Ottobre 24th, 2017 Riccardo Fucile
PROBLEMI DI MANUTENZIONE PER LE SCUOLE E NEL 30% DELLE STRADE
Tra Parma e Cremona hanno chiuso un ponte sul Po. Stessa cosa è accaduta sul Rio Bavera, fra Cuneo e Imperia. A Latina fra San Felice e Terracina il ponte non c’è più: demolito. Fra Cerveteri e Bracciano c’è stata una frana tre anni fa, e lì è rimasta. Dal 12 ottobre Salcito e Trivento sono isolate da Campobasso. A Catanzaro due strade sono parzialmente chiuse al traffico, nell’imperiese sono tre.
Per via delle cattive condizioni del manto stradale sul trenta per cento delle provinciali italiane c’è il limite di velocità a 50 o 30 chilometri orari, in molte è vietato il transito ai mezzi pesanti.
Karl Marx amava dire che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. L’idea di abolire le province e trasformarle in enti di coordinamento fra Comuni non era sbagliata. Le vecchie amministrazioni, un retaggio dell’Italia preunitaria, erano ormai schiacciate fra Comuni e Regioni.
Una volta assegnati a queste ultime i centri per l’impiego e fatte salve le funzioni minori su caccia e agricoltura, alle vecchie province sono rimasti due compiti di spesa: la gestione delle sue strade e la manutenzione delle scuole superiori.
Servivano ancora un presidente, un consiglio provinciale retribuito e quarantamila dipendenti?
Non si tratta però di funzioni che possono essere abbandonate a se stesse o lasciate senza fondi: stiamo parlando di 130 mila chilometri di asfalto e 5100 edifici per due milioni e mezzo di studenti.
Il nodo dei trasferimenti
Non era semplice abolire le province. Il processo inizia con Monti, insiste Letta, il governo Renzi tenta di arrivare in fondo. La legge di Stabilità per il 2015 impone tagli per quasi un miliardo l’anno per tre anni, la gran parte dei 3,7 miliardi che le amministrazioni ricevevano grazie a due entrate proprie: l’imposta di trascrizione sulle auto e una quota della tassa sull’assicurazione.
La legge Delrio abolisce gli enti elettivi e li trasforma in «area vasta». Oggi il presidente della provincia e il consiglio sono scelti fra sindaci e consiglieri dei Comuni, che per quella funzione non ricevono un euro.
Quasi la metà dei quarantamila dipendenti – circa sedicimila – sono stati trasferiti altrove, alle Regioni e nei tribunali.
Nel frattempo la riforma costituzionale avrebbe dovuto cancellare le province dalla Carta e consentire al governo di chiudere il cerchio, spostando ai Comuni anche la gestione delle scuole superiori.
L’esito del referendum del 4 dicembre 2015 ha fermato l’enorme macchina in mezzo al guado, e lì ha iniziato ad affondare. Incassata la sberla elettorale, il governo Gentiloni è corso ai ripari facendo l’unica cosa possibile: retromarcia.
Se si esclude il costo dei dipendenti trasferiti negli ultimi due anni, le 76 province e le 14 aree metropolitane hanno ricevuto fondi che coprono gran parte dei tagli.
I fondi che mancano
Secondo le cifre che circolano a Palazzo Chigi e al Tesoro all’appello mancano complessivamente 420 milioni di euro. La Finanziaria per il 2018 ne stanzierà altri 350, le province ne rivendicano il doppio.
Oggetto del contendere sono i dipendenti: i sindaci lamentano il fatto che le Regioni li assumono senza restituire il costo del trasferimento.
Fra le proteste Palazzo Chigi ora ha imposto una sanzione per le Regioni furbette con un taglio del venti per cento al fondo regionale per il trasporto locale.
Come testimoniano i casi citati, il problema resta e il prossimo governo dovrà decidere che fare: se – nella migliore tradizione italiana – gestire l’esistente tamponando le falle, ritentare l’abolizione o ripensare il ruolo delle province. Non è, e non può essere solo un problema di risorse.
Achille Variati è sindaco di Vicenza, presidente della sua provincia e dell’Unione nazionale: «Non siamo nemmeno buoni enti di gestione del territorio. Fra autorità di bacino, dei trasporti, consorzi di bonifica non ci si capisce nulla. Occorre rimettere in ordine quelle funzioni».
Variati non lo ammette, ma fra questo e la ricostituzione delle province il passo è breve. Nei periodi di vacche magre capita però di fare scelte sagge: per far tornare i conti a Vicenza ha venduto agli spagnoli di Abertis per trenta milioni di euro il sei per cento nell’autostrada Brescia-Padova. Stessa cosa hanno fatto i colleghi di Verona e Brescia. Due piccioni con una fava: una poltrona in meno, più soldi per sistemare le provinciali. Dice Variati: «Nessuno nega ci fossero sprechi, ma il governo deve essere capace di valutare caso per caso. Qui di sprechi ne abbiamo fatti pochi».
Detto dal presidente di una lobby nazionale, è un passo avanti. Alessio Pascucci è sindaco a Cerveteri con una lista civica di centrosinistra. Dottore di ricerca in ingegneria, 35 anni, guadagna duemila euro netti al mese per governare un Comune di quasi quarantamila abitanti. Poco prima di essere rieletto ha fatto approvare il primo piano regolatore della città , cosa che non deve essere piaciuta a chi ha lanciato una molotov davanti casa dei genitori. La riforma Delrio lo fa partecipare gratuitamente ai consigli della città metropolitana di Roma dove è presidente della commissione bilancio. Qui la faccenda ha del kafkiano.
Il vuoto di potere a Roma
La legge prevede che il presidente della ex provincia non sia eletto; su quella poltrona siede di diritto Virginia Raggi. C’è un però: poichè i consiglieri vengono invece eletti secondo un criterio che tiene conto dei cittadini rappresentati, la Raggi governa un ente in cui il suo partito (pardon, movimento) è in minoranza.
Pascucci è convinto che questo caos sia un problema per tutti: «Ai consigli la Raggi non viene mai. E mi sento di dire che con i problemi che ha in Campidoglio la capisco pure. Capisco anche il clima di rassegnazione negli uffici: la gran parte dei dirigenti e dei funzionari è senza guida e non sa che fare».
