Settembre 18th, 2020 Riccardo Fucile
E ALLORA PERCHE’ NON VOTA NO E LA FA FINITA, INVECE DI PRENDERE PER I FONDELLI I SUOI ELETTORI?
Capriole che non hanno senso: ”Siamo per il sì ma se il ‘no’, come pare dagli ultimi dati, comincia ad avere una diffusione, quello va considerato come un voto contro il governo… L’eventuale vittoria del sì sarebbe una vittoria di merito del provvedimento e non una vittoria della compagine di governo. Se il no dovesse travolgere anche i partiti di maggioranza e opposizione che hanno dato un’indicazione diversa, sarebbe un chiarissimo segnale contro il governo”.
Lo ha detto Giorgia Meloni, a margine di un incontro con Coldiretti ad Ancona.
In realtà non è così: gran parte dell’elettorato del Pd di Liberi e Uguali e che si riconosce nel campo progressista voterà No anche se preferisce questo governo a un esecutivo affidato a sovranisti, omofobi e reazionari.
La Meloni riesce a dire che se vincerà il Sì è una sconfitta del governo (non anche la sua) e così pure se vince il No (mentre lei vota Sì).
Logica e coerenza tipica sovranista.
(da agenzie)
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Settembre 18th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA A SIMONE BALDELLI (FORZA ITALIA): “LA SPINTA DEL NO E’ FORTE ANCHE NEL CENTRODESTRA”
“Diamo una sberla ai professionisti dell’anti-politica”. Intervista al forzista Simone Baldelli
“Diamo una sberla ai professionisti dell’anti-politica che sono il vero spreco di questo Paese”. Simone Baldelli, deputato forzista, è tra i promotori del Comitato trasversale per il No al referendum che da mesi martella contro il ‘”progetto eversivo di Grillo e Casaleggio che vuole sfasciare la democrazia rappresentativa”. Nonostante la partita sia in salita, Baldelli non demorde: un video lo immortala mentre fa kitesurfing sotto il titolo “Il vento è cambiato”
Siamo all’ultimo giorni di campagna referendaria. Il vento è davvero cambiato?
Fino a qualche tempo fa i sondaggi ci davano in crescita ma perdenti. Adesso il “sentiment” è che tutti quelli che sento dicono che tutti quelli che sentono gli dicono che tutti quelli che sentono votano No…
Dipenderà anche dall’affluenza ai seggi. Aspettative?
Chi coglie le ragioni del No è già motivato ad andare a votare. Questo è un Paese in cui l’anti-politica ha una carica virale molto importante, ma gli anticorpi democratici diffusi tra gli elettori di ogni schieramento – Cinquestelle compresi – sono solidi.
A destra, però, i leader politici si sono tenuti alla larga dal “sentiment” che lei citava. Almeno Silvio Berlusconi ha lasciato libertà di coscienza. Matteo Salvini e Giorgia Meloni potevano osare di più?
Nonostante le recenti vicissitudini di salute, Berlusconi ha saputo intuire la presenza di questi anticorpi e la necessità di contrastare l’anti-politica grillina interpretata da Luigi Di Maio, che è dannosa quando governa e ancora di più quando mette le mani sulla Costituzione. Io credo che il No che proverrà dagli elettori e dalla classe dirigente di centrodestra abbia diritto di essere rappresentato, e anche gridato. Contro i pifferai di M5S che pensano di fare cassa elettorale a scapito della Costituzione. Meglio il presidenzialismo domani di questo pasticcio oggi.
Se vincesse il Sì, sarebbe una vittoria solo dei Cinquestelle o anche del governo?
Se vincesse il Sì sarebbe una vittoria dei professionisti dell’anti-politica come Di Maio. Questo è il patto su cui lui ha costruito il governo e si è portato dietro il Pd. Ha dettato lui le condizioni. Il premier Giuseppe Conte non c’entra. Ma se vincesse il No, Di Maio potrebbe rimanere alla Farnesina come se nulla fosse, dopo aver fatto campagna in tv per due mesi, per di più sfuggendo ogni confronto con gli avversari?
Meno di due giorni al voto. Ultimo appello agli elettori?
Lo faccio a quelli di destra, di sinistra e anche Cinquestelle. Non è un referendum sui partiti, ma contro l’anti-politica che sulla carta viene considerata dominante. In Parlamento ha prevalso una assai poco coraggiosa disciplina di partito col 97%. Domenica vedremo se nel Paese il No ha una rappresentanza superiore o, come credo io, è addirittura in maggioranza. Sarebbe una sberla ai professionisti dell’anti-politica che sono il vero sperpero dell’Italia. Non voglio trovarmi la settimana prossima con questi signori che festeggiano l’abolizione della nostra democrazia dal balcone di Palazzo Chigi.
