Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
CHIAMPARINO PROVA A TAMPONARE I TAGLI DEL GOVERNO E IL DEFICIT DI 2,5 MILIARDI
La stangata fiscale che la giunta Chiamparino ha messo in campo perchè la regione Piemonte possa
sopravvivere ad un deficit di 2,5 miliardi salva le imprese (non ci sarà aumento dell’Irap) e circa 2 milioni di contribuenti con un reddito inferiore a 28 mila euro (la loro addizionale Irpef resta invariata) ma si abbatte, come una mannaia, sul ceto medio-alto che dovrà fare i conti con un aumento che parte da 52 euro l’anno e sale progressivamente fino a 1068 euro per coloro che dichiarano 150 mila euro.
La giunta di centrosinistra ha deciso di applicare l’aliquota massima concessa dal federalismo fiscale arrivando ad imporre un’addizionale del 3,33% per chi supera i 55 mila euro.
Per chi si ferma prima (ma resta sopra i 40 mila euro) c’è un rincaro minore, lo 0,44%.
A rendere meno pesante la manovra fiscale per tutti i contribuenti dovrebbe poi arrivare la maggiorazione della detrazione per i figli a carico.
La giunta ha messo da parte un tesoretto di 7 milioni che sbloccherà dopo l’accordo con l’agenzia delle Entrate.
Chiamparino conta di risparmiare dall’incremento della tassazione centomilioni, 73 arriveranno dall’Irpef, 20 dall’incremento del 10% della tassa di circolazione per le auto sopra i 100 cavalli e il resto dalla delega sul “bollino blu” per gli impianti termici e dall’aumento dei canoni concessori sulle grandi produzioni di energia idroelettrica. Altri cento milioni saranno recuperati dal taglio delle spese.
«Così — spiega il presidente — non ci presentiamo al governo con il cappello in mano per chiedere l’elemosina ma con un piano serio per dimostrare che abbiamo intenzione di risanare i nostri conti».
Il Piemonte si aspetta dal governo il congelamento delle quote di capitale sul debito per il 2015 e il 2016 che significa avere a disposizione 250 milioni da spendere sul welfare, il diritto allo studio, le politiche per lo sviluppo.
I consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle l’hanno subito ribattezzata la «Chiampa-Tax» ma lui non ci sta: «Se c’è qualcuno in grado di mettere in campo proposte alternative in grado di permettere al Piemonte di garantire con 70 milioni servizi che finora sono costati 58 milioni mi faccio subito da parte».
Ma aggiunge: «Siamo pronti ad accettare delle proposte alternative, purchè i saldi restino invariati».
Se ne parlerà in Consiglio regionale nelle prossime settimane ma Chiamparino si dice convinto che le «scelte fatte sono in grado di conciliare crescita e coesione sociale». Difficile che il ceto medio piemontese possa condividere queste affermazione.
Ci sono almeno 400 mila contribuenti che sopporteranno il grosso della manovra fiscale decisa in poche settimane mentre i consiglieri regionali hanno impiegato più di sei mesi per tagliarsi del 10 per cento l’indennità lorda.
Perchè? «Si tratta — spiega il presidente — di un primo passo ed entro la fine dell’anno il taglio arriverà al 30/40 per cento e questo permetterà di risparmiare 2 milioni l’anno».
Ma in cambio di questo contributo che cosa arriverà ai piemontesi? «Questa decisione ci permette di salvaguardare le imprese e la stragrande maggioranza dei contribuenti. In questo modo possiamo trovare le risorse per garantire interventi che altrimenti sarebbero stati azzerati, penso al welfare e all’assistenza, al diritto allo studio e agli interventi di programmazione economica».
Attenzione, però, «questa manovra — avverte il presidente — avviene al netto della trattativa tra Stato e regioni sul patto di stabilità ».
Tradotto vuol dire che da Roma arriveranno altri tagli ai trasferimenti e che un’altra manovra potrebbe arrivare a breve per i piemontesi.
Maurizio Tropeano
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Novembre 3rd, 2014 Riccardo Fucile
ALLARME DELLA CORTE DEI CONTI
Prestiti dal Tesoro non regolarmente iscritti fra debiti, in Piemonte.
Cessioni di immobili della Liguria che risultano partite di giro in grado di arricchire, grazie alle commissioni, solo la Cassa di Risparmio di Genova.
«Discrasie» che impediscono alla Corte dei conti di “parificare” (cioè dichiarare credibile) il bilancio della Campania.
Poi le spese non coperte della Sardegna, i controlli inesistenti della Calabria, le leggi senza relazione tecnica della Sicilia, gli aumenti di capitale delle società termali della Toscana, le spese non giustificate dei presidenti in Trentino-Alto Adige, i 1.600 dipendenti fuori bilancio del Friuli.
Non c’è quasi Regione che ne esca indenne.
Da quest’anno la Corte dei Conti ha il potere di controllare e certificare i conti dei governatori, grazie a una norma dell’ottobre 2012.
E da qualche mese nelle relazioni della Corte stanno venendo alla luce centinaia di trucchi e imbellettature che a volte sconfinano nella falsificazione dei bilanci.
L’esercizio della magistratura contabile è di quelli condotti al di sotto dei radar, senza clamori.
È un’operazione fra le più ardue perchè – miracolo del federalismo all’italiana – ogni Regione d’Italia scrive il bilancio in base a regole che si è scelta da sola.
Nell’ultimo decennio quasi nessuna si era mai dovuta assoggettare a un controllo esterno. Ora però sta succedendo mentre si avvicina una legge di Stabilità che taglia 4 miliardi alle Regioni stesse. E da un esame delle carte della Corte emerge che in molti casi i tagli e la pulizia di bilancio saranno durissimi
Fra i casi più controversi c’è il Piemonte, dove la magistratura contabile ha negato la “parifica”, cioè la certificazione, di parte del bilancio.
