Agosto 5th, 2014 Riccardo Fucile
QUESTA MATTINA NELLA BANCA INTERNA DI PALAZZO SAN MACUTO
Rapina pochi minuti fa nella filiale del Banco di Napoli a Palazzo San Macuto.
Un uomo a volto coperto è entrato, poco prima delle 9.30, nella filiale della banca nel palazzo che si trova nell’omonima piazza e che ospita, tra l’altro, la biblioteca, le commissioni bicamerali d’inchiesta del Parlamento e quelle di vigilanza.
Il rapinatore si è fatto consegnare del denaro dalla cassiera ed è scappato da un ingresso secondario del complesso in via del Seminario.
Secondo gli inquirenti, il rapinatore conosceva bene il palazzo: dopo il colpo, per raggiungere l’uscita secondaria, da cui si è poi dileguato per i vicoli del centro storico di Roma, ha dovuto fare un lungo giro per i corridoi, salendo e scendendo dal quinto piano.
Gli ingressi sono solitamente presidiati dagli assistenti parlamentari che sottopongono chiunque entra a rigidi controlli di sicurezza.
Inoltre, per entrare nelle sedi della Camera, di norma bisogna essere accreditati.
Il portone principale di Palazzo San Macuto è adesso sbarrato, e sono in corso indagini e rilievi da parte dell’Ispettorato generale della polizia di Stato a Montecitorio.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 14th, 2012 Riccardo Fucile
EQUITALIA SFRUTTA IL DIVIETO DI RICEVERE L’IMPORTO DELLA PREVIDENZA IN CONTANTI…PER LEGGE POTREBBE PIGNORARE SOLO UN QUINTO DELLA SOMMA, MA EQUITALIA FA I CAZZI CHE VUOLE
Non c’è un modo più gentile di metterla: Equitalia sta bloccando i conti correnti di molti pensionati, anche per debiti abbastanza bassi, finendo per commettere una sostanziale violazione della legge.
Lo denuncia in una interrogazione parlamentare il deputato pugliese del Pd, Dario Ginefra, ma lo conferma una storia raccontata un mese fa dall’agenzia Ansa e al Fatto Quotidiano da fonti interne dell’Inps.
In sostanza, la società di riscossione — con la complicità di banche e uffici postali — impedisce a gente che ha l’unico introito di una pensione media (diciamo intorno ai mille euro) di accedere ai propri soldi finchè non è definita la sua posizione col fisco, innescando così un circolo vizioso per cui il pensionato poi si indebita, ad esempio con una finanziaria, peggiorando ancora di più la sua posizione e subendo nuove richieste di pignoramento.
C’è un problema: questo finisce per determinare una situazione sostanzialmente illegale.
A stare all’articolo 545 del codice di procedura civile, infatti, stipendi e pensioni non sono soggetti a sequestro e pignoramento, se non per il massimo di un quinto del totale e comunque facendo salvo il minimo Inps (430 euro al mese).
Così si è sempre fatto, che la richiesta venisse dall’erario o da un privato, solo che adesso questa prassi viene violata dal combinato disposto tra due recenti provvedimenti: da una parte l’ampliamento dei poteri discrezionali di sequestro per gli enti riscossori, dall’altra il divieto di percepire in contanti emolumenti e pensioni sopra i mille euro lordi, che ha costretto quasi tutti i pensionati ad aprire un conto corrente o postale (anche solo il cumulo tra assegno di dicembre e pensione, infatti, quasi sempre supera i mille euro).
Questi depositi, comunque, sono conti come tutti gli altri e i loro gestori privati — banche o Poste — non sono tenuti a tutelare le fonti che li alimentano.
Così le richieste di pignoramento di Equitalia non arrivano più alla fonte (stipendio o pensioni ), ma a valle, sul conto, che è più facilmente attaccabile perchè gli istituti di credito non hanno alcun interesse ad opporsi.
Risultato: il correntista si trova di botto separato dai suoi soldi, anche da quelli che continuano a venirgli accreditati.
Sarebbe grave anche se si trattasse di un solo caso, ma non è così: le proteste continuano ad arrivare agli sportelli degli enti previdenziali — l’Inps come l’ex Inpdap — che, dal canto loro, sono assai preoccupati visto che sanno qual è la situazione.
Loro stessi, infatti, stanno disponendo un gran numero di pignoramenti, ci raccontano, perchè la crisi sta colpendo soprattutto i pensionati: s’indebitano in maniera massiccia e altrettanto massicciamente perdono la capacità di ridare i soldi a chi glieli presta. “Dal governo vorrei sapere — ci spiega Dario Ginefra — se è vero, come risulta a me, che Equitalia (approfittando di una legge che aveva tutt’altro intento) stia avviando procedure esecutive su quote impignorabili di pensioni e stipendi e cosa voglia fare l’esecutivo per impedirlo”.
