Settembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
UNA TASSA SULLE RIMESSE IN PATRIA DEGLI IMMIGRATI PROPOSTA DAI RAZZISTI DELLA LEGA… CHI PENSA ANCHE AL RECUPERO COATTIVO DEL CONDONO 2002…IL GOVERNO ESCLUDE DI RICORRERE ALLA FIDUCIA E AUTORIZZA NUOVE TASSE COMUNALI
Un colpo di mano della Lega impone una nuova tassa sui trasferimenti di denaro all’estero da parte di cittadini stranieri che non hanno matricola Inps e codice fiscale.
Questo emendamento alla manovra, approvato in commissione Bilancio al Senato, interessa varie centinaia di migliaia di stranieri sconosciuti ai database della previdenza e del Fisco.
In pratica, clandestini o immigrati sfruttati (i lavoratori “regolari” non saranno toccati), in assenza dei due requisiti, pagheranno a caro prezzo l’invio di soldi al di fuori dei nostri confini: la tassa (ufficialmente è un’imposta di bollo) è parametrata sul 2% di ogni transazione, con una soglia minima di 3 euro.
Ad esempio, per un bonifico di 300 euro effettuato in uno dei tantissimi money transfer sparsi in Italia, gli stranieri sborseranno 6 euro mentre la soglia minima al di sotto della quale sarà meno conveniente inviare denaro, è teoricamente fissata a 150 euro (costo 3 euro).
Le rimesse all’estero degli stranieri ammontano a 6,7 miliardi di euro mentre la nuova “imposta di bollo” potrebbe portare in cassa circa 100 milioni.
Praticamente il nulla, ma tutto fa propaganda ormai.
Anche perchè chi potrà fare il trasferimento di denaro a un amico con codice fiscale, lo Stato non incasserà un euro e Calderoli lo prenderà nel naso come sempre.
Ma dal Senato arrivano anche cattive notizie per gli italiani che hanno dichiarato e “dimenticato” di pagare il condono tombale del 2002.
Agenzia delle Entrate ed Equitalia, potranno imporre il pagamento delle somme non versate “anche dopo l’iscrizione a ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento”.
Entro 30 giorni dall’entrata in vigore partirà una ricognizione e il mese successivo Equitalia potrà avviare azioni “coattive” volte al recupero delle somme entro il 31 dicembre prossimo.
In caso di mancato pagamento le sanzioni salgono al 50% di quanto dovuto.
Non solo: in questo caso Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza, entro il 31 dicembre 2012, potranno passare al setaccio le posizioni dei contribuenti a partire dal 2002.
Inoltre, dal 2015 le maggiori entrate dalla lotta all’evasione andranno a ridurre la pressione fiscale.
Tra le principali correzioni approvate in commissione vanno poi ricordati il salvataggio delle feste laiche, che non saranno più differite alla domenica più vicina (quelle patronali spariranno dal calendario), il paracadute offerto ai piccoli istituti di ricerca e enti culturali, l’addio al blocco delle tredicesime per gli statali.
Aumenteranno, invece, le imposte comunali.
È stato infatti approvato un emendamento del Pdl in base al quale “per assicurare la razionalità del sistema tributario e la salvaguardia dei criteri di progressività , i Comuni possono stabilire aliquote dell’addizionale comunale all’imposta sul reddito, differenziate in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge”.
Bocciato, invece, l’emendamento delle opposizioni che prevedeva l’asta competitiva per le frequenze televisive nel passaggio al digitale.
I lavori proseguiranno per chiudere e dare l’ok alla manovra mentre il voto, come conferma il presidente del Senato Renato Schifani, resta fissato in settimana: “Non vi è alcun rallentamento nei tempi. Il dibattito parlamentare non sarà strozzato in Aula dalla fiducia che impedirebbe ai parlamentari di confrontarsi con correttezza e senso di responsabilità come stanno facendo”.
Anche il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ribadisce il “no” della maggioranza e del governo alla fiducia e annuncia “una convergenza sia con il Pd che con l’Api: noi diremo sì ad un tema caro al Terzo Polo sulla riforma della giustizia e a un emendamento importante del Pd sulla spending review” in base al quale il ministero dell’Economia avvierà una ridefinizione dei fabbisogni standard di spesa delle amministrazioni dello Stato.
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Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
VOGLIONO COLPIRE ANCHE L’ASSISTENZA: FORSE BOSSI NON AVRA’ BISOGNO DELL’ASSEGNO DI ACCOMPAGNAMENTO, CI PENSA GIA’ LA ROSY MAURO A NON FARLO CADERE DAL LETTO, MA LE FAMIGLIE NORMALI SI’.. L’IMPORTANTE E’ NON TASSARE I RICCHI E NON TAGLIARE LE PROVINCE
Un intervento sulle pensioni di reversibilità delle vedove e l’assegno di accompagnamento.
Roberto Calderoli si è presentato al meeting di Rimini con nuove palle mediatiche e vecchie chiusure.