La storia delle città metropolitane meriterebbe una puntata a parte: immaginate negli Anni Novanta sul modello francese, avrebbero dovuto sostituire i Comuni delle grandi città come Roma, Milano, Torino e Napoli.
Oggi ce ne sono quattordici, si sovrappongono inutilmente e non servono quasi a nulla. «Le basti sapere che il bilancio preventivo 2017 di Roma (quello che si vota prima, e non dopo un anno di amministrazione) lo abbiamo approvato pochi giorni fa». Pascucci ha votato no al referendum, vorrebbe la ricostituzione delle province e spiega perchè: «Il problema è l’esondazione delle Regioni, nate per legiferare e invece oggi impegnate ad amministrare. Il livello intermedio è schiacciato. Mi spiega che senso ha rivolgersi alla Regione Lazio e partecipare a un bando per finanziare questa o quella iniziativa?».
Pascucci racconta di strade smottate e scuole in difficoltà , spesso senza gli impianti a norma. «A Fiumicino la preside non ha spazio per le nuove sezioni.
A Ladispoli c’è una scuola nuovissima, peccato non abbiano i soldi per costruire la palestra». A mettere una toppa sono i piani sulla «buona scuola» e «scuole sicure», ma anche in questo caso le province hanno fatto la parte dei parenti poveri. «Secondo i nostri calcoli gli istituti superiori hanno usufruito solo del 16 per cento di quei fondi», racconta la portavoce dell’Upi Barbara Perluigi.
Le ragioni sarebbero molte, non ultimo il fatto che il primo bando dava la precedenza ai sindaci che chiedevano fondi attraverso un modulo da spedire a Palazzo Chigi.
L’aiuto europeo
La situazione è poi migliorata grazie all’arrivo dei bandi della Banca europea degli investimenti dedicati all’edilizia scolastica (maledetta Europa).
«Non c’è dubbio che le province abbiano fatto più sacrifici di chiunque altro», ammette Luigi Marattin, consigliere a Palazzo Chigi, professore a Bologna ed esperto di enti locali. «Per ritrovare un assetto stabile servono due cose: rimettere in equilibrio le risorse, e credo che questo sia stato fatto. La seconda è ripensare l’ente, le sue funzioni di coordinamento e regolamentazione dei servizi pubblici locali».
L’importante – si potrebbe aggiungere – è evitare di tornare al punto di partenza. I siciliani, che in fatto di istinti gattopardeschi non conoscono rivali, hanno ripristinato le province tali e quali: l’Assemblea regionale l’ha fatto poco prima di Ferragosto a legislatura finita con un blitz degno di Arsenio Lupin.
Le hanno chiamate «liberi consorzi» e l’ultima Finanziaria regionale gli assegna pure una ricca dotazione: ora il governo ha impugnato tutti gli atti di fronte alla Corte costituzionale. «Spero si possa parlare di tutto ciò già in campagna elettorale, magari concentrandosi sul merito dei problemi. Me lo auguro anzitutto da cittadino», aggiunge Marattin.
Se lo augurano anche a Parma, Cremona, Cuneo, Imperia, Latina, Roma, Campobasso, Catanzaro e tutti gli italiani che percorrendo una provinciale si chiedono se sia normale pagare così tante tasse e trovare le strade in quelle condizioni.
(da “La Stampa”)
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Luglio 31st, 2015 Riccardo Fucile
“IL RIORDINO DEGLI ENTI PREVISTO DALLA RIFORMA DELRIO PROCEDE A RILENTO E SENZA GLI INTERVENTI E LE RISORSE NECESSARIE”
Una “situazione di criticità (per certi versi emergenziale)” relativa alle risorse che mette a rischio “i servizi di primaria importanza“.
Sono gli effetti che la riforma varata dal governo Renzi ha avuto sulle finanze e la funzionalità delle Province italiane, secondo la Corte dei Conti.
Senza l’adozione di “interventi necessari”, “la forbice tra risorse correnti e fabbisogno per l’esercizio delle funzioni fondamentali — si legge nella Relazione sugli andamenti della finanza territoriale inviata nei giorni scorsi al Parlamento — allo stato delle cose, tende ad una profonda divaricazione, difficilmente sostenibile per l’intero comparto”, scrivono i magistrati contabili in merito agli effetti del riordino funzionale e istituzionale della riforma Delrio.
Il governo ne ha fatto uno dei tratti fondamentali della propria narrazione: l’”abolizione delle Province” annunciata con l’approvazione del ddl Delrio approvato in via definitiva il 3 aprile 2014 dalla Camera nella realtà non è mai avvenuta.
Negli enti territoriali, infatti, sono stati ridotti e rimodulati gli organi “politici” ma è rimasto in piedi tutto il corredo di funzioni tecniche delegate in materia di scuola, strade, trasporti pubblici, formazione e ambiente.
Ora, secondo i giudici contabili, molti servizi legati a queste funzioni sono a rischio perchè il riordino previsto dalla legge firmata dall’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio procede a rilento.
Secondo i giudici contabili, “lo stato di precarietà della situazione finanziaria degli enti di area vasta e l’aggravamento ipotizzato, soprattutto nella prospettiva dell’esercizio in corso, stanno avendo progressiva conferma, considerata la fase avanzata della gestione 2015 e la mancanza di novità sul fronte dell’attuazione del riordino” avviato con la legge 56 del 7 aprile 2014.
A cosa si riferisce in particolare la Corte dei Conti?
“Alle ricadute sulle gestioni finanziarie interessate, generate dall’anticipazione degli effetti finanziari relativi ai tagli di spesa disposti dalla legge di stabilità 2015, rispetto all’alleggerimento della spesa corrente che sarebbe dovuto conseguire al trasferimento degli oneri del personale a seguito della riallocazione delle funzioni non fondamentali”, spiegano ancora i magistrati contabili.
A poco sono servite, inoltre, le toppe che il governo ha cercato di mettere qui e lì per riparare alla situazione.
Nel quadro critico in cui si trovano le Province, “di relativa efficacia appaiono le misure” previste nel decreto Enti Locali “in tema di trasferimento del personale appartenente ai ruoli della polizia provinciale e quelle riguardanti la modulazione delle sanzioni per il mancato rispetto dei vincoli del patto di stabilità per il 2014″.
