Giugno 13th, 2021 Riccardo Fucile
JARED GIOCA CON IL CODOGNO, I TIFOSI RAZZISTI SONO DI VARZI (PAVIA)… CI VUOLE TANTO A CHIUDERE I CANCELLI E IMPACCHETTARE QUESTI RIFIUTI UMANI?
La storia è nota. Jared Zamble, 27enne italo-ivoriano nato a Cremona e calciatore del Codogno calcio, è stato raggiunto da insulti razzisti, versi della scimmia e altre offese durante una partita di calcio contro il Varzi, squadra di un paese in provincia di Pavia. Jared, appena entrato in campo, aveva realizzato un gol.
Da lì la pioggia di offese, continuate poi da un solo individuo, presto allontanato dalle tribune. In campo lo sgomento. I compagni gli sono stati vicini, così come gli avversari. Lui, su domanda dell’arbitro, non ha voluto fermare il gioco, realizzando la seconda rete pochi minuti dopo che ha consegnato i tre punti al Codogno.
Fanpage.it l’ha raggiunto per parlare di quanto successo. Un episodio che, purtroppo, non è stato il primo.
Ci racconti come è andata?
Era il turno infrasettimanale di campionato, una trasferta a Varzi. Partivo dalla panchina perché di rientro da un infortunio e poco dopo essere entrato in campo ho segnato il primo gol. Da quel momento dagli spalti sono arrivati gli insulti razzisti e i versi della scimmia da parte di un gruppetto di persone. In particolar modo me la sono presa con un signore che ha proseguito nelle offese anche dopo che gli altri avevano smesso.
Come si sono comportate le altre persone?
L’avevano isolato, ma lui continuava in maniera veramente fastidiosa. Proseguiva nel fare i versi della scimmia.
Tu come hai reagito?
Non bene. Gli ho fatto capire senza giri di parole che è fin troppo facile offendere qualcuno quando questi è in campo ed è praticamente indifeso e impotente. Ero molto agitato.
E gli altri giocatori?
I miei compagni e gli avversari stessi si sono indignati più di me per quello che stava accadendo. Questa cosa mi ha sorpreso molto. Tanto che mi sono detto: “Allora non sono il solo”. Sono questi gesti che ti fanno andare avanti.
Molti ti chiedono: perché non hai fermato la partita?
Non ce ne era bisogno. Il problema non era in campo, ma fuori. Alla fine è stata la decisione giusta anche in ottica classifica, perché pochi minuti dopo ho fatto il secondo gol. Quale occasione migliore per mettere a tacere la stupidità.
Era la prima volta che succedeva?
Magari. È successo parecchie volte, sia con il pubblico che con alcuni avversari in campo. È stato un po’ un cruccio di tutta la mia carriera.
Ti sono stati vicino anche fuori dal campo?
Mi sono arrivati tantissimi messaggi di supporto, anche da gente che non conosco. Qualcuno mi ha scritto che si vergognava di essere italiano per quello che mi è successo. Io gli ho detto che non è giusto vergognarsene, anche perché io stesso sono italiano e non siamo tutti così.
Chi è Jared Zamble?
Un cittadino italiano che ha preso la cittadinanza a 18 anni nonostante sia nato qui 27 anni fa. I miei genitori sono ivoriani e vivono qui da trent’anni. Io dico sempre di essere al 99 per cento italiano e per l’1 per cento ivoriano.
Hai qualcosa da dire alle istituzioni?
No, più che altro non si capisce perché se sei nato qui, hai fatto tutto qui e non sei mai andato via, tu debba pagare per essere riconosciuto quale italiano.
(da Fanpage)
argomento: Razzismo | Commenta »
Giugno 12th, 2021 Riccardo Fucile
IL PADRE SPORGE DENUNCIA AI CARABINIERI: “UN COMPORTAMENTO IGNOBILE, NON MI ERA MAI ACCADUTO NULLA DI SIMILE IN 30 ANNI IN ITALIA”… DOCENTE INDEGNA DI INSEGNARE
“Bisogna isolare quello scimpanzé, non dovete parlare con lui”. Una frase ancora più inaccettabile se attribuita a un’insegnante, se pronunciata davanti a una classe di adolescenti e destinata a un ragazzino di origine nordafricana che quel giorno non era presente.