Che cosa vogliano fare Monti, Fornero e Befera non si sa ancora, che la cosa sia vera basti a dimostrarlo il primo caso divenuto pubblico, avvenuto a Catanzaro già un mese fa e denunciato dall’associazione dei consumatori Codici: “Equitalia è stata informata dagli interessati della situazione — raccontano — ma ha disatteso le loro richieste. I pensionati, inutilmente, hanno anche comunicato alla società che le pensioni erogate erano l’unico mezzo di sostentamento per i propri nuclei familiari”.
Ricorrere al giudice? Mica facile: i soldi sono bloccati e non possono nè pagare l’avvocato , nè, per soprammercato, accedere al gratuito patrocinio.
Perchè? Ma perchè hanno un reddito da pensione…
Codici parla di “norme di dubbia costituzionalità ” e ha avviato un’azione legale a sue spese, ma la decisione rischia comunque di arrivare troppo tardi.
“Non manca molto — ci racconta un dirigente Inps — al partire della valanga e allora la situazione rischia di essere davvero drammatica”.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 19th, 2012 Riccardo Fucile
LA CORTE DEI CORTI CONDANNA I DIECI CONCESSIONARI: 845 MILIONI LA CIFRA A CARICO DELLA EX ATLANTIS WORLD GESTITA DA CORALLO E RAPPRESENTATA DALL’EX AN E ATTUALE DEPUTATO BERLUSCONIANO LABOCCETTA… LE PRESSIONI SUGLI ORGANI DI CONTROLLO
Alla fine la legge vale per tutti anche per i re delle Slot machines e i loro distratti controllori. Dopo una battaglia legale durata quasi 5 anni, ieri a sorpresa la Corte dei Conti ha condannato i dieci concessionari del gioco a pagare penali per 2,5 miliardi per i loro disservizi del periodo 2004-2006.
Sono stati condannati anche i manager pubblici che avrebbero dovuto
controllare: il direttore dell’Aams l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato dell’epoca, Giorgio Tino, ora vicepresidente di Equitalia Gerit, e il direttore del settore giochi Antonio Tagliaferri, che è rimasto al suo posto a fianco del direttore dell’AAMS attuale Raffaele Ferrara, appena confermato da Mario Monti.
La penale più alta, pari a 845 milioni, è quella che dovrà pagare Bplus, la ex Atlantis World Group of Companies, società originaria delle Antille olandesi gestita dal catanese Francesco Corallo, vicino all’ex area An.
Titolare di tre casino a Saint Maarten, sin dal momento del suo sbarco in Italia nel 2004 la Atlantis – Bplus sovrasta gli altri operatori con una quota del mercato che sfiora il 30 per cento e primeggia anche nella “multa” richiesta.
Anche i concorrenti non possono certo festeggiare: la Corte ha chiesto 120 milioni agli spagnoli di Cirsa Italia, 245 milioni per la società Sisal Slot, 100 milioni per Lottomatica, 150 milioni per Gmatica, 115 milioni per il gruppo Codere, 200 milioni per HBG, 235 milioni per Gamenet, 255 milioni per Cogetech, 210 milioni per Snai.
Tra i dirigenti Aams sanzionati spicca con i suoi 4,8 milioni di euro l’ex direttore Giorgio Tino ma la multa più delicata è quella di 2,6 milioni per Antonio Tagliaferri, il Direttore dei Giochi di Aams che si occupa della gara in corso che dovrebbe assegnare per altri 9 anni le concessioni agli stessi operatori sanzionati, con lui.
La sentenza sarà certamente impugnata e i 2,5 miliardi di euro saranno versati solo all’esito dell’eventuale rigetto dell’apppello ma si tratta di una grande soddisfazione per il procuratore Marco Smiroldo e per il Gat della Guardia di Finanza che in totale isolamento hanno portato avanti l’indagine.
Tutto inizia nel 2004 quando il Governo Berlusconi decide di legalizzare il settore dei vecchi videopoker.
Le slot machines da bar dovrebbero essere messe in rete con il cervellone della società informatica pubblica Sogei in modo da controllare minuto per minuto quello che accade.
Il controllo della rete viene assegnato ai dieci concessionari privati selezionati dai Monopoli, gli stessi sanzionati ieri dalla Corte.
La convenzione stabiliva che per ogni ora di mancato collegamento di ogni slot il concessionario dovesse pagare una penale di 50 euro.
Per mesi, talvolta per anni, però i concessionari non hanno collegato le slot.
L’Aams scrive lettere nelle quali minaccia per esempio Atlantis di sanzioni dure, fino alla revoca della concessione, ma poi non attua le sue minacce.
Le intercettazioni telefoniche disposte in un’altra indagine dal pm Henry John Woodcock nel 2005 svelano le pressioni esercitate sull’Aams da Francesco Cosimi Proietti, deputato di An, su richiesta di Amedeo Laboccetta, allora in An e ora deputato del Pdl ma in quel momento procuratore di Atlantis in Italia.
Atlantis finanzia con 50mila euro la sua campagna elettorale del 2008 e paga negli anni alcune centinaia di migliaia di euro alla società di comunicazione della famiglia del deputato An, Francesco Cosimi Proietti.