Qual è il rischio peggiore che vede?
E’ il progetto eversivo di Grillo e Casaleggio: vogliono mandare la democrazia rappresentativa a sfasciarsi contro il muro. Pezzetto dopo pezzetto puntano a disarticolare il Parlamento. Non a caso, il taglio dei parlamentari è arrivato in aula in sordina, due settimane dopo il referendum propositivo che avrebbe espropriato il ruolo delle Camere
Voi del Comitato per il No siete stati i pionieri della campagna di stampa sul tema. Qual è la cosa che l’ha colpita di più?
La valanga di hashtag #iovotoNo che dilaga sui social. C’è un certo Roberto che fa cinquanta tweet ogni giorno, ed è disoccupato. Non è certo la casta a preoccuparsi delle conseguenze del taglio dei parlamentari.
La grande maggioranza di simpatizzanti, militanti e dirigenti under 40 del Pd è per il No. A destra ha registrato la stessa tendenza?
Sì, anche nel popolo del centrodestra e in Forza Italia la spinta per il No è fortissima. È una spinta a cui io voglio dare voce. E anche tra i ragazzi c’è molta consapevolezza. Di recente ho incontrato una diciottenne romana che domenica voterà per la prima volta. E voterà No. Perchè, mi ha detto, vuole essere rappresentata meglio e non meno. Ecco, credo che nei giovani gli anticorpi democratici per fortuna siano davvero forti.
(da Huffingtonpost”)
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Settembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
UN CHIARO SEGNALE ALL’ELETTORATO LEGHISTA E A ZAIA DI UN BATTITORE LIBERO MA NON TROPPO
Allo sgarbo non crede nessuno. Alla mossa concordata, pochi. E allora?
Nel centrodestra si è aperto il toto-interpretazioni dell’ultima mossa di Giancarlo Giorgetti, uomo forte della Lega da molte stagioni, economista spendibile anche in Europa, sottosegretario a Palazzo Chigi nel Conte I in cui Matteo Salvini occupava il Viminale, da mesi in freddo con il suo leader.
Infatti, dopo lunghi silenzi che lasciavano intendere senza dire, ieri sera a un comizio a Vittuone, comune di 9mila abitanti a sud di Milano, Giorgetti è sbottato: “Al referendum voterò convintamente No. Un semplice taglio dei parlamentari in assenza di altre riforme è improponibile”.
Una “deriva da evitare” non solo “perchè darebbe un potere senza limiti alle segreterie di partito” ma soprattutto in chiave anti-governativa: “Sarebbe un favore ad un governo in difficoltà . Il governo Conte è inadeguato. Ed è anche per questo che voterò No’”. Un obiettivo politico all’ennesima potenza, quasi un tentativo di spallata, mentre il dettato costituzionale sbiadisce sullo sfondo.
Parole riportate da Ticino Notizie e arrivate alle agenzie di stampa proprio mentre Salvini, fiaccato da una mattinata di contestazioni in Campania e con la prospettiva di incontrarne altre in serata nel centro di Napoli, si domandava retoricamente “se è ancora possibile fare opposizione in questo Paese”.
E allora, il numero due del Carroccio ha scelto oculatamente la data, a ridosso del voto, per maramaldeggiare?
Nonostante la distanza degli ultimi tempi, e la defezione alla festa estiva di Rimini, lo scenario è poco plausibile. “Giorgetti fa il battitore libero. In questa fase non concorda con Salvini”, ammette un big leghista “Ma lo conosce talmente bene che sa cosa può dargli fastidio e cosa no”. E il No al referendum, ampiamente condiviso tra i suoi elettori, rientra di sicuro nella seconda categoria.
Del resto Claudio Borghi, il consigliere economico di “Matteo” che per primo si è smarcato dalla linea di partito, ribadisce di non aver ricevuto nè reprimende nè critiche. Ed è stato poi seguito da due big come Lorenzo Fontana e Andrea Crippa, da Alberto Bagnai, dal segretario lombardo Paolo Grimoldi, dal deputato Massimiliano Capitanio. Si vocifera, non da oggi, che sarebbero contrari al taglio dei parlamentari sic et simpliciter anche l’ex ministro, oggi senatore, Gian Marco Centinaio, e persino il governatore del Veneto Luca Zaia. Che però si tiene lontano dalla contesa, come Roberto Calderoli.