Un episodio troppo amaro per il padre del piccolo destinatario che ieri, a distanza di mesi, ha deciso di consegnare alla piazza di Facebook il proprio racconto, in un post che ha raccolto decine di commenti di solidarietà.
“Ho aspettato tutto l’anno scolastico che succedesse qualcosa, a fronte del fatto che un ragazzino non andava più a scuola. Ho aspettato che l’istituto prendesse provvedimenti nei confronti di una professoressa e insegnante di sostegno. Ma non è successo niente”, racconta il padre dell’adolescente che, secondo quanto riportato dai compagni di classe, è stato il bersaglio dell’episodio di razzismo.
Erano stati infatti gli allievi della scuola media di Spoleto a riferire al loro amico di quella frase e ad attribuirla alla loro insegnante. “Gli hanno anche mandato un messaggio vocale, nel quale gli spiegavano cos’era successo in sua assenza”, continua il padre, persona molto nota nella cittadina in provincia di Perugia, che all’epoca dei fatti spiega di avere anche presentato querela ai carabinieri.
Il caso, emerso soltanto ieri, risale a ottobre. “Da allora è stato un disastro – continua il genitore – mio figlio non voleva più andare a scuola e solo con l’aiuto di uno psicologo è riuscito a riprendere con le lezioni. Anche se lo specialista mi ha detto che era stato fatto un grosso danno: non si sentiva più a suo agio in classe. Poi è arrivata la dad”.
“Si è trattato di un comportamento ignobile, non mi era mai accaduto niente di simile in più di trent’anni in Italia. Mi aspettavo – conclude il padre – almeno un tentativo di riconciliazione, che l’insegnante si scusasse, ma niente. Non è tollerabile, sopratutto per chi crede nell’etica e nella giustizia. A questo punto sono stato costretto prima a denunciare, poi a raccontare a tutti”.
(da agenzie)
argomento: Razzismo | Commenta »
Giugno 9th, 2021 Riccardo Fucile
LA GIOVANE MAROCCHINA PRESENTA DENUNCIA ALLA PROCURA: “NESSUNA ALTRA DONNA E’ STATA CONTROLLATA IN MODO COSI UMILIANTE”
“Mi sono fatta mille domande e l’unica risposta che mi sono data è che la perquisizione nei miei confronti è stata eseguita su base xenofobica ed islamofobica. Non c’è altra spiegazione. Poiché, nessuna delle altre donne è stata controllata né all’entrata né all’uscita”.
Sara Qasmi Arrigoni è una 25enne trentina di origini marocchine. Lo scorso 27 maggio si è recata a Trento per sostenere l’esame teorico (il quiz) per il conseguimento della patente di guida. Ed è lì che, secondo la sua denuncia – prima alla Procura, poi resa pubblica sui social – sarebbe stata oggetto di discriminazione “a causa” della su religione.
La giovane, infatti, ha raccontato di esser stata costretta a denudarsi completamente all’interno del bagno della Motorizzazione Civile di Trento. La 25enne, infatti, indossava il suo hijab e all’inizio pensava che quella perquisizione servisse solo per controllare l’eventuale presenza di auricolari nascosti.
Insomma, aveva accettato l’idea di togliersi il velo per dimostrare di non aver nulla di “illegale”. Poi, però, la richiesta di togliersi tutti gli indumenti che indossava quel giorno.
La richiesta è stata fatta da un’altra donna Carabiniere: “Lei con un tono arrogante e presuntuoso mi dice ‘ho detto di spogliarti’. Io ero un po’ terrorizzata se devo essere sincera, le chiedo però cosa stesse cercando. Il silenzio. Mi ha ignorata. Quel silenzio mi ha preoccupata. Le ho chiesto cosa volesse vedere di più quel che aveva già visto e la poliziotta ‘guarda signorina che quello che hai tu ce l’ho anch’io, non serve che nascondi nulla’ (ovviamente intendeva le parti intime). Io seriamente facevo fatica a comprendere la sua richiesta e le ho chiesto più volte di dirmi esplicitamente che cosa volesse scovare. E lei ‘tutto, devo vedere tutto, si tolga anche le mutande e il reggiseno’”.
Sara Qasmi ha raccontato di essere rimasta impietrita davanti a quelle richieste. Poi, dopo aver sostenuto l’esame (superato), si è recata in Procura per denunciare il tutto. Oltre alle richieste fatte dal Carabiniere, la 25enne non ha neanche ricevuto il verbale di perquisizione.