Alla fine Aams non revoca nulla nè ad Atlantis nè alle altre società inadempienti.
I concessionari dal 2004 a 2006 non versano le tasse dovute sull’incasso reale delle slot ma su base forfetaria, come prevede la legge quando le slot sono scollegate per causa di forza maggiore.
Il sostituto procuratore della Corte dei Conti Marco Smiroldo, affida nel 2007 al Gat della Guardia di Finanza coordinato dal colonnello Umberto Rapetto il compito di verificare per quanto tempo erano state scollegate le macchinette.
I risultati sono sconvolgenti.
Sommando le ore di mancato collegamento e moltiplicandole per la multa oraria, i finanzieri arrivano a contestare più di 90 miliardi di euro.
Per anni la politica fa finta di nulla.
Il direttore Tagliaferri resta al suo posto. Le concessioni sono prorogate nonostante gli inadempimenti e Aams assegna agli stessi operatori (più altri tre) il compito di impiantare le nuove slot più redditizie, le Vlt.
Ieri la Corte non ha accolto la richiesta principale del Pm Marco Smiroldo (oltre 90 miliardi di euro), ma la subordinata, con una condanna a 2,5 miliardi per i dieci concessionari, pari all’80 per cento dell’aggio percepito dai concessionari nel periodo da settembre 2004 a gennaio 2007.
Sembra un pareggio, nella realtà è una sconfitta pesantissima.
Per le società ma soprattutto per l’Aams e anche per Mario Monti che ha appena confermato i suoi vertici.
Marco Lillo e Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 26th, 2011 Riccardo Fucile
AI VACCARI PADANI BRUCIA CHE FINI IERI SERA A BALLARO’ ABBIA RIVELATO CHE LA MOGLIE DI BOSSI E’ ANDATA IN PENSIONE A 39 ANNI E CHE LA SUA SCUOLA PRIVATA E’ FINANZIATA CON 800.000 EURO DALLO STATO… SI PULISCONO IL CULO COL TRICOLORE E PARLANO DI LEGALITA’: IN UN PAESE CIVILE SAREBBERO DA TEMPO INCRIMINATI PER RAZZISMO
Bagarre nell’aula della Camera dove sono venuti alle mani deputati di Lega e Fli.
La vicepresidente Rosy Bindi ha sospeso la seduta e ha chiesto scusa ai ragazzi che assistevano ai lavori parlamentari dagli spalti dedicati agli ospit
La bagarre in Aula è esplosa dopo l’intervento di Marco Reguzzoni che ha attaccato duramente il presidente Gianfranco Fini, accompagnato da un coro di “dimissioni, dimissioni” rivolto al leader di Futuro e Libertà .
Subito dopo il capogruppo della Lega ha preso la parola Italo Bocchino per difendere il leader di Fli, ma è stato più volte interrotto.
La presidente di turno Rosy Bindi ha richiamato più volte i deputati all’ordine, in particolare Fabio Granata, e sono intervenuti i commessi. Bindi ha deciso di sospendere i lavori fino alle 12.30, poi la ripresa per un minuto per scusarsi con i ragazzi che assistevano alla seduta per “lo spettacolo non certo edificante che è stato offerto loro”.
Ma nonostante l’interruzione dei lavori sono volati insulti e le tensioni.
Durante gli interventi due deputati di Fli e Lega sono venuti alle mani.
I commessi si sono frapposti, ma sono comunque volate le botte, in particolare tra Claudio Barbaro di Fli e Fabio Rainieri.
Il duro attacco di Reguzzoni nei confronti di Fini è dovuto alle dichiarazioni che il presidente della Camera ha espresso durante la trasmissione Ballarò su RaiTre ieri sera.
Secondo Fini la ferma contrarietà della Lega all’innalzamento dell’età pensionabile, sarebbe dovuta al fatto che Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi, gode di una baby pensione che le è venuta riconosciuta ad appena 39 anni.
Da qui il duro attacco dai banchi del Carroccio al presidente della Camera.
Mentre Reguzzoni parlava si è alzato Claudio Barbaro, si è diretto verso i banchi della Lega ed è stato affrontato da Fabio Raineri.
“E’ la solita porcilaia fascista”, ha detto un deputato leghista uscendo dall’aula. “C’è stata una piccola collutazione con Raineri — ha poi spiegato Reguzzoni — ma noi siamo rimasti al nostro posto, è stato quello di Fli ad alzarsi e a venire verso di noi. A quel punto ha fatto bene la Bindi a interrompere la seduta”.
La seduta è ripresa alle 12.30 presieduta da Gianfranco Fini.
Al suo arrivo è stato accolto dal coro “dimissioni, dimissioni!” dei deputati della Lega. Una fila di commessi si frappone tra i deputati della Lega e quelli di Fli.
Mentre Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl, ha annunciato la volontà del gruppo di “investire la massima autorità dello Stato di una situazione di difficoltà drammatica dell’istituzione parlamentare determinata dal comportamento” del presidente Gianfranco Fini.