Il ministro della Semplificazione, infatti, ribadisce che sulle pensioni non ci sono margini di manovra. «Direi proprio di no. Il punto di compromesso sull’età pensionabile, frutto di una mediazione lunga e laboriosa tra Lega e Pdl, è contenuto nella manovra bis».
Ma i soldi bisogna trovarli da qualche parte.
Non si esclude neanche il ritorno del condono. Sia pure legato alla delega in materia fiscale e all’avvio del nuovo regime.
E il ministro leghista porta ulteriore scompiglio nel già confuso dibattito sulla manovra con un’altra proposta choc: «Bisogna andare a interessarsi delle pensioni di chi non ha mai lavorato che forse è il caso di andare a rivedere».
Spiega meglio Calderoli che bisogna occuparsi di chi «ha pensioni di reversibilità eccessivamente alte o prende accompagnamenti che oggi vengono dati indistintamente a tutti».
Proposta che fa insorgere le opposizioni. «Calderoli chieda scusa ai disabili e alle vedove», intima subito il portavoce dell’Idv Leoluca Orlando.
«Si vuol colpire in questo modo una platea di persone a basso reddito e socialmente più deboli», commenta Cesare Damiano, ex ministro del Pd.
Calderoli però annuncia un’altra “novità “: «Ci siamo inventati una sorta di tassa patrimoniale sui patrimoni evasi».
Ci sta lavorando un gruppo di esperti della Lega ( e allora siamo a posto n.d.r.) per mettere a punto un meccanismo che, spiega il ministro « si applicherà soltanto a chi su quel patrimonio non ha pagato le tasse o le ha pagate in misura minore al dovuto».
Nel gruppo di esperti che lavora alla proposta ci sono lo stesso Calderoli, Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, convinti che la loro proposta darà un incasso «significativo e superiore al gettito del contributo di solidarietà ».
Tanto da renderlo inutile.
In pratica il terzetto sta studiando come e quanto tassare il patrimonio.
Una volta stabilità l’entità del prelievo chi ha dichiarato tutto il patrimonio può detrarre l’importo delle tassa dalla dichiarazione dei redditi.
Chi non ha rivelato al fisco il reale patrimonio dovrà versare la tassa.
Calderoli dice no anche alla totale abolizione delle province.
E ieri la commissione Bicamerale per gli affari regionali, su proposta del relatore di centrodestra e con il voto favorevole del Pdl, ha votato per lo stralcio dalla manovra di anche quella “scrematura” parziale prevista al momento.
Insomma restano tutte come prima.
Fioccano intanto le altre proposte.
Dai “frondisti” del Pdl, guidati dal sottosegretario Guido Crosetto, per esempio, arriva un emendamento che propone di tagliare dalle piante organiche, entro alcuni anni, un dipendente pubblico su quattro.
Anche Popolo e territorio ha le sue idee e Silvano Moffa chiede un vertice di maggioranza.
Si parla anche di un tetto agli stipendi dei manager pubblici che non potrebbero guadagnare più del presidente della Corte di Cassazione.
Tutti nodi che dovrebbero essere sciolti lunedì in vertice fra Bossi e Berlusconi.
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Agosto 20th, 2011 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI PAGANO OGNI ANNO UNA TASSA OCCULTA DI 400 MILIARDI PER COLPA DI VARIE CATEGORIE DI LADRI: 120 DI EVASIONE FISCALE, 60 DI CORRUZIONE, 52 DI LAVORO NERO, 43 IN INFORTUNI SUL LAVORO, 18 IN MERCI CONTRAFFATTE, 20 IN ABUSI EDILIZI, 135 NEL FATTURATO DELLA MAFIA, ALTRI IN TRUFFE ALLA UE…. RECUPERANDO SOLO IL 10% DI QUESTA SOMMA AVREMMO COPERTO LA MANOVRA DEL GOVERNO
Sulla proposta Idv-Pd, che riprendeva quella del Fatto per ritassare seriamente i capitali scudati due
anni fa al 5% va in scena il solito copione: qualche peone del Pdl si dice possibilista, poi B. propone un altro scudo fiscale, poi ritira l’idea, così tutti respirano per lo scampato pericolo e dimenticano il resto.
Morta lì, come se l’opposizione non avesse null’altro da proporre in alternativa alla rapina di governo.
Alcune ricette sacrosante le conosciamo, ma sono al momento pure chimere per mancanza di una maggioranza che le approvi: abolire tutte le province; ripristinare l’Ici (unica imposta federale) e la tassa di successione (imposta liberale quant’altre mai, che spezza la rendita e rimette in circolo i capitali); allungare l’età pensionabile secondo gli standard europei; disboscare la Casta col machete.
Molto più utile sarebbe sfidare Pdl e Lega dinanzi ai loro elettori inferociti con alcune proposte a costo zero, che porterebbero nelle casse dello Stato decine di miliardi senza sfiorare le tasche degli onesti, ma saccheggiando quelle dei ladri.