E c’è chi, nel centrodestra, legge il coming out di Giorgetti anche in chiave interna: “Giancarlo ha sempre giocato su un cavallo e mezzo. Per questo è rimasto in sella da Bossi a Maroni a Salvini. Adesso, sta lanciando segnali a Zaia: si smarca da Matteo senza però fargli dispiacere. E’ uno schema abile”.
I segnali, tuttavia, arriveranno prima all’elettorato leghista. Che potrebbe recepirli.
Gli ultimi sondaggi sul referendum davano il Sì tra il 66 e il 71% versus il No tra il 29 e il 34%.
Tra la base della Lega la rilevazione di Nando Pagnoncelli del 4 settembre per il “Corriere della Sera” posizionava il Sì al 64% e il No al 36%. Non male per un partito che il leader ha attestato su un Sì “coerente” (con i voti espressi in Parlamento durante l’alleanza con i Cinquestelle) ma tiepido: “Non siamo i proprietari del cuore e dell’anima degli italiani che voteranno”, “Non siamo una caserma”.
Non siamo alla libertà di voto che aveva preconizzato Silvio Berlusconi per Forza Italia, ma poco ci manca. Anche perchè sui social e nelle sezioni sul territorio buona parte della base non digerisce il “regalone” ai grillini.
“Se vince il No le due anime governiste entrano in rotta di collisione e finisce la partita” si scalda un parlamentare padano.
Già : ma il No ha qualche speranza realistica di vincere? “Il No non vincerà — taglia corto Gaetano Quagliariello, senatore che ha da poco lasciato il gruppo di Forza Italia per costituire una componente del misto insieme agli uomini del governatore ligure filo-leghista Giovanni Toti — Ma è meglio un Sì riformatore di un Sì populista”.
Spiega l’ex “saggio” della commissione sulle riforme voluta dal presidente Giorgio Napolitano: “Io voterò Sì perchè la democrazia rappresentativa così non funziona e non voglio lasciare lo scettro del cambiamento in mano ai Cinquestelle. Però preferisco vincere 60-40 che 98 a zero. Se accorciamo le distanze, il giorno dopo il referendum potrà partire una strategia trasversale di riforme. Ecco perchè la mossa di Giorgetti non mi è dispiaciuta. E in questa chiave non credo che dispiaccia neanche alla Lega”.
L’ex sottosegretario di Palazzo Chigi, allora, sarebbe stato l’uomo di punta per dare una scossa alla base. Ridurre il divario. Mettere (un po’) in difficoltà i Cinquestelle di Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, che Salvini considera responsabili — politicamente parlando – di tutti i suoi guai.
La spallata forse è un sogno, ma un balsamo per l’umore cupo di questi giorni.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 1st, 2020 Riccardo Fucile
E C’E’ ANCHE LA PRIMA MANIFESTAZIONE DI PIAZZA
Tra posizioni granitiche e terreni molto più frastagliati, nelle ultime settimane si è animata la battaglia tra il fronte del Sì e quello del No al taglio dei parlamentari
Un paio di settimane fa abbiamo scoperto che sul taglio dei parlamentari esiste un fronte del No.
Sebbene il risultato appaia scontato, con i sondaggi che fotografano un’ampia vittoria del Sì, a meno di un mese dalle urne c’è però, finalmente, un dibattito. Dentro e fuori i partiti, tra i movimenti, le associazioni e i giornali c’è chi prende posizione, allargando la schiera dei contrari al taglio lineare, slegato da una complessiva riforma istituzionale o almeno a un cambio della legge elettorale.
Dopo il movimento delle Sardine ad alimentare il confronto è stata la Repubblica, che con un editoriale del direttore Maurizio Molinari si è schierata per il No. Fisiologico, a questo punto, domandarsi cosa fanno gli altri giornali con l’avvicinarsi del voto, ma soprattutto quale direzione sta prendendo la più grande testata italiana, ovvero il Corriere della Sera.
Qualche indizio c’è già nelle pagine pubblicate in questi giorni: «Faremo come abbiamo fatto in altre occasioni, informeremo molto completamente sulle diverse opzioni in campo — ha spiegato a Open il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana -. Naturalmente abbiamo editorialisti che la pensano diversamente sull’argomento. È una questione controversa».