“E’ inutile e fuori luogo pensare di coinvolgere il Capo dello Stato su un problema che riguarda il presidente della Camera, i gruppi e l’aula: si può criticare quanto si vuole, ma il presidente della Camera, qualsiasi sia la maggioranza che lo ha eletto, non è sfiduciabile nè politicamente nè formalmente”, è intervenuto il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, intervenendo in aula dopo le parole del capogruppo della Lega contro Gianfranco Fini.
“Non è la prima volta che un presidente della Camera è un leader politico — ha detto Franceschini — e il presidente della Camera va valutato per il modo in cui presiede i lavori dell’aula: da quando Fli si e’ collocato all’opposizione, ha continuato a presiedere dando delusioni e soddisfazioni alternativamente alla maggioranza e all’opposizione. Tutto il resto fa parte del dibattito politico”.
Anche Massimo Donadi dell’Idv è intervenuto in difesa di Fini. ”Stendiamo un velo pietoso sulle contestazioni leghiste. In un paese normale la critica al presidente della Camera, terza carica dello Stato, che partecipa ad un dibattito televisivo politico sarebbe stata legittima, ma in questa situazione è semplicemente assurda”, ha detto il capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera.
Commento
Ricordiamo alla feccia padagna quanto segue:
1) Di porcilaie l’esperto è notoriamente l’on Rainieri, tenutario di stalle ed evasore di quote latte, non a caso condannato più volte dalla magistratura
2) Nessun italiano può ricevere lezioni di legalità e rispetto delle istituzioni da parte di soggetti che si puliscono il culo col tricolore, invocano la secessione e difendono truffatori.
3) In un paese civile una parte della classe dirigente leghista sarebbe da tempo in galera per violazione della legge Mancino per incitamento all’odio razziale.
4) La Lega ladrona ha fatto finanziare dal governo la scuola privata Bosina della moglie di Bossi con 800.000 euro: altro che Roma ladrona, si fottono i soldi dei contribuenti per i loro affari di famiglia.
5) Se poi qualcuno ricorda la frase “andremo a prendere i fascisti casa per casa” (cui è seguita una condanna penale) di Bossi, rammentiamo che non abbiamo mai visto nessuno sull’uscio di casa.
In ogni caso sapremmo come accoglierli.
Più difficile sarebbe cercare loro, divisi come sono tra case di cura e ville milionarie da mantenuti del sistema.
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Ottobre 19th, 2011 Riccardo Fucile
A CAUSA DI IRREGOLARITA’ NELLA GESTIONE DEI FONDI ASSEGNATI AL SETTORE LATTIERO-CASEARIO E PER L’ASSENZA DI VERIFICHE, LA UE CHIEDE I SOLDI INDIETRO…SE NON SI PAGA SAREMO DEFERITI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA E SI AGGIUNGERA’ PURE UNA MULTA MILIONARIA
Questa volta il conto è di quasi 78,5 milioni di euro.
Quasi 71 milioni da restituire al più presto a Bruxelles “come rettifica proposta per gli esercizi finanziari 2005-2007 per controlli tardivi nel settore dei prodotti lattiero-caseari”, a cui vanno ad aggiungersi 7,6 milioni di aiuti agricoli per spese effettuate in modo irregolare.
Un assegno non facile da staccare visto il periodo di vacche magre, è il caso di dirlo, per un Paese alle prese con tagli selvaggi e una quadratura di bilancio che proprio non arriva.
E il capitolo di spesa maggiore di quanto chiede la Ue (71 milioni) sono legati alla gestione delle cosiddette quote latte.
Si tratta di fondi della Politica agricola comune (Pac) dei quali sono responsabili gli Stati membri, sia della loro ridistribuzione sul territorio che del loro effettivo utilizzo, ad esempio verificando le domande che gli agricoltori compilano per ottenere i pagamenti diretti.
Succede che la Commissione, vista il numero dei beneficiari in Europa, fa 100 controlli a campione ogni anno.
Verifica anche che le eventuali “correzioni” apportate dagli Stati membri siano efficaci a garantire che i fondi europei siano stati spesi correttamente.
Sì perchè come ha confermato un recentissimo rapporto Ocse, una fetta rilevante degli aiuti Ue all’agricoltura finiscono a chi di aiuto non ha proprio bisogno, o peggio ancora a chi con l’agricoltura non centra davvero niente .
E di magagne quest’anno la Commissione ne ha trovate parecchie, e non solo in Italia. Sorpresa sorpresa la Svezia, ad esempio, dovrà restituire ben 76,6 milioni di euro per “carenze nel sistema di identificazione delle particelle agricole (Sipa), di informazione geografica (Sig), nei controlli amministrativi e nelle sanzioni relativi alle spese per gli aiuti per superficie”.
La Danimarca dovrà dare indietro 22,3 milioni per carenze nei sistemi Sipa e Sig, nei controlli in loco e nel calcolo delle sanzioni”.
E poi ancora Cipro 10 milioni, il Regno Unito 6 milioni e l’Olanda 2,2 milioni.
