Marzo 27th, 2018 Riccardo Fucile
L’ATTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICA NON PASSA PER UN VOTO, LE OPPOSIZIONI CHIEDONO LE SUE DIMISSIONI
Il governo di Nello Musumeci cade in aula sul documento di programmazione economico e finanziaria 2018-2020.
L’Assemblea siciliana ha bocciato in serata il Defr: 32 voti contrari e 32 favorevoli, su 65 presenti (un deputato non ha votato).
Per il via libera al documento servivano 33 voti.
Il Def regionale adesso torna in commissione Bilancio. Un segnale chiaro quello mandato al governo Musumeci costretto, già a congelare la manovra finanziaria prorogando di un mese, fino al 30 aprile, l’esercizio provvisorio che scade il 31 marzo. Il ddl di proroga deve ancora passare al vaglio dell’Ars in un clima pesante per il governo regionale, senza maggioranza e con mal di pancia evidenti nella coalizione di centrodestra.
L’aula è stata subito sospesa dal presidente di turno Roberto Di Mauro ha sospeso l’aula dell’Ars per convocare la conferenza dei capigruppo.
Convocata la conferenza dei capigruppo. Pd e M5s hanno votato contro. Prima del voto il capogruppo dem, Giuseppe Lupo, ha chiesto a Musumeci di prendere atto di non avere una maggioranza e di dimettersi.
Nel suo intervento il governatore si era detto pronto a tornare alle urne in assenza di un patto alla luce del sole su riforme e provvedimenti importanti.
“Quando il presidente Musumeci è stato eletto – ha detto Lupo – aveva una maggioranza: non è certo colpa della legge elettorale se l’ha persa per strada. Il Pd ha chiesto più volte un dibattito d’aula per sapere dal presidente della Regione come intende andare avanti dopo la sua stessa ammissione di non avere più una maggioranza, ma questo dibattito fino ad ora non c’è stato. Il Pd era e resta opposizione”
(da agenzie)
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Febbraio 12th, 2017 Riccardo Fucile
SI RIFERISCONO AL PERIODO 2005-2010, COINVOLTI IN DODICI: L’UNICO ANCORA IN CARICA E’ IL LEGHISTA BRUZZONE
L’occhio è ormai allenato, ma le chicche non mancano: nutella e push-up, ostriche e settimane in montagna, surgelati e pollame, biglietti di beneficenza e pure l’iscrizione all’ “Accademia del peperoncino”.
L’elenco delle spese pazze contestate nell’ultima tranche d’inchiesta sui politici regionali della legislatura 2005-2010 è uno dei più variopinti.
E accompagna la richiesta di rinvio a giudizio (accuse a vario titolo di falso e peculato) che il pm Massimo Terrile ha formulato nei giorni scorsi per Sandro Biasotti Tirreno Bianchi, Nicola Abbundo, Angelo Barbero, Fabio Broglia, Francesco Bruzzone, Giovanni Macchiavello, Matteo Marcenaro, Rosario Monteleone, Carmen Patrizia Muratore, Luigi Patrone e Giovanni Battista Pittaluga.
Biasotti, Abbundo, Barbero, Broglia, Macchiavello, Marcenaro e Patrone facevano parte della minoranza di centrodestra e oggi non siedono più in consiglio regionale; il leghista Bruzzone, anche allora nel centrodestra, è l’unico ancora in carica essendo attualmente presidente del consiglio regionale; Bianchi, Monteleone, Muratore e Pittaluga erano nella maggioranza di centrosinistra e oggi non hanno più un seggio.
Considerato che la lista degli esborsi folli fatti rimborsare con denaro pubblico riempie 300 pagine, bisogna selezionare.
Fra i più creativi spicca Fabio Broglia, che si è fatto risarcire contributi all’Unicef (660 euro), push-up e perizoma “Fragole” (13,80 euro) «latte, bibita, nutella e frutta» comprati alla Standa (17,76 euro), il libro “Quando i cavalli avevano le dita – misteri e stranezze della natura” (21,37 euro), sedie Kartell (450 euro) e 520 euro «per l’affitto (sotto un nome fittizio, ndr) di un appartamento in via Vittorio Veneto a Busalla per 5 giorni al mese fra gennaio e aprile 2008».
Il Secolo XIX ha provato a contattarlo al telefono per una replica, ma non è stato possibile parlargli nonostante i ripetuti squilli.