«La riduzione del numero dei parlamentari che, in linea assoluta, credo sia anche qualcosa di giusto, deve essere naturalmente completata da tutta una serie di riforme che solleciteremo, così da avere un nuovo assetto equilibrato. Ma lo faremo con lo spirito di accompagnare i lettori nella comprensione del pluralismo delle opinioni»
I partiti per il Sì
Sul fronte prettamente politico la riforma «porta il nome del M5s», come sottolineato dall’ex capo politico Luigi Di Maio su Facebook. Il Movimento, che da sempre ha fatto del taglio alle poltrone e ai costi della politica uno dei pilastri del proprio programma, è in prima linea per il Sì.
Convintamente a favore anche Fratelli d’Italia, che però non risparmia qualche appunto: «Noi siamo stati sempre l’unica forza politica coerente nel sostenere il taglio dei parlamentari — ha spiegato a Sky TG24 il senatore Adolfo Urso -, anche se siamo pienamente consapevoli che siano ben altre le riforme costituzionali necessarie, a cominciare dal presidenzialismo e dalla differenziazione dei ruoli delle due Camere».
Favorevole, a bassa intensità negli ultimi mesi, anche la Lega. La linea l’ha dettata, all’inizio dell’anno, Matteo Salvini: «Inviteremo tutti a votare per confermare il taglio dei parlamentari al referendum» ha detto il leader del Carroccio, sottolineando però che «se il popolo italiano lo confermerà , è evidente che il Parlamento sarà ulteriormente delegittimato».
La posizione frastagliata di Forza Italia
Meno solida la posizione di Forza Italia, dove sono chiaramente emerse sensibilità diverse sul tema. Silvio Berlusconi, ospite oggi di Agorà Estate, si è detto «molto perplesso». Per il leader azzurro il taglio «non si inquadra in una riforma complessiva del funzionamento delle istituzioni» e «avrà come probabile effetto una riduzione degli spazi di democrazia, con Regioni che non potranno essere rappresentate in Parlamento da parlamentari dei partiti della minoranza. Anche per questo io sto ancora riflettendo — ha confessato Berlusconi -, fermo restando naturalmente l’assoluta libertà di voto per i nostri militanti e per i nostri eletti».
Due settimane fa Mariastella Gelmini, con un intervento su Il Foglio, sembrava aver schierato il partito sul fronte del Sì. A margine del proprio intervento al Meeting di Rimini, la capogruppo forzista alla Camera spiegava che «Forza Italia è da sempre a favore del taglio del numero dei parlamentari, ma riscontriamo che la riforma targata 5Stelle non affronta il tema dell’efficientamento delle istituzioni. Toccherà al centrodestra occuparsene, una volta tornato al governo».
Intanto a fare campagna per il No ci sono big come Renato Brunetta e Lucio Malan. Se vince il Sì «vincono il M5s e l’antipolitica, perdono il centrodestra e il centrosinistra insieme», ha osservato Brunetta in un’intervista a La Repubblica. Malan invece su Facebook, sfoderando l’hastag #IoVotoNO, ha evidenziato come «neppure Mussolini volle così pochi deputati. Ma Casaleggio sì».
L’incognita Pd
Qual è la linea ufficiale del principale alleato di governo del M5s? Il Partito democratico definirà lunedì 7 settembre la propria linea, nel corso della direzione che è stata convocata dal segretario Nicola Zingaretti .
La posizione finora desunta da dichiarazioni e prese di posizione è più o meno la seguente: sì al taglio dei parlamentari se correlato a una nuova legge elettorale con impianto proporzionale, che garantisca rappresentatività .
D’altronde c’era questo nell’accordo alla base della nascita del governo. Ma di nuova legge elettorale, finora, non se ne vede l’ombra. Il Germanicum è ancora al palo in Commissione Affari costituzionali.
Non sono mancate, nelle ultime settimane, le voci critiche dentro il partito. Tra queste quella dell’ex presidente Matteo Orfini: «Dopo tre voti contrari in Parlamento si votò favorevolmente sulla base di un accordo che prevedeva una nuova legge elettorale e dei correttivi costituzionali. Quell’accordo non è stato mantenuto. Quindi mi aspetto che il Pd voti No», ha detto a Open.