Il punto di partenza sono i dati raccolti da Nunzia Penelope in Soldi rubati (Ponte alle Grazie) sui 400 miliardi di “tassa occulta” che ogni anno paghiamo per colpa di varie categorie di ladri: 120 se ne vanno in evasione fiscale, 60-70 in corruzione, 52 in lavoro nero (l’evasione contributiva coinvolge almeno 3 milioni di lavoratori sommersi), 43 in infortuni sul lavoro, 18 in merci contraffatte, 5 in crac finanziari, 20 in abusi edilizi, 135 nel “fatturato” delle mafie che però sventuratamente non fatturano; infine le truffe all’Ue che ingoiano il 40% dei contributi per le zone depresse.
Basterebbe ridurre queste voci del 10% e avremmo ogni anno 40 miliardi in più.
Pareggio di bilancio assicurato a spese dei ladri, anzichè degli onesti.
Qualche idea, in ordine sparso.
1) La corruzione si combatte, oltrechè riformando la Pubblica amministrazione e ritirando la mano pubblica dall’economia, con la repressione. Il 1° marzo 2010, in pieno scandalo Cricca, il Consiglio dei ministri licenziò un ddl anticorruzione-brodino che poi si perse nei meandri del Senato.
Perchè non fare una battaglia per riesumarlo ed emendarlo con la proposta organica lanciata dal Fatto un anno fa e sposata da Pd, Idv, Fli e Sel?
Si tratta di recepire la Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione, sottoscritta a Strasburgo nel ’99 e mai ratificata dall’Italia, allo scopo di: accorpare corruzione e concussione in un unico reato che vieta al pubblico ufficiale e all’incaricato di pubblico servizio di prender soldi da chicchessia; introdurre nuovi reati puniti in tutto il resto dell’Occidente: autoriciclaggio, corruzione fra privati e traffico di influenze illecite.
2) Ripristinare il reato di falso in bilancio sciaguratamente abolito, di fatto, dal secondo governo Berlusconi nel 2002.
3) Riformare la prescrizione, arrestandola al momento della richiesta di rinvio a giudizio e cancellando la legge ex Cirielli (oggi la corruzione si prescrive 7 anni e mezzo dopo che è stata commessa, mentre prima scattava dopo 15).
4) Rilanciare le proposte della commissione Mastella del 2006 (comprendeva i magistrati Davigo, Greco, Ielo) per una Giustizia che si autofinanzi recuperando il maltolto della criminalità economica e fissando una cauzione sulle impugnazioni.
5) Riformare i reati fiscali all’americana: triplicando le pene, ora talmente irrisorie (3 anni per la dichiarazione infedele e 6 per la frode) da garantire all’evasore che non farà un giorno di galera e si terrà il bottino; e abolendo le soglie di non punibilità introdotte dall’Ulivo, che consentono di evadere ogni anno fino a 50mila euro (frode) e 100mila (dichiarazione infedele) senza finire in tribunale. Lo slogan berlusconiano contro il “mettere le mani nelle tasche degli italiani” si sta rivelando per quello che era: una truffa.
Si attende qualcuno che se ne intesti un altro, più etico e realistico ma altrettanto popolare: “mettere le mani nelle tasche e le manette ai polsi dei ladri”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 20th, 2011 Riccardo Fucile
PER RECUPERARE GETTITO, LE BOLLETTE AUMENTANO A RITMO DOPPIO DELL’INFLAZIONE…DUE COMUNI FALLITI FATTI RIENTRARE NELL’ELENCO DELLE AMMINISTRAZIONI VIRTUOSE: I CASI DI CATANIA E TARANTO
In Italia capita anche questo. 
Succede che due Comuni praticamente falliti finiscano nell’elenco delle amministrazioni più virtuose, quelle premiate dallo Stato con la possibilità di spendere più soldi rispetto ai limiti ferocemente imposti dal Patto di Stabilità . Possibile che nella lista ci sia anche Catania?
La città dove il neosindaco Raffaele Stancanelli, appena eletto a metà 2008, denunciò con le mani tra i capelli un miliardo di debiti nascosti nelle pieghe del bilancio?
Dove il suo predecessore era inseguito da torme di creditori di tutte le specie, dai librai cittadini alle ballerine brasiliane?
Dove le strade erano al buio perchè non erano state pagate le bollette dell’Enel?
E dove, per assurdo, il bilancio di quel 2008 appariva talmente in ordine da far guadagnare a Catania un premio da 983.411 euro?
Premio, per inciso, negato a città mai censurate per cattiva amministrazione, come Sondrio, Belluno, Asti…
Catania come Taranto.
Comune dichiarato ufficialmente in dissesto finanziario e sommerso da un debito pazzesco di 616 milioni di euro, dove succedeva davvero di tutto. Perfino che 23 dipendenti, dopo essersi aumentati lo stipendio da soli rubando alle casse municipali 5 milioni, restassero miracolosamente al loro posto.
Una città talmente sprofondata nel buco nero dei debiti, che i liquidatori ci hanno messo tre anni per ricostruire la contabilità e pagare i creditori.
Con i denari dei contribuenti, naturalmente.