Notevole anche Nicola Abbundo, che nella legislatura precedente era stato assessore al welfare nella giunta guidata da Sandro Biasotti: nelle prime due settimane di agosto 2008 dilapida 1000 euro pubblici in ristoranti e «missioni» in Alto Adige (dove non risulta ci fossero appuntamenti politici), mentre il comunista Tirreno Bianchi, che è tuttora console della compagnia portuale Pietro Chiesa, risponde fra le altre cose per un pranzo a base di ostriche e aragosta (245 euro per due coperti), l’acquisto d’una consolle Nintendo (217 euro), spese per cacciaviti, utensili, un libro sul poker e 35 euro per l’iscrizione all’ “Accademia del peperoncino”.
La prescrizione scatta fra 2019-2020 e saranno probabilmente giudicati.
(da “il Secolo XIX”)
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
TRA GLI INQUISTI PER PECULATO RIELETTI RIXI, BRUZZONE (LEGA) , SCAJOLA (FORZA ITALIA) E MATTEO ROSSO (FRATELLI D’ITALIA)… TROMBATI MELGRATI, SIRI, GARIBALDI E DELLA BIANCA A DESTRA, DONZELLA, ROSSI E CAPURRO A SINISTRA… TRA GLI ESCLUSI ANCHE LA FAVORITA LILLI LAURO… TOTI AVRA’ 15 CONSIGLIERI SU 30, SONO SETTE I LEGHISTI (5 + 2 DEL LISTINO), DUE FDI (1+1), SEI DI FORZA ITALIA (3+3)
Vince il centrodestra, perde il Pd, mentre il M5S si conferma il partito più forte a Genova e provincia con 74 mila voti e una percentuale che è oltre il 25% e la Lega Nord diventa l’azionista di maggioranza a destra.
Al Partito democratico la magra, magrissima consolazione di restare in Liguria (ma non a Genova) il primo partito.
Alla fine il risultato è questo: Giovanni Toti 34,44; Raffaella Paita 27,84; Alice Salvatore 24,84.
Ecco gli eletti
Il prossimo consiglio regionale sarà composto da 15 consiglieri di centrodestra oltre Giovanni Toti.
Entrano i sei del listino e dunque: Sonia Viale, Giacomo Giampedrone, Stefania Pucciarelli, Andrea Costa, Berrino e Ilaria Cavo.
Dalle liste provinciali, con il sistema proporzionale, entrano nell’emiciclo di via Fieschi 5 leghisti che sono Edoardo Rixi, Francesco Bruzzone (che dovrà scegliere tra il seggio di Genova o quello di Savona lasciando dunque il posto a Stefano Mai), Giovanni De Paoli e Alessandro Piana.
Tre di Forza Italia: Claudio Muzio, Marco Scajola e Angelo Vaccarezza.
Torna in consiglio regionale anche l’uscente Matteo Rosso, sotto le insegne di Fratelli d’Italia.
Coalizione di centrosinistra
La coalizione di centrosinistra elegge 7 consiglieri oltre a Raffaella Paita, candidata presidente, la grande sconfitta, e sono tutti esponenti del Partito Democratico: Luca Garibaldi, Sergio Rossetti, Valter Ferrando e Giovanni Lunardon o Michele Malfatti a Genova e provincia; il recordman di preferenze (oltre le 5000), il savonese Luigi De Vincenzi, sindaco di Pietra Ligure; poi Juri Michelucci alla Spezia e Giovanni Barbagallo a Imperia.
Coalizione di Pastorino
La coalizione del civatiano Luca Pastorino elegge un solo consigliere ed è Gianni Pastorino di Rete a Sinistra.
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
DA UN INDAGATO A UN ALTRO: IERI A POMPEI CON DE LUCA, OGGI A SANREMO A SOSTENERE LA CANDIDATA GOVERNATRICE PD IN LIGURIA
Mateo Renzi lancia la campagna elettorale per le elezioni regionali e lo fa nella maniera più nazionalpopolare possibile.
Il premier domenica sarà a Sanremo per sostenere Raffaella Paita, la candidata (indagata) alla presidenza della Regione Liguria, e lo farà dal Teatro Ariston, palcoscenico del Festival della canzone italiana.
Il primo ministro sarà anche a Venezia per la campagna elettorale di Felice Casson candidato sindaco del Pd e Alessandra Moretti, candidata alla presidenza della regione Veneto.
Intanto sabato Renzi ha fatto pace con Vincenzo De Luca.
Una stretta di mano, poi l’abbraccio davanti alla “Villa dei Misteri” di Pompei.
De Luca, il candidato del Pd alla presidenza della Campania, e il premier sembrano un tandem perfetto. Obbligato, ma all’apparenza perfetto.
Hanno parlato e passeggiato insieme in mezzo alle rovine, forse per scongiurare il pericolo delle rovine dem.
Alla fine, il segretario del Pd – nonostante i dubbi iniziali per il rischio che De Luca una volta eletto possa decadere per effetto della legge Severino – in Campania ci sarà .