Secondo una testimonianza raccolta dal Corriere del Trentino, una dirigente della Motorizzazione Civile di Trento ha raccontato che proprio in quei giorni erano arrivate alcune segnalazioni di persone che si presentavano al quiz celando microfoni e auricolari. Per questo motivo erano stati intensificati i controlli.
Ma Sara Qasmi sottolinea che le altre persone – un paio di ragazzi pakistani – sono stati perquisiti, proprio quel giorno, in modo molto più “soft”.
Mentre lei è stata costretta a denudarsi completamente.
(da NextQuotidiano)
argomento: Razzismo | Commenta »
Giugno 6th, 2021 Riccardo Fucile
“INACCETTABILE AGGRESSIONE A SFONDO RAZZIALE, RIMANE UNA RISORSA DELL’ISTITUTO”
Vicinanza e solidarietà al medico fiscale dell’Inps di Chioggi, Nelson Yontu Maffo, “unita alla netta condanna” per l’episodio di violenza e intolleranza che lo ha coinvolto, sono stati espressi dal presidente dell’Istituto di preveidenza, Pasquale Tridico, e dal direttore generale Gabriella Di Michele e dall’intero consiglio di amministrazione.
Nelson Yontu Maffo, medico fiscale dell’Inps originario del Camerun il 2 giugno scorso ha suonato alla porta di un appartamento della periferia di Chioggia, nel Veneziano.
Il lavoratore, in malattia, non c’era. È arrivato dopo, in ciabatte, in sella alla bicicletta, forse avvertito dalla moglie e poi, ha raccontato il medico: “Ha chiuso il portone in modo da impedirmi di uscire dal cortile e ci ha piazzato davanti una sedia. Mi ha intimato di mettere nero su bianco che l’avevo trovato regolarmente a casa. Altrimenti, diceva, mi avrebbe tagliato la testa”.
“Nella giornata di ieri – riferisce una nota dell’Inps – il presidente Tridico e il direttore regionale Inps del Veneto, Antonio Pone, hanno parlato a lungo con il dottor Yontu e lo incontreranno nei prossimi giorni per condividere le azioni di tutela a seguito della vicenda ma soprattutto per consentire al dottore e alla sua famiglia di sentirsi supportati per il proprio futuro”.
“Oltre alla perentoria condanna dell’accaduto e del contesto in cui si è verificato – prosegue Tridico parlando dell’aggressione subita da Nelson Yontu -, in cui alla illiceità del comportamento del lavoratore si è aggiunta un’inaccettabile violenza a sfondo razziale vogliamo ringraziare tutti coloro che ogni giorno e con difficoltà cercano di compiere il loro dovere nell’ambito dei controlli sul lavoro, perché è da questa essenziale radice che può scaturire un maggior rispetto del lavoro di tutti e dello Stato”.
“A maggior ragione in questo momento – conclude la nota del presidente dell’Inps -, in cui ogni componente della società civile – nel pubblico e nel privato – vuole contribuire ad una ripresa che determinerà il cambiamento necessario e il futuro del Paese. Il dottor Yontu è una persona eccezionale, dalle sue parole ho compreso quanto male abbia subito ma anche l’estremo spessore della persona, che vogliamo rimanga una risorsa di valore a fianco dell’Istituto”.
(da agenzie)
argomento: Razzismo | Commenta »
Giugno 5th, 2021 Riccardo Fucile
ARRIVA IN RITARDO ALLA VISITA FISCALE, INSULTA IL MEDICO, GLI ROMPE IL TABLET E GLI DANNEGGIA L’AUTO
Un medico dell’Inps è stato aggredito a Chioggia, in provincia di Venezia. Minacciato più volte durante una visita fiscale a un uomo in malattia, e apostrofato con insulti a sfondo razzista perché di colore. Distrutto anche il tablet che serve a registrare le visite di controllo.
È stato proprio il medico a raccontare, denunciando l’accaduto ai Carabinieri cosa è successo. Non solo insulti razzisti. L’uomo ha anche, dopo che il professionista stava andando via, rotto la maniglia della sua auto perchè l’aveva seguito.