Già all’inizio del 2014, i giudici contabili avevano sottolineato come la riforma non avrebbe prodotto i risultati annunciati dal governo in termini di taglio della spesa.
Il ddl Delrio, produrrà risparmi “di entità contenuta” e allo stesso tempo “è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi”, affermava la Corte dei Conti il 16 gennaio nel corso di un’audizione presso la Commissione Affari Costituzionali al Senato.
Secondo la Sezione Autonomie dei magistrati contabili, “appare pertanto decisiva la costante verifica dell’andamento dell’attuazione della riforma e dei risultati sotto il profilo del governo delle risorse impiegate e del rispetto di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”
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Gennaio 5th, 2015 Riccardo Fucile
“UN ENTE SU TRE RISCHIA IL FALLIMENTO”: INCERTO IL DESTINO DEI 20.000 DIPENDENTI
Il grande freddo arriverà a fine primavera. A dirlo sono i gufi o, al contrario, Cassandre incomprese?
I funzionari dell’Upi, l’Unione delle Province italiane, riassumono la situazione con un dato: «Calcoliamo che a fine marzo il trenta per cento delle Province sarà impossibilitato a presentare il bilancio di previsione del 2015».
Frase sibillina per chi non mastica di finanza pubblica. Ma la traduzione è drammatica: senza bilancio di previsione, le Province rischiano il dissesto e il commissariamento.
Una su tre è sull’orlo del baratro.
Si dirà : ma non dovevano comunque scomparire?
«In realtà dice Marco Zatini, sindacalista della Provincia di Firenze — quelli che rischiano davvero sono i dipendenti e i cittadini. I primi perchè non sanno quale sarà il loro futuro, i secondi perchè verranno tagliati i servizi».
I dipendenti delle Province italiane sono 43 mila e di questi 18-20 mila verranno trasferiti ad altri enti perchè, dice la riforma Delrio, sono oggi impegnati in funzioni che passeranno a Comuni e Regioni.
«Sarà la più grande operazione di trasferimento nella storia della pubblica amministrazione italiana», dicono all’associazione delle Province.
Un trasloco che rischia però di bloccarsi per mancanza di soldi.
Perchè la storia della riforma ha tre problemi da risolvere: il gran numero di dipendenti dichiarati non più utili nelle nuove amministrazioni provinciali, la distribuzione ad altri enti locali dei compiti un tempo attribuiti alle Province e i soldi che scarseggiano.
Tre nodi intrecciati con conseguenze potenzialmente drammatiche
A rendere esplosiva la situazione è stata la legge di stabilità che ha preteso dalle Province il versamento di un obolo di un miliardo alle casse dello Stato.
Inizialmente c’era una logica. Le Province italiane hanno un bilancio complessivo di 8 miliardi di euro.
Di questi, 2 sono destinati agli stipendi e 6 ai servizi al cittadino.
Dimezzando i dipendenti grazie alla riforma Delrio, le Province avrebbero risparmiato un miliardo di euro e lo avrebbero potuto girare allo Stato mantenendo inalterata la spesa per i servizi al cittadino.
La Legge di stabilità è arrivata a metà di questo processo e ha imposto una accelerazione: le Province devono pagare il miliardo già nel 2015 anche se le funzioni e il personale non saranno trasferite e peseranno dunque sui loro bilanci.
Di conseguenza, le amministrazioni provinciali dovranno tagliare servizi ai cittadini per il valore complessivo di un miliardo. Chi non lo farà , rischia il dissesto.
In default sono già andate nei mesi scorsi due amministrazioni, una di una località ricca come Biella e una del povero Sud come Vibo Valentia.
A Vibo il Presidente, Andrea Niglia, ha deciso di non pagare a dicembre stipendi e tredicesime: «Devo ringraziare per la loro comprensione tutti i 379 dipendenti del nostro ente provinciale. Ma siamo veramente in difficoltà . Abbiamo denaro sufficiente a scaldare le scuole solo per quaranta giorni. Così quest’anno niente tredicesime: Babbo Natale ci ha portato il carbone ».
L’alternativa sarebbe quella di trovare presto una sistemazione ai 20 mila dipendenti in sovrannumero, come si dice con un eufemismo. 6.000 potrebbero essere assunti nei centri per l’impiego, dove già lavorano oggi come dipendenti provinciali.
Il loro nuovo datore di lavoro dovrebbe essere l’Agenzia nazionale per l’impiego che dovrebbe essere istituita dai decreti del Jobs act.
Il condizionale è obbligatorio e vale anche per i 1.000 precari degli stessi centri. Rimarrebbero così 14.000 persone in esubero.
Nelle settimane scorse si è tentato di far passare un norma sul prepensionamento di chi nel 2018 avrà raggiunto i 62-63 anni. Ma l’emendamento è saltato. Avrebbe consentito di mandare in pensione circa 4.000 dipendenti.
Secondo il semplice gioco dell’anagrafe invece andranno in pensione entro il 2019 circa 2.000 persone.
Ne rimarranno così 12 mila da sistemare in quattro anni. «Anche se venissero tutti collocati nelle amministrazioni regionali e comunali, rimarrebbe il problema delle funzioni non trasferite», fanno notare all’Upi.
Il rischio è che i dipendenti in esubero delle Province sostituiscano i posti lasciati liberi dai pensionati di Regioni e Comuni ma non si portino dietro la loro funzione.
Se un cantoniere finisce nella pianta organica della Regione, chi ripara la strada?
Il secondo problema è l’enorme tappo sociale che si creerà nelle pubblica amministrazione.
Quanti precari degli altri enti perderanno il lavoro per far posto ai dipendenti in esubero provenienti dalle Provincie?
Eppure senza un trasloco rapido, i bilanci delle Province faranno crack.
Perchè non potranno garantire gli stessi servizi dello scorso anno con un miliardo in meno da spendere.
Lunedì scorso la Provincia di Terni ha diffuso uno scarno comunicato stampa: «Il servizio viabilità ha a disposizione soltanto 300 quintali di sale a fronte di una necessità di almeno due tonnellate e mezza».
Pertanto, «in caso di nevicate o ghiacciate improvvise, le operazioni di emergenza potrebbero non essere garantite in tempi rapidi».