Gli stessi quattrini che due anni dopo hanno permesso alla città di incassare un bel «premio» da 1.378.069 euro.
Difficile spiegare tutto questo.
Una sola cosa è certa: l’elezione diretta di sindaci e governatori e la riforma del Titolo V della Costituzione, voluta nel 2001 dal centrosinistra, hanno dato agli amministratori locali maggiori poteri, ma non maggiori doveri.
Da allora ad oggi metà della spesa pubblica è passata dal centro alla periferia, ma il compito di tassare i contribuenti è rimasto allo Stato, perchè Regioni, Comuni e Province sono responsabili solo del 18% delle entrate.
La finanza locale, già caotica, è diventata ancora più disordinata.
E indebitata, perchè mentre montava il caos normativo e istituzionale, da Roma, inseguendo il risanamento dei conti pubblici, hanno cominciato a tagliare i trasferimenti di bilancio.
Fatto sta che oggi gli italiani si trovano appesantiti, solo a livello locale, da 45 fra tasse, tributi, canoni, addizionali, compartecipazioni, con la pressione fiscale complessiva che è schizzata nel 2009 al 43,5%, al terzo posto fra i Paesi dell’Ocse.
Nonostante le promesse di riduzione e semplificazione che ci sentiamo ripetere da almeno dieci anni.
Per raggranellare denaro i sindaci hanno dato sfogo alla fantasia.
Alcuni hanno anche rispolverato la «tassa sull’ombra» del 1972, che colpisce «la proiezione sul suolo pubblico di balconi, tende e pensiline».
Con le casse sempre più vuote, ma nessuna voglia di incidere sulle spese improduttive, gli enti locali hanno di fatto scaricato sui cittadini i sacrifici imposti dal governo centrale.
Aggirando ad esempio il blocco delle addizionali comunali sull’Irpef, in vigore dal 2008, pompando le tariffe.
Anche i governi, poi, ci hanno messo del loro.
Per esempio con l’abolizione dell’Ici sulla prima casa, l’unica tassa «federalista» vigente in Italia, sacrificata sull’altare dell’ultima campagna elettorale.
E pazienza se, come rivelava uno studio dell’Ifel, l’istituto di ricerca dell’Anci, tra il 2004 e il 2009 le tariffe comunali sono cresciute a una media del 3,5% annuo.
Il doppio dell’inflazione, con punte stratosferiche per i rifiuti (+29% tra il 2004 e il 2009, e continuano ad aumentare) e i servizi idrici, le cui tariffe crescono in media del 5% l’anno.
Dopo l’immondizia e l’acqua, l’ondata dei rincari nel 2010 e in questo primo scorcio del 2011 si è abbattuta su asili nido, mense scolastiche, piscine e impianti sportivi, musei, servizi cimiteriali, trasporto locale.
E nel Milleproroghe, appena approvato dal Senato, c’è una nuova sorpresa: tutti i Comuni, anche quelli che non si trovano in emergenza rifiuti, potranno aumentare le tariffe fino a coprire l’intero costo del servizio.
Incrociamo le dita.
Il caso dell’Ama, che oltre ad essere l’azienda municipalizzata per l’ambiente del Comune di Roma è anche uno straordinario collettore di voti, forse vale per tutti come cattivo esempio di amministrazione.
Il bilancio del 2008 si è chiuso con una perdita monstre di 257 milioni di euro. E il 2009 sarebbe stato archiviato con un altro buco di 70 milioni, senza il contributo di 30 milioni erogato dal Comune e l’aumento delle tariffe per ben 40,8 milioni di euro.
E tutto questo mentre i crediti verso gli utenti morosi aumentavano, in dodici mesi, di 108 milioni, raggiungendo la cifra astronomica di 623 milioni di euro. La circostanza non ha comunque impedito all’azienda di assumere nuove legioni di dipendenti: 91 nel 2008, 489 nel 2009, 766 nel 2010.
Impiegati, netturbini, perfino 164 spalatori di foglie ingaggiati in un colpo solo. Poi, naturalmente, anche parenti e amici dei politici.
Per rendersi conto del disordine che regna negli enti locali del nostro Paese, del resto, è sufficiente dare uno sguardo a una tabella elaborata dal senatore Marco Stradiotto, componente della Bicamerale sul federalismo, sui dati del ministero dell’Interno.
Si scopre, per esempio, che su ogni cittadino di Cosenza grava un costo del personale comunale di 506 euro l’anno: quasi il doppio rispetto a una città poco più grande come Cesena (271 euro), e addirittura il 117% in più nei confronti di Catanzaro (233).
Per non parlare delle differenze macroscopiche che ci sono fra Regione e Regione.
La Sicilia, con metà dei residenti della Lombardia, sopporta una spesa per il personale regionale nove volte superiore (un miliardo 782 milioni contro 202 milioni).
E investe nelle infrastrutture ferroviarie 13,9 milioni l’anno, 57 volte meno della Lombardia (786 milioni).
Differenze eclatanti, che danno anche la dimensione dell’assistenzialismo in salsa locale.
