”:ha detto, ricordando che fu una decisione “di tutto il Governo” presa per fare risparmi in tempi brevi.
“Vengo rimproverata per molte cose – ha detto – ma quella non fu una scelta mia, fu la cosa che mi costò di più”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
LE CRITICHE: MOLTE PERSONE SPENDERANNO TUTTO E RESTERANNO POVERE DA VECCHIE
Prendi i soldi e scappa.
È quello che da oggi nel Regno Unito possono fare migliaia di lavoratori grazie all’entrata in vigore di una controversa riforma delle pensioni.
Ciascun lavoratore con 55 anni di età potrà ritirare tutto il montante dei contributi previdenziali annui da lui versati nella propria carriera.
Un quarto del montante sarà esentasse mentre i restanti tre quarti saranno sottoposti alla tassazione ordinaria.
In Gran Bretagna consensi e critiche. Perchè chi ritira tutti i propri contributi non avrà più diritto a una pensione pubblica.
Il governo confida nella misura come uno strumento per attivare la spesa delle famiglie, con l’auspicio che sia indirizzata soprattutto agli investimenti e dia un ulteriore impulso alla crescita economica.
Invece i critici della riforma sostengono che i lavoratori che incasseranno tutto e subito correranno il rischio di trovarsi completamente spiantati in età avanzata.
Non tutti spenderanno i loro contributi pensionistici per investimenti con cui mantenersi durante la vecchiaia, ma in tanti li useranno semplicemente per pagarsi una fuoriserie o una vacanza di lusso; comunque, non per trovarsi meglio da vecchi. Perchè i britannici sono un po’ spendaccioni, e tantissimi sono molto indebitati: se usano il «fieno per la cascina» per pagare i debiti contratti da giovani, domandano i dubbiosi, come si manterranno quando non avranno più uno stipendio una volta lasciato o perso il lavoro, e nessuna pensione da vecchi?
Il primo a chiedere indietro i suoi contributi al Tesoro di Sua Maestà britannica è stato, proprio stamattina, un ragioniere di 57 anni del Devon.
Michael Dunn ha deciso di utilizzare quei soldi, di cui evidentemente non ritiene di aver bisogno quando sarà vecchio, per pagare il restauro del tetto della chiesa del suo paesino.
Ma in tanti pensano di ritirare i propri contributi per finanziarsi una nuova vita all’estero, preferibilmente in Paesi con un clima più mite o dove l’economia sta registrando un boom, come l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sud Est asiatico.
Il governo invita i lavoratori a «riflettere bene e a non agire d’istinto»: anche perchè se tutti decidessero di ritirare il «malloppo» la tenuta il sistema previdenziale britannico potrebbe essere messa a rischio.
Luigi Grassia
(da “La Stampa”)
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Marzo 22nd, 2015 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI DUE ANNI NE SONO ARRIVATI 3.500: TASSAZIONE MINIMA, COSTI DIMEZZATI… E UN PENSIONATO RADDOPPIA IL TENORE DI VITA
Perchè andare a vivere in Tunisia? C’è chi lo ha fatto per mettere via qualcosa per i figli. Chi non ce la
faceva a vivere con 600 euro al mese. Chi è stato attratto dal clima. Hanno motivazioni diverse. Ma sono tutti pensionati. E hanno visto gonfiarsi le pensioni in un Paese con costi dimezzati rispetto all’Italia.
Pur provando un grande dolore per le vittime del tragico attentato terroristico al museo del Bardo di Tunisi, costato la vita anche a 4 italiani, i tanti pensionati con cui abbiamo conversato sostengono di sentirsi al sicuro.
Andarsene via? «Nemmeno per idea! Un attentato così può accadere in qualunque città del mondo. È successo a Londra, Madrid, New York e in molte altre città », ripetono all’unisono.
«In Tunisia ne sono arrivati 3.500. Un fenomeno in forte crescita negli ultimi due anni. Dal 2014 siamo la maggiore comunità di pensionati, più dei francesi. Gli arrivi qui ad Hammamet sono all’ordine del giorno», racconta Rosario Fazio, 44 anni fondatore di Tunisiadavivere: «La tassazione è favorevolissima: lo Stato tunisino concede la detrazione dell’80%, il reddito imponibile scende così al 20% della pensione. E su questa parte si applica, nel caso peggiore, un’aliquota del 35 per cento. Semplificando, si paga in media solo il 4-5% di tasse su tutta la pensione.