Nessuna pietà nemmeno per la Grecia, che dovrà restituire 10 milioni.
Bruxelles sta diventando piuttosto attenta alla spesa dei fondi comunitari, soprattutto perchè gli aiuti all’agricoltura costituiscono una bella fetta dell’intero bilancio europeo.
Nel periodo 2007-2013 la quota della spesa agricola costituisce addirittura il 34% dei 142 miliardi di euro spesi dall’Ue, a cui va aggiunto l’11% dedicato allo sviluppo rurale.
Ovviamente la Commissione europea non può essere ovunque, quindi questi finanziamenti vengono principalmente amministrati dagli Stati nazionale e dalle Regioni, che a loro volta lanciano dei bandi per aggiudicarli e dovrebbero essere responsabili dei controlli sul loro utilizzo.
Nel caso dell’Italia proprio i controlli, guarda caso, sono il principale problema.
Infatti i 71 milioni di euro da restituire si riferiscono proprio a controlli carenti e solo per l’anno 2005-2007, il che lascia intendere che ci potrebbero essere altre rate da pagare.
E in questo caso chi apre il portafogli?
Non potendo indagare tutti i beneficiari di questi finanziamenti, a pagare sarà Roma, quindi tanto per cambiare le casse pubbliche. E non è finita qui.
Come nel caso di altri fondi stanziati in modo irregolare, vedasi gli aiuti di stato per le calamità naturali del 2002-2003, l’Italia non è un fulmine a restituire l’illegittimo a Bruxelles.
E allora cosa succede? Solita trafila: Corte di Giustizia, sollecito di pagamento e multa aggiuntiva.
Tra l’altro proprio in questi mesi a Bruxelles è in corso la revisione della politica agricola comune.
La Commissione europea ha annunciato un paio di giorni fa una proposta che vedrebbe da un lato maggiori controlli e dall’altro un tetto ai finanziamenti massimi per ogni Stato.
Se approvata così come proposta, la nuova Pac comporterà per l’Italia un cospicuo taglio ai 5,5 miliardi di euro che ogni anno riceve da Bruxelles, tra aiuti diretti ai produttori e misure di sviluppo rurale.
Alessio Pisanò
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Ottobre 5th, 2011 Riccardo Fucile
SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE IL CONTROLLO SULLA REGOLARITA’ DEGLI ISCRITTI SPETTA SOLO AL GIUDICE CIVILE…. SCONGIURATO COSI’ IL RISCHIO DI ANNULLAMENTO DEL VOTO: CI VORRANNO ANNI PRIMA CHE UN GIUDICE CIVILE SI ESPRIMA SULLA FIRME FALSE…I RADICALI: “D’ORA IN POI SARA’ IMPOSSIBILE OTTENERE GIUSTIZIA CONTRO UNA QUALSIASI TRUFFA ELETTORALE”
La Corte Costituzionale ha deciso: spetta solo al giudice civile il controllo sulla veridicità delle firme per la presentazione di liste e candidati alle elezioni. I
l che, considerando che i tempi della giustizia civile in Italia superano di gran lunga la durata di una legislatura, significa solo una cosa: Roberto Formigoni e Roberto Cota, rispettivamente governatori di Lombardia e Piemonte, non rischiano più l’annullamento del voto di maggio 2010, quando sono stati eletti alla guida delle due giunte regionali.
Amara sconfitta, invece, per i Radicali, che avevano raccolto le prove della presunta combine e che ora minacciano di rivolgersi agli organi di giustizia internazionali per ricorrere contro la decisione della Cassazione.
Per ora, tuttavia, i Radicali hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a cui chiedono di intevenire.
Per Marco Cappato, già candidato premier alle regionali ‘incriminate’ (ma poi escluso), la questione “non riguarda soltanto le elezioni regionali del Piemonte, nè soltanto quelle della Lombardia, dove noi Radicali abbiamo portato le prove della gigantesca truffa elettorale compiuta nella presentazione delle liste di Roberto Formigoni, con un migliaio di persone che hanno confermato in Procura della Repubblica di non aver mai firmato quelle liste”.
Per l’esponente dei Radicali — che si rivolge direttamente al capo dello Stato, “la conseguenza della sentenza di oggi significa, per il futuro del Repubblica italiana da Lei presieduta, che d’ora in poi sarà ufficialmente impossibile per chiunque ottenere giustizia contro una qualsiasi, anche se gravissima, truffa elettorale in tempo utile prima della fine del mandato di chi è stato eletto grazie a quella truffa, ad ogni livello locale o nazionale che sia”.
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Ottobre 5th, 2011 Riccardo Fucile
LO STATO DEVE OLTRE 70 MILIARDI AI FORNITORI, FA LE LEGGI SUI TEMPI DI PAGAMENTO E POI NON LE APPLICA …IN COMPENSO PIGNORA ANCHE I MOBILI DI CHI NON PUO’ PAGARE PRIMA DELLA SENTENZA
Se la Pubblica amministrazione piange, figuriamoci l’esercito dei suoi creditori che vede ridursi sempre più le già magre speranze di passare all’incasso.