«Chiaro che questa discussione va portata agli organismi dirigenti — ha continuato Orfini -, ed è già tardi. Personalmente credo che un taglio fuori da un contesto organico di riforma sia uno sfregio alla democrazia, che crea danni seri al principio di rappresentanza, agli equilibri dei poteri, all’impianto della nostra Costituzione»
I partiti sulla linea del no
«Noi siamo convintamente per il No». Raggiunto da Open il leader di Azione Carlo Calenda è lapidario: con questa riforma il Parlamento «risulterà molto meno efficiente in termini di rappresentanza, in particolare al Senato, ma anche in termini di funzionalità delle commissioni. Rimarrà il bicameralismo perfetto, ma i senatori saranno molti di meno per coprire il lavoro delle singole commissioni, e questo rende il lavoro più farraginoso. Sono favorevole al monocameralismo secco — ha spiegato Calenda-, costruendo però una Camera che abbia una rappresentanza larga e funzioni meglio».
Contraria alla riforma anche Sinistra Italiana, che nella direzione del luglio scorso ha sottolineato come «il taglio della rappresentanza parlamentare è un errore, che in assenza di ulteriori correttivi rischia di compromettere gli equilibri costituzionali, oltre ad allontanare milioni di cittadini dal contatto con le istituzioni». La conclusione è il sostegno al No.
Sembrerebbe essere contraria anche Italia Viva, a giudicare dalle opinioni dei suoi esponenti, ma Matteo Renzi, che si è spesso sfilato dal dibattito, ha annunciato in una intervista a la Repubblica «libertà di voto». Concludendo la tre giorni della sua scuola politica, a Castrocaro, Renzi ha osservato come questa riforma «non è una svolta, è uno spot: taglia i parlamentari, ma lascia intatti i problemi del bicameralismo perfetto. Le istituzioni, così, non funzionano. I leader non guardano sul medio periodo».
Un No secco invece arriva da +Europa: «Questa non è una riforma — ha detto il segretario Benedetto Della Vedova -. È un colpo di machete sulla rappresentanza democratica. Lo scalpo della democrazia parlamentare imposto dai 5stelle e subìto dal Pd, che non ha nemmeno il coraggio di presentarsi nelle tribune per spiegare perchè ha cambiato idea». +Europa giusto oggi ha annunciato che sosterrà le iniziative del comitato NOstra, lanciato dalle Sardine, a favore del No: terranno una manifestazione nazionale il 12 settembre, mentre il gruppo parlamentare guidato da Emma Bonino, il 9 settembre, organizzerà una maratona oratoria.
(da Open)
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Agosto 31st, 2020 Riccardo Fucile
SU CHI SI ESPRIME IL RAPPORTO E’ DI 72% PER IL SI’ E UN 28% PER IL NO
Alessandra Ghisleri di Euromedia Research illustra oggi su La Stampa i risultati di un sondaggio sul referendum che taglia i parlamentari, segnalando che il 40% di chi voterà è ancora indeciso e non sa se schierarsi per il sì (che è comunque largamente maggioritario) o per il no:
Tutti gli indicatori demoscopici hanno mostrato una forte critica verso le istituzioni con un grande invito alla concretezza per tutti i politici che abbiano a cuore il destino del nostro Paese.
Così il 41,2% degli italiani non sa ancora come comportarsi in tema di referendum, mentre il 42% dichiara che andrà a votare per il Sì e il 15,8% per il No. Sui voti validi si tradurrebbe in un 72,7% contro il 27,3%.
Una distanza importante che mostra tuttavia nell’arco degli ultimi 6 mesi una flessione del Sì di quasi 10 punti percentuali.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2020 Riccardo Fucile
“IN REALTA’ RAFFORZA LA CASTA, CONCENTRA IL POTERE NELLA MANI DI POCHI, DANNEGGIA LE MINORANZE, NON GARANTISCE RAPPRESENTANZA AI TERRITORI”
Al referendum “voterò No, è una riforma speciosa, figlia della propaganda populistica. Sul No, inoltre, si sta giocando una partita all’interno del governo. La riduzione del numero dei parlamentari rafforza la casta, concentra il potere nelle mani di pochi, non garantisce adeguata rappresentanza ai territori, danneggia le minoranze”
Così il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, in un’intervista a Repubblica.
“Non si può intervenire in maniera così parziale. C’è bisogno di una riforma del bicameralismo perfetto oltre che di una nuova legge elettorale. Il modello valido può essere la legge per l’elezione diretta dei sindaci in vigore dal 1993, riproposta su scala diversa ovviamente. Garantisce la giusta stabilità “, conclude de Magistris.