Tutto è successo a Chioggia qualche giorno fa. Il Messaggero scrive che il medico è stato insultato con frasi come «sei in Italia e fai quello che vogliamo noi, negro di m…».
Oltre all’aggressione a pubblico ufficiale, e al danneggiamento di beni dell’Inps e di beni privati del professionista, ci sarebbe stato, dunque, anche uno sfondo razziale nell’aggressione.
E tutto questo sarebbe accaduto perché l’uomo è arrivato in ritardo a casa, di circa 7 minuti, quando il medico invece era arrivato alle 17 in punto, e le regole Inps stabiliscono che gli orari di reperibilità per le visite mediche domiciliari vanno dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19, sette giorni su sette compresi quindi i festivi, orari durante i quali il lavoratore è obbligato a farsi trovare nella propria abitazione o in quella dove si sta curando.
Quando l’uomo è arrivato a casa, il medico aveva già aperto il verbale informatico sul suo tablet. È un po’ come per multe nei casi di violazioni al Codice della strada: se il vigile fa il verbale, anche volendo accogliere le obiezioni dell’automobilista, non si può più tornare indietro, e al multato non rimane che pagare la sanzione oppure fare ricorso.
Nel caso della visita domiciliare, il lavoratore che non viene trovato a casa negli orari di reperibilità dovrà sottoporsi ad una visita medica in un ambulatorio dell’Inps.
Insomma l’uomo era in ritardo ma non voleva ammetterlo: anzi sosteneva che il suo orologio segnava le cinque in punto. Ma il medico non aveva intenzione di modificare il suo verbale e così è partita l’aggressione verbale.
“La violenza è sempre inaccettabile: ora chiediamo la piena applicazione della legge contro chi colpisce il personale sanitario. A nome di tutto l’Ordine veneziano esprimo solidarietà e vicinanza al collega, medico dell’Inps, aggredito ieri a Chioggia mentre stava semplicemente facendo il proprio lavoro”, dichiara con “grande amarezza” Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici lagunare, vice nazionale della Fnomceo.
“Durante la pandemia ci hanno chiamati eroi – sottolinea – Purtroppo è durata poco: ora i medici sono tornati a essere il bersaglio della frustrazione e dell’insoddisfazione dei pazienti”.
(da agenzie)
argomento: Razzismo | Commenta »
Giugno 5th, 2021 Riccardo Fucile
NELLA LETTERA DI ADDIO: “QUANDO MI VEDEVANO CITAVANO CASAPOUND E CAPITAN SALVINI”… IL LETAME RAZZISTA STA TRAVOLGENDO IL NOSTRO PAESE
Seid Visin non è morto per un malore, ma ha scelto di togliersi la vita per il clima di razzismo che respirava in Italia: il 20enne calciatore di origine etiope adottato da bambino da una coppia di Nocera Inferiore (in provincia di Salerno) che aveva militato nelle giovanili del Milan e del Benevento ha lasciato una lettera per spiegare le ragioni del suo gesto.
L’ha diffusa sui social l’associazione “Mamme per la Pelle”, fondata dalla milanese Gabriella Nobile, per “urlare forte che se non ci uniamo in una vera lotta antirazzista, i nostri figli continueranno a soffrire”.
Seid ha scritto che “ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone”.
Una sensazione terribile alla quale lui non era abituato, perché “non sono un immigrato. Sono stato adottato quando ero piccolo. Prima di questo grande flusso migratorio ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità”.
Poi le cose sono cambiate: “Sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l’inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata serena di primavera”.
La lettera continua: “Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”.
Dopo questa esperienza, “dentro di me è cambiato qualcosa: come se nella mia testa si fossero creati degli automatismi inconsci; come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone che non mi conoscevano che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco”.
Abbandonato persino dai parenti
E questo – racconta ancora Seid nella sua lettera d’addio – “quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati. Addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato. L’unica cosa di troneggiante però, l’unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati, la paura per il disprezzo che sentivo nella bocca della gente, persino dai miei parenti che invocavano costantemente con malinconia Mussolini e chiamavano ‘Capitano Salvini’. La delusione nel vedere alcuni amici (non so se posso più definirli tali) che quando mi vedono intonano all’unisono il coro ‘Casa Pound'”.
Così il 20enne, che aveva rinunciato al calcio professionistico per dedicarsi allo studio e ora viveva il suo amore per il pallone sui campi di calcio a 5, ha deciso di farla finita: “Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno”.