Non si tratta di somme da poco: i calcoli di Abi-Confindustria di fine 2010 parlavano di un monte crediti scaduti pari a 60-70 miliardi di euro, più della metà dei quali vantati verso il Servizio Sanitario Nazionale.
La cifra poi, secondo Confcooperative che ha considerato tutti i tipi di forniture e tutte le amministrazioni pubbliche debitrici, compresi comuni e province, saliva a quota 200 miliardi.
Una situazione resa sempre meno sostenibile dai tempi di pagamento che al Sud ormai sforano i 400 giorni di ritardo e che si sarebbe dovuta risolvere con la legge 122 del 30 luglio 2010 che prevedeva che dal primo gennaio 2011 i crediti non prescritti nei confronti della pubblica amministrazione potessero essere compensati con le somme dovute al fisco alla voce debiti iscritti a ruolo.
Semplice, anzi, semplicissimo, quindi: l’azienda che ha delle pendenze col fisco e, allo stesso tempo, vanta crediti verso un Comune, una Regione o un ospedale pubblico aspetta che le arrivi la cartella esattoriale e la estingue utilizzando il proprio credito.
Troppo bello per essere vero. E in effetti non lo è, dal momento che per essere efficace la legge avrebbe dovuto essere seguita da un decreto attuativo del ministero dell’Economia che non è mai stato emanato.
Sul tavolo di Tremonti sono invece pervenute almeno un paio di interrogazioni parlamentari sul tema e la risposta è stata che, trattandosi di faccenda delicata, i lavori erano ancora in corso.
Nella manovra-bis, poi, si era aperto uno spiraglio subito richiuso dal maxi-emendamento.
Legittimo sospettare, quindi, che forse qualcuno si è reso conto a metà strada dell’evidente problema di gettito mancato che comporterebbe la compensazione denudando ulteriormente un re già in mutande, con buona pace delle aziende già sotto stress per la crisi.
Sorvoliamo, poi, sull’iniquità di fondo di questa normativa che non prende in considerazione almeno un paio di aspetti fondamentali.
Non tiene conto che perfino in Italia potrebbero anche esserci delle aziende virtuose senza alcun debito già a ruolo o in procinto di diventarlo, ma per le quali non è prevista alcuna via di uscita tranne la paziente attesa del pagamento di quanto dovuto da parte della Pubblica amministrazione.
Come dire: lavori per lo Stato? Bene, non pagare tasse o multe e sarai a tua volta pagato per il tuo lavoro.
Da non trascurare, poi, il fatto che l’iscrizione a ruolo di un debito comporta il pagamento di interessi.
E così se io vanto un credito di 100, non posso compensarlo con un mio debito finchè quest’ultimo non è lievitato a quota 130 a causa degli interessi.
Sul problema ci si sono arrovellati fior di consulenti e lobbisti che hanno sfornato proposte operative affinchè questa norma per lo scambio tra i debiti tributari e i crediti vantati nei confronti della Pubblica amministrazione sia rivista.
Anche per favorire quei fornitori virtuosi (ovvero non in possesso di ruoli) offrendo loro la ragionevole possibilità di cedere il proprio credito a soggetti titolari di avvisi di ruolo o debitori di altri tributi.
Dove per non sforare gli obiettivi di finanza pubblica, la pa avrebbe potuto fissare dei tetti annui delle somme da compensare.
A guastare tutto, però, è arrivata la nuova ondata della crisi che ha talmente messo in dubbio la solvibilità dello Stato e, quindi, della sua amministrazione, che le banche hanno iniziato a rifiutarsi di scontare alle aziende le fatture provenienti dal pubblico. Figuriamoci, quindi acquistarle direttamente a sconto, unica strada finora concessa alle imprese in difficoltà .
Anche perchè le nostre banche sono già strapiene di questo tipo di crediti cosiddetti non performing, letteralmente non performanti cioè dalla riscossione incerta, al punto che a inizio estate qualcuno ha iniziato a rivenderli massicciamente a operatori specializzati.
Che spesso sono stranieri, quindi entità che non hanno la stessa cautela dei nostri istituti di credito nei confronti del pubblico interesse e che potrebbero passare alla cassa senza troppi problemi.
Un rischio sgradevole viste le cifre in ballo.
Tremonti avvisato, mezzo salvato.
Annamaria Usuelli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile
NUOVE REGOLE AL VIA, LO STATO VUOLE INCASSARE 13 MILIARDI…SI DOVRA’ PAGARE ANCORA PRIMA DI UN PROCESSO CHE DEFINISCA CHI HA RAGIONE…MA NON SI DOVEVA AIUTARE CHI ERA RIMASTO INDIETRO?
L’Agenzia delle Entrate cala l’arma “fine del mondo” sui contribuenti: in modo silenzioso, dopo un rinvio estivo e tre rivisitazioni in altrettanti decreti, ventiquattro ore fa l’Agenzia ha offerto al mastino Equitalia uno strumento di rara efficacia.