(da agenzie)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile
“L’AFFLUENZA SARA’ BASSA, INTORNO AL 30%”
“Il No al taglio dei parlamentari è in crescita fisiologica, specie al Nord, tra i giovani e i più istruiti, mentre il Sì resta appannaggio dei 5 stelle”. Federico Benini, direttore di Winpoll, spiega così ad HuffPost il trend venuti fuori dal sondaggio realizzato con Cise per il Sole 24 Ore, che in Liguria dà addirittura al 40% la quota degli intervistati pronta a votare No al referendum del 20 e 21 settembre e in Veneto al 34%.
Del tutto diversa la situazione in Campania, dove il Sì tocca quota 70%. Se però si pensa che “il 97% dei parlamentari ha votato per il Sì” quando è stata approvata la riforma costituzionale in Aula, ora lo scenario pare quello in cui gli elettori siano meno affezionati emotivamente alla riduzione degli scranni di quanto non lo siano gli eletti stessi della Camera e del Senato.
“In fondo era accaduto anche con il Governo Letta, che aveva abolito il finanziamento pubblico ai partiti: i politici anche in questo caso erano spaventati che ci potesse essere una ribellione da parte degli elettori e quindi hanno votato per una riforma frettolosa”.
Come alcuni osservatori hanno fatto notare, se è vero che la vittoria del Sì è pressochè blindata, nondimeno il tema politico è tutto nelle percentuali di sconfitta del No, che se fossero attorno al 20% dei consensi, mostrerebbero l’effettiva tenuta della battaglia anti-casta nell’opinione pubblica, ma se dovessero superare il 30, ne celebrerebbero la debolezza.
“La prima cosa da dire — precisa Benini — è che, rispetto ai sondaggi che stiamo realizzando in questi giorni, nelle regioni del Nord ci sarà sicuramente una percentuale di No superiore a quella delle regioni del Sud”, quindi un dato di ordine geografico. In sintesi, “al Nord sono più critici verso la riforma costituzionale”.
I dati Winpoll sulla Campania, usciti martedì scorso, danno appunto la vittoria del Sì al 70%, mentre in Veneto il Sì è al 66% (dati di domenica). Le previsioni delle Marche usciranno domenica prossima, martedì quelle della Toscana e venerdì i numeri della Puglia
Il No correlato al titolo di studio
“Il No è strettamente correlato al titolo di studio, nel senso che più le fasce lo hanno alto, quindi lauree e diploma, più c’è una propensione a votare No piuttosto che Sì”, spiega il direttore di Winpoll. La connessione tra i due aspetti è legata al fatto che le persone più istruite hanno maggiori strumenti critici per comprendere le ragioni del dissenso alla sforbiciata lineare di deputati e senatori. “Le cose vanno a braccetto rispetto a quella che è la connotazione geografica”, come detto, “poichè il livello di istruzione è tendenzialmente più basso al Sud rispetto al Nord d’Italia”.
Benini mostra che in tutte le Regioni analizzate, “c’è una prevalenza del 97% del Sì tra gli elettori del Movimento 5 stelle, quindi siamo di fronte a una riforma che sostanzialmente è bollata M5s”, nonostante Di Maio nelle ultime ore (solo due giorni fa sul Corriere) abbia sostenuto che ‘questa non è una riforma del M5s, ma di tutti’. Se si considerano questi aspetti, è il ragionamento del sondaggista, “ci sono quindi degli aspetti geografici, di titolo di studio, ma anche di appartenenza politica”.
Affluenza bassa, trainata solo dalle regionali
Per quanto riguarda l’affluenza, “noi stimiamo che complessivamente sarà attorno al 30%”, ma vediamo questo numero come è ottenuto. “Consideriamo un’affluenza media del voto nelle sei regioni del 55% e supponiamo che questo stesso 55% vada a votare anche per il Referendum, perchè nel momento in cui le persone hanno la scheda in mano per le regionali, vanno a votare anche per il Referendum”. E nelle altre regioni? “Supponiamo un’affluenza del 20%, per cui andiamo a stimare un’affluenza complessiva del 30%”.
Il taglio dei parlamentari non interessa al 70% degli elettori
Già questo di per sè, se volessimo dargli un’interpretazione di primo acchito, “diventa un dato politico che è in contrasto con quella che è l’esigenza che abbiamo sempre sentito tra gli italiani”. Benini dice: “Se davvero fosse un tema molto sentito, ci sarebbe un’affluenza molto più alta”. A suo avviso il dato più importante è questo: “Se davvero l’affluenza fosse del 30%, il 70% degli italiani non è interessato al taglio dei parlamentari, quindi è da qui che si può valutare la vittoria del Sì e del No”. Ovvio che sulla chiamata alle urne pesa anche “il Covid e l’assenza di dibattito politico sul tema”.