Persone che “rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente Vita”.
(da agenzie)
argomento: Razzismo | Commenta »
Giugno 3rd, 2021 Riccardo Fucile
UNA LEGGE SCONCIA E ILLEGALE CHE DIVENTERA’ “MODELLO” PER LA FOGNA SOVRANISTA EUROPEA
La Danimarca vuole diventare il primo paese dell’Unione europea a processare le richieste di asilo al di fuori dell’Europa.
La proposta del governo di centrosinistra della premier Mette Frederiksen è stata approvata giovedì dal parlamento, suscitando l’indignazione dei sostenitori dei diritti umani.
La legge permetterà di inviare i richiedenti asilo presenti sul suolo danese in un paese terzo – molto probabilmente in Africa – e da lì valutare le loro richieste. In questo modo, Copenhagen non dovrà prendersi cura dei richiedenti asilo durante il periodo di elaborazione della richiesta, e non dovrà più prendere in considerazione il fatto che durante il vaglio della domanda il richiedente si è ambientato nel paese.
L’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati ha denunciato la legge come una «spaventosa corsa al ribasso», contraria ai principi della cooperazione internazionale in materia di asilo.
Amnesty International ha avvertito che qualsiasi tentativo della Danimarca di inviare richiedenti asilo in un paese terzo sarebbe «non solo è irragionevole, ma illegale».
La Commissione europea ha espresso preoccupazione per il voto e le sue implicazioni, affermando che qualsiasi mossa per esternalizzare le richieste di asilo non è compatibile con le leggi dell’Ue.
«Il trattamento in un paese terzo delle domande di asilo solleva questioni fondamentali, sia sull’accesso alle procedure di asilo che sull’effettivo accesso alla protezione. Non è possibile secondo le norme esistenti», ha detto il portavoce Adalbert Jahnz.
A gennaio la premier Frederiksen aveva ribadito la promessa della campagna elettorale di avere «zero richiedenti asilo» in Danimarca.
I socialdemocratici sostengono che il loro approccio scoraggerà i migranti dal mettersi nelle mani dei trafficanti di esseri umani per cercare di attraversare il Mediterraneo, mettendo a rischio la loro vita.
Tuttavia, in base a questa legge i migranti avranno solo cura di stare alla larga dal suolo danese.
La Danimarca, paese Ue da 5,7 milioni di abitanti, negli ultimi anni si è guadagnata la reputazione di Stato membro con alcune delle posizioni più dure sull’immigrazione, portate avanti dal ministro dell’immigrazione e integrazione Mattias Tesfaye, un 40enne socialdemocratico figlio di un immigrato etiope.
Recentemente Copenhagen ha fatto scalpore quando ha dichiarato la capitale siriana Damasco «sicura per il ritorno dei rifugiati».
La Siria è devastata dalla guerra civile, molti dei siriani presenti in Danimarca sono malvisti dal regime di Bashar al-Assad – appena rieletto con il 95% dei voti – e non hanno più una casa in cui tornare.
Il governo danese ha anche adottato dure misure interne, compresi gli sgomberi forzati nei quartieri degli immigrati «non occidentali» per impedire la formazione di quelli che definisce dei «ghetti».
Nel 2016 il governo di centrodestra aveva approvato, con l’appoggio dell’opposizione di centrosinistra, una legge che autorizzava le autorità a sequestrare gioielli e altri beni dei rifugiati, per aiutare le autorità a finanziare i costi di accoglienza. Anche se quella legge è stata messa effettivamente in pratica solo qualche volta, era indicativa della sensibilità della politica danese nei confronti dell’immigrazione.
Come funziona la nuova legge
Secondo il nuovo sistema, i richiedenti asilo che arrivano in Danimarca verranno trasportati (o deportati, secondo i più critici) in un paese terzo, dove resteranno per tutto il periodo in cui sarà esaminata la domanda.
In caso di successo, il rifugiato sarà autorizzato a rimanere nel paese terzo o, in caso di rifiuto dello status di rifugiato, sarà espulso anche da lì.
Detta più semplicemente, nelle intenzioni di Copenhagen nessun migrante avrà il diritto di restare in Danimarca.