Dopo 60 giorni dall’avviso al contribuente (“Devi pagare”, e si parla di debiti con lo Stato contratti a partire dal 2007, imposte sui redditi, Iva, Irap), l’Equitalia guidata da Attilio Befera, l’istituzione più temuta del paese, potrà attivare i suoi mezzi per recuperare il debito.
Senza muovere un passo, potrà iscrivere ipoteca sull’artigiano considerato infedele (facendo scattare una comunicazione alla centrale rischi delle banche con conseguente chiusura dei fidi), potrà pignorare il suo conto corrente (rendendo impossibile il pagamento di dipendenti e fornitori), avviare i pignoramenti presso terzi (sono i crediti dei clienti, Equitalia ha il potere di arrivare anche lì) e far partire le ganasce fiscali su auto e van posseduti.
Da ieri, il “titolo di debito” è immediatamente esecutivo: basta un avviso per considerarti in mora.
Non c’è più bisogno di istruire una cartella esattoriale che, ricorsi compresi, portava al saldo dell’eventuale debito entro 15-18 mesi.
Il problema è che in quattro casi su dieci i ricorsi davano ragione al contribuente.
Già .
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha chiesto al suo braccio destro Befera certezza di entrate, gli ha assegnato l’obiettivo 13 miliardi per la prossima raccolta fiscale e, quindi, gli ha offerto una legge che dà al Fisco poteri mai visti nella storia della Repubblica.
Entro 61 giorni dall’avviso – a prescindere dal fatto che l’avviso sia stato ricevuto o dorma in un ufficio delle Poste, in una Casa comunale – il contribuente o paga l’intera somma o contesta pagandone un terzo (più gli interessi maturati).
Si deve saldare prima ancora dell’istruzione di un processo amministrativo che definisca chi ha ragione.
Di fronte al ricorso del cittadino, per sei mesi gli agenti della riscossione non potranno avviare pignoramenti, ma potranno ipotecare una casa e bloccare un’auto.
Se Equitalia, poi, si convince che c’è “fondato pericolo” di perdere il credito, ha il mandato per fare quello che crede: sequestrare una pensione, mandare un bene all’asta immobiliare.
Se il colpito dimostrerà di avere problemi di liquidità – novità della terza e ultima rivisitazione – chiederà a un giudice tributario una sospensiva per fermare l’azione (per 150-180 giorni) oppure aderirà a un concordato (sconto con trattativa).
«Non esiste più diritto alla difesa, devi versare che tu abbia torto o ragione», attacca l’avvocato Alberto Goffi, consigliere regionale Udc del Piemonte, riferimento della rivolta anti-Equitalia.
«Si sta colpendo chi ha fatto dichiarazioni fedeli e oggi, a causa della crisi, non è in grado di pagare le tasse. Non puoi impugnare quello che hai dichiarato, è la condanna a morte delle imprese oneste».
Pietro Giordano, segretario Adiconsum: «Con questi tassi prossimi all’usura crescerà il debito dei contribuenti, le misure introdotte a luglio vengono vanificate».
Già , sull’onda delle sconfitte alle amministrative e le conseguenti urla della Lega («tutta colpa di Equitalia»), a inizio estate il governo innalzò a 20 mila euro il tetto per l’ipoteca sulla prima casa, pretese due avvisi prima di apporre le ganasce fiscali e allungò a 72 mesi le rate per i debiti.
Quindi, per cercare di diminuire il gigantesco contenzioso fermo nelle commissioni di ricorso, l’Agenzia ha avviato un mini-condono per chi aveva contestato.
Ieri, però, è stata sguainata l’arma letale: “60 giorni per pagare”.
A fine mese arriverà il redditometro, quindi il carcere per gli evasori.
I dirigenti dell’Agenzia: «Ora possiamo andare avanti spediti, gli esattori punteranno al sodo. Usciamo dall’Ottocento, entriamo nel Duemila».
Corrado Zunino
(da “La Repubblica“)
argomento: Costume, denuncia, economia, emergenza, Giustizia, governo, Politica, radici e valori, rapine | 1 Commento »
Settembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
STUDIO DELL’ANCI: GIUDIZIO POSITIVO SULL’ICI… TRA LE TASSE MENO DIGERITE DAGLI ITALIANI IL BOLLO AUTO CHE BERLUSCONI AVEVA PROMESSO DI ABOLIRE
Tagliare le tasse: un’autentica ossessione, per Silvio Berlusconi.
Si è sfibrato, a forza di promesse, ma non c’è mai riuscito.
E pensare che l’aveva quasi scoperto, il segreto per garantirsi, tasse o non tasse, il consenso popolare a vita.
È successo a marzo del 2008, poco prima delle elezioni politiche, quando ventilò, lui che ha in mano il gruppo televisivo concorrente, l’ipotesi di abolire il canone della Rai. Cioè l’imposta più odiata dagli italiani.
Lo dice adesso un sondaggio appena sfornato dall’Ifel, il centro studio dell’Anci, l’associazione dei Comuni, in collaborazione con la Swg. Il 45,5% delle 8 mila persone che hanno risposto alle domande degli intervistatori considera il canone pagato alla tivù pubblica l’imposta assolutamente meno digeribile.