Il No può superare il 20%
Se volessimo fare una previsione dei margini di vittoria del Sì, il No potrebbe complessivamente “superare il 20%, ma non è escluso che potrebbe finire 70 a 30”. Un risultato molto diverso, come dicevamo, da quello che poteva sembrare all’inizio, quando la riforma era sbarcata in Parlamento e ci si aspettava quasi l’unanimità o comunque percentuali attorno al 90%.
Il No è preferito dagli under 30
Per quanto riguarda le fasce di età , “rispetto all’intersezione tra i dati grezzi non ancora pubblicati, le persone sotto i trent’anni sono quelle più contrarie alle riduzione dei parlamentari, mentre l’apice dei favorevoli al Sì è tra i 30 e 50 anni”. Dopo i 50 il dato è medio. Tutto ciò è in linea anche con l’elettorato: “Tra gli under 30 prevalgono gli elettori dem, tra i 30 e i 50 sono più forti gli elettori leghisti e 5 stelle, per cui alla fine c’è una certa contiguità tra queste due variabili”, ma potrebbe essere sconfessato nei prossimi giorni da nuovi dati relativi alle altre regioni.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
E’ SOLO UN GIOCO POLITICO DI BASSA LEGA TRA CHI VUOLE DESTABILIZZARE IL GOVERNO PER PRENDERSI “PIENI POTERI” E CHI AMBISCE A STABILIZZARLO
È un pasticciaccio, classico all’italiana: firme ritirate al penultimo minuto da un pezzo di Forza Italia, contrarissima al taglio dei parlamentari, ma che si candida a fare da stampella al governo; firme aggiunte, all’ultimo minuto, dalla Lega che al taglio dei parlamentari è sempre stata favorevole.
Un’orgia di tattica, su queste benedette firme depositate oggi in Cassazione, per capire la quale occorre essere dei frequentatori abituali del Palazzo e aver preso 30 e lode a un esame di diritto costituzionale.
Sostanzialmente racconta questo: che del referendum in sè sul taglio dei parlamentari, che pure è una rilevante riforma costituzionale, non frega niente a nessuno, detta in modo rude ma efficace.
Il che è già un indicatore di una certa cultura politica e istituzionale. Quel che interessa è il gioco politico, la dinamica che si innesca.
Ecco, il pasticciaccio fa sognare alla Lega la “spallata”, chiamiamola così. O meglio: non l’immediata caduta, ma la grande destabilizzazione.
Salvini spera che un referendum tiri l’altro, spera cioè che l’ammissibilità di quello costituzionale faccia da traino alla decisione della Consulta del 15 gennaio su quello elettorale.
Si spiega così la sua dichiarazione altrimenti incomprensibile da Botricello, provincia di Catanzaro: “Abbiamo dato un contributo per avvicinare la data delle elezioni”.
Perchè mai un referendum sul taglio dei parlamentari, su cui sono favorevoli pressochè tutte le forze politiche, e che passerà con un plebiscito, dovrebbe mettere in crisi il governo?
Perchè per il leader della Lega, la mossa di oggi è il primo di una serie di step, il primo e più importante dei quali è, appunto, il pressing che si alzerà sul Palazzo della Consulta, chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità o meno del referendum Calderoli sulla legge elettorale, per il quale, secondo Calderoli, la legge costituzionale ancora sub iudice consente di mantenerne vivi importanti presupposti giuridici.
Insomma, due referendum ad alto impatto da tenere già nella prossima primavera, e presumibilmente qualcosa sarà accorpato alle regionali dove la Lega si prepara alla grande abbuffata: è uno scenario che getta le basi di una grande spinta, quantomeno costringe il Parlamento a legiferare in direzione diversa rispetto a quella all’idea di restaurare la proporzionale, sia pur in lingua tedesca.
Può il Parlamento far finta di niente e infischiarsene, qualora venga ammesso un referendum per il maggioritario, legiferando in senso ostile rispetto al quesito, e prima che si pronuncino i cittadini? Oppure non può non tenerne conto ragionando su ipotesi alternative?
Sembra una questione da legulei, ma invece è una gigantesca questione politica. Per una maggioranza nata con l’idea di impedire i pieni poteri, una legge proporzionale è una clausola di salvaguardia rispetto alla prospettiva dei pieni poteri a Salvini, quando si voterà .
Qualunque ipotesi maggioritaria fondata sui collegi consente al centrodestra, egemone nel paese, di fare asso pigliatutto nei collegi. E, al tempo stesso, rappresenta un cuneo ficcato nell’equilibrio di maggioranza.