Il bello è che cominciano a saltare fuori solo adesso.
Dopo che i tecnici della Commissione mista tra governo ed enti locali per l’attuazione del federalismo, guidata da Luca Antonini, sono quasi impazziti per riportare su base omogenea i bilanci dei Comuni, dove molte spese sono nascoste dall’esternalizzazione dei servizi, e delle Regioni, scritti in quindici modi diversi.
In attesa di quello fiscale, in Italia regna da sempre il federalismo contabile, nel senso che ognuno si fa il bilancio a modo suo.
E a nulla sono valsi, finora, i tentativi di mettere un po’ d’ordine.
Vi siete mai chiesti perchè da qualche tempo in qua se un’amministrazione di destra sostituisce una di sinistra, o viceversa, la prima cosa che fa è mettere i libri contabili in mano a un ispettore del Tesoro?
Certamente per scaricarsi delle responsabilità dei predecessori.
Ma anche perchè i bilanci sono così complicati e poco trasparenti che dentro ci si può nascondere di tutto.
Dalla due diligence eseguita dalla Ragioneria generale dello Stato sui conti della Campania, richiesta dall’attuale governatore Stefano Caldoro, sono saltati fuori «bilanci di previsione fortemente sovradimensionati rispetto al reale andamento degli impegni, e pagamenti ancora più incoerenti».
Per dire poi come sia possibile piegare i bilanci a ogni esigenza, la Regione, allora guidata da Antonio Bassolino, ha pagato spese che non potevano essere coperte facendosi prestare i soldi dalle banche.
Come la manutenzione dei boschi (210 milioni), oppure il servizio di «monitoraggio» (21 milioni) del patrimonio forestale alla Sma Campania, società partecipata dalla Regione che aveva assunto 568 lavoratori socialmente utili.
Le cose non vanno meglio con i bilanci dei Comuni.
Nell’estate del 2010 la Corte dei conti ha trovato in quello di Foggia cose turche.
Non esisteva un inventario dei beni comunali, ma in compenso c’era un contenzioso civile devastante, con decreti ingiuntivi per 30 milioni.
Nel bilancio erano contabilizzate come residui «attivi» somme impossibili da incassare. Insomma, una baraonda totale.
I decreti attuativi sul federalismo fiscale ora promettono di metterci una pezza, imponendo l’omogeneità dei bilanci.
Ma non a tutti, perchè per le Regioni a statuto speciale le regole sono dettate dagli Statuti, che hanno rilevanza costituzionale.
Dietro l’angolo si profilano altre insidie, ma non si può che partire da qua. Facendo ordine nel caos dei numeri, mettendo al bando con la trasparenza i giochi di prestigio degli amministratori furbacchioni.
Poi toccherà ai cosiddetti «fabbisogni standard», che dovrebbero far superare il principio della «spesa storica», grazie al quale vengono premiate le amministrazioni più spendaccione.
Di che cosa si tratta?
Si stabilisce sulla base di parametri economici e territoriali qual è il costo efficiente di un servizio: la polizia locale, l’asilo nido, l’impianto sportivo…
Chi vuole spendere di più si arrangi.
Dallo Stato non arriverà un euro in più: o si risparmia altrove, o bisognerà aumentare le tasse, e poi rendere conto, ai propri elettori.
Ma questo, come vedremo nelle prossime puntate, non è affatto «federalismo».
Anche Luca Antonini parla di «razionalizzazione della spesa pubblica».
La devolution è un’altra cosa.
Anche se ci ostiniamo a chiamarla così.
Mario Sensini e Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 8th, 2011 Riccardo Fucile
SILVIO E UMBERTO UNITI DAL COMUNE INTERESSE A SALVARSI IL CULO, CHI DAI MAGISTRATI, CHI DAI FORCONI PADANI… MA NON HANNO LA MAGGIORANZA NELLE COMMISSIONI E I “RESPONSABILI” AVVERTONO CALDEROLI : “NIENTE DIKTAT SUL FEDERALISMO, ALTRIMENTI A CASA CI VA LA LEGA”
Federalismo in cambio del processo breve.
È questo il patto contrattato da Bossi e Berlusconi nella cena di Arcore: il Carroccio garantirà la blindatura del provvedimento ammazza-processi, il Pdl si schiererà a testuggine sugli ultimi cinque decreti preparati da Calderoli.
Il premier infatti è angosciato per la piega che stanno prendendo gli eventi, con le procure che lo cingono d’assedio.
Una prova la si è avuta persino al consiglio europeo di Bruxelles.
Stando alla ricostruzione de La7 il Cavaliere venerdì avrebbe arringato i leader dell’Ue con una tirata contro i pm italiani: “Cari colleghi, qua ci si sta occupando dell’Egitto, ma c’è un altro Paese del Mediterraneo che ha grossi problemi, che è sull’orlo della catastrofe ed è l’Italia dove i giudici vogliono processarmi”.
Chissà che risate si sono fatti i leader europei.