Tre volte più insopportabile perfino del bollo auto, saldamente al secondo posto, con il 14,2%, fra le imposte meno popolari: e anche qui il Cavaliere l’aveva azzeccata, quando aveva promesso durante l’ultima campagna elettorale di abolire la tassa patrimoniale sui veicoli. Peccato soltanto che anche quella promessa non sia mai stata realizzata.
Dove invece, stando sempre al sondaggio Ifel-Swg, Berlusconi avrebbe toppato, è sull’abolizione dell’Ici.
Soltanto il 6,4% ritiene l’imposta comunale sugli immobili la tassa peggiore del nostro sistema fiscale: una quota ancora inferiore rispetto a chi assegna la maglia nera all’Iva (9,1%) e all’Irpef (7,5%).
Ma i giudizi sull’Ici non sono l’unica sorpresa del sondaggio.
La più clamorosa è certamente quella riguardante la considerazione complessiva dei tributi, che ribalta completamente il luogo comune secondo il quale gli italiani nutrirebbero un’avversione naturale per il Fisco.
Se per l’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa le tasse erano «bellissime», addirittura il 65% dei partecipanti al sondaggio ritiene che siano un dovere civico (31,6%) o uno «strumento di equità che garantisce servizi a tutti i cittadini» (33,4%).
E il bello è che le percentuali più alte si registrano proprio nel Nord Est, ritenuto probabilmente a torto il cuore pulsante della rivolta fiscale.
Complessivamente il 68,8%, con il record nazionale assoluto di chi ritiene le imposte un «dovere civico» (36,4%) e il valore fra i più bassi di quanti invece le giudicano «uno strumento vessatorio in mano allo Stato»: 29,3%, percentuale di oltre otto punti inferiore a quella riscontrata in Sicilia e Sardegna (37,7%).
Ciò non toglie che per l’80,3% degli intervistati il nostro sistema fiscale favorisce l’evasione.
Un cancro che per il 66,7% degli italiani è da estirpare, risposta che presenta punte del 70,3% al Centro e del 69,6% al Nord Ovest.
Commenta il segretario generale dell’Anci Angelo Rughetti: «Significa che ne hanno conoscenza in qualche modo diretta. Se si consentisse a ciascuno di scaricare le fatture, innescando il conflitto d’interessi, credo che il recupero delle somme evase avrebbe una velocità molto maggiore rispetto a quella di misure anche apparentemente più drastiche come quelle contenute nella manovra».
E veniamo al capitolo degli sprechi.
Alla domanda «qual è l’istituzione che spende meglio i vostri soldi?» il 26,8% ha risposto «il Comune».
È il valore più elevato in assoluto, anche se in diminuzione di 3,8 punti rispetto a un analogo sondaggio del 2008. «La Regione» non è andata oltre il 14,6%, contro il 12,7% di consensi dell’Unione Europea, il 6,7% della Provincia e appena il 5,5% dello Stato centrale.
Conferma, per Rughetti, che «nella generale frattura fra società civile e istituzioni l’unico rapporto che si mantiene saldo è con i Comuni. La prova è che la maggioranza degli intervistati, a precisa domanda, dichiara che preferisce pagare le tasse al suo municipio».
La percentuale maggiore, tuttavia, è quella di chi ha manifestato assoluta sfiducia nei confronti di tutti, dallo Stato al Comune: per il 29,8% degli interpellati nessuno spende bene i soldi pubblici. Tre anni fa non si andava oltre il 22,5%.
Sarà per questo che nemmeno il rapporto fra gli italiani e il federalismo è così avvincente come credono invece i politici?
Fatto sta che fra le riforme considerate «prioritarie» per il futuro quella federalista è soltanto al quinto posto, con il 14,5%.
Nettamente indietro rispetto alla riforma del mercato del lavoro (43,9%), a quella del sistema fiscale (42,7%) e della politica (35,7%).
E se è vero che nelle risposte a tale quesito ci sono notevoli differenze territoriali (al Sud il federalismo è considerato decisivo per appena l’8,1% delle persone), è pur vero che nemmeno nel Nord Est la quota di chi considera la riforma federalista «prioritaria» supera il 22,3%, metà rispetto a chi giudica fondamentale intervenire sul Fisco (43,1%).
E comunque, anche in questo caso, la stragrande maggioranza degli intervistati (il 77,8%) è convinta che con il decentramento sarebbe necessario attribuire più poteri ai Comuni rispetto alle Regioni (65,3%) e alle Province (38,9%).
Sarà vero, come afferma Rughetti, che «i cittadini pensano che il federalismo non serve e non è mai stato attuato, e anzi risorse ingenti sono passate dalla periferia al centro»?
Certo è che da quando è cominciato il balletto sono stati trasferiti dagli enti locali alle amministrazioni centrali ben 5 miliardi di risorse l’anno. Alla faccia della propaganda «federalista».
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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