Perchè col proporzionale le alleanze si fanno in Parlamento, col maggioritario si fanno prima, il che stressa le contraddizioni di un’alleanza politica mai nata, come quella tra Pd e Cinque stelle.
Sono tutte domande e ragionamenti le cui risposte arriveranno in parte solo il 15 sera, ma che spiegano, sin d’ora, quale sia la posta in gioco e quali siano i bellicosi intenti del leader leghista.
Che, non a caso, oggi si è scagliato contro la sinistra che, “con i trucchetti di Palazzo, vuole tornare a trent’anni fa, ai governi con cinque, sei o sette partiti e cambi di casacca ogni quarto d’ora”. La proporzionale, appunto.
E c’è da scommettere che, nei prossimi giorni, il pressing verso la Consulta, in nome del diritto dei cittadini di scegliere con quale sistema decidere chi governa, sia destinato ad aumentare, con l’idea di creare un clima e caricare di senso politico il verdetto.
Immaginate sin da ora cosa potrebbe dire Salvini in caso di esito sfavorevole. Non ci vuole tanta fantasia a prevedere strali contro la cupola partitocratica che impedisce ai cittadini di pronunciarsi, contro i soliti parrucconi che difendono un sistema sordo alla voce del popolo, e altre amenità di questo genere.
Ed effettivamente è un terreno molto insidioso, in questo momento e in questo clima. C’è il rischio che la Corte rischi di apparire come l’ultimo baluardo della conservazione, nell’Italia di oggi dei messaggi semplificati: non si può votare sul governo, non si può votare sulla legge elettorale, tutto ciò che è Palazzo vuole zittire tutto ciò che è popolo.
Referendum chiama referendum, dicevamo. Per questo Salvini ha iniziato a dire che “è sempre un bene quando si pronunciano i cittadini”. Parla di quello di oggi, pensa a quello di domani.
Non si vota, parliamoci chiaro, a maggior ragione se ci saranno tutte queste consultazioni. Ma si balla.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
IN ITALIA LA POLITICA E’ TUTTA DA RIDERE E LA COERENZA DEI POLITICI UN’UTOPIA … SE NON SI TROVANO ALTRI 4 FIRMATARI SALTA IL REFERENDUM
Dietrofront. Aspettarsi la coerenza dai politici è utopia.
Ed ecco che il grande giorno della consegna delle 64 firme alla corte di Cassazione per chiedere il referendum sul taglio parlamentari si trasforma in un buco nell’acqua.
Oggi, giovedì 9 gennaio 2020, alle 11 era previsto l’appuntamento a Roma per inoltrare la richiesta ufficiale della consultazione, ma all’ultimo minuto c’è stato un passo indietro. Anzi, quattro. Questo è il numero di senatori che hanno deciso di cancellare il loro nome dalla lista dei 64 firmatari. Ora il nuovo termine è stato fissato per domenica 12 gennaio.
Ad annunciare il dietrofont che ora mette a rischio la richiesta di referendum è stato il senatore di Forza Italia Andrea Cangini, uno dei parlamentari che ha avviato la raccolta firme: «In 4 hanno ritirato le firme ma altri si stanno aggiungendo per cui per correttezza abbiamo chiesto alla Cassazione uno slittamento».
Dopo la sicurezza ostentata nel corso delle ultime settimane, dunque, ecco lo stop inatteso per ‘colpa’ di quattro colleghi di Palazzo Madama che hanno deciso di fare un passo indietro.
Ora il termine ultimo per inoltrare la richiesta alla corte di Cassazione è slittato al 12 gennaio prossimo. Tre giorni per andare a caccia delle ultime quattro firme per chiedere il referendum sul taglio parlamentari che dovrebbe tenersi durante la prossima primavera. Servono 64 firme e ora, dopo lo stop inatteso e il ripensamento, si è fermi a 60. Per Costituzione, infatti, occorre raggiungere quel numero legale (64) per inoltrare la richiesta.
Secondo le indiscrezioni che arrivano da Palazzo Madama, i quattro senatori che hanno avuto questo ripensamento appartengono a Forza Italia e Partito Democratico. Due per parte. Quattro nomi che, dopo una battaglia iniziato al termine dell’iter approvato dal Parlamento, hanno prima sedotto e poi abbandonato i promotori di questa iniziativa che, al momento, rischia di saltare. I prossimi tre giorni saranno ricchi di telefonate e contatti.
(da agenzie)
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