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CUTRO VAL BENE TRE AEREI: FALCON “PRIVATO” PER SALVINI

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

LA PASSERELLA A CUTRO CON MINISTRI CHE NON VOGLIONO ASPETTARE LA CONFERENZA STAMPA, VOLI DI STATO CHE VANNO E VENGONO, SALVINI CHE CHIEDE UN FALCON DI STATO PER ANDARE A MILANO DALLA FIDANZATA INVECE CHE A ROMA… E NESSUNO CHE VADA A RENDERE OMAGGIO ALLE VITTIME

Il brusìo comincia subito, appena finito il Consiglio dei ministri. Sono le 17:39 del 9 marzo, il governo presieduto da Giorgia Meloni è venuto in trasferta a Cutro, il paese della costa calabrese dove una barca carica di migranti ha lasciato sulla spiaggia 91 morti. Su quel naufragio senza soccorsi in mare, ora indaga la Procura di Crotone. Ma la politica, quel giorno, si sente in dovere di “dare un segnale concreto della nostra attenzione”, celebrando un Cdm sul luogo della tragedia.
Una passerella, si è detto. Uno show concluso con la celeberrima conferenza stampa in cui la premier battibecca nervosa con i giornalisti che la accusano di non essersi preparata a dovere. Date sbagliate, errori marchiani nella ricostruzione. Eppure lo spettacolo vero, in quei momenti, va in scena dietro le quinte.
Il brusìo, dicevamo, comincia subito dopo la fine della riunione di governo. I ministri, che sono atterrati a Crotone un paio d’ore prima, hanno già fretta di tornare a casa. Non a Roma, vedremo poi. A casa. Hanno fretta e soprattutto non hanno voglia di aspettare la conferenza stampa che – con sei ministri partecipanti e uno stuolo di cronisti inviati a far domande – rischia di andare per le lunghe. Durerà 75 minuti.
Ma i ministri rumoreggiano ancora prima di saperlo. E per il tramite della fidata segretaria della premier, Patrizia Scurti, fanno arrivare il messaggio che è ora di ripartire.
La gestione di una trasferta del genere, come ovvio, non è cosa semplice. Una ventina di membri dell’esecutivo che si spostano contemporaneamente implica un’organizzazione meticolosa, a cominciare dalle questioni che riguardano la sicurezza.
Da Roma sono partiti quasi tutti a bordo dell’Airbus di governo. La premier invece li ha raggiunti insieme ai vice, con il Falcon da 16 posti. All’aeroporto di Crotone, la squadra di Palazzo Chigi viene trasportata nel centro di Cutro in minivan. Il corteo presidenziale è già abbastanza folto e i ministri che speravano di viaggiare sulle berlina della scorta personale – almeno tre macchine erano state fatte muovere appositamente per questo – devono accontentarsi, non senza rimostranze, del passaggio di gruppo.
All’arrivo nella sede del comune calabrese, la scorta della presidente del Consiglio resta parcheggiata in piazza Municipio, mentre i pulmini che devono trasportare i ministri vengono fatti spostare in uno spazio adiacente. Tanto, secondo i piani, saranno gli ultimi a partire.
Invece, dovranno presto fare manovra per lasciare Cutro e percorrere i 15 minuti in direzione dello scalo Pitagora, dove li attende l’Airbus pronto a decollare un’altra volta, carico dei ministri che ritengono di aver già sufficientemente dato “segnale concreto” della loro attenzione.
Elisabetta Casellati, a dire il vero, avrebbe voluto fare almeno il viaggio di ritorno sul più nobile Falcon: si era già seduta in prima fila alla conferenza stampa, disposta perfino ad attendere la fine, quando l’hanno avvertita che la stavano aspettando per ripartire insieme gli altri.
D’altronde, la ministra delle Riforme contava su una certezza: sul Falcon di Meloni, alla fine della conferenza stampa, sarebbe rimasto libero il posto di Matteo Salvini.
Già, perché nel frattempo, il ministro delle Infrastrutture, che proprio quel giovedì compie 50 anni, ha fatto spiccare il volo da Roma a un altro Falcon, questa volta da dirottare verso Milano. Vuole tornare subito a casa, Salvini: il giorno dopo ha in programma un weekend con la fidanzata Francesca Verdini, che invece gli ha organizzato a sorpresa una festa – ricorderete il karaoke e la tragica Canzone di Marinella – cui ha invitato mezzo governo. Fatto sta che decide di evitarsi la perdita di tempo di ripassare da Roma per poi risalire lo Stivale. Chiama l’aereo e vola dritto al Nord, non senza dare un passaggio ad altri tre ministri diretti a Milano: Annamaria Bernini, Roberto Calderoli e Giuseppe Valditara.
Sul Falcon con la premier, quindi, restano gli altri ministri che hanno partecipato alla conferenza stampa: Antonio Tajani, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Francesco Lollobrigida e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Non c’è spazio per una parte dello staff, che a quel punto è costretto ad assecondare le volontà del segretario della Lega: i malcapitati salgono sull’aereo chiamato da Salvini, arrivano a Milano e poi tornano a Roma a notte fonda.
I loro posti erano sull’Airbus, che però è partito da più di un’ora, per la furia dei ministri. Che a Cutro hanno resistito un centinaio di minuti. Indimenticabili, questo sì.
(da Il Fatto Quotidiano)

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L’ITALIA HA BISOGNO DI MOLTI PIU’ MIGRANTI DI QUELLI PREVISTI DAL DECRETO FLUSSI, ALTRA FIGURA DI MERDA DEL GOVERNO

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

LE IMPRESE HANNO AVANZATO IL TRIPLO DI RICHIESTE RISPETTO AI POSTI DISPONIBILI

L’Italia ha bisogno di migranti. È l’unica grande verità che emerge dalla giornata di ieri, in cui si è aperto e chiuso in meno di un’ora il clickday per le quote del decreto Flussi approvato a fine anno dal governo Meloni. A lamentarsi sono le imprese e le associazioni: segnalano un bisogno maggiore di manodopera che – con ogni probabilità – rimarrà inevaso. Troppo pochi 82mila posti, a fronte di un numero di domande tre volte superiore. Tutto nella prima ora di apertura della piattaforma: la richiesta, perciò, potrebbe essere ancora più ampia. Il dato del Viminale – nella prima ora con l’immediato overbooking – segnala 238.335 domande a fronte di 82.705 quote previste dal decreto. A fine giornata erano oltre 240mila.
È scattata immediatamente la protesta da parte di Coldiretti: “Nelle campagne con l’arrivo della primavera c’è bisogno di almeno 100mila lavoratori per colmare la mancanza di manodopera – ha detto il presidente Ettore Prandini – è una necessità da affrontare con un decreto flussi aggiuntivo, previsto peraltro dalla legge”.
Protestano anche i rappresentanti di colf e badanti: “Nessun clickday oggi per le famiglie datrici di lavoro domestico, rimaste ingiustamente escluse a causa di una mancata programmazione che va avanti da oltre 12 anni e che sta rendendo figure come colf e badanti irreperibili sul mercato del lavoro – ha attaccato Andrea Zini, presidente di Assindatcolf – Al governo e al ministro Calderone chiediamo di allargare le maglie del decreto flussi, prevedendo quote anche per il settore domestico. Per soddisfare le esigenze delle famiglie servirebbero 23mila nuovi lavoratori non comunitari l’anno, 68 mila nel triennio 2023-2025”.
(da Fanpage)

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INTERVISTA ALLA FILOSOFA DI CESARE: “DA MELONI UNA STRATEGIA PRECISA, GOVERNARE ATTRAVERSO LE PAURE”

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

“GUERRA AI POVERI IN NOME DI UN NEOLIBERIRISMO SELVAGGIO, FAVORI AGLI EVASORI, DEMONIZZAZIONE DEI MIGRANTI, RIMOZIONE DELLA STORIA”

Donatella Di Cesare, professoressa di Filosofia teoretica all’Università La Sapienza di Roma, ritiene che questo governo Meloni, dai diritti al Green deal, ci stia facendo fare passi indietro?
“Io direi che ormai non c’è quasi più un ambito in cui questo governo non ci faccia fare passi indietro. E non solo passi indietro ma anche direi passi avanti verso uno scenario inquietante. Credo non si tratti solo di una questione di diritti civili o di diritti umani di alcuni che vengono messi in discussione. È evidente che si tratti di una sorta di progetto politico. Ci sono situazioni in cui l’azione politica si concentra su alcuni casi singoli – penso tra le altre cose alla cancellazione del reato di tortura – ma è chiaro che dobbiamo considerare queste mosse non come casi singoli ma appunto come frutto di un progetto politico. Anche quest’ultima mossa, ovvero la cancellazione del reato di tortura la dice lunga. Non è solo un passo indietro. Chi è che ha paura di questo reato, perché mai bisognerebbe cancellarlo?”.
Dai diritti dei figli delle coppie dello stesso sesso ai diritti delle madri detenute.
“A proposito dei diritti delle madri detenute, quello che mi colpisce è questo accanirsi contro quelli che in genere non solo sono a rischio discriminazione ma sono oggettivamente più deboli. I figli di madri detenute sono casi di numero limitato ma emblematici di un governo che anziché affrontare i problemi davvero drammatici – perché viviamo in uno scenario drammatico – introduce ormai ogni giorno provvedimenti per noi scandalosi che colpiscono le persone più discriminate ma anche più fragili da tutti i punti di vista: giuridico, sociale e via dicendo. E questo va inserito all’interno di un progetto politico. Si spiega con un’incapacità ad affrontare i problemi politici ma anche con un modo di governare attraverso la paura, indicando pericoli che sono poi inesistenti”.
Poi c’è il tema dei migranti
“I migranti sono la grande questione del momento, che richiederebbe davvero capacità politica. Pensiamo a quello che potrebbe avvenire in Tunisia. Queste forze politiche che sono al governo sono quelle che hanno fatto la loro fortuna attraverso la propaganda e adesso che devono governare rivelano la loro incapacità politica. Non riescono a gestire il fenomeno, ad avere visione politica. L’unica cosa che avevano fatto fino a ieri era la propaganda e adesso continuano o con la propaganda o facendo morire la gente in mare o nel disorientamento più assoluto. Di fronte a un evento a mio avviso fuori dall’ordinario che potrebbe assumere tratti ancora più rischiosi e più impegnativi di quelli attuali – com’è quello che arriva dalla Tunisia – servirebbe un governo davvero capace di farsi sentire, di trattare in Europa, di affrontare il problema come si deve. E invece chi ci governa manifesta un’assoluta incapacità”.
Dal no alla direttiva sulle case sostenibili al no allo stop ai motori tradizionali dal 2035, questo governo resiste al Green deal
“Quello che scorgo è da una parte un’incapacità di fondo dall’altra una cecità sistematica, il non voler vedere i problemi che ci sono, le grandi questioni, le sfide. Il Green deal è anche una sfida politica e invece di affrontarla si preferisce rinserrarsi, riproponendo politiche che già erano retrive anni fa, attraverso la cancellazione di quello che era stato compiuto invece in quella direzione”.
Dal no al salario minimo alle picconate date al Reddito di cittadinanza
“In tema di Welfare quello che emerge è una sorta di neoliberalismo selvaggio, che fa ancora più effetto perché riproposto in questo scenario attuale drammatico con tutte le conseguenze e le ripercussioni che ci sono in Italia per via della guerra, a cominciare dall’inflazione. E insieme una sorta di darwinismo sociale, il dire cioè ‘noi non forniamo nessuna protezione, chi ce la fa ce la fa e per il resto va bene così’. Credo che in questi ultimi giorni sia evidente l’intenzione ormai di questo governo da una parte di appoggiare, sostenere e promuovere perfino, gli evasori fiscali e dall’altra parte appunto lasciare indietro completamente chi andrebbe sostenuto. Perciò parlavo in questo senso di darwinismo sociale. Mai avremmo immaginato nel 2023, in uno scenario così problematico e devastato dalla guerra, scelte così sconsiderate”.
Autonomia differenziata
“L’Autonomia differenziata del governo è la rimozione del Sud e dei suoi problemi oltre ad essere anche un po’ una presa in giro. Si raccontano le favole, come quella del Ponte sullo Stretto quando sappiamo quali sono le condizioni delle strade e delle ferrovie in Calabria. Penso a tutta la parte Jonica, per esempio. Da una parte dunque si raccontano le favole, dall’altra si rimuove il Sud con i suoi problemi. Se dovesse passare sarebbe davvero una divisione del Paese senza ritorno”.
Ricordando le vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, la premier ha parlato di 335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani. Omettendo di dire che erano ebrei e antifascisti. Siamo di fronte a un processo di rimozione?
“Credo ci sia qualcosa di molto più grave. Io non faccio parte di quelli che dicono: ma come non vi ricordate la storia? Ignorate la storia? Per me non si tratta di rimozione o ignoranza, ma anche in questo caso è frutto di un’intenzione precisa. Il modo di parlare delle Fosse Ardeatine… dire che si è trattato di ‘italiani’ è obiettivamente il tentativo di fare una narrazione pubblica di quello che è avvenuto in modo diverso per, evidentemente, scagionare il fascismo, per dare una visione molto più edulcorata del fascismo. Cosa che purtroppo sta avvenendo. Ogni giorno ci istillano goccia per goccia un po’ di nazionalismo, ogni giorno sdoganano il fascismo. Siamo di fronte a qualcosa di molto più grave della semplice rimozione. C’è invece l’intenzione di raccontare diversamente, con toni diversi e con una prospettiva diversa, quello che è avvenuto. E questo è gravissimo”.
(da La Notizia)

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CHI HA AIUTATO LA SPIA RUSSA ARTEM USS A SCAPPARE DAI DOMICILIARI NONOSTANTE IL BRACCIALETTO ELETTRONICO?

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

C’E’ LA MANO DEI SERVIZI SEGRETI RUSSI, MA QUALCHE AUTORITA’ ITALIANA E’ COINVOLTA?… L’ALLARME SCATTATO IN RITARDO E I CARABINIERI CHE ARRIVANO SOLO UN’ORA DOPO DALLA FUGA

A quasi una settimana dalla fuga da Bosco Vione di Basiglio del manager, figlio del governatore di una regione siberiana, gli investigatori parlano quasi con certezza di una trama raffinata «di ruoli e compiti precisi»
Una spystory che dal Parco Sud di Milano arriva direttamente in Russia. A quasi una settimana dalla fuga da Bosco Vione di Basiglio dell’imprenditore russo Artem Uss, figlio del governatore di una regione siberiana, ora gli investigatori sostengono sempre di più l’ipotesi di una rete strutturata di uomini, servizi segreti e numerosi complici, che avrebbero messo in atto un raffinato piano di evasione.
«Un blitz chirurgico» spiegano gli inquirenti, che ora affermano quasi con certezza un ruolo decisivo dei servizi segreti del Cremlino. Artem Uss sarebbe già all’estero, ma l’identità di chi a Milano lo abbia aiutato potrebbe essere svelata molto presto. Lo scorso 17 ottobre l’imprenditore era stato fermato a Malpensa su mandato d’arresto internazionale dell’autorità giudiziaria di New York. Si trovava ai domiciliari nella sua casa a Basiglio, in provincia di Milano, in attesa della sentenza della Corte d’Appello.
L’estradizione e la scomparsa
Il 21 marzo scorso è stata poi concessa l’estradizione negli Stati Uniti, ma il cittadino russo ha fatto perdere completamente le sue tracce. Gli investigatori che lavorano senza sosta per cercarlo ricostruiscono di ora in ora una rete complessa di complici, «con ruoli e compiti ben precisi», che avrebbe messo in atto per conto del manager «un piano organizzato nei minimi dettagli». Già lo scorso ottobre, all’epoca dell’arresto di Uss, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, aveva pronunciato frasi che oggi sembrano piuttosto profetiche: «Le missioni diplomatiche russe faranno del loro meglio per proteggere gli interessi di Uss», aveva detto.
A fine novembre Artem Uss viene scarcerato dai giudici della quinta sezione della Corte d’Appello su richiesta dei legali italiani Vinicio Nardo e Fabio De Matteis. I giudici gli concedono i domiciliari con braccialetto elettronico in un appartamento che la moglie Maria Yagodina affitta per lui a Basiglio. Poi la storia dell’estradizione concessa e la sparizione.
Le armi da guerra
Sull’inchiesta coordinata dal pm Giovanni Tarzia c’è anche l’attenzione del procuratore Marcello Viola, capo del pool antiterrorismo che poche ore fa ha avuto un incontro con le autorità statunitensi: questo anche per le accuse mosse dagli Usa, che oltre alla violazione dell’embargo con il Venezuela, ipotizzano un ruolo attivo dell’imprenditore Artem Uss nell’acquisto di tecnologie hi-tech di guerra proprio per conto del presidente russo. Armamenti che il Cremlino utilizzerebbe nel conflitto con l’Ucraina.
L’irruzione in casa e la ricerca del telefonino
La moglie di Uss, Maria Yagodina possiede una casa nell’ex cascina Vione trasformata in un abitazione di lusso. Ma al momento dei domiciliari, l’appartamento si trovava in ristrutturazione, da qui la decisione di affidare una casa a Basiglio. Il 13 marzo 2023 la donna sparisce e torna in Russia. Pochi giorni dopo sarà Uss ad allontanarsi: intorno alle 14.00 di mercoledì 22 marzo un uomo con un’utilitaria si presenta a Basiglio inquadrato dalle telecamere di sorveglianza mentre aiuta Uss a salire nell’auto parcheggiata in un punto isolato.
Gli investigatori scopriranno che l’uomo originario dell’Est non è il reale utilizzatore della macchina. Le immagini fissano il momento preciso del prelevamento alle 14.07, ma l’allarme del braccialetto scatta con qualche minuto di ritardo. I carabinieri entreranno quasi un’ora dopo a casa di Uss dopo l’intervento dei pompieri per sfondare la porta blindata. I militari troveranno solo pochi vestiti: la certezza però è che che Uss avesse anche un telefonino, finora mai trovato, utile per parlare con la moglie e con i legali.
I conti per milioni di euro
Figlio del governatore di una regione siberiana, Artem Uss ha numerosi conti in tutto il mondo: gli inquirenti parlando di disponibilità per milioni di euro. Due le società principali intestate all’imprenditore: la Luxury sardina e la Hotel don Diego con sede fino al 2016 in piazza Cavour 3 a Milano. Gli inquirenti continuano a lavorare anche sui tabulati del telefono di Uss e sul sospetto che fosse in contatto con la sua rete di complici in Italia. Dopo essere stato prelevato, il manager avrebbe effettuato «il cambio macchina» pochi chilometri dopo, con molta probabilità per raggiungere il confine svizzero o sloveno via terra.
(da Open)

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TUTTI I RITARDI DELL’ITALIA SUL PNRR, ORA 19 MILIARDI DI INVESTIMENTI A RISCHIO

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

SU 50 OBIETTIVI CONSEGUITI SOLO 10

Un mese per fornire chiarimenti. Poi il tempo sarà finito. Così come i rimpalli di responsabilità. Intanto il dato di fatto è che l’Unione Europea ha acceso un faro su tre diverse misure che l’Italia doveva conseguire per ottenere i 19 miliardi della terza tranche del Pnrr.
Il governo chiede a Bruxelles di spostare alcune spese dal 2026 al 2029. Ma fra l’Italia e la Commissione Europea c’è uno scontro su investimenti già deliberati e riforme da completare.
Tanto che, riporta La Stampa, un esponente dell’esecutivo riporta una previsione piuttosto fosca: «I ritardi del Piano nazionale delle riforme sono incolmabili. E non dipendono nemmeno dall’incapacità dei governi. È il sistema a non essere in grado di assorbire quel volume di investimenti».
«L’Italia non ce la fa»
L’anonimo prosegue così: «Se fossi in Giorgia Meloni convocherei una conferenza stampa, annuncerei che l’Italia non ce la fa, e chiederei all’Europa o una dilazione dei tempi, o un dimezzamento dei fondi. Dei 209 miliardi previsti ne possiamo utilizzare forse cento». Naturalmente l’idea di farsi dimezzare i fondi suona come una provocazione. Soprattutto in un paese dove i soldi per gli investimenti sono sempre mancati. E gli economisti hanno ogni volta puntato il dito sull’arretratezza del Belpaese proprio a causa di questo. Ma rimane il punto. La strada per ottenere le risorse del Pnrr è chiaramente impegnativa: l’Italia ha già ottenuto 66 miliardi nelle prime due tranche e dopo la terza dovrà raggiungere 20 milestones e 7 target entro la fine di giugno per ottenere i 16 miliardi della quarta tranche.
Secondo l’Europa siamo in ritardo sulle norme che riguardano concessioni aeroportuali, le reti di teleriscaldamento e due progetti all’interno dei Piani Urbani Integrati. Ovvero la riqualificazione dello stadio di Firenze e della creazione del Bosco dello Sport a Venezia.
Le accuse di Draghi
Proprio su questo punto ieri la nota del governo ha accusato il predecessore di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Gli interventi «sono stati selezionati attraverso la procedura di gara del 30 giugno 2022», ovvero quando al governo c’era ancora Mario Draghi. Sempre il comunicato di ieri dice che con l’Ue è arrivato l’ok a prolungare di un mese la fase di assessment «per consentire ai servizi della Commissione di completare le attività tecniche di campionamento e verifica, proseguendo la proficua discussione in corso».
E la riunione del Consiglio dei ministri di oggi approverà due provvedimenti attesi a Bruxelles aspettano da tempo. Ovvero la legge annuale sulla Concorrenza (saltata nel 2022 per via delle elezioni) e la riforma del codice degli appalti. Basterà? Probabilmente no. Anche perché oggi la Corte dei Conti presenterà la sua relazione sul Pnrr alla Camera. Che si preannuncia come un bagno di sangue.
I richiami della Corte dei Conti
Perché, nota sempre La Stampa, nella relazione da 394 pagine dei magistrati contabili il termine “ritardo” compare per 65 volte; 41 sono le volte in cui si parla di “ritardi”.
Il Piano Nazionale Complementare che affianca il Pnrr ha una dotazione di circa 30,6 miliardi di euro. Che si aggiungono ai 190 di Bruxelles. 19,4 miliardi servono a finanziare 24 iniziative aggiuntive rispetto al Pnrr. Mentre i restanti 11,2 sono destinati al cofinanziamento del Piano europeo, dalla Transizione 4.0 a Ecobonus e Sismabonus. Quasi 10 miliardi (9,6 per la precisazione) sono assegnati a 13 programmi gestiti dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, 6,9 a Imprese e made in Italy, 4,5 ad Ambiente e sicurezza energetica, 2,3 alla Salute, la restante quota è poi ripartita su altre amministrazioni.
10 su 50
E ancora. Su 50 obiettivi messi in programma per fine 2022 solo 10 risultavano conseguiti. Altri 23 lo erano «solo parzialmente». In due casi i ritardi risultano «recuperati». Altri 13 obiettivi non sono stati invece conseguiti. Mentre per gli ultimi 2 il ritardo risulta «non recuperato».
Il ministero delle Infrastrutture retto da Matteo Salvini guida i ritardatari. Ha conseguito (in molti casi parzialmente) 18 obiettivi su 29. È in ritardo sulle emissioni dei traghetti dello Stretto di Messina (anche se per un progetto che non fa parte del Pnrr accelera: il ponte). Ed è in ritardo sulle opere infrastrutturali per i porti. Anche il ministero delle Imprese fatica a raggiungere gli obiettivi. E la Giustizia è in ritardo sull’edilizia carceraria. Il 2023 vede invece 37 adempimenti da realizzare. 14 nel primo semestre, 23 nel secondo.
(da Open)

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SCOPERTI 2.000 LAVORATORI IN NERO NEI CANTIERI DI VENEZIA

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

“LI PAGAVANO 7 EURO L’ORA”… SONO GLI AMICI DEL GOVERNO “CONSERVATORE”, CONSERVANO GLI UTILI E SOCIALIZZANO LE PERDITE, SFRUTTANDO LA MONODOPERA STRANIERA

Quasi duemila lavoratori retribuiti con paghe misere e irregolari nei cantieri di Venezia. Li ha scoperti la Guardia di Finanza nell’ambito di un’attività investigativa coordinata dalla procura. L’indagine ha svelato l’esistenza di sistematiche condotte di sfruttamento della manodopera all’interno dei cantieri navali veneziani.
Si tratta di lavoratori che venivano retribuiti con paghe irregolari e spesso privati dei più elementari diritti sanciti dai contratti collettivi. In particolare sono stati acquisiti elementi circostanziati sullo sfruttamento di 383 lavoratori, costretti – spiegano gli investigatori – ad accettare, per il loro stato di bisogno, condizioni di lavoro molto sfavorevoli e con una paga oraria inferiore ai 7 euro. Si tratta per lo più di cittadini bengalesi o dell’Europa dell’Est. Le imprese davano agli operai la cosiddetta “paga globale”. Il lavoratore veniva retribuito, a prescindere dalle previsioni del contratto collettivo nazionale di settore, con una paga oraria forfettaria, parametrata esclusivamente alle ore lavorate. Da qui buste paga fittizie, contenenti voci artificiose – quali anticipo stipendio, indennità buono pasto, bonus 80 euro, indennità di trasferta – di fatto mai erogate al lavoratore e preordinate a sottrarre a ritenuta fiscale, previdenziale e assistenziale gli emolumenti corrisposti.
(da agenzie)

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DOPO LA TRAGEDIA DI CUTRO I VERTICI DELLA GUARDIA COSTIERA HANNO GETTATO LA MASCHERA

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

DALL’ONORE “DI CHI SALVA LE VITE IN MARE” ALL’ACCUSA VERGOGNOSA ALLE ONG DI FARE TROPPI SOCCORSI E TELEFONATE DI SEGNALAZIONE

Un mese dopo la tragedia di Cutro la Guardia costiera, o meglio i suoi vertici, hanno gettato la maschera. E il volto che è venuto fuori non è certamente degno della difesa dell’“onore di chi salva le vite in mare” che, prima ancora che a Giorgia Meloni, sta a cuore all’Italia intera che la generosità, l’abnegazione, il coraggio delle donne e degli uomini della Guardia costiera ha imparato ad apprezzare negli anni in cui ogni soccorso effettuato, ogni motovedetta che tornava in porto piena di bambini, donne, uomini, strappati al mare era una medaglia al petto. Quella Guardia costiera mai e poi mai avrebbe concepito l’idea di accusare le Ong di “sovraccaricare con continue chiamate i sistemi di comunicazione del centro nazionale di coordinamento dei soccorsi”.
In altri tempi, dal Comando generale delle Capitanerie di porto avrebbero soltanto detto “grazie” agli occhi delle Ong che, in questo weekend di flussi inarrestabili che ha messo a nudo tutta l’inadeguatezza del sistema di soccorso nel Mediterraneo, hanno dato il loro contributo nell’avvistare barchini e gommoni in difficoltà, segnalandone stato e posizione a tutte le autorità marittima interessate, Imrcc di Roma compreso.
Così come è loro dovere, come è previsto dalla legge del mare, dalle convenzioni internazionali e, per ultimo, anche dalla legge Piantedosi che obbliga le Ong a comunicare immediatamente alle autorità italiane qualsiasi informazione e operazione, pena multe, sanzioni e sequestri.
Ne ha pagato il conto la nave Louise Michel, rea di avere fatto troppi soccorsi, “complicando il delicato lavoro di coordinamento dei soccorsi”, leggiamo ancora nella nota con cui domenica pomeriggio il comando generale della Guardia costiera (dopo settimane di imbarazzante e sconcertante silenzio sui mancati soccorsi di Cutro) ha sentito l’esigenza di manifestare tutto il suo fastidio per le troppe segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà arrivate nel weekend da parte delle Ong che, ovviamente, al comando di Roma volevano solo dare una mano e dal comando di Roma volevano solo farsi coordinare.
Come è sempre stato fino al 2018 e come, ancora ieri, Mediterranea Saving Humans è tornata a chiedere con una lettera inviata alla premier Giorgia Meloni, al governo tutto e, per conoscenza, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Poche semplici parole per riaffermare un concetto di evidente buon senso: “ Basta guerra alle Ong, al soccorso civile. Cooperiamo per salvare in mare più vite possibili”. Un appello a salvaguardia del “bene supremo del soccorso verso chi non ha colpe e chiede il nostro aiuto”.
Dell’apporto della flotta umanitaria, in assenza di una missione di soccorso italiana o europea e con l’estate in vista, il governo sa bene di non potere fare a meno se si vuole evitare che si ripetano tragedie come quella di Cutro che, a questo punto, è sempre più evidente non sia stata solo una tragica fatalità.
Colpa degli scafisti (diciamolo subito per tacitare il coro di un governo che continua a non dare risposte alle tante domande ancora in piedi) ma colpa anche del clima di insofferenza per i troppi soccorsi e della linea della priorità della difesa dei confini da queste migliaia di disgraziati che partono verso l’Italia.
Ed eccola qui l’ultima di Piantedosi sul “fattore attrattivo di un’opinione pubblica che annovera l’accettazione di questo fenomeno”. I migranti, dunque, deciderebbero di salire su un barcone diretto in Italia perché convinti di essere bene accolti.
Insomma, ormai fatta a pezzi dai numeri la tiritera leghista delle navi ong come pull factor, il ministro dell’Interno ha sentito il bisogno di trovare un’altra giustificazione al fallimento della politica di un governo che agli italiani aveva promesso di fermare gli sbarchi. E allora ecco il nuovo colpevole, l’opinione pubblica italiana che — a detta di Piantedosi — sarebbe favorevole al fenomeno migratorio. Ma come, signor ministro, l’opinione pubblica italiana non è forse la stessa che ha eletto il suo governo credendo alla favola dei blocchi navali prima, dei porti chiusi poi, degli sbarchi selettivi, dei carichi residuali e che ora, sgomenta, guarda il pallottoliere impazzito degli sbarchi?
(da La Repubblica)

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LA NAVE DI BANSKY IN FERMO AMMINISTRATIVO PER “AVER FATTO TROPPI SOCCORSI”

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

IL DIRITTO INTERNAZIONALE LO IMPONE: “SE AVESSIMO SEGUITO I DECRETI ITALIANI AVREMMO VIOLATO LA LEGGE”… “CI DIFENDEREMO NELLE SEDI OPPORTUNE, EMERGERANNO LE RESPONSABILITA’ DELLA GUARDIA COSTIERA ITALIANA: NON HA RISPOSTO A FRONTEX, A DIFFERENZA NOSTRA”

C’è la scritta ‘Rescue’, ovvero salvataggio, e la riproduzione di una delle opere più famose di Banksy, la bambina che con la mano sorregge non il cuore stavolta ma un salvagente. La nave soccorso del leggendario street artist britannico Banksy, creatore di alcune tra le opere più iconiche di questo secolo, è bloccata nel porto di Lampedusa.
Da ieri è infatti sottoposta a un fermo amministrativo per presunte violazioni del decreto che disciplina le attività di ricerca e salvataggio in mare delle imbarcazioni. “Prenderemo tutte le misure necessarie per combattere questo fermo”, assicura l’equipaggio. In particolare l’equipaggio contesta fermamente tutte le accuse obiettando che se avessero ascoltato le autorità italiane avrebbero di fatto violato la loro missione che è quella di salvare le vite in mare.
Tre salvataggi operati autonomamente in area Sar libica e maltese, mancato rispettato delle indicazioni delle autorità italiane per il porto di Trapani e un numero di persone eccessivo a bordo, visto che sulla nave potevano essere caricate al massimo 60 naufraghi.
Sono le tre contestazioni che hanno portato al fermo amministrativo notificato ieri al comandante della nave Louise Michel, Beckert Reimar. Nel documento, di cinque pagine, viene anche fatto riferimento all’ultimo soccorso nella notte tra il 24 e il 25 marzo, dove c’è stata una collaborazione tra la Guardia costiera italiana e l’equipaggio della nave Louise Michel. Quest’ultimo – secondo quanto si legge nel documento – ha comunicato di aver recuperato tutti i 38 naufraghi, tra i quali un adulto e un bambino in stato di incoscienza che necessitavano di cure immediate per sindrome da annegamento e gli stessi venivano trasbordati sulla motovedetta della Guardia costiera assieme al medico di bordo della Louise Michel e portati a Lampedusa. Inoltre, mentre la nave procedeva verso nord, le stesse autorità italiane -si legge nel provvedimento – avrebbero a quel punto chiesto alla Louise Michel di dirigersi rapidamente a Lampedusa a causa dei rischi dovuti al sovraffollamento della nave.
“Ci hanno detto in una email che non siamo autorizzati a lasciare il porto di Lampedusa – ha spiegato la capomissione della Louise Michel, Morena Milijanovic – L’intenzione è molto chiaramente quella di impedire attivamente che le navi capaci di soccorrere soccorrano, la conseguenza è che le persone muoiono in mare”.
Morena Milijanovic racconta delle quattro operazioni di salvataggio eseguite in 24 ore che hanno “salvato 187 persone”, di “quando abbiamo emesso un mayday che è stato ignorato dalla guardia costiera italiana per oltre mezzora. Siamo riusciti a portare in salvo queste persone dall’acqua”.
Il portavoce della nave di Banksy Jonathan Work fornisce la sua versione di quanto accaduto: “Non posso entrare nel merito delle singole contestazioni, su cui ci difenderemo nelle sedi opportune, però, a noi la situazione appare chiara. Sabato abbiamo effettuato quattro salvataggi e poi ci hanno fermati, una volta entrati nel porto di Lampedusa la Guardia costiera ci ha imposto di non muoverci più dal molo. Il nostro unico proposito era ed è salvare vite umane: c’erano altri interventi da fare, nello specchio di mare di fronte a Lampedusa, ma non avevamo il permesso di andare. La Guardia costiera non ci ha aiutato nelle operazioni di salvataggio, non ha risposto a Frontex: volevano solo mandarci verso Trapani, quando c’era ancora tanto da fare attorno a Lampedusa. Noi non facciamo nulla di sbagliato, non abbiamo violato il diritto internazionale. Non abbiamo violato alcuna regola”.
(da agenzie)

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PNRR IN RITARDO, SLITTA ANCORA DI UN MESE IL PAGAMENTO ALL’ITALIA DELLA TERZA RATA DA 19 MILIARDI DI EURO

Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile

STESSA DECISIONE ERA STATA PRESA A FEBBRAIO, MA UN MESE AGGIUNTIVO NON E’ BASTATO

Serve un mese in più di tempo per verificare che tutti i target del Pnrr che l’Italia aveva detto di aver raggiunto a dicembre siano stati effettivamente completati. O, come ha comunicato in una nota Palazzo Chigi, dopo un incontro tra il ministro degli Affari europei Raffaelle Fitto e il commissario Paolo Gentiloni “è stato concordato di prolungare di un mese la fase di assessment per consentire ai servizi della Commissione di completare le attività tecniche di campionamento e verifica, proseguendo la proficua discussione che ha già consentito di valutare positivamente la maggior parte dei target fissati per il 31 dicembre 2022”.
I ritardi nell’attuazione del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che può portare all’Italia fino a 192 miliardi di euro di fondi europei, sono un problema noto per il governo Meloni.
I target sono numerosi – a dicembre 2022 dovevano essercene 55 completati – e con il passare del tempo diventano sempre più concreti: non si tratta solo di approvare riforme normative, ma anche di applicarle e di far partire i lavori.
Così, dopo lo slittamento di febbraio, la Commissione ha deciso di prendersi un altro mese. Normalmente, il periodo necessario per verificare che tutto sia in ordine è di due mesi.
Lo scorso anno, ad esempio, l’Italia ha mandato la richiesta della seconda rata di fondi a luglio. A settembre la Commissione ha dato parere positivo, così a novembre sono arrivati i 16 miliardi di euro previsti.
In questo caso, invece, già a febbraio Bruxelles aveva detto che sarebbe servito più tempo. Si trattava, secondo quanto comunicato allora, di verificare che tutta la documentazione fosse corretta, in grado anche di superare i successivi controlli della Corte dei Conti europea. A un mese di di stanza, però, il governo Meloni ha fatto sapere che le verifiche continueranno, “tenendo conto del numero e della complessità dei 55 milestones e target previsti”.
Quali sono gli obiettivi “da verificare” che hanno fatto slittare il pagamento
Il governo ha comunicato che “sono oggetto di ulteriore approfondimento tre misure che erano state approvate dal precedente governo”. In particolare si tratta di un intervento sulle concessioni portuali, uno sulle reti di teleriscaldamento e uno sui Piano urbani integrati.
Per quanto riguarda le concessioni portuali, “la Commissione ritiene necessario un ulteriore approfondimento, proponendo di limitarne la durata massima”. Per questa modifica sarebbe in lavorazione un decreto, “inviato al Consiglio di Stato il 14 ottobre 2022”, secondo quanto affermato da Palazzo Chigi.
Sulle reti di teleriscaldamento, invece, la Commissione “ha messo in dubbio l’ammissibilità di alcuni interventi, selezionati attraverso la procedura di gara del 30 giugno 2022”.
Infine, i Piani Urbani Integrati – che sono stati approvati ad aprile 2022 – sono stati contestati in alcuni punti: il “Bosco dello Sport” di Venezia e lo stadio Artemio Franchi di Firenze.
Si spera, il rinvio di marzo sarà l’ultimo e ad aprile arriverà l’approvazione.
(da Fanpage)

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