Il premier vede nero, ma quello siglato con Bossi è un patto scritto sull’acqua finchè il centrodestra non riprenderà il controllo delle commissioni chiave del Parlamento: la bicameralina La Loggia, la Bilancio e la Giustizia.
E persino l’ufficio di presidenza, dove i numeri sono 11 a 8 per l’opposizione. “Se Fini e Schifani non si danno una mossa – è il monito di Bossi – allora dovrà essere Napolitano a occuparsene”.
Il pressing della Lega è insistente, tanto che del “riequilibrio” della commissione La Loggia i leghisti intendono discutere domani proprio con il Capo dello Stato, per chiedere che eserciti la sua moral suasion su Gianfranco Fini.
Spetta infatti ai presidenti delle Camere garantire il rispetto della “proporzionalità ” della commissione e i leghisti temono che il leader di Fli, pur di “creare problemi a Berlusconi”, possa far melina e prendere tempo.
Un tempo che Bossi non può permettersi di perdere, visto che la bicamerale La Loggia dovrebbe concludere entro il 7 marzo l’esame del decreto cardine del federalismo, quello sul fisco regionale e la sanità .
“Dobbiamo intervenire subito”, ha convenuto il premier, “non possiamo aspettarci nulla di buono da Fini”.
Per questo ad Arcore hanno anche ipotizzato un blitz, una modifica all’articolo 3 della legge delega sul federalismo per aumentare il numero dei componenti della Bicameralina così da permettere l’ingresso di uno dei Responsabili e riconquistare la maggioranza.
Chi se ne sta occupando lo definisce scherzando il “comma Scilipoti” e potrebbe essere inserito nel decreto Milleproroghe.
Intanto dall’entourage del presidente della Camera fanno sapere che ancora “non è arrivata alcuna richiesta formale di verificare il rispetto del criterio di proporzionalità della commissione”.
Insomma al momento, nonostante la fretta di Bossi, non c’è nemmeno una pratica istruita.
E il problema non è tanto semplice da risolvere perchè, per far posto a uno dei Responsabili, qualcuno altro dovrebbe dimettersi.
Uno del Terzo Polo, insistono nel Pdl, visto che “adesso hanno quattro rappresentanti”. Il problema è che nel Terzo Polo nessuno dei quattro membri ha intenzione di favorire questo “riequilibrio”: Baldassarri infatti rappresenta Fli, Linda Lanzillotta l’Api, Galletti l’Udc e il senatore D’Alia è entrato come membro delle Autonomie.
Un pasticcio insomma, che potrebbe essere risolto solo con un “gentlemen’s agreement” di cui oggi non si vede assolutamente traccia.
La Lega è nervosa, minaccia ritorsioni per spaventare Berlusconi e Fli.
Per questo Calderoli ieri è tornato a rispolverare il linguaggio bellicoso di qualche mese fa, ipotizzando di “staccare la spina” al governo.
Il problema è che la coperta ormai è corta e se i leghisti riparlano di voto anticipato, la nuova terza gamba della maggioranza – Iniziativa Responsabile – tira dalla parte opposta.
“Calderoli deve stare attento – spiega Saverio Romano, segretario dei Pid – perchè chi stacca la spina alla fine si può anche ritrovare all’opposizione. La nostra “responsabilità ” non è nelle mani di nessuno, nemmeno in quelle di Berlusconi. Nessuno ci può dire: o passa il federalismo oppure tutti a casa. A quel punto non si può nemmeno escludere che 5 o 6 responsabili si rendano disponibili per sostenere un altro governo che porti a termine la legislatura”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 4th, 2011 Riccardo Fucile
ALLARME DEI COSTRUTTORI: 9.000 EURO DI COSTI EXTRA PER I TASSI TROPPO ALTI… IN ITALIA TASSI DEL 4,1% CONTRO LA MEDIA UE DEL 3,7%… LE BANCHE TENDONO AD EROGARE IL TASSO VARIABILE
Sono in Italia i mutui più cari d’Europa. Lo denuncia l’Ance.
Messi al tappeto dalla crisi
, i costruttori edili puntano il dito anche contro il caro mutui, che secondo loro finisce per costituire un ostacolo alla ripresa del mercato immobiliare.
Sotto accusa le banche, che rispetto agli altri Paesi della Ue, finiscono per far pagare di più i finanziamenti per l’acquisto dell’abitazione.
Per dimostrarlo l’Ance ha preso come base di riferimento i tassi sui mutui alle famiglie della Bce e ha ipotizzato un finanziamento in Italia e Eurolandia pari a 150mila euro (durata di 25 anni).
Quindi ha tirato le somme: il risultato è che lo stesso mutuo in Italia costa 9mila euro in più.
Se sottoscritto a settembre, perchè ad agosto la cifra arrivava a 17mila euro.
Ma prendendo per buono settembre “è come se le famiglie italiane pagassero per dodici mesi in più rispetto a quelle europee”, sottolinea l’Ance nel rapporto “Il credito nel settore delle costruzioni in Italia”.