Probabilmente per quello che potrebbe essere lo sprint finale, per quel comizio che sarà intorno al 16 maggio, o subito dopo, e che servirà a convincere gli indecisi.
De Luca vede la vittoria a portata di mano, vede i sondaggi andare sempre meglio e anche Renzi inizia a crederci.
Questa è l’aria che tira oggi, secondo quanto raccontano in ambienti Pd.
Mentre prima la Regione guidata da Stefano Caldoro sembrava dovesse essere riconsegnata al centrodestra, adesso il vento sembra essere cambiato.
Anche di questo Renzi e De Luca hanno parlato nel corso di un colloquio che il candidato alla presidenza della Regione definisce “molto cordiale”, anzi “cordialissimo” con tanto di foto su Twitter.
L’incontro era stato chiesto da De Luca, che si era detto pronto “a prendere un caffè” con il premier, e poi, ieri sera, dallo staff di Palazzo Chigi è arrivata la conferma.
Così, davanti alla Villa dei Misteri, i due mettono in scena l’abbraccio plateale che elimina una volta per tutte i dubbi sulla candidatura di De Luca. Parlano da soli, fitto fitto.
È il riconoscimento ufficiale e adesso il candidato dem può contare sull’appoggio di Renzi. Tuttavia il segretario sta alla larga, per il momento, dai fatti del Pd campano.
Nessuna visita a Ercolano o a Giugliano, nei due circoli Pd recentemente commissariati dalle segreterie metropolitane, regionali e da quella nazionali. Nessun incontro con lo stato maggiore dem locale.
La visita è stata istituzionale e legata al tema dell’Expo.
Agli Scavi di Pompei, il premier ha visto anche i due poliziotti che hanno salvato la vita alla piccola Emanuela, la neonata abbandonata lo scorso 13 aprile, e poi ha incontrato una rappresentanza dei dipendenti dello stabilimento Whirlpool-Indesit di Carinaro (Caserta) in protesta per la decisione della multinazionale di chiudere uno dei due siti produttivi campani, dichiarando un esubero di oltre 800 persone.
Di questa emergenza occupazionale Renzi ha discusso con Caldoro, sul quale invece, in campagna elettorale, pesano i dissidi interni a Forza Italia e pur partendo da favorito vede la sua percentuale assottigliarsi nei sondaggi.
Fino al rischio di essere lo sconfitto ed è così che Renzi è portato a credere nel “cappotto” delle regionali, quindi nel 7 a 0.
Crede anche nella vittoria in Veneto, dove lo sfidante del Pd è il leghista Luca Zaia.
Domenica infatti il segretario dem sarà a Mestre a sostegno anche del candidato sindaco Casson. Sempre in questo week end parte la campagna elettorale in Liguria.
Il premier dunque ha deciso di metterci le faccia, anche se per avere una data certa del comizio in Campania bisogna aspettare.
Aspettare, tra l’altro, i sondaggi più freschi.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 26th, 2015 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA PROPONE TOTI CHE NON HA NULLA DA PERDERE… SALVINI HA BISOGNO DISPERATO DI AIUTO IN VENETO E CEDERA’ SU LIGURIA E TOSCANA DOVE AVEVA FATTO FINTA DI IMPORRE I SUOI UOMINI
Giovanni Toti, europarlamentare e consigliere politico di Silvio Berlusconi, potrebbe essere il candidato del centro destra in Liguria alle elezioni regionali.
Nelle ultime 24 ore si sono susseguiti incontri a livello nazionale tra Forza Italia e Lega Nord per mettere a punto lo scacchiere nelle varie regioni.
Il mediatore sarebbe ancora Gianni Letta.
L’obiettivo condiviso è quello di non correre separati in Veneto, Campania, Toscana e Liguria. Ma sul tappeto ci sono accordi politici ancora da definire, tensioni e divisioni tra le varie anime dei partiti della possibile coalizione.
Insomma la situazione è complessa, ma i rumors che arrivano dalla capitale parlano di un possibile passo indietro di Salvini sui candidati in corsa in Toscana e Liguria, in cambio del sostegno compatto alla candidatura di Zaia in Veneto.
Gli esponenti locali di Forza Italia e Lega dicono che al momento non c’è nulla di ufficiale.
Per chi conosce i personaggi non c’e’ da stupirsi, la candidatura di Rixi era solo un bluff per un semplice motivo: un candidato di centrodestra è destinato a finire dietro a Raffaella Paita e allla giovane candidata Cinquestelle.
E il regolamento elettorale della Liguria prevede che il candidato governatore che finisce terzo non venga eletto, anche nel caso che la sua lista ottenga dei consiglieri.