Dal grande freddo si salvi chi può.
Paolo Griseri
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile
MANUTENZIONE STRADE E GESTIONE DELLE SCUOLE A RISCHIO DEFAULT
I dipendenti sono in stato di agitazione in tutta Italia, molte Province temono il default finanziario già nei prossimi mesi e il presidente dell’Upi, Alessandro Pastacci, pur dando ampie assicurazioni sul pagamento degli stipendi, spiega che «se la legge di stabilità non cambia non sarà possibile garantire ai cittadini tutti i servizi che oggi vengono erogati, dalla manutenzione delle strade alla gestione delle scuole».
Il nodo è quello delle risorse: «La legge di stabilità prevede il trasferimento di un miliardo di euro di tributi locali nel 2015, a parità di funzioni e di dipendenti».
Infatti tutti i dipendenti rimarranno in capo alle province per due anni, nelle more dell’attuazione della riforma.
Dopo, il futuro è incerto, rileva Michele Gentile, Cgil funzione pubblica: «La legge non prevede un meccanismo unico, rischia di esserci una soluzione diversa per ogni Regione.
Rimane poi il problema dei 1000 precari i cui contratti scadono a fine anno: al momento non è previsto alcun rinnovo».
I dipendenti sono sul piede di guerra, ma non solo per i propri stipendi: «Noi vogliamo che ai cittadini vengano garantiti i servizi a cui hanno diritto, e con i tagli della manovra non sarà più possibile farlo», dice Marco Zatini, che con i colleghi occupa da giovedì la sala consiliare della Provincia di Firenze.
Rosaria Amato
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
CORTEI E OCCUPAZIONI IN MEZZA ITALIA: IN 22 MILA TEMONO DI FINIRE IN MOBILITà€ E POI PERDERE IL POSTO
Un miliardo di tagli nel 2015 che mettono a rischio funzioni fondamentali (e ipotecano pure il futuro delle città metropolitane quando dovranno sostituirle) e ventimila dipendenti — più duemila precari — che dovrebbero essere ricollocati a breve, ma non sanno ancora quale sarà il loro destino.
Questo è un rapido ritratto delle province in via di abolizione a fine 2014.
Non è un ozioso riepilogo perchè tra politica territoriale e lavoratori l’irritazione verso una situazione terribilmente mal gestita cresce da settimane e rischia di esplodere proprio in prossimità di Natale.
Cpme ha riportato ieri l’Ansa, a macchia di leopardo nella Penisola la “rivolta” è già iniziata: a Firenze, Arezzo e Brindisi è in corso l’occupazione di alcuni locali della Provincia da parte dei dipendenti; a Pisa ieri c’è stato un corteo nelle vie del centro con tanto di striscioni contro Renzi; a Vicenza e a Imperia i dipendenti della provincia hanno simbolicamente occupato l’aula del Consiglio; a Genova, invece, un migliaio di lavoratori delle province in corteo ha prima bloccato il traffico nel centro città e poi anche i lavori del Consiglio regionale.
Il motivo di queste proteste è semplice, i lavoratori temono che con l’abolizione delle province anche il loro posto di lavoro finisca per essere rottamato: il piano di governo e Regioni sul tema, infatti, non esiste ancora, mentre esiste eccome la possibilità teorica che nell’impossibilità di essere ricollocati si finisca in mobilità e di lì a casa (una possibilità inserita di recente per il pubblico impiego).
La cosa non è così impossibile: molti potrebbero, ad esempio, dover lavorare in un’altra città e non poterlo fare per mille ragioni.
Se si rifiuteranno, però, si apriranno per loro le liste di mobilità all’80% dello stipendio. In buona sostanza l’anticamera del licenziamento.
Insomma, i dipendenti delle province hanno più di una ragione per essere preoccupati e cercare di tutelare preventivamente i loro legittimi interessi.
“Chiediamo al Parlamento di evitare il peggio e alle Regioni di fare la loro parte”, hanno detto ieri i dipartimenti Pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil: “Questi tagli mettono a rischio il funzionamento dei servizi di area vasta: dalla sicurezza scolastica alla tutela ambientale, passando per la viabilità e le politiche attive sul lavoro”.
Sui tagli ci sarà poco da fare, anche perchè il testo finale della legge di Stabilità arrivato ieri sera in Senato li contiene ancora e pure sui dipendenti la possibilità teorica di una fregatura esiste eccome: in sostanza, dice la manovra di Matteo Renzi, per due anni chi lavora nelle province manterrà il posto di lavoro e scatterà il ricollocamento in altre amministrazioni (prioritariamente negli uffici giudiziari) e solo dal 2017 per chi non avrà trovato nuovo posto scatteranno le procedure di mobilità ”. Almeno a parole, però, il governo ha aperto alle richieste dei sindacati.
La voce più autorevole è stata quella del sottosegretario Graziano Delrio: “Il personale delle province non rimarrà per strada ma verrà assorbito tramite il blocco di tutte le assunzioni in tutte le amministrazioni dello Stato e affini”, ha spiegato sostenendo però che nella legge di Stabilità c’è un “elemento di certezza e non d’incertezza come qualcuno ha erroneamente sottolineato”.
Se la pensa così, non ha letto bene. La Cgil, per dire, non l’ha presa benissimo: “Tranquillizzare non basta. Servono fatti o la mobilitazione continua”.
Il ministro Madia è avvisata.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 19th, 2014 Riccardo Fucile
SINDACATI ATTACCANO IL GOVERNO CONTRO L’ESUBERO DEI DIPENDENTI: IL SOLITO BIDONE DI RENZI
Sindacati pronti all’occupazione delle Province ad oltranza contro la Legge di Stabilità . Lo annunciano in una nota unitaria i sindacati della P.A. “Oggi la mobilitazione si estende a tutte le Province italiane, e senza un intervento del Governo, un passo indietro su provvedimenti dannosi e insensati, non si fermerà “.
“Chiediamo al Parlamento di evitare il peggio, alle Regioni di fare la loro parte”, proseguono nella nota i segretari generali di Fp-Cgil, Rossana Dettori, di Cisl-Fp, Giovanni Faverin e di Uil-Fpl, Giovanni Torluccio, rilanciando la mobilitazione dei lavoratori delle province “contro il rischio di esuberi per 20 mila lavoratori a tempo indeterminato e del licenziamento per oltre 2 mila precari”
La protesta si estende anche contro i “pesanti tagli previsti in Legge di Stabilità “.