Comportamento che secondo l’associazione dei costruttori è poco giustificato perchè “la rischiosità delle famiglie italiane è rimasta molto bassa dall’inizio della crisi a oggi, al contrario di quanto accaduto in molti Paesi europei, caratterizzati da un forte indebitamento individuale”.
Un aspetto che non è sfuggito all’Abi, che nell’ultimo report di dicembre evidenzia come “l’incidenza delle sofferenze dei debitori famiglia si contiene all’1,5% del totale erogato”.
Sotto accusa, secondo l’associazione dei costruttori, va messo il differenziale dei tassi di interesse tra Europa e Italia: mentre in Eurolandia a settembre i tassi medi sui mutui erano al 3,74%, in Italia la media era al 4,1%, con una differenza dello 0,36%.
Un margine che a settembre, ammette l’Ance, si è ridotto, dopo il massimo di agosto (0,69%), ma che stenta a sparire.
C’è una “resistenza a scendere dei tassi rispetto all’Irs 10 anni (il tasso base di indicizzazione)”, scrive l’associazione, che ricorda come la stessa Banca d’Italia nella relazione annuale, abbia denunciato il più alto livello dei tassi.
Ma c’è di più, continua l’Ance.
Gli italiani non solo pagano rate più salate, ma spesso sono “costretti” ad assumersi rischi di cui farebbero volentieri a meno.
“I tassi maggiormente richiesti dalle famiglie – scrivono i costruttori – sono il fisso e il variabile con cap (che ha un tetto che blocca gli aumenti)”.
Le banche, accusa l’Ance, “continuano però a erogare più della metà dei mutui a tasso variabile”.
E dato che “le aspettative sui tassi sono al rialzo, da tempo si esprimono dubbi su questo comportamento che mina la solidità del mercato”.
Barbara Ardù
(da “la Repubblica“)
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Agosto 31st, 2010 Riccardo Fucile
IL LEADER LIBICO E IL PREMIER ITALIANO IN SOCIETA’, ATTRAVERSO FININVEST E LAFITRADE, IN QUINTA COMMUNICATIONS, LA SOCIETA’ DI COMUNICAZIONI DI BEN AMMAR… LA LIBIA HA SPESO 2,5 MILIARDI PER ENTRARE IN UNICREDIT, HA L’1% DI ENI, IL 14,8% DI RETETIL, LAVORA CON ANSALDO, FINMECCANICA, IMPREGILO…. E COSI’ SILVIO PUO’ ENTRARE NEI SALOTTI BUONI DELLA FINANZA
La visita di Gheddafi in Italia è continuata anche ieri tra le polemiche e le provocazioni del leader libico e il silenzio interessato del nostro governo. Gheddafi, non pago dei 5 miliardi regalatigli dall’Italia per fare il lavoro sporco di affogamento dei profughi, ha sostenuto che anche l’Europa gli deve dare 5 miliardi di euro l’anno per porre un freno al fenomeno migratorio.
Ha poi sostenuto che “le donne in Libia sono più libere che in Occidente” perchè possono stare a casa a preparare il pranzo ai mariti e anche a fare la calzetta, per concludere in serata con l’apologia di chi ha “giustiziato Mussolini” senza processo.
Detto da un assassino di studenti e oppositori, nonchè da un finanziatore del terrorismo internazionale, è indubbio che il soggetto avesse sicuramente tutte le credenziali per sostenere una tesi del genere.
Nel corso della cena con 800 invitati era stato persino severamente vietato porre al leader libico domande sui diritti umani e la tutela dei profughi in Libia. “Chi non capisce appartiene al passato”, ha spiegato il premier.
L’idea di islamizzare l’Europa non lo turba, in fondo basta che resista all’assedio il perimetro di Villa Certosa e sia garantito il pass alle veline in tubino nero.
Del resto sai che gliene frega.
Se poi i giudici, una volta islamizzati, non portassero a fondo i suoi processi ancora meglio, si convertirebbe subito all’Islam.
I più seri, in fondo, si sono dimostrati i carabininieri che hanno preteso per il loro tradizionale Carosello di non avere “nessun contatto” con la sceneggiata berbera.
Mentre molti, anche nella maggioranza, hanno parlato di una sceneggiata ignobile a danno del nostro Paese, è continuato il pellegrinaggio degli imprenditori alla tenda di Gheddafi ( in realtà dorme in un comodo letto all’ambasciata libica).
Perchè sono gli affari il vero motivo dell’amicizia tra il leader libico e Berlusconi.
Vediamo di approfondire quali.
Gli affari diretti ufficiali sono pochi. Gheddafi ha un tesoretto personale di 65 miliardi di dollari, sottratti al popolo libico evidentemente, visto che si tratta di petrodollari e non c’è scritto da nessuna parte che a lui spettino per la carica che ricopre in modo dittatoriale.
Attraverso Fininvest e Lafitrade, Gheddafi e Berlusconi, hanno una bella quota entrambi di Quinta Communications, società di produzione cinematografica di Tarak Ben Ammar, l’imprenditore franco-tunisino socio di Silvio in parecchie iniziative.