In pratica un kamikaze, un idealista, un martire della causa, non certo uno che vive grazie alla politica da 15 anni, che da consigliere regionale uscente mette assieme quasi 10.000 eurini e che non rinunciato neppure alla poltrona di consigliere comunale di Genova (con altri 1000 eurini).
Se a ciò si aggiunge che Rixi (come i suoi due colleghi leghisti in Regione) è pure indagato per i rimborsi in Regione (ostriche a Nizza, viaggi, ristoranti e regalie natalizie) si comprende bene il bluff della sua candidatura: doveva servire a Salvini per trattare con Berlusconi e ottenere il suo appoggio in Veneto, dove Zaia rischia grosso.
Quindi il nome di Toti è perfetto per la finalità perseguita: perdere come sempre con un nome foresto e dare una mano alla Paita con un debole candidato di bandiera che il giorno dopo ritornerà a fare il parlamentare europeo.
Altro che “togliere la Liguria alla sinistra”, come narrano gli slogan della Lego costruzioni.
In ogni caso se vorranno smentirci ne saremmo lieti: Rixi si presenti candidato governatore lo stesso, così è la volta che da trombato sarà costretto a trovarsi un lavoro senza l’aiuto di Rosy Mauro o di Salvini.
Con lo sgravio degli oneri fiscali per le aziende magari è il momento buono per trovare occupazione.
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
ZAIA FINANZIATO SOLO DAL PARTITO: MA LA CIFRA PRECISA NON LA DICE
“Chi è indagato, sotto processo o condannato, è preferibile che non finanzi la nostra campagna elettorale”.
L’ufficio stampa di Alessandra Moretti spiega questa improvvisa svolta al telefono, quando facciamo notare che, tra i finanziatori della campagna elettorale di appena nove mesi fa, quella per le Europee, c’è chi è sotto processo per un’evasione fiscale da 70 milioni, come l’attuale presidente della Fiera di Vicenza, Matteo Marzotto.
“È preferibile? ”, chiediamo. “Beh — ci rispondono — non possiamo certo impedire a qualcuno di fare donazioni, se lo ritiene opportuno”
In attesa di conoscere i finanziatori della campagna elettorale in corso, abbiamo letto l’elenco di quelli di appena nove mesi fa e, al di là delle cifre, che non superano i 5 mila euro e si attestano spesso sui mille, è il parterre che si rivela davvero interessante.
“Dice davvero? — commenta quasi incredulo Alberto Altieri — È preferibile che questa volta non la finanzi perchè sono indagato? Mi dispiace, l’avrei fatto volentieri, vorrà dire che farò un passo indietro, la sosterrò solo con il voto”.
Alberto Altieri si autodefinisce un “grande elettore” di Alessandra Moretti.
È un simpatico 72enne di Thiene, provincia di Vicenza, e con la sua voce flebile guida un impero che vanta 115 anni di storia e 28 milioni di fatturato l’anno: lo studio di progettazione Altieri.
Una società — per comprenderne il livello – che figura tra i sostenitori della Fondazione Marcianum, guidata dal Gran Cancelliere nonchè Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, presieduta dall’ex re del Mose Giovanni Mazzacurati e frequentata, in qualità di consigliere, dall’ex “doge” nonchè ex ministro di Forza Italia Giancarlo Galan, oggi agli arresti domiciliari, e dall’ex sindaco del Pd Giorgio Orsoni, anch’egli indagato nell’inchiesta sul Mose.
In questo Veneto di ex, l’ex fidata segretaria di Galan, Claudia Minutillo, di Altieri disse a verbale: “Lo studio Altieri è ovunque”.
Il punto è che il “grande elettore” Altieri è indagato a Roma con l’accusa di truffa ai danni dello Stato: l’emergenza ambientale nella laguna di Grado e Marano — è la tesi del pm Alberto Galante – era stata inventata, tra il 2002 e il 2012, per incassare milioni dallo Stato e poi spartirli tra amministratori e imprenditori.
Nell’elenco dei 26 indagati figurano anche l’ex direttore generale del ministero dell’Ambiente, Gianfranco Mascazzini, e l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati.
Tra i grandi accusatori c’è Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Costruzioni, il quale riferisce che la laguna di Grado e Marano era soltanto uno dei tanti commissariamenti, creati con “il malcelato fine di affidare prima la progettazione, e poi la realizzazione degli interventi, a soggetti di comodo, come Sogesid, Thesis e Studio Altieri”.
È vero che Altieri, per questa vicenda, era stato archiviato a Udine ma il 20 maggio, quando Moretti incassa il bonifico dei suoi mille euro, la storia era già nota.
E di certo era noto che il fratello di Alberto Altieri, Vittorio, da poco scomparso, era il compagno di Lia Sartori, parlamentare europea di Forza Italia, di lì a poco arrestata dalla procura veneziana per lo scandalo Mose.