Il paese terzo a cui dovrebbe rivolgersi il governo danese sembra essere il Ruanda. Ad aprile il ministro Tesfaye si è recato nel paese africano per firmare un memorandum d’intesa su asilo e migrazione. Il governo ruandese ha detto che l’accordo non include niente del genere, ma il Ruanda ha una tradizione nell’accoglienza dei rifugiati (attualmente ne ospita circa 130.000 provenienti dai paesi vicini) e nel 2018 aveva progettato insieme a Israele un meccanismo simile, poi fallito.
Il tema dell’immigrazione tornerà a dettare l’agenda politica
Quello della Danimarca è solo l’ultimo tentativo dei paesi europei di allestire campi di asilo in Africa per esternalizzare le richieste di asilo, il primo a proporre un sistema del genere è stato l’allora premier britannico Tony Blair, che nel 2004 provò a convincere la Tanzania a fare da paese terzo in cui trasfere i migranti durante l’esame delle richieste, senza riuscirci.
Il sistema danese potrebbe essere replicato da altri paesi europei – come Polonia e Ungheria – e diventare un modello per tutti i partiti delle estreme destre europee, a partire dalle campagne elettorali per le elezioni tedesche (settembre 2021) e francesi (aprile 2022).
Considerando che siamo all’inizio della stagione estiva con l’inevitabile aumento degli sbarchi, l’eco della legge danese si farà sentire anche in Italia
(da Open)
argomento: Razzismo | Commenta »
Maggio 29th, 2021 Riccardo Fucile
ANTONIO RUDIGER, DIFENSORE TEDESCO DEL CHELSEA, HA RACCONTATO LA SUA STORIA PERSONALE
«Oh no. Anyway» è uno dei meme più utilizzati sui social, ma può essere anche la sintesi di quanto scritto da un “giornalista” d’eccezione che, però, fa tutt’altro di mestiere. Antonio Rudiger, difensore tedesco del Chelsea e della Nazionale tedesca, ha scritto di proprio pugno un articolo in cui ha parlato della piaga razzismo all’interno degli stadi. Ovviamente, per contingenza temporale con le restrizioni che hanno portato a un anno abbondante di impianti vuoti e partite a porte chiuse, il calciatore ha fatto riferimento ad alcuni episodi personali che gli sono accaduti nel corso del suo biennio capitolino, quando ha indossato la maglia giallorossa della Roma.
Ma quanto scritto in quel suo articolo – che potremmo definire con l’ossimoro “razionalmente istintivo” – è la migliore analisi di come sia affrontato (male) questo tema. Da tutti: dalla stampa, fino ai club.
Antonio Rudiger ha regalato il suo pensiero alle pagine online di The Players Tribune. E già il titolo (“Questo articolo non risolverà il razzismo nel calcio“), che sembra avere l’aria della rassegnazione, offre un vero e proprio spaccato di un’analisi molto più profonda rispetto ai gesti eclatanti che diventano virali nel giro di poco tempo, ma i cui effetti svaniscono altrettanto velocemente.
Il calciatore del Chelsea racconta degli insulti razzisti ricevuti durante il derby della Capitale del 2017. Il teatro è quello dello Stadio Olimpico e dagli spalti volavano insulti contro di lui. Non per la sua prestazione, ma per il colore della sua pelle: «Neg*ro. Vaffanc*lo, vai a mangiare una banana». Il tutto correlato dai classici ululati razzisti.
Il vero zoo era sugli spalti, ma per lui – nel pieno della foga agonistica – era difficile razionalizzare in quei momenti. L’anno prima, sempre in occasione della stracittadina contro la Lazio, il capitano biancoceleste Senad Lulic era stato protagonista di una dichiarazione contro Rudiger, in linea con i classici cliché razzisti che fanno annaspare il mondo del calcio.
L’ex difensore della Roma ha raccontato del ruolo fondamentale di Daniele De Rossi che fece un qualcosa di molto diverso rispetto agli altri: «È venuto da me dopo la partita della Lazio e mi ha detto qualcosa che non credo di aver mai sentito prima. Ero ancora molto emotivo, molto arrabbiato. De Rossi si è seduto accanto a me e ha detto: “Toni, so che non mi sentirò mai come te. Ma fammi capire il tuo dolore. Cosa sta succedendo nella tua testa?”. Non ha twittato. Non ha pubblicato un quadrato nero. Gli importava Molte persone nel calcio dicono cose pubblicamente, ma non vengono mai veramente da te personalmente. De Rossi voleva davvero sapere come mi sentivo.Questo ragazzo era un’icona del club. Una leggenda. Quando sono entrato per la prima volta nello spogliatoio, solo vederlo mi ha fatto sentire come se fossi un ragazzino nervoso. Ma nel mio momento più difficile, De Rossi si è preso cura di me come essere umano. Voleva capire».