In realtà l’interesse è reciproco: Silvio ha sdoganato la Libia sui mercati internazionali e ne ha pilotato gli investimenti ad uso e consumo dei suoi interessi, politici e imprenditoriali, in Italia. Continua »
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Luglio 25th, 2010 Riccardo Fucile
GLI ASSASSINI SONO RAGAZZI DI PROVINCIA BENESTANTI: AMMAZZANO BARBONI, PROSTITUTE, OMOSESSUALI PER “RIPULIRE IL MONDO”… RIVERSANO SUGLI ALTRI IL “MALE OSCURO” DI UNA ESISTENZA SENZA PROBLEMI ECONOMICI IN QUEL NORD EST CHE PARTORISCE BENESSERE E DELITTI, CON IL SOLO MITO DEL LAVORO E DEL DENARO
Un altro serial killer di prostitute, stavolta dal nome esotico, Ramon Berloso, 35 anni,
catturato appena in tempo: stava programmando il suo terzo omicidio, dopo quello di Ilenia e Diana, sarebbe toccato a una escort di Udine.
Per l’occasione aveva acquistato una nuova balestra, arma con cui trafiggeva le vittime, dopo averle tramortite a bastonate.
E’ una violenza senza nome, quella del Triveneto: quella locomotiva d’Italia che partorisce industrie, benessere e delitti, tra valli e colline fino al delta del Po.
Delitti maturati in famiglia e sulla strada, tra le mura di case padronali e nei casolari sperduti di campagna.
Gli assassini sono sempre loro, ragazzi di provincia di buona nascita, benestanti, che nel freddo della nebbia di provincia, scelgono di riversare sugli altri quel “male oscuro” che hanno nella testa e nel cuore.
Durò sette anni il terrore di Ludwig in Veneto, un bilancio complessivo di 15 morti e 39 feriti, ma gli investigatori non hanno mai escluso che i morti potessero essere almeno 28.
Ludwig erano Marco Furlan, padovano, e Wolfang Abel di Dusserdolf, ammazzavano barboni, prostitute, omosessuali perchè “dovevano ripulire il mondo”, così scrivevano nei loro farneticanti volantini.
Furlan era figlio del primario del Centro ustionati di Verona e alcune delle vittime furono arse vive, a cominciare da un barbone che dormiva in una vecchia auto.
Condannato a 27 anni, ora Furlan è libero dall’aprile 2008.
A metà degli anni ’90 riempì le cronache invece Gianfranco Stevanin, figlio di una famiglia padovana di proprietari terrieri: divenne un serial killer di prostitute, scannate, fatte a pezzi e seppellite nella campagna veneta. Continua »
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Luglio 22nd, 2010 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTO DI PROTESTA DI CONFAGRICOLTURA: LA COMMISSIONE EUROPEA INTERVENGA A RIPRISTINARE LA LEGALITA’…ANCHE GALAN CHIEDE CHE L’EUROPA CI SANZIONI…I QUATTRO MILIARDI LI RESTITUISCA LA COCCA BOSSI-TREMONTI
In spregio ad ogni appello all’equità e alla tutela dei diritti delle persone oneste, la
Commissione Bilancio del Senato ha approvato, con un solo voto di scarto, l’emendamento alla manovra che dispone una sospensione fino al 31 dicembre del pagamento della rata delle multe sulle quote latte per i produttori che hanno aderito alle rateizzazioni.
Tutto ciò nonostante il parere negativo del ministro Galan e del Pdl che poi in commissione ha dovuto appoggiarlo per imput dall’alto.
Una delle pagine più vergognose della storia repubblicana, in cui Tremonti e Bossi hanno protetto dei mascalzoni che hanno fatto i furbi: mentre undicimila produttori infatti hanno pagato a suo tempo, 65 si ostinano a non pagare, tutelati da due ministri della Repubblica.
Ciò è costato in questi anni allo Stato italiano 4 miliardi di multe già pagate alla Ue, mentre sono stati incassati appena 320.000 euro.
In pratica il governo ha perso 3,7 miliardi che avrebbe potuto ora impiegare diversamente.
Anche il premier ha dato ragione alla tesi di Galan, ma è ormai noto che quando la Lega ricatta, Silvio scatta sugli attenti.
Il premier non ha avuto il coraggio di prenderli a pedate nel culo, come si addice assestare ad ogni politico che chieda qualcosa di illegale e ora arriverà una sonora multa dalla Ue, nell’ordine si vocifera di 1 miliardo di euro, tanto paga il contribuente italiano.
Confagricoltura stigmatizza con parole dure questo vero e proprio atto di forza a tutela degli interessi dei pochi allevatori che hanno aderito alla sanatoria introdotta dalla Legge 33, voluta dall’ex ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia.
“E’ una legge che si può dunque a buon titolo definire ‘ad personas’ e a cui il nuovo rinvio dei pagamenti definito nell’emendamento passato al Senato garantisce altri spazi di dilazione”. Continua »
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