“Ma io ho finanziato la Moretti — tiene a precisare Alberto Altieri — e non Lia Sartori. Perchè i sentimenti — spiega — non c’entrano niente con le scelte politiche”.
Mille euro sono un’inezia, per una campagna elettorale, soprattutto per imprenditori del calibro di Altieri o Marzotto, ma quel che conta non è la cifra, bensì il sostegno, il cosiddetto endorsement.
Quando il piccolo grande finanziatore Matteo Marzotto bonifica i suoi mille euro per Moretti, è il 2 maggio 2014, ed è già da tempo imputato a Milano per un’evasione fiscale da circa 70 milioni di euro, legata alla vendita del marchio Valentino.
Nel suo curriculum spicca la presidenza dell’Enit — lasciata nel 2011 — che gli fu conferita direttamente da Silvio Berlusconi.
Ed ecco il rendiconto delle europee del 25 maggio scorso: 64.531 euro, dei quali 21.531 ricevuti da persone fisiche, 30 mila da imprese, 11mila spesi di tasca propria da Alessandra Moretti.
La candidata Pd, 9 mesi fa, poteva vantare il sostegno dell’ex presidente della Fiera di Vicenza Roberto Ditri — con i soliti mille euro d’ordinanza — e quello della Unicomm (grande catena di ipermercati) del patron Marcello Cestaro, ex presidente del Calcio Padova, squadra sull’orlo del fallimento.
Avrà pure finanziato la Moretti e il Pd, con i suoi tremila euro, ma a Cestaro le coop non stanno certo simpatiche: “Se la Coop — spiega a Il Giornale — decide di aprire un ipermercato a Bologna o Reggio Emilia, ci mette un niente. Noi abbiamo comprato un’area a Bassano nel 1990 e la prima signora col carrello è entrata nel 2012”.
Altri mille euro arrivano invece dalla Fiamm, che produce batterie, e vede il suo amministratore delegato, il 65enne Stefano Dolcetta, vicepresidente per la relazioni industriali di Confindustria.
La sua posizione sui contratti di lavoro è chiara: “È un errore modificare il Jobs Act sui licenziamenti collettivi”, ha dichiarato al Corriere della Sera, qualche giorno fa, ammonendo Renzi.
Questo è il profilo degli endorsement ricevuti dalla Moretti appena 9 mesi fa, incluso quello di Gianfranco Simonetto, cognato di Enrico Maltauro che, nell’inchiesta milanese sull’Expo, ha patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi.
La Maltauro è il colosso vicentino delle costruzioni, oggi presieduto da Simonetto, che non è indagato e a maggio scorso si attivò per la campagna elettorale della Moretti: “Ci fu solo una cena, organizzata a casa sua, alla presenza di alcuni amici — precisa l’ufficio stampa dell’azienda — ma senza alcun contributo”.
Infatti il nome di Simonetto non compare nell’elenco dei finanziatori della Moretti.
E nessun nome compare, invece, nell’elenco dei finanziatori, per l’ultima campagna elettorale del leghista Luca Zaia, attuale presidente del Veneto, quella delle regionali 2010.
Zaia ha dichiarato un sorprendente zero euro e zero centesimi.
“Le regionali del 2010 sono state finanziate dal partito — spiega il suo ufficio stampa — e non vogliamo contributi da privati: questa era e resta la nostra linea. Contribuirà il partito per quanto necessario, e tutti i candidati della Lega, Zaia incluso, parteciperanno alle spese per il saldo finale”.
Ma quanto a spese, nel 2010, la Lega Nord per la campagna elettorale di Zaia? “Dovremmo contattare il commercialista, è sabato, è in corso la manifestazione a Roma… non possiamo darle una cifra precisa”.
Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2015 Riccardo Fucile
GIRA DA UN PAESE ALL’ALTRO, ATTACCA GALAN (STIPENDIATO AI DOMICILIARI), E SPERA NELLE DIVISIONI DEL CARROCCIO
Sfoggia il dialetto, abbraccia le istanze autonomiste e giura di essere “la prima politica della storia a impegnarsi davvero per il territorio”.
Garantisce: “Io non faccio promesse che non posso mantenere, piuttosto sto zitta”. Alessandra Moretti sta battendo il Veneto. E lo fa con tale piglio e coraggio che sembra credere davvero di poter espugnare un feudo da vent’anni in mano al centrodestra.
Quel Veneto simbolo di Giancarlo Galan, che l’ha guidato per ben tre mandati consecutivi per poi cederlo al suo vice: il leghista Luca Zaia, che ha a sua volta lasciato il ministero dell’Agricoltura a Galan.