Perché la figura di Daniele De Rossi è stata così importante e distintiva? La risposta a questa domanda non rappresenta un tentativo di piaggeria nei confronti del suo ex compagno di squadra. Perché proprio dal comportamento dell’ex capitano della Roma emerge la differenza tra la narrazione che il mondo del calcio (e del giornalismo) fa del problema razzismo negli stadi e la cruda realtà.
Antonio Rudiger, infatti, sottolinea come ci sia sempre una grande mobilitazione (in particolare social) quando accadono episodi di intolleranza o vengono denunciati pubblicamente. Ma si tratta di reazioni sporadiche che si perdono – come accaduto di recente in Premier League – nel giro di un Tweet, di un post con lo sfondo nero o con una patch attaccato sulla manica delle maglie da gioco.
Poi si ricade nell’oblio, mentre gli episodi di odio razziale (che hanno solamente come valvola di sfogo il mondo del pallone) continuano. Fino alla successiva due/tre-giorni di indignazione popolare. E, alla fine, ecco quel «Oh no. Anyway» che rappresenta nel migliore dei modi l’approccio a un problema atavico che non trova soluzioni.
E oggi quel calciatore ha buttato giù quel muro tra il mondo del giornalismo e quello del calcio, diventando l’attore protagonista della miglior narrazione di questo squallido fenomeno.
(da agenzie)
argomento: Razzismo | Commenta »
Maggio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
DODICENNI E GIA’ RAZZISTI: IMPEDISCONO A UN BAMBINO DI COLORE DI DUE ANNI DI USARE LO SCIVOLO AL PARCO GIOCHI, ISTIGATI DAI GENITORI
Succede a Piacenza e a denunciarlo è una mamma di un bambino di due anni, italianissima mentre il suo compagno è di origini congolesi.
Arrivata in un parco pubblico un gruppo di ragazzini di circa dodici anni le voleva impedire di far usare lo scivolo al piccolo perchè “era solo per i bianchi”.
La giovane mamma di 22 anni ha raccontato la storia al quotidiano locale “Libertà”: si chiama Anna e non solo è italiana, ma anche il suo compagno di origini congolesi è nato in Italia.
Sono una coppia come tante altre che non dovrebbe finire sulle pagine di un giornale se non fosse per chi giudica il colore della pelle una e ha considerato loro figlio diverso. E così purtroppo è stato. Il piccolo di appena 22 mesi era con la mamma a giocare al parco giochi di via Emmanueli a Piacenza. Quando un gruppetto di ragazzini sui 12 anni gli ha impedito di avvicinarsi allo scivolo:
“Mio figlio stava giocando con una sua amichetta e si è diretto verso lo scivolo – dice la donna – lì c’era un gruppo di ragazzini, avranno avuto 12 anni più o meno e uno ha detto che lo scivolo era solo per i bianchi. Sono rimasta spiazzata, non mi era mai successa una cosa del genere, ma sono immediatamente intervenuta”.
La mamma ha parlato col ragazzino ma anche la sua risposta l’ha scioccata: “Mi ha detto che lui aveva deciso che quello scivolo fosse solo per i bianchi perché gli era stato spiegato che i neri vanno tenuti lontani. Che rubano, puzzano e soprattutto rubano il lavoro”.
Colpiscono tanti particolari di questa storia: che un bambino di due anni venga discriminato per il colore della sua pelle, ma soprattutto che a farlo non siano dei coriacei e stolidi adulti ma altri bambini.
Ma anche la curiosa motivazione con cui l’assessore alle politiche giovani Luca Zandonella, della Lega, ha connotato l’episodio: “Purtroppo simili episodi da parte di gruppi di giovani si sono moltiplicati nell’ultimo periodo, con il primo lockdown e sono state diverse le segnalazioni di comportamenti che non rispettano le normale regole di civile convivenza”.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Razzismo | Commenta »