Una di 2mila euro al mese in Tunisia può essere paragonata a 4.600 euro .
Ecco perchè il 70% dei pensionati viene qui anche e soprattutto per aiutare i figli, a volte di 35-40 anni, strozzati dalla crisi e con lavori precari».
È il risultato della legge tunisina 2006-85 del 25 dicembre 2006, che funziona per l’Italia in virtù di una convenzione fiscale.
Per usufruirne occorre richiedere il permesso di soggiorno, aprire un conto bancario su cui sarà accreditata la pensione dall’Italia senza ritenute alla fonte, e abitare in Tunisia sei mesi più un giorno ogni anno, e nemmeno continuativamente.
Carmelo lo sapeva. Lui, 63 anni, loquace palermitano, per quasi 30 anni ha lavorato all’Enel come dirigente. Racconta con rabbia i cinque anni da esodato. Senza lavoro e senza pensione. Poi il salto.
«Ho pagato i contributi volontari per sanare la mia situazione e ora qui posso contare su una pensione di circa 3mila euro. Pensate che pago 300 euro per un appartamento di 100 metri quadri ad Hammamet e ho un consistente risparmio mensile rispetto all’Italia. Mi sono messo a fare anche lo skipper».
Ad Hammamet, dove sono oltre 600, si ritrovano nella Casa azzurra, un club gestito da Fazio dove non manca la piscina, la sauna e ogni svago. Coppie di pensionati, vedovi, divorziati, celibi. Tutti insieme. Semplici operai, piloti in pensione, impiegati, colonelli.
Lorenzo Irmici, 67 anni, ufficiale in pensione per l’aeronautica, l’ha fatto soprattutto per i figli. «Diventava problematico vivere in Italia. Un clima freddo, imposte che non finiscono più e 22mila euro l’anno di tasse sulla mia pensione, che qua crollano a 3mila euro. Posso mettere qualcosa da parte per i miei figli, di questi tempi è molto. Non ho paura. La Tunisia ha dei robusti anticorpi per difendersi dall’estremismo islamico».
Ma non sono in pochi a percepire molto di meno.
Come Sergio Fiorini, 71 anni torinese. Timido e riservato, lui, che ama definirsi un solitario con la passione della musica e della lettura, dopo una vita da contabile è arrivato ad Hammamet in settembre: «Sono andato in pensione a 65 anni. Con una pensione netta di 900 euro, e un affitto da pagare da 450 euro vicino a Torino, mi sentivo in gabbia. Facevo la vita del criceto. Non vivevo, sopravvivevo. Ora qua percepisco 200 euro in più, mi sono liberato dei debiti e posso risparmiare qualcosa per andare a trovare mia figlia che lavora in Valle d’Aosta. Pago 170 euro per la mia casetta, e il bus mi costa 20 centesimi. Certo l’Italia è la mia patria. Non si può dimenticare. Ma non voglio andare via da qui. Non sono spaventato per l’attentato. Ho iniziato a leggere la storia della Tunisia. E i coraggiosi tunisini, con tutte le loro lotte per avere la democrazia, questo non se lo meritano».
Maurizio Panciera, veneziano di 60 anni, una vita da ferroviere, preferisce sfogarsi su ciò che per lui non andava in Italia: «Una giustizia iniqua, tasse ingiuste, un welfare scadente per chi ha lavorato tutta una vita, Percepivo una pensione lorda di 2.070 euro, netta di 1.580. Qua arrivo a 1.900. E sapete quanto spendo al mese senza farmi mancare nulla? Ottocento euro, e c’è il mare, il sole. Così posso anche aiutare mio figlio che lavora a Londra».
Non è però tutto oro quel che luccica. Il sistema sanitario pubblico è carente.
Occorre rivolgersi a quello privato, sicuramente migliore. L’integrazione con i tunisini, poi, si riduce spesso a scambi di saluti quando si va a fare la spesa. Ma in tempi di crisi i pensionati non ci badano più di tanto. C’è addirittura chi ironizza sul momento del trapasso.
Qua anche il funerale costa molto meno.
Roberto Bongiorni
(da “il Sole24ore”)
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