Una relazione della Corte dell’11 luglio parla di «dubbi sulla corretta iscrizione a bilancio della anticipazioni», cioè di oltre due miliardi di euro prestati dal Tesoro nel 2013 per pagare gli arretrati alle imprese fornitrici della sanità .
La Corte nota che il Piemonte nel 2012 «ha finanziato con le risorse ricevute dei debiti diversi», e «passività pregresse extra bilancio».
L’accusa sarebbe dunque duplice: la giunta ha preso un prestito dal Tesoro per saldare le imprese creditrici, ma ha usato quei soldi per altre spese; in più, ha cancellato dal bilancio i debiti verso i fornitori già pagati, ma non ha iscritto i prestiti del Tesoro come nuovo debito. Se lo facesse uno Stato europeo, sarebbe un caso politico dirompente a Bruxelles e a Francoforte
Ancora più drastico il giudizio sulla Campania, relativo al bilancio 2012.
La Corte nega in blocco la parifica. «La Procura Regionale – si legge nella requisitoria del giudice – condivide le osservazioni attinenti alla mera regolarità contabile formulate dalla Sezione di controllo».
Poche parole burocratiche ma devastanti, a fronte di un bilancio da 16,8 miliardi con un deficit di 1,7 miliardi. La giunta ha fatto ricorso e per ora ha ottenuto il ritiro del giudizio della Corte dei Conti, ma questa resta un’amministrazione «vicina al default».
Molto duro poi anche il giudizio sulla Liguria, dove la Corte nega il timbro su 91 milioni di “residui attivi” (crediti presunti ma in realtà inesigibili), su 103 milioni di cessioni di immobili e su 17,5 milioni di operazioni in derivati con la banca americana Merrill Lynch.
L’amministrazione ligure presenta in realtà anche problemi più piccoli ma quasi grotteschi.
Primo fra tutti, un bonus fino al 20% della paga in più dato ai direttori delle Aziende sanitarie.
La Corte parla di «stortura », perchè l’obiettivo di produzione del premio di produzione 2013 ai dirigenti Asl viene fissato un mese prima della fine dell’anno stesso a un livello molto vicino: impossibile mancarlo, a quel punto. «Una scelta del tutto irrispettosa dei principi di efficienza», dice il magistrato.
Ancora peggio la presunta “cessione” per 103 milioni di immobili della Regione a Arte, un ente strumentale della Regione e con i soldi sempre della Regione transitati da un conto di Carige: certificazione negata.
Assai seri anche i problemi del Veneto, anch’esso a rischio bocciatura: la requisitoria del magistrato parla di «errori» di contabilizzazione dell’indebitamento e «rappresentazioni contabili scorrette».
Ma pure le giunte che passano l’esame non ne escono bene.
Nelle provincie autonome di Trento e di Bolzano spese “di rappresentanza” dei due presidenti per decine di migliaia di euro non hanno giustificativi ritenuti credibili.
In Toscana nel 2013 emerge uno scostamento al rialzo addirittura del 75% delle spese fra preventivo e consuntivo, da quota 10,4 miliardi fino a 18,4 miliardi.
La giunta, invece di privatizzare, si è addirittura spinta a salire nel capitale della società Terme di Chianciano e in Fidi Toscana, una finanziaria in perdita che ha partecipazioni in tutto: dai caseifici della Maremma agli allevamenti ittici.
Quanto al Friuli-Venezia Giulia, la Corte mostra che presenta 2.800 dipendenti, ma altri 1.700 lavorano per la stessa Regione, fuori bilancio, in un «sistema satellitare composto da enti, agenzie, aziende, società , enti funzionali».
Insomma, credevamo che il fiscal compact ci avesse cambiato la vita. Fine della finanza pubblica allegra, nessuno sforamento se non in casi eccezionali.
Le Regioni italiane, però, senza troppo clamore, vivono in un’altra epoca.
Violando le regole dell’Unione, quelle del Parlamento nazionale, quelle del buon senso come quelle, infine, delle «più elementari regole contabili », come ha scritto la Corte dei Conti nella relazione al bilancio della Sardegna.
Già perchè da quelle parti, ma non solo da quelle parti, si è davvero esagerato.
Come nel 2010 e nel 2011 anche nel 2013 si è ricorso all’esercizio provvisorio. Il bilancio 2013 è stato approvato a maggio.
Ma nel frattempo i legislatori sardi hanno approvato leggi senza alcuna copertura finanziaria, rinviando, per le coperture, proprio alla legge di bilancio che sarebbe arrivata dopo.
Pensate se un simile schema fosse adottato da un governo nazionale nei confronti di Bruxelles: prima spendo poi troverò le coperture.
I giudici contabili parlano di una situazione «particolarmente grave», di una situazione di «irregolarità complessiva».
E irregolarità per irregolarità , la regione Sardegna ha continuato a trasferire risorse alle partecipate, spesso senza che queste abbiamo un regolare contratto di servizio e spesso nonostante siano in perdita.
Trasferimento, in quest’ultimo caso, in violazione della legge.
C’è pure il caso della Fluorite di Silius (manutenzione e bonifica delle strutture minerarie) finita in liquidazione dal 2009.
Bene, nel 2013 la Fluorite ha aumentato la propria spesa per il personale passando da poco più di tre milioni a 3,7 milioni. Si può? Certo che no. E la legge stabilisce che spetti proprio all’amministrazione regionale controllante il compito di contenere le voci della spesa corrente.
Ma questa è una società partecipata da una Regione per di più a statuto speciale. Regione che non controlla nulla, non le partecipate, ma nemmeno i suoi assessorati.
Hanno scritto i giudici della Corte dei Conti: «Si è potuto riscontrare che la Regione non esercita alcun controllo, in termini di semplice conoscenza, su aspetti essenziali ai fini dell’esercizio dei propri compiti gestionali e della propria programmazione finanziaria ». Regioni come le tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo.
In Sicilia solo la metà delle leggi presentate dalla giunta sono accompagnate dalla relazione tecnica. «Ciò – scrivono i giudici contabili – non consente l’emersione di oneri che potrebbero rimanere occulti ».
D’altra parte siamo nella regione in cui ci sono ancora pensionati con l’assegno calcolato sull’ultima retribuzione tanto che dal 2009 al 2013 la spesa previdenziale è cresciuta dell’8%. L’89% delle risorse va a spesa corrente il che pone «a serio rischio, per il futuro, il mantenimento dei necessari equilibri di bilancio», scrive la Corte.
Andiamo in Calabria.
Qui i debiti fuori bilancio sono diventati la norma, non l’eccezione. Nell’esercizio del 2013 sono stati riconosciuti oltre 2,3 milioni di debiti senza copertura ai quali aggiungere 24,5 milioni di debiti «da riconoscere » già pagati a seguito di pignoramenti senza però copertura. In totale quasi 27 milioni di debiti scoperti.
«L’esistenza di debiti senza copertura finanziaria condiziona pesantemente gli equilibri finanziari della Regione, in piena continuità ed assonanza con la deleteria prassi di procedere al riconoscimento di debiti fuori bilancio per somme sempre più ingenti». Ma quando si arriva a pagina 55 del Giudizio sulla Calabria si rischia di rimanere allibiti: «La Regione non solo non è dotata di strumenti e sistemi atti a garantire in termini di cassa il rispetto dei vincoli tra entrate e spese, ma non è oggettivamente nelle condizioni di conoscere le proprie disponibilità di cassa vincolata dell’anno, nè quelle per le quali occorrerebbe provvedere alla ricostituzione. Tale situazione costituisce violazione del principio di trasparenza ed è certamente foriera di una grave situazione di squilibrio della gestione vincolata della cassa regionale».
E anche di quelle statali, aggiungiamo noi.
Federico Fubini e Roberto Mania
(da “La Repubblica”)
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Novembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
GLI INDIPENDENTISTI AVEVANO PREVISTO 200.000 VOTANTI SU 750.000 FRIULIANI RESIDENTI
Il Friuli ha detto sì all’indipendenza. O meglio, lo ha fatto l’1,3% dei friulani: il web referendum per l’indipendenza, che si è chiuso alla mezzanotte del 31 ottobre dopo un mese di consultazioni sul sito www.plebiscitofriulano.eu, ha totalizzato solo 6.700 voti dei quali l’85% sono stati per il sì (l’8% invece ha detto no ed il 7% si è astenuto).
Non molto, considerando che le zone comprese nel Friuli storico (la Patria del Friuli, esistita per 350 anni dal 1.000 al 1.400) e cioè le attuali province di Udine, Pordenone e Gorizia, contano 750mila aventi diritto al voto.
«All’inizio speravamo di arrivare a 200mila votanti, poi ci siamo resi conto che sarebbero stati molto meno e abbiamo iniziato a ragionare nell’ottica delle 20mila – 30mila persone. I risultati finali sono stati ancora più bassi: abbiamo scontato la difficoltà di arrivare a coinvolgere la gente senza campagne pubblicitarie. In tanti, poi, considerano l’indipendenza come un obiettivo irrealizzabile e hanno preso l’iniziativa come uno scherzo», analizza Adriano Biason, uno dei promotori della consultazione indetta dalle associazioni «Res pubbliche furlane» e «Parlamento furlan».
Per l’indipendenza c’è tempo
Altro che scherzo: il prossimo passo di Biason e dei suoi, malgrado i bassi numeri ottenuti, sarà proprio quello di contattare le organizzazioni internazionali per valutare l’ipotesi dell’indipendenza.
Quando è stata annunciata la consultazione, a luglio, gli indipendentisti pensavano di rivolgersi all’Onu facendo leva sul principio di autodeterminazione dei popoli.
Oggi oltre all’Organizzazione delle Nazioni Unite hanno deciso di contattare anche l’Umpa, l’Organizzazione internazionale delle nazioni non rappresentate.
«Per ora ci limiteremo ad una dichiarazione di esistenza. Per quella di indipendenza c’è tempo: resta un obiettivo a lungo termine, ma visti i risultati della consultazione sarebbe assurdo farla adesso», riassume Biason.
Per loro la consultazione appena terminata sarà infatti solo la prima di una lunga serie, da ripetere di anno in anno.
Per la prossima, che sarà organizzata nell’ottobre 2015, il modello sarà diverso: se per la prima ci si era ispirati al web referendum di indipendenza del Veneto, per la seconda si guarda alle primarie del Pd.
«Vogliamo istituire un circolo in ogni Comune come fanno loro – spiega Biason – a quelli ci appoggeremo, il prossimo anno, per le consultazioni nelle urne. Così ovvieremo anche al problema, che quest’anno abbiamo scontato, di come raggiungere le fasce più anziane della popolazione: diversi ultraottantenni mi hanno chiamato perchè non sapevano come votare».
Ancora non sono state fatte rilevazioni statistiche sui risultati di voto, ma ad occhio la fascia più rappresentata è quella che va dai 30 ad i 40 anni.
Il «parlamento» attivo da dicembre
Intanto, in attesa della prossima consultazione, prenderà il via il Parlamento friulano. Accanto al sì o no per l’indipendenza i web-votanti sono stati chiamati a votare anche i primi membri del Parlamento friulano.
Per statuto dovranno essere 72, ma per ora si sono presentati solo in 11.
Il più votato è Gianni Sartor, 950 voti e l’unico con un po’ di esperienza politica alle spalle (della quale, sorride Biason, “dice sempre che l’unica cosa che ha ottenuto è stata di rimetterci soldi”).
Ci sono solo due donne: una, Sabrina Pivetta, di Azzano Decimo, è stata la seconda più votata con 850 preferenze e l’altra, Jessica Della Via, di Talmassons, ha solo 22 anni ed è la più giovane dei neoparlamentari.
Essendo solo 11 risultano tutti eletti: «Lo sappiamo che saremo criticati per questo, ma non possiamo farci niente», taglia corto Biason.
Per quanto riguarda i fondi a disposizione del Parlamento, l’idea è di basarsi solo su fondi privati: «Non chiederemo niente allo Stato o alla Regione, sarebbe un controsenso visti i nostri obiettivi».
La sede itinerante
La prima riunione del direttivo è fissata per dicembre, all’ordine del giorno ci sarà l’elezione del presidente e l’apertura delle commissioni pubbliche.
Niente sede, come il Parlamento storico friulano sarà itinerante. Per quanto riguarda la struttura, invece, è ispirato al modello islandese: secondo quanto spiegano i promotori «le commissioni saranno composte dai comuni cittadini che potranno avanzare idee che saranno poi valutate dal Parlamento. Vogliamo mostrare ai friulani che non ci limitiamo alle chiacchiere e che vogliamo invece portare avanti proposte davvero utili. La nostra prima idea? Un database di prodotti friulani: così i cittadini sapranno cosa comprare per sostenere l’economia locale e mantenere i soldi sul territorio».
Greta Sclaunich
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Ottobre 16th, 2014 Riccardo Fucile
PIOVONO CRITICHE SULLA FINANZIARIA: “TAGLIARE I SOLDI A REGIONI E COMUNI VUOL DIRE AUMENTARE LE TASSE”
“Con i nuovi tagli da 4 miliardi della legge di stabilità ci troviamo in una situazione che è insostenibile a meno
di non incidere sul capitolo della spesa sanitaria o di compensare con maggiore entrate”.
Lo dice il presidente della conferenza delle regioni Sergio Chiamparino, sintetizzano la posizione “unanime” dei governatori.
“Abbiamo dato intesa sul Patto per la Salute e il Fondo sanitario – continua Chiamparino -: il Patto viene così meno. Il Governo fa delle legittime manovre di politica economica ma usando risorse che sono di altri enti: l’elemento incrina un rapporto di lealtà istituzionale e di pari dignità “.
Dello stesso avviso è il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
“Semplice abbassare le tasse con i soldi degli altri – afferma-. Le Regioni sono chiamate ora a condividere il raggiungimento di obiettivi di finanza pubblica dettati dall’Ue, a finanziare scelte che non abbiamo preso noi ma il governo”.
Infine a un giornalista che sottolinea come, secondo Renzi, è la manovra più di sinistra che si potesse fare interviene Fassina: “ma che manovra di sinistra, è una manovra che, unita all’intervento sul mercato del lavoro, sta nel solco del mercantilismo liberista che ha portato l’Europa a una recessione sempre più grave”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
DEMOCRATICI DIVISI NELLE PRIMARIE TRA IL RENZIANO CALLIPO E IL BERSANIANO OLIVERIO (E IPOTESI CANDIDATO UNICO MINNITI)… IN FORZA ITALIA E’ GUERRA TRA LE CORRENTI DI FITTO E JOLE SANTELLI
“In Calabria vincerà il miglior perdente“, annota il senatore cosentino del Gal Paolo Naccarato. 
Il centrosinistra è dilaniato in uno scontro all’ultimo codicillo sullo svolgimento delle primarie.
Il centrodestra è imbrigliato dai desiderata di Francesca Pascale e da quelli di Raffaele Fitto.
Il Movimento Cinque Stelle è fermo al palo, senza un candidato, e con le spaccature romane a far da padrone.
Benvenuti alle Regionali 2014 di Calabria.
I pronostici già si sprecano, ma il conto alla rovescia deve ancora iniziare. Perchè la decisione del Tar di due giorni fa registra sì un passo in avanti, ma il presidente facente funzione della Regione Antonella Stasi avrà tempo fino al 15 settembre per indire la data delle elezioni.
Una data che dovrebbe oscillare fra la prima e la seconda decade di novembre.
E che di fatto pone fine ai continui rinvii, ai balletti di date e alla melina che da mesi va avanti.
A nulla è valso, insomma, il tentativo di un fronte bipartisan del consiglio regionale di approvare una legge elettorale ribattezzata Porcellissimum: una riforma del sistema di voto che ricorda in un certo senso il Porcellum prevedendo una soglia minima del 4% per i partiti disposti ad entrare in coalizione, e addirittura del 15 per chi, come il M5s, di coalizione non ne vuol sentire parlare.
Ma da questa settimana il Porcellissimum sarà soltanto un lontano ricordo. Perchè, spiega la parlamentare democratica Enza Bruno Bossio, “il consiglio regionale si riunirà (probabilmente l’11 settembre) e cercherà di mettere una pezza sulle questione sollevate dal governo, prima ancora che si pronunci la Corte Costituzionale”.
Ritocchi che dovrebbero abbassare la famigerata soglia del 15%, definita dai più una norma “anti-M5s”.
Archiviati i nodi burocratici e i cavilli che avrebbero impedito il ritorno alle urne, il discorso non cambia affatto registro quando si passa ad analizzare lo stato dei partiti che siedono in tutto l’arco costituzionale.
Centrosinistra e centrodestra traccheggiano da mesi. E a poche settimane dalla riapertura dei seggi lo scenario appare più incerto che mai.
Al Nazareno i giorni passano come nulla fosse. Le primarie del centrosinistra sono ancora circondate da un velo di mistero.
In un’assemblea regionale del Pd del 30 giugno, presente anche il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini, si mise a verbale: primarie sì, il 14 settembre.
Oggi, però, quella data non è confermata da nessuno. Perchè i vicesegretari Serracchiani e Guerini hanno promesso di fissarle quando la presidente facente funzioni Stasi annuncerà la data delle elezioni.
Posizione “lecita” annotano i renziani. Eppure c’è chi giura che alcuni big del Pd nazionale vogliano far saltare il tavolo delle primarie e puntare più su una candidatura unitaria, vicina alle posizioni del premier.
Nomi sull’indiscrezione raccolta, al momento non ne circolano. Anche se da più parti si ritiene che il punto di caduta di Palazzo Chigi potrebbe essere o il reggino Marco Minniti (sottosegretario alla presidenza del Consiglio, dalemiano storico ma sempre governativo) o sul cosentino Ernesto Carbone, sentinella del renzismo a Montecitorio. Ovviamente, dal fronte bersaniano si alzano le barricate: “Nessuno può mettere in discussione le primarie”.
Ad ogni modo la “farsa”, che in certi momenti si trasforma in uno scontro, potrebbe consumarsi in un percorso, quello delle primarie, che al momenti ai nastri di partenza trova schierati: il renziano Gianluca Callipo (lontano parente del candidato dipietrista alle regionali del 2010, Pippo Callipo, quello che in solitudine raccolse il 12%, ndr), il “favorito” Mario Oliverio, ex presidente della provincia di Cosenza, voluto fortemente dai dirigenti-parlamentari della “ditta” Nico Stumpo ed Enza Bruno Bossio.
E l’outisider vendoliano Gianni Speranza, attuale primo cittadino di Lamezia Terme.
Il centrodestra — se possibile — è persino combinato peggio.
Non ha idea di quale possano essere i confini della coalizione. E sul territorio amplifica i dissidi nazionali di falchi e colombe.
Al momento la partita si concentra interamente dentro Forza Italia, in uno scontro acceso fra la fedelissima di Silvio Berlusconi, Jole Santelli (coordinatrice regionale di Fi), e il soldato di Raffaele Fitto, Giuseppe Galati.
Con la prima, Santelli — organica al cerchio magico di Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi — decisa a puntare sull’ex presidente della provincia di Catanzaro Wanda Ferro.
Una candidatura sponsorizzata da Maurizio Gasparri e da tutto il blocco ex An in regione, che piace a Silvio Berlusconi, e che sarebbe caldeggiata anche dall’ex governatore alfaniano Giuseppe Scopelliti.
Ma l’ala berlusconiana se la dovrà vedere con un pezzo di Forza Italia, il blocco fittiano, eterodiretto da Galati.
Con il vicecoordinatore regionale Nino Foti (primo dei non eletti alla Camera che fa il tifo affinchè sia Galati il candidato per rientrare in Parlamento, ndr).
E, infine con il plenipotenziario di Ncd, Tonino Gentile. Un blocco compatto che punterebbe sulle primarie di coalizione “per condividere il futuro governatore con gli alleati più vicini”.
E proprio qualche giorno fa l’ex sottosegretario Gentile avrebbe avuto un incontro nella Capitale con Denis Verdini per discutere della candidatura di Galati a governatore.
Incontro non gradito all’ex Cavaliere. Che ha convocato per il pomeriggio dell’8 settembre un vertice per vagliare le candidature e le alleanze in vista delle amministrative di autunno e primavera bypassando la formula delle primarie: “Non le faremo perchè portano avanti il più demagogo”, sarà il ragionamento di Berlusconi. Ecco perchè in un contesto del genere l’ala alfaniana che fa capo a Gentile (vicino al coordinatore nazionale Quagliariello) non esclude uno scenario diverso, ovvero quella di schierarsi con il Pd.
A patto che “il candidato non sia Mario Oliverio”.
E di certo una soluzione del genere avrebbe un preciso significato: nel partito di Alfano in vista dei prossimi appuntamenti elettorale prevarrebbe la linea delle alleanze a geometria variabile, che qualche settimana fa ha animato uno scontro acceso fra Beatrice Lorenzin e Nunzia De Girolamo.
Non c’è traccia di candidati, invece, fra le fila del M5s che entro questo mese dovrebbe disputare le “regionarie” online.
Smentita, infatti, la notizia che voleva il re del tonno calabrese, Pippo Callipo, candidato alla presidenza della regione in deroga alle regole dei pentastellati, che prevedono candidature con requisiti ben definiti e stringenti: tra questi, l’iscrizione “storica” al blog di Beppe Grillo.
Tuttavia anche qui c’è chi racconta di profonde divisioni fra i componenti di origine calabrese del gruppo parlamentare al Senato.
Su tutti si registra, secondo alcune fonti, uno scontro al vetriolo fra il senatore Nicola Morra e il senatore Francesco Molinari.
Scontro smentito seccamente dall’entourage pentastellato: “Ma quale scontro, qui fila tutto liscio, perchè non vi preoccupate dei casini all’interno del Pd?”.
Giuseppe Alberto Falci
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Agosto 13th, 2014 Riccardo Fucile
CONDANNATO PER ABUSO D’UFFICIO, MA IL CONSIGLIO REGIONALE E’ ANCORA IN PIEDI DOPO 4 MESI…CACCIATI I REVISORI DEI CONTI CHE AVEVANO BOCCIATO SPESE PER 4 MILIONI
È l’8 agosto quando i tre revisori dei conti — Pasqualino Saragò, Guido Boccalone e Cosimo Forgione —
s’incontrano, alle 10.45 del mattino, e dev’esser quasi sembrata una riunione carbonara. Parlano e annotano. Annotano e scrivono.
I tre revisori spulciano tra le spese — ben 3,8 milioni di euro — che hanno osato bocciare. Di scartoffia in scartoffia, rinchiusi nel Dipartimento del Bilancio, raccolgono tutto e poi rileggono la legge che li riguarda, quella emanata il giorno prima, votata dal Consiglio regionale il 7 agosto: li hanno appena defenestrati dal loro ufficio.
I tre revisori, da 24 ore, non contano più nulla.
E allora scrivono anche alla Guardia di finanza, e alla Corte dei Conti, segnalando “sommessamente” che quel Consiglio regionale — ancora in piedi, dopo ben quattro mesi dalle dimissioni dell’ex governatore, Giuseppe Scopelliti — può trattare “esclusivamente argomenti di somma urgenza”. E già .
Ma i tre non avevano forse costretto la Regione a rinunciare a ben 3,8 milioni di “salari integrativi”, o “premi di produzione” che dir si voglia?
E quindi: non era forse urgente metterli alla porta?
Non era persino più urgente che riformare quella legge elettorale — votata il 3 giugno — che la Suprema Corte ha definito incostituzionale?
Il segretario generale del Consiglio regionale, Pietro Calabrò, è l’uomo chiave di tutta la vicenda: è lui, infatti, che firma il parere determinante, quello che consente di disarcionare i tre revisori.
E i 3,8 milioni da distribuire tra gli impiegati della Regione — spiega — in questa storia non c’entrano nulla.
“La legge sbagliata? Era un’altra”
“Era sbagliata la legge che li aveva nominati — dice — e noi dovevamo cambiarla: i tre revisori sono decaduti solo dopo un’ordinanza del Tar”.
La legge sui revisori dei conti, però, non l’aveva mica scritta un altro Consiglio regionale: era il 10 gennaio 2013 — appena 18 mesi fa — quando il Consiglio regionale stabiliva: i tre revisori dei conti sono eletti, dai consiglieri, tra 9 nominativi estratti a sorte da un apposito elenco.
Nel resto d’Italia non c’è nessuna elezione: si sorteggia punto e basta.
E infatti un revisore, non eletto, ha impugnato il provvedimento e il Tar è intervenuto. E così, una settimana fa, il Consiglio regionale ha modificato la norma: ora si sorteggia. E i tre revisori vanno a casa.
Per una diabolica coincidenza, però, la modifica arriva appena 12 giorni dopo la stroncatura, firmata dai tre revisori, delle determine di spesa — firmate proprio da Calabrò — che stanziavano i 3,8 milioni da distribuire ai dirigenti per l’anno 2013.
E i tre revisori, rinchiusi nel Dipartimento del Bilancio, continuano a scrivere alla Finanza e alla Corte dei Conti.
Diversamente urgenti e Superporcellum
Sempre “sommessamente” sottolineano che il Consiglio regionale, così solerte nel modificare la norma che li riguarda, “non ha ritenuto urgente” modificare “la legge elettorale, già impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
E qui, per capire il fenomeno, bisogna risalire alla fine di marzo, quando Scopelliti viene condannato a sei anni di carcere, in primo grado, per un abuso d’ufficio commesso quand’era sindaco di Reggio Calabria.
La legge Severino è chiara: deve dimettersi e, di conseguenza, si dovrebbe tornare a votare. Già , ma perchè affrettarsi?
Per formalizzare le dimissioni, Scopelliti, c’impiega circa un mese e soltanto il 3 giugno il Consiglio prende ufficialmente atto della situazione.
E nello stesso giorno il Consiglio decide d’approvare una nuova legge elettorale.
Il consigliere dell’Idv Giuseppe Giordano, in aula, parla di “golpe” e profetizza: “Questa legge è incostituzionale”. E il sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza (Sel), che intende partecipare alle primarie del centrosinistra, per poi candidarsi alla Regione, commenta: “Qui in Calabria stiamo assistendo a un furto di democrazia. Esiste una sorta di partito unico trasversale, formato da classi sociali economiche e politiche, che comanda da decenni, vuole comandare ancora oggi, quindi cerca di prepararsi per il dopo Scopelliti”.
“Ci siamo ispirati all’Italicum”, spiega invece il presidente del Consiglio, Francesco Talarico, difendendo la bontà della legge elettorale.
In realtà , l’Italicum targato Renzi e Berlusconi, con la soglia al 12 per cento per le coalizioni, è roba obsoleta: qui hanno alzato sbarramento al 15 per cento e portato al 60 per cento, anzichè a un massimo del 55, il premio di maggioranza.
Una soglia anti M5S e, nello stesso tempo, un dissuasore per i dissidenti interni al centrodestra e al centrosinistra, che il 3 giugno esce dall’aula, contando solo 4 voti contrari del Pd.
Poi c’è da mettere a posto lo Statuto: la Calabria non può più permettersi 50 consiglieri, ma al massimo 30, però qui ne hanno previsti altri sei, definiti “supplenti”, per sostituire i consiglieri nominati assessori. E la Corte ha rispedito tutto al mittente.
Si voterà entro novembre
Lo spirito dell’azzeccagarbugli che abita lo Stretto, però, non è poi così stolto. Il presidente facente funzioni, Antonella Stasi, spiega che finalmente, dopo ben 4 mesi, sta avviando la procedura per elezioni: “Emanerò il decreto a giorni — dice — per restare all’interno dei parametri previsti dalla legge, che dispongono al massimo 90 giorni, per fissare la data delle elezioni”.
Il 90esimo giorno scade il 2 settembre. “Si voterà entro il 16 novembre”, assicura Stasi.
Non sarete troppo attaccati alla poltrona? “Volevate forse farci votare in estate?”, replica Talarico.
Insomma, i calabresi dovranno aspettare novembre, per eleggere il nuovo governatore e il nuovo Consiglio, ma con quale legge?
“Se il Consiglio non modifica con urgenza le norma bocciata dalla presidenza del Consiglio e dalla Corte Costituzionale — spiega Stasi — si voterà con lo sbarramento del 15 per cento e useremo lo statuto dei 30 consiglieri, più i supplenti”.
Già , ma di urgente, qui, c’era invece da cambiare la legge sui revisori dei conti.
“Non ero in aula — conclude Stasi — ma, per come me l’hanno raccontata, sì, era urgente”.
Sarà . Intanto i tre revisori hanno spedito alla Finanza e alla Corte dei Conti una relazione infiammata: con quei 3,8 milioni da distribuire ai dirigenti, secondo loro, “si continuerebbe a perpetrare il danno erariale all’Ente ipotizzato dagli ispettori del ministero dell’Economia e delle Finanze”.
Se non bastasse, denunciano che “il fondo è stato già erogato” per circa 2 milioni.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL CINQUESTELLE BONO STACCATO, CENTRODESTRA SPACCATO CON TRE CANDIDATI DIVERSI
Dopo cinque mesi il Piemonte avrà un nuovo presidente. I candidati hanno giocato le ultime
carte con gli ultimi appuntamenti prima del silenzio elettorale.
Il favorito è Sergio Chiamparino, l’ex sindaco del capoluogo ed ex presidente della Compagnia di San Paolo, candidato del centro-sinistra sostenuto da Pd, Sel e Moderati.
Contro di lui si schierano Mauro Filingeri per l’Altro Piemonte, Davide Bono per il M5S, l’assessore Gilberto Pichetto Fratin per FI e Lega, il sottosegretario alla giustizia Enrico Costa per Ncd e Guido Crosetto per FdI.
Il vincitore prenderà il posto di Roberto Cota, il presidente leghista destituito a gennaio dal Tar del Piemonte che ha invalidato la sua elezione.
La corsa elettorale
Nel giorno in cui il Tar annulla il voto del 2010, Chiamparino, spinto dalle tante richieste che arrivano dal Pd, si mette a disposizione del partito che lo “incorona” candidato ufficiale a marzo, senza fare le primarie.
Chi invece passa attraverso la selezione dei sostenitori è il M5S: i “grillini” organizzano delle primarie on-line per eleggere i candidati consiglieri che poi, quasi per acclamazione, scelgono Bono quale candidato presidente.
A sinistra invece si cerca un’alternativa più radicale e slegata dai poteri forti del Pd e il nome scelto è quello di un sindacalista 36enne, Filingeri.
Il centrodestra è invece nel caos. La Lega è stata annichilita dalle indagini e gli ex Pdl uccidono sul nascere la coalizione.
Il candidato più forte a livello mediatico è Crosetto, di Fratelli d’Italia, ma gli altri esponenti dell’area non vogliono sottostare all’ex sottosegretario alla difesa.
Così Forza Italia spinge verso Pichetto Fratin, assessore al bilancio di Cota, mentre Ncd presenta il cuneese Costa, sottosegretario alla Giustizia.
Gli ultimi sondaggi pubblici davano la coalizione di Chiamparino in vantaggio intorno al 40 per cento, mentre il M5S, dato sopra il 25 per cento. Il movimento potrebbe comunque risultare il primo partito e dare parecchi grattacapi alla prossima giunta. Oltre a questa difficoltà il futuro presidente dovrà fronteggiarne altre: la Regione ha un debito di quasi dieci miliardi di euro.
Per ripianarlo la giunta Cota ha ridotto le spese per il sociale, in particolare quelle per la scuola e il diritto allo studio, per gli ospedali e l’assistenza medica e quelle per i trasporti, dei tagli che hanno aggravato la situazione dei piemontesi, già colpiti dalla crisi industriale.
Andrea Giambartolomei |
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Maggio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE USCENTE CHIODI INDAGATO PER I RIMBORSI FACILI, D’ALFONSO A PROCESSO PER AVER FAVORITO IN UN APPALTO LA FAMIGLIA TOTO… E LA CINQUESTELLE MARCOZZI CON UN TESTIMONE DI NOZZE IMBARAZZANTE
Appartengono tutti alla potente famiglia Toto i testimoni di nozze più gettonati dagli aspiranti presidenti della Regione Abruzzo: Carlo Toto lo fu per Luciano D’Alfonso (Pd), mentre suo figlio, Alfonso Toto, lo è stato per Sara Marcozzi (M5S).
Entrambi, padre e figlio, sono imputati con D’Alfonso e altre otto persone nel processo Mare-Monti, attualmente in corso.
In questo procedimento, come in quello denominato Housework – ora in appello — si indaga il rapporto tra D’Alfonso (allora presidente della Provincia di Pescara) e i Toto, titolari della Toto spa, a cui andò l’appalto per la realizzazione della strada Statale 81 che finiva nella riserva naturale del lago di Penne.
Secondo l’accusa, l’appalto venne stravolto al fine di renderlo vantaggioso per l’impresa che controlla anche AirOne e la Società dei Parchi per la gestione delle autostrade A24 e A25.
Così, sebbene sia agli sgoccioli, la campagna elettorale per la poltrona da governatore regionale continua a riservare qualche colpo di scena tra compari d’anello, amicizie rinnegate e frasi criptiche.
I candidati alla presidenza, tutti tranne Maurizio Acerbo di Rifondazione, si sono sottratti il più possibile ai confronti pubblici in tv.
Il presidente uscente Gianni Chiodi, il candidato del centrosinistra Luciano D’Alfonso, e a sorpresa anche la 5 Stelle Sara Marcozzi hanno dato forfait declinando via via gli inviti a partecipare.
Hanno preferito parlare in piazza, nelle associazioni, nelle feste di quartiere, ma senza confrontarsi.
E così da tre si è passati a due, da due a uno e alla fine Acerbo si è ritrovato da solo nello studio di un’emittente locale.
Eppure i momenti più esplosivi di questa campagna elettorale sono stati registrati proprio davanti alle telecamere.
Nel fuorionda dopo una diretta tv, D’Alfonso e Acerbo si sono parlati a cuore aperto. “Io pesco in un bacino elettorale di centinaia di migliaia di persone, tu peschi in un bacino elettorale di tre voti”, gli dice D’Alfonso.
E il leader abruzzese di Rifondazione ribatte: “Ne sono fiero. Anche Ciancimino prendeva 100mila voti. Lui faceva primo come fai tu”.
Sempre in televisione si è registrata la frase più enigmatica e forse anche la più velenosa, quando D’Alfonso rivolgendosi alla Marcozzi la zittisce con un “parliamo di fiaccolate e… certi ingegneri”.
Una frase cifrata, pronunciata a voce più bassa ma colta dai presenti.
A cosa faceva riferimento, forse alla vicenda giudiziaria che anni fa ha visto coinvolto il padre della Marcozzi, noto ingegnere teatino? Lo abbiamo chiesto a D’Alfonso, che “non ricorda”.
Lo abbiamo chiesto alla Marcozzi, e anche lei “non ricorda quella frase”, ma tiene a smentire le voci sul conto del genitore: “Mio padre ha subito un procedimento penale per turbativa d’asta nel quale è stato assolto perchè il fatto non sussiste, e sono passati vent’anni”.
D’Alfonso e Marcozzi non si guardano quasi mai in faccia in quel raro confronto tv: lei non lo attacca, lui si limita a tenerla a bada con frasi enigmatiche.
Eppure i due antagonisti hanno qualcosa in comune, perlomeno qualche amicizia di peso, come quella con l’ingombrante famiglia Toto da cui la Marcozzi prende le distanze. “Alfonso Toto non è stato il mio testimone di nozze, ma quello di mio marito, e mi sono anche separata”, spiega, dividendo i testimoni sull’altare.
Un’altra conoscenza in comune tra D’Alfonso e la 5 Stelle è il parlamentare Pd Giovanni Legnini, anche lui rinnegato dalla candidata grillina che nel suo studio ha svolto gli anni di pratica forense.
“Di solito si cerca di fare pratica in studi prestigiosi”, afferma Marcozzi, “io l’ho fatta lì, ma me ne sono andata perchè non volevo crescere professionalmente e umanamente in quell’ambiente. Il mio è stato un atto di coraggio”.
E ancora c’è un altro rinnegato eccellente nelle parole della giovane candidata (il più ovvio), ed è Gianni Chiodi. In tv ammette di averlo votato alle passate elezioni regionali, ma assicura di essersi pentita: “Questa volta non lo rivoterò”.
Chiodi non può rispondere perchè non è presente. E non ci sarà neppure la volta successiva.
Però si fa sostituire da una missiva in cui spiega come negli ultimi cinque anni si sia sentito “ingiustamente oscurato” dall’emittente televisiva in questione, motivo per cui non onorerà con la sua presenza il dibattito (con buona pace degli elettori abruzzesi). Eppure il presidente uscente, solo qualche mese fa, ha saputo ben utilizzare i mezzi di comunicazione in una conferenza stampa in grande stile, in cui ha provato a venire fuori dall’impasse di un’inchiesta giudiziaria sui “rimborsi facili” per le missioni istituzionali.
Soldi pubblici con cui avrebbe pagato, tra le altre cose, la notte nella famosa stanza 114 dell’hotel Sole di Roma, divisa con una donna poi nominata consigliera di Parità . Nessuna spintarella ha assicurato Chiodi, neppure per la sorella della sua dama, assunta poco dopo in Regione.
Melissa Di Sano
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 28th, 2014 Riccardo Fucile
LA CORTE DEI CONTI HA TRASMESSO ALTRI 15 NOMI ALLA MAGISTRATURA ORDINARIA… IL TITALE DELLE SPESE DICHIARATE NON AMMISSIBILI TOCCA I 400.000 EURO SOLO NEL 2012
Tutti insieme, appassionatamente. 
A farsi rimborsare a piè di lista un profluvio di spese che i giudici della Corte dei Conti hanno ritenuto ingiustificabili ed estranee ai compiti istituzionali, aprendo l’ennesimo fascicolo che porta i nomi di quindici consiglieri della Regione Liguria. Che vanno a rimpolpare l’elenco dei colleghi già pizzicati a cimentarsi in “spese pazze“.
Le new entry del 2012 riguardano Pd, Pdl, Udc, Lega Nord, Sel, Idv, Lista Biasotti, Diritti e Libertà , Liguria viva.
Il totale delle spese dichiarate non ammissibili tocca i 400mila euro nel solo 2012.
La lista dei gruppi che secondo la sezione di controllo della Corte dei Conti hanno usato con troppo disinvoltura il denaro pubblico si apre con il Pdl (9 consiglieri, una parte transitata nel Ncd, per 161.352 euro).
Secondo posto per l’Idv di Di Pietro (4 consiglieri fino a novembre, poi 1, per 78.120 euro).
Terza la Federazione della Sinistra (2 consiglieri, oggi 1. per 32.533 euro).
Quarta la Lega Nord (3 consiglieri, 32.156 euro, già restituiti 30.390).
Quinto il Pd (13 consiglieri, 24.861 euro), poi la lista Noi con Burlando (1 consigliere, Armando Capurro, 18.316 euro).
A seguire Sel (1 consigliere, Matteo Rossi, 13.405 euro), Riformisti Italiani (1 consigliere, Raffaella Della Bianca, 12.756 euro), Lista Biasotti (2 consiglieri, 9.063 euro, restituiti 5.088), Liguria Viva (1 consigliere, Ezio Chiesa, 6.273 euro), UdC (3 consiglieri, 5.386 euro. Le contestazioni penali a Rosario Monteleone si riferiscono al 2010-2011).
Diritti e Libertà (3 consiglieri fuoriusciti da Idv, 1.173 euro).
Tra le spese contestate, rimborsi chilometrici per 8.123 euro (Francesco Bruzzone, capogruppo Lega Nord), Champagne grand Cru (anonimi del gruppo Pdl ad Albenga, 725 euro, ma riferibili a Marco Melgrati) e scontrini di happy hour (Gruppo Idv, party di fine anno da 650 euro al bar Parador di Genova).
Una montagna della prelibata focaccia genovese per 500 euro di spesa conteggiati dall’Idv.
Un Ipod nano da 347 euro e un Ipad, libri e rimborsi chilometrici per un totale di oltre quattromila euro da Giacomo Conti, Federazione della Sinistra, il quale si difende: “Spese per attrezzature in dotazione al gruppo consiliare”.
Persino un necrologio da 195 euro per la morte del parlamentare lombardo Giampiero Cantoni, ordinato da Roberto Bagnasco (ex Pdl ora FI: “E’ un clima di caccia alle streghe”), francobolli e coppe sportive per varie migliaia di euro (Gino Garibaldi, ex Pdl oggi Ncd).
E ancora, ricariche telefoniche per l’ex sindaco di Alassio, Marco Melgrati (Pdl), al quale viene contestata anche le spesa per una serie di rinfreschi organizzati nella cittadina del ponente.