Sinistra mai pervenuta
Da queste parti la sinistra è poco più di un’indicazione stradale. Conquistare questa terra è uno dei sogni di Matteo Renzi che ha chiesto alla Moretti di immolarsi nell’impresa.
Lei ha risposto mettendosi sull’attenti. Quando le venne contestato il nuovo impegno che l’avrebbe portata lontano dal Parlamento europeo, dove era stata appena eletta, lei spiegò: “Se ti chiama Matteo non puoi non accettare”.
E per essere ancora più credibile, Moretti ha deciso anche di dimettersi da eurodeputata. “Nessuno può dire che io ho qualche paracadute”, è una delle frasi che ripete ai suoi incontri pubblici.
Sei, otto anche dieci appuntamenti al giorno. Gira paese per paese con l’intenzione di coprirli tutti e 579 prima del voto.
Trattorie, locande, piazze, mercati. Ambienti spesso decisamente ostici o, comunque, poco accoglienti.
Ieri pomeriggio, per dire, al bar centrale di Albettone, nella profonda provincia vicentina, ha trovato una bella bandiera degli indipendentisti veneti ad attenderla. E volti mica proprio concilianti.
Albettone è uno dei paesi che si è schierato da subito con Graziano Stacchio, il benzinaio che ha sparato a un rapinatore poche settimane fa. Il sindaco di Albettone, Joe Formaggio, ha stampato e venduto le magliette a favore del benzinaio.
Di 1400 elettori , qui in 200 hanno votato il Movimento 5 Stelle, qualche decina il Pd. Quando la Moretti entra nel bar, attorno alle 15:30, trova una manciata di pensionati pronti ad ascoltare e tanti altri inizialmente diffidenti.
“Sto facendo un viaggio dell’ascolto e vorrei che mi esponeste le vostre opinioni e richieste”, esordisce. “La mia è una campagna per i cittadini con onestà e umiltà , cosa che solitamente la politica non ha”.
Estetista clandestino, lo stile è Rosy Bindi
Il piglio da ladylike rimane, del resto si era battezzata così da sola, durante un’intervista rilasciata a Nino Luca di Corriere Tv lo scorso novembre. “Noi siamo politiche ladylike: brave, belle e intelligenti”.
Per aggiungere pure “sono una bravissima cantante, peraltro, insieme a tutte le altre cose che faccio splendidamente, cucino anche benissimo”.
Ma erano altri tempi. Va ancora dall’estetista ma non lo dice, si veste con tailleur alla Rosy Bindi e tenta di conquistare con le parole.
Quindi, in questi bar di provincia, di fronte a poche decine di elettori, si dice pronta ad abbracciare le istanze autonomiste.
“La Lega per venti anni ha detto padroni a casa nostra e siamo invece più poveri”, attacca. “Il governo Renzi sta decentrando molto alle regioni”, dice Moretti. Poi immigrazione. “Quando ci fu da distribuire i profughi il Veneto di Zaia ha votato sì con il governo, io avrei alzato la mano e chiesto come sono identificati questi profughi?”.
Conquista la benevolenza di qualche ascoltatore quando spara su Galan che sconta la sua condanna patteggiata a due anni in una villa a pochi chilometri da qui, a Cinto Euganeo. “E prende il vitalizio lo stesso”.
Tenta di legare Galan a Zaia. “È finito un ventennio, ora dobbiamo iniziarne un altro”, si lascia scappare. Ma vabbè. Ciascuno indossa i panni che può e in queste terre è comprensibile, indispensabile forse provare i vestiti che furono dei leghisti.
Loro poi aiutano non poco la corsa morettiana.
Il movimento fondato da Umberto Bossi rischia di schiantarsi e morire proprio qui in Veneto. Con il sindaco di Verona e segretario della Liga Veneta, Flavio Tosi, che minaccia di candidarsi contro Luca Zaia, e Roberto Maroni con Matteo Salvini che rispondono dichiarando guerra: “Chi critica Zaia si consideri fuori dalla Lega”.
In tutto questo Moretti guadagna spazio. Certo per i sondaggi la distanza è ancora abissale, si parla di venti punti percentuali in meno.
Ma ha l’entusiasmo di chi conosce le sue alternative, l’unica: perdere.
Ha già visitato 180 paesi. Lei scende dal suo pulmino scortata da quattro persone del suo staff, sorride, si presenta e stringe la mano a tutti. Poi parte col breve comizio.
Il lungo tour della provincia
Ieri ha toccato Campiglia, Noventa Vicentina, Agugliaro, Albettone, Sossano e Bar-barano. Domani altri sette paesi.
Ogni tanto però le capita di incontrare volti amici. Come ieri alla trattoria da Amilcare. Per carità , al pranzo hanno partecipato in appena otto persone, di cui quattro del suo staff, ma il titolare, Marco Borghettini, è “uno di sinistra: siamo l’unico punto rosso in questa valle verde di lacrime”.
L’importante, confida Borghettini, “è che poi Moretti si decida a stare in un posto finalmente”.
Lei garantisce: “Se perdo la sfida a guidare la Regione rimango qui in Veneto, certo”. Sempre che non arrivi una nuova telefonata da Matteo.
E allora, come poter dire di no?
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
BENE I CINQUESTELLE, ALLA SINISTRA RADICALE MANCA UN LEADER
“Il centrodestra deve fare presto e darsi un metodo perchè sembra non volere giocare la partita delle regionali “: Raffaella Della Bianca commenta così i risultati del sondaggio che ha commissionato con il suo gruppo.
L’area del centrodestra dalle regionali del 2010, quando aveva ricevuto il 47,2 per cento dei consensi, nelle intenzioni di voto per maggio scende al 28,9 per cento.
Secondo il sondaggio, invece, l’area del centrosinistra (senza le ali estreme) sarebbe al 45,4 per cento contro il 52,7 del 2010.
Ma Sel, i verdi, Rifondazione e dintorni da soli avrebbero il 5,7 per cento.
I 5Stelle invece sarebbero al 21,9%.
Quello commissionato da Della Bianca è il primo sondaggio che fotografa le intenzioni di voto e testa i candidati alla presidenza della Regione in vista delle elezioni del prossimo mese di maggio.
Il sondaggio, realizzato il 10 febbraio scorso dalla società Lorien su un campione di mille elettori libiato. testa il gradimento delle forze in campo.
Sui candidati presidenti così come nelle intenzioni di voto per partiti e formazioni, svetta il Pd che fa la parte del leone: 38,4 per cento dei consensi a Raffaella Paita (38,6 al Pd).
In casa del centrodestra il sondaggio “misura” i candidati che sono in campo anche se negli ultimi giorni qualcosa è cammente
In ogni caso, Fi, Fratelli d’Italia, Lega e liste civiche di riferimento, con il loro candidato, sia Edoardo Rixi della Lega, Federico Garaventa di Fi, arriverebbero al 24,2 per cento.
Alice Salvatore del Movimento 5Stelle arriverebbe al 23,8%
Sulla sinistra che sta tentando di aggregarsi, tra la Rete i civatiani e le altre componenti, il sondaggio fa un’operazione per così dire di fantasia: il candidato dei sogni, vale a dire Anna Canepa, magistrato della direzione nazionale antimafia, il massimo dell’affidabilità , del rigore e della stima. Ma non è sulla scena.
Perchè allora sondare l’eventuale gradimento? “Perchè tra i nomi di possibili candidati che erano usciti rispetto alla sinistra, questo era il più forte”, spiega Della Bianca.
Il risultato è 13,4 per cento, contro il 5,7 per cento che raccoglierebbero i partiti di questa area. Tornando con i piedi per terra, Alice Salvatore, candidata 5Stelle avrebbe il 23,8 per cento, dunque qualcosa più dei voti del suo movimento che sarebbe al 21,9 per cento.
Il sondaggio testa anche il gradimento della giunta Burlando con due successive rilevazioni, una nell’ottobre scorso, prima dell’alluvione, una il 10 febbraio: il giudizio positivo era al 30,1 per cento, ma scende al 24,8.
E se al centrosinistra le piogge violente, secondo il sondaggio, hanno provocato un danno di immagine, il centrodestra in compenso è in caduta libera.
“I partiti si contraggono, occorre un candidato fuori dai partiti, sostenuto da una lista civica”, dice Della Bianca.
Ava Zunino
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
CORTOCIRCUITO TRA I TEMPI DELLA RIFORMA DELRIO E IL TAGLIO DI UN MILIARDO DEI FONDI STATALI… E I NUOVI COMPITI NON SONO ANCORA STATI RIPARTITI TRA LE VARIE AMMINISTRAZIONI
Ventimila colletti bianchi in cerca di ufficio. E’ la paradossale conseguenza di quello che Alessandro Pastacci, presidente dell’Unione delle Province italiane, definisce «lo sfasamento dei tempi tra l’applicazione della legge Del Rio e la necessità di fare cassa del ministero dell’Economia».
Risultato: lo Stato chiede già dal primo gennaio alle Province di tagliare un miliardo dalle loro uscite, l’equivalente degli stipendi dei 20.000 dipendenti che dovrebbero passare alle Regioni.
Mentre le stesse 15 Regioni a statuto ordinario non li hanno ancora assunti. E non li assumeranno per molto tempo perchè per farlo devono concordare con i Comuni la divisione dell’esercito degli impiegati in fuga dalle Provincie in via di progressivo smantellamento.
Il pasticcio è aggravato dal fatto che ormai da tempo lo Stato non trasferisce più fondi alle amministrazioni provinciali.
La conseguenza è che nel 2015 saranno le stesse Province a mettere mano al portafoglio versando nelle casse di Roma il miliardo corrispondente al monte stipendi dei 20 mila impiegati.
«Fino a quando non saranno trasferite le competenze alle Regioni, quei dipendenti continueranno a lavorare per i nostri uffici. Non si possono abolire i servizi ai cittadini solo perchè non sono ancora stati trasferiti», aggiunge Pastacci.
Tra gli impiegati provinciali in attesa di un destino ci sono, ad esempio, i 6.000 dipendenti dei centri per l’impiego e il fatto in sè è già abbastanza paradossale. Diventa assurdo se si aggiunge che ai 6.000 bisogna aggiungere un altro migliaio di precari utilizzati negli stessi uffici: in Italia ci sono infatti 1.000 precari occupati nei centri per l’impiego.
Mercoledì si svolgerà a Roma una riunione del coordinamento per l’applicazione della legge Del Rio e in quella occasione i nodi sembrano destinati ad arrivare al pettine.
Il 1 gennaio si avvicina e senza proroghe il caos è assicurato.
«La legge Del Rio aveva stabilito tappe precise», ricorda Pastacci.
Il provvedimento, frettolosamente catalogato come «cancella-Province», aveva stabilito che alcune materie sarebbero in realtà rimaste alle amministrazioni provinciali e alle dieci nuove città metropolitcane.
In sostanza strade, scuole e difesa del territorio continueranno ad essere curati dalle Province nella nuova versione: non più amministrazioni elette dai cittadini ma enti i cui vertici sono eletti dai consiglieri comunali del territorio.
Tutte le altre materie dovranno invece passare, insieme ai dipendenti, alle Regioni o ai Comuni.
Si tratta di capitoli importanti come la formazione professionale, le agenzie per trovare lavoro ai disoccupati, alcune competenze nei settori del turismo, della cultura, dell’agricoltura.
Entro fine anno, stando al progetto Del Rio, Regioni e Comuni avrebbero dovuto decidere come dividersi quelle materie e gli impiegati corrispondenti.
Secondo i calcoli resi noti a inizio settembre dal governo, degli oltre 47 mila attuali dipendenti delle amministrazioni provinciali, 27 mila (13.500 nelle Province e altrettanti nelle dieci città metropolitane) dovrebbero rimanere nei loro attuali uffici mentre i rimanenti ventimila dovrebbero migrare nelle altre amministrazioni locali.
Al trasferimento dei dipendenti corrisponderebbe il trasferimento delle funzioni alle Regioni. Ma
ultime resistono. «Uno dei paradossi — dicono all’Unione delle Province — è che in questo modo tornerebbero alle Regioni molte funzioni decentrate alle stesse Province negli ultimi quindici anni in base alle leggi Bassanini».
Un movimento di andata e ritorno che ha consentito alle Regioni di diminuire progressivamente i trasferimenti in denaro alle Province, erogati per ripagarle dei nuovi incarichi assunti.
Così oggi che quelle funzioni devono tornare al punto di partenza ci arrivano accompagnate da scarsissime risorse finanziarie: un boomerang per le amministrazioni regionali.
La coperta è corta. Se le Province saranno costrette a mantenere le funzioni che dovrebbero essere trasferite alle Regioni ma saranno obbligate a versare allo stato il miliardo del monte stipendi degli impiegati che garantiscono quelle funzioni, finiranno per trovarsi nell’incredibile condizione di dover pagare due volte i dipendenti considerati in eccesso.
Sarebbe il disastro finanziario.
Monica Giuliano, presidente delle Province liguri, sbotta: «Il taglio previsto dalla legge di stabilità è insostenibile. Se vogliono farci morire di asfissia finanziaria lo dicano chiaramente. Dal primo gennaio porteremo le nostre fasce tricolore al prefetto. Sarà lui a dover decidere se chiudere le strade provinciali, spegnere il riscaldamento nelle scuole, lasciare la neve sulle strade».
In questo quadro da ultima spiaggia c’è chi ascolta l’orchestrina, come accadde sul Titanic.
Accade in Toscana, a Siena, dove la Provincia annuncia con decreto l’assunzione di 8 nuove fiugure, quattro dirigenti e quattro membri di staff. «Una decisione paradossale — attaccano i sindacati — una decisione presa in solitudine mentre i dipendenti delle Province vivono un momento di incertezza totale sul loro futuro».
Paolo Griseri
(da “la Repubblica”)
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