Tagli che per i sindacati “mettono a rischio il funzionamento dei servizi di area vasta, dalla sicurezza scolastica alla tutela ambientale, passando per la viabilità e le politiche attive sul lavoro”.
Insomma, avvertono, “la mobilitazione che è cresciuta in queste settimane oggi raggiungerà il suo apice in tutto il Paese, dopo le prime occupazioni di ieri”.
E assicurano: “Senza un dialogo vero la mobilitazione continua”.
Le sigle del pubblico impiego spiegano di volere “un riordino vero”, ma, aggiungono, “il Governo abbandoni certi toni”.
Sono circa un migliaio i lavoratori delle province liguri che hanno dato vita a un corteo a Genova. I lavoratori, partiti dalla sede della Provincia di Genova, hanno raggiunto la sede della Regione Liguria per chiedere certezze sul loro futuro occupazionale e la permanenza di servizi fondamentali, svolti oggi dagli enti provinciali, come la difesa del suolo, la manutenzione strade, la formazione.
“Tra 10 giorni le province chiuderanno ma, per ora, non sappiamo ancora nulla del nostro futuro – spiegano – chiediamo la solidarietà dei cittadini, lottiamo anche per loro”.
Molti lavoratori portano cartelli con scritto “in scadenza il 31/12/14”.
Secondo i manifestanti oggi è all’esame un emendamento del governo alla legge di stabilità che taglia le spese del personale del 50% per le province e del 30% per le città metropolitane.
Oggi, accusano, tagliano sia le risorse sia le persone fisiche ed è previsto che il governo tenga a Roma gran parte degli introiti che attualmente vengono tenuti sul territorio dalle stesse province.
I lavoratori (a rischio) della provincia di Bologna invadono Palazzo d’Accursio.
Mentre il sindaco e presidente metropolitano Virginio Merola vede parlamentari e sindacati sul caos che minaccia di travolgere ciò che resta dell’ente di palazzo Malvezzi, un centinaio di dipendenti ha già occupato simbolicamente lo scalone dei cavalli da cui si accede alla sede municipale. Il presidio è stato organizzato da cgil, cisl e uil.
Protesta delle rsu della provincia di Perugia prima della conferenza stampa della presidente della Regione, Catiuscia Marini.
Qualche decina di lavoratori con le bandiere dei sindacati ha preso posto all’interno di palazzo Donini, sede della giunta
“Chiediamo un impegno della Regione per farsi promotrice nei confronti del Governo su quanto succede in tutte le Province” ha detto uno dei sindacalisti, Angelo Scatena (Fp-Cgil). “Da domani questo disagio – ha aggiunto – diventerà realtà su scuole e ambiente”.
“Con l’approvazione della Legge di stabilità questo Governo ha deciso di mandare a casa i lavorarori delle Province e di tagliare i servizi ai cittadini”, si legge in una nota delle rsu della Provincia di Perugia.
Prosegue a oltranza l’occupazione di alcuni locali della Provincia di Firenze da parte dei dipendenti, per protesta contro i tagli al personale, che si dicono convinti a portare avanti, se necessario, l’iniziativa in questo fine settimana e anche a Natale. “Stiamo aspettando le 15 perchè è atteso il maxiemendamento alla legge di stabilità e vedremo se ci saranno aspetti positivi che ci riguardano – ha spiegato Giuseppe Aloi della Rsu – altrimenti siamo pronti a continuare la protesta. Il fine settimana è quasi assicurato e se necessario anche a Natale”.
Proteste a tappeto anche a Palermo e non solo, con pesanti ripercussioni sul traffico.
Dalle province alle piccole imprese, sino agli studenti.
Sotto accusa la paralisi alla Regione, a causa soprattutto dello stallo sul bilancio gravato da una voragine finanziaria di oltre 3,5 miliardi di euro.
È così scattato il sit-in dei dipendenti delle ex province in tutta la Sicilia presso le sedi di appartenenza. Aderendo alla mobilitazione lanciata dai segretari nazionali di categoria, le segreterie regionali di Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl, hanno indetto assemblee per manifestare contro la politica del governo nazionale.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 12th, 2014 Riccardo Fucile
TRA LE COMPETENZE RIMARRANNO L’AMBIENTE, LE SCUOLE, IL TRASPORTO PUBBLICO, LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO…MA SENZA RISORSE LE SCUOLE RISCHIANO DI RIMANERE AL FREDDO
Tutela dell’ambiente, gestione delle strade provinciali, pianificazione del territorio e del trasporto pubblico, controllo di quello privato, gestione dell’edilizia scolastica. Sono le competenze fondamentali delle nuove Province.
Le vecchie Province, invece, prima della riforma Delrio, si occupavano anche di tutela dell’ambiente, gestione delle strade provinciali, pianificazione del territorio e del trasporto pubblico, controllo di quello privato, gestione dell’edilizia scolastica.
Cioè le stesse materie.
Per capirci qualcosa servirebbe uno bravo nel gioco della Settimana Enigmistica: trova le differenze.
Il cerchietto finirebbe forse sul taglio delle poltrone (tra assessori e consiglieri saranno poco meno di mille anzichè 2500) e magari sulle modalità di elezione: non più i cittadini che votano i politici, ma i politici che votano i politici.
Cioè i consiglieri comunali che votano i consiglieri provinciali, presidenti compresi. L’elezione di secondo livello, come quella per il Senato disegnato dai consiglieri regionali. In queste ore, anche se nessuno se ne accorge, ci sono tavoli diplomatici per cercare alleanze, sostegni, appoggi esterni tra i partiti.
Una vera e propria campagna elettorale sottotraccia: arrivare al vertice ha soprattutto un significato politico (per dire: con un po’ di alleanze il M5s potrebbe prendersi Livorno).
Ma non solo. Regioni e Stato si sono incontrati, l’11 settembre, per definire se le Province dovranno prendere altre materie da gestire e su cui intervenire.
Ma quelle 5-6 ci saranno di sicuro e il paradosso è che sono state proprio quelle il cuore della ragione d’essere delle Province conosciute fino a ora.
Sembra un gioco di prestidigitazione: Matteo Renzi non avrà la bacchetta magica, ma forse un cilindro e un mazzo di carte se li è procurati.
Come spiega il presidente dell’Upi Alessandro Pastacci, d’altronde, le Province continuano “a erogare funzioni fondamentali, in particolare, sulla costruzione e gestione dell’80% delle strade, pari a circa 130mila chilometri e sulla gestione della edilizia scolastica delle superiori secondarie, che sono circa 5mila edifici. Per questo è necessario che vengano erogate le risorse adeguate”.
E d’altra parte la conferma è arrivata dalle dichiarazioni anche di chi rappresenta le Regioni: se non ci saranno trasferimenti sufficienti, dice il presidente Sergio Chiamparino, non saranno garantite funzioni fondamentali “come il riscaldamento nelle scuole o la pulizia delle strade dalla neve“.
“Proceduralmente — aggiunge chiedendo che le risorse siano già nella legge di stabilità — ci sono delle garanzie che verranno attribuite le risorse per far si che le nuove province possano ottemperare almeno alle funzioni fondamentali , alla parte fondamentale dei loro compiti, però i soldi non ci sono ancora quindi questo è un altro tema. Rischiamo di non riuscire a mantenere le scuole aperte o la minima funzionalità delle viabilità in particolare in zone impervie e montagna”.
Mentre tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre verranno eletti sindaci e consigli metropolitani di 8 città e presidenti e consigli di 64 Province, 33 di queste presentano una situazione di “pre-dissesto”, come è emerso dalla due diligence realizzata da Upi, ministero dell’Economia e Viminale.
Ogni Regione deciderà sulle competenze da delegare alle Province
In questo scenario c’è che la riunione dell’11 settembre non ha sciolto il nodo sulle (ulteriori) competenze che le Regioni dovrebbero distribuire alle Province.
Anzi l’incontro è terminato con la decisione che ogni Regione deciderà per sè. L’unica decisione già definitiva riguarda la tutela delle minoranze linguistiche.
Per il resto bisogna aspettare ancora — come scrive il Corriere della Sera — lasciando scoperte competenze importanti come cultura, turismo e sport sulle quali è necessario un coordinamento di “area vasta” che non sia il piccolo territorio di un comune, ma neanche l’estensione di una regione nella quale ogni area ha esigenze e dinamiche diverse. Il risultato è che da semplificazione diventi ulteriore complicazione.
Le elezioni di fine settembre e inizio ottobre
Per le prime la presentazione delle liste dei candidati, secondo quanto fissato dalla circolare 32 del 2014 del ministero dell’Interno, è stata prevista entro il 20esimo giorno precedente le votazioni e per le seconde entro il 40esimo.
Tutto ciò inevitabilmente ha dato vita a un fitto gioco di alleanze tra i vari gruppi consiliari, ancora in via di definizione in molte realtà , che va a sommarsi a una delle novità della legge 56 di riforma degli enti locali, vale a dire il voto di secondo livello, che esclude i cittadini conferendo la scelta a coloro che sono già stati eletti (i sindaci), che saranno chiamati ad eleggere i consigli metropolitani di 8 città metropolitane — Milano, Bologna, Genova, Firenze e Bari, che andranno alle urne il 28 settembre, Roma, 5 ottobre, e Torino e Napoli il 12 ottobre — e i presidenti e i consigli di 64 province (per i quali le urne saranno aperte nella maggior parte dei casi il 12 ottobre).
Città metropolitane
Il sindaco metropolitano sarà di diritto il primo cittadino del comune capoluogo (condizione che vale sempre a meno di modifiche stabilite per statuto); sono eleggibili come consigliere metropolitano i sindaci e i consiglieri comunali in carica.
Il consiglio metropolitano sarà composto da: sindaco metropolitano, 24 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti (Roma, Milano, Napoli); oppure da 18 (nelle realtà con popolazione residente superiore a 800mila e inferiore o pari a 3 milioni di abitanti (Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari). Quattordici infine nelle altre (Reggio Calabria).
I termini per la presentazione delle liste di candidati al Consiglio metropolitano sono stati fissati tra il 19 e il 13 settembre, nel caso in cui si vota il 28 settembre, e tra il 23 e il 27 settembre se si va alle urne il 12 ottobre.
Otto giorni prima della votazione le liste definitive dei candidati al consiglio metropolitano sono pubblicate sul sito internet della Provincia (entro il 20 settembre se si vota il 28 settembre o entro il 4 ottobre nel caso del 12 ottobre).
Nuove Province
Sono eleggibili a consigliere provinciale i sindaci e i consiglieri comunali in carica, nonchè, limitatamente alle prime elezioni, i consiglieri provinciali uscenti. Il consiglio dura in carica 2 anni.
Sono eleggibili a presidente della Provincia i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dallo svolgimento delle elezioni e, in sede di prima applicazione, anche i consiglieri provinciali uscenti.
Il presidente dura in carica 4 anni. Eleggono il presidente e il consiglio provinciale, i sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia. Le date per la presentazione delle liste dei candidati sono state fissate al 7 settembre, in caso di voto il 28 settembre, e al 21 settembre nel caso del 12 ottobre.
Il profilo di innovazione che contempla, entro il 2015, la nascita delle città metropolitane e delle nuove province di area vasta, prevede anche un taglio dei nuovi amministratori, che alla fine saranno in tutto 986, anzichè 2500, distribuiti tra 162 consiglieri metropolitani, 64 presidenti di provincia e 760 consiglieri provinciali.
La legge prevede l’introduzione del voto ponderato: ogni elettore cioè esprimerà una scelta che sarà proporzionale al numero di cittadini che il consigliere comunale e il sindaco rappresentano nell’ambito del comune di appartenenza.
Per l’elezione del consiglio metropolitano e del consiglio provinciale la legge introduce, oltre al voto ponderato, un voto di lista, con la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza per uno dei candidati compreso nella lista.
Regione Lombardia: “E’ il funerale della legge Delrio
Tra gli amministratori locali del centrodestra si usano immagini nette: “Si è sentito di fatto il fallimento della riforma Delrio”, dice l’assessore all’Economia della Regione Lombardia Massimo Garavaglia (Lega) e questo perchè “nel testo del decreto che il governo emana a supporto della riforma all’articolo 3, comma 3, viene scritto che il governo non metterà un euro in più sulle funzioni in capo alle nuove province e lo stesso faranno le regioni”.
Per il sottosegretario alle Riforme lombardo Daniele Nava (Ncd) “si celebra il funerale della legge Delrio”. “Il Parlamento — aggiunge — ha votato una legge e il Governo non la finanzia. È una grandissima presa in giro per i cittadini e presto ci sarà un cortocircuito istituzionale, che pagheranno gli stessi cittadini. Non ci può essere trasferimento delle funzioni alle Province ma senza soldi. E’ una decisione molto pericolosa per alcuni servizi fondamentali”.
M5s: “Balladopoballa, Province mai abolite”
Intanto sulla questione, sotto il profilo di rimborsi e indennità , interviene anche il Movimento Cinque Stelle che trasforma il “passo dopo passo” di Renzi in “#balladopoballa”: “Il gattopardismo del Governo Renzi ha già fatto scuola — si legge in un post sul sito di Beppe Grillo — Nella conversione in legge del Dl Pubblica amministrazione del 7 agosto 2014 è stata inserita una postilla (all’articolo 23, comma 84 del paragrafo f-bis) grazie alla quale le Province, mai abolite e tuttora attive, dovranno continuare a erogare ricchi rimborsi spese a consiglieri e a presidenti peraltro non più eletti ma nominati dalla politica stessa”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 5th, 2014 Riccardo Fucile
ENTRO IL 12 OTTOBRE VERRANNO RINNOVATI 64 CONSIGLI E COSTITUITE 8 CITTà€ METROPOLITANE: NIENTE ELETTORI, SOLO LOGICHE DI PARTITO… AZZERATE LE LISTE CIVICHE
Un po’ ristrette, un po’ insolventi, molto disordinate, però le Province stanno bene.
E tra un paio di settimane, senza che le piazze siano invase da ingombranti palchetti per i comizi e senza consultare i cittadini con relativo scrutinio notturno e le proiezioni dei sondaggisti, saranno persino rinnovate, rimpinguate.
Ci saranno presidenti (64), consiglieri (760); presidenti di città metropolitane (8) e consiglieri di città metropolitane (162): una carovana un po’ ridotta, rispetto all’epoca di elezione di primo livello, questa è di secondo livello, politici votati votano politici: ce n’erano 2500, adesso saranno 986, ma si scelgono tra loro.
Entro il 12 ottobre e non vi sentite in difetto se la notizia non vi tocca, sparse e con regole miste, ciascuna applica un decreto su misura, le Province si fanno simbolicamente più snelle (anche di democrazia).
Così “leggere” che Vincenzo Bernazzoli di Parma non riesce a scovare 30.000 euro (trentamila euro, avete letto bene) per la manutenzione ordinaria di fatiscenti edifici scolastici.
E ancora covano nei bilanci gli effetti dei continui mancati trasferimenti statali, e ancora le buche attendono una toppa, e i servizi un po’ di carburante: all’improvviso, oggi il problema non è risolto, bensì scomparso.
Il governo di Matteo Renzi, che ha spinto la Costituzione in sala operatoria con l’assistenza di un (ex) Cavaliere, non promette (pardon, non annuncia) nulla sul destino di queste 64 Province: forse un domani saranno abolite davvero, adesso i presidenti si prendono un mandato di 4 anni, i consiglieri s’accontentano di un biennio e sindaci, assessori e sconosciuti membri dei comuni s’apprestano a spartirsi un piccolo, desolante, eremo di potere.
Anche se le piazze non pullulano di manifesti, la campagna elettorale è cominciata da settimane.
E le campagne elettorali locali, proverbialmente faticose e cervellotiche, svolte dai politici per i politici non sono nient’altro che riunioni condominiali per distribuire le poltrone con maggiore comodità .
Lo spirito riformista accompagna le trattative di queste ore, al centrosinistra (cioè al Partito democratico) e al centrodestra (cioè a Forza Italia) non pare vero: possono dividersi la Puglia e la Liguria, siglare patti più o meno segreti, senza temere la bocciatura popolare.
Azzerate le liste civiche: pesano poco.
A Taranto il sindaco è di Sel, Ippazio Stefano, la Regione di Sel, di Nichi Vendola. E allora democratici e forzisti, giocando a campo largo sull’intera regione, volevano assegnare la Provincia tarantina al partito di Berlusconi, al primo cittadino di Massafra, Mario Carmelo detto Martino Tamburrano.
Il coordinatore Michele Emiliano ha protestato, i dem pugliesi l’hanno seguito, e l’inciucio pare evitato.
A La Spezia, dove i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni detengono egregie quote elettorali e la concorrenza è fragile da qualsiasi punto di vista e per chiunque (nessuno ha voglia di prendersi questa incombenza), i dem hanno cercato l’approccio con i forzisti: reazione freddina.
Neanche quattro mesi fa, i padovani hanno incoronato sindaco il leghista Massimo Bitonci: dopo il centrodestra e il centrosinistra, la città ha scelto un leghista.
A Forza Italia non piace più. E così Manuel Bianzale, capogruppo di Forza Italia al Comune di Padova, rivendica la presidenza.
Per spaventare il Carroccio, i forzisti minacciano alleanze con il Nuovo Centrodestra di Alfano: direte, che minacce pericolose. Sbagliato, perchè il movimento di Angelino sarà quasi ininfluente se votano i cittadini, ma determinante se votano i politici.
A Bergamo, anche per continuità storica, i democratici sostengono il consigliere uscente Matteo Rossi che, commosso, ha presentato il simbolo e divulgato un messaggio (non ai cittadini, semmai ai colleghi): “Fin dall’oratorio, la mia passione è quella di tenere insieme e di fare insieme”.
I leghisti dovevano ratificare la linea di Matteo Salvini, il segretario contestatore che, appunto, voleva contestare la farsa di queste Province mezze vive e mezze morte: il partito locale l’ha smentito.
E la Lega lancia Giuseppe Pezzoni da Treviglio, quasi 30.000 abitanti.
Occhio alla Toscana, dialogo fitto tra i democratici e l’emissario di Denis Verdini, Massimo Parisi. Nessun ostacolo, come abitudine, a Firenze: i forzisti si apparentano con i leghisti.
I sindaci capoluogo di 8 città metropolitane (mancano Reggio Calabria e Venezia commissariate) si prendono l’intera provincia, estendono il territorio.
Il chirurgo Ignazio Marino potrà operare sino a Frascati. I grandi vincono dove lo spazio è grande, i piccoli s’azzuffano.
Chi vuole conquistare la Provincia di Avellino deve trattare con Ciriaco De Mita, 86 anni, sindaco di Nusco, elettore.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 22nd, 2014 Riccardo Fucile
BLOCCATA L’ABOLIZIONE: I DECRETI ATTUATIVI DELLA LEGGE DELRIO DOVEVANO ARRIVARE A LUGLIO, MA (FORSE) SI VEDRANNO IN SETTEMBRE…. INTANTO IL PARLAMENTO GLI RIDà€ I RIMBORSI SPESE
Non solo le Province restano. Ma continuano a fare quello che facevano, come se ci fosse ancora un domani per una istituzione da 11 miliardi di euro l’anno.
La ragione è fin troppo semplice, ma il problema è grave per le casse pubbliche che languono: dopo quattro mesi dalla data di entrata in vigore del “ddl Delrio” (dal nome dell’allora ministro per gli Affari regionali e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Delrio) sul riordino delle Province, mancano ancora i decreti attuativi per renderlo operativo.
“Dovevano essere approvati entro l’8 luglio — spiega il presidente dell’Unione province d’Italia (Upi), Alessandro Pastacci —. Ma le Regioni non hanno trovato un accordo con il governo.
Così hanno posticipato al 5 agosto, senza risolvere un bel niente.
Si incontreranno l’11 settembre, speriamo che sia la volta buona”.
Alla vigilia delle votazioni, indette tra il 28 settembre e il 12 ottobre, per le nomine dei nuovi consigli provinciali secondo la legge 56 (cioè la riforma Delrio), è tutto fermo. Eppure la tabella di marcia verso lo svuotamento degli enti era fissata da tempo.
Entro la fine di quest’anno devono scomparire e rinascere sotto nuova sembianza, più snella e, in teoria, meno costosa. In pratica, enti di secondo livello con tre organi: il presidente, carica assunta dal sindaco del capoluogo; l’assemblea dei sindaci, rappresentata dai primi cittadini del circondario; e il consiglio provinciale, costituito da dieci a 16 membri (a seconda degli abitanti) selezionati tra gli amministratori municipali locali .
A partire dal primo gennaio 2015, invece, devono nascere le prime città metropolitane: Milano, Roma, Firenze, Genova, Bari, Bologna, Torino, Napoli.
Poi toccherà anche a Reggio Calabria e Venezia.
Ma le Province fanno finta di niente e continuano a tenere in piedi la loro impalcatura, rinnovando i contratti interni. Anzi, in pieno agosto, sono più dinamiche e propositive del solito.
Tanto per citare qualche esempio, a Salerno il presidente Antonio Iannone, ai primi del mese ha rinfoltito la squadra della sua giunta con quattro nuovi assessori.
Il numero uno di Palazzo Sant’Agostino ha atteso invano i decreti attuativi, “e sono andato anche oltre — scrive in una nota — ma, puntualmente, Renzi ha dimostrato di non essere capace di andare oltre gli annunci. Sono nell’esigenza di completare la squadra di governo viste le responsabilità e gli impegni che continuano a gravare sul nostro ente”.
E conclude, “faremo fino in fondo il nostro dovere nonostante le decisioni criminali del governo Renzi”.
Negli stessi giorni, anche al presidente della Provincia di Bari, Francesco Schittulli, è venuto in mente di nominare un altro assessore alla Formazione professionale e Politiche del lavoro.
La Provincia di Bergamo, addirittura, ha deciso di fare affari comprando un pezzo di terra in Basilicata per 56 milioni di euro (di cui 12 sganciati dall’Ue) dove costruire una centrale a biomasse.
Quella di Rovigo, invece, non sente la crisi e due giorni prima di Ferragosto, con un decreto, ha stanziato premi per merito per sei dirigenti e il segretario generale che ai cittadini costano 146 mila euro.
E poi quella di Torino che ha messo in vendita il palazzo della Questura per fare cassa, scatenando una bufera tra i poliziotti.
Ridotte drasticamente le competenze, trasferite a Regioni e Comuni, fatta eccezione per l’edilizia scolastica e la pianificazione dei trasporti e della tutela dell’ambiente.
E questo è il pomo della discordia tra Stato e Regioni. Le seconde, chiarisce Pastacci, “non vogliono accollarsi delle funzioni che la legge 56 ci ha tolto. Si dovranno occupare di cultura, lavoro, assistenza sociale e turismo, ma non sanno ancora in quali termini”. Perchè, appunto, mancano i decreti attuativi.
“Anche sull’ambiente è un caos totale: alcune cose sono di nostra competenza, altre degli enti regionali, ma oggi chi fa cosa?” si chiede il presidente dell’Upi. E tutta l’Italia è in attesa di una risposta.
Intanto il Parlamento si è premurato di cancellare dagli articoli 114 e seguenti della carta costituzionale con il riferimento alle Province. E poi la beffa.
I primi di agosto, quindi all’ultimo secondo utile, Camera e Senato hanno apportato una piccola modifica, contenuta nel decreto legge 90, che va a vanificare il senso dello smantellamento degli “enti di mezzo”, cioè il risparmio dei soldi dei contribuenti e una maggiore efficienza dei servizi.
Se la legge Delrio in origine vieta in assoluto compensi ai futuri rappresentati provinciali (perchè, ricoprendo già un’altra carica, non possono ricevere due indennità ), i deputati li fanno resuscitare.
Si legge all’articolo 23 che “restano a carico della città metropolitana o della provincia gli oneri per i permessi retribuiti, per i rimborsi spese e le indennità di missione, per la partecipazione alle associazioni rappresentative degli enti locali e gli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi”.
Lanciato il salvagente, le casse tornano a tremare, e con loro i dubbi: chi finirà il mandato nel 2015 e nel 2016 percepirà la doppia indennità ?
Nessuno sa, tutto tace.
Chiara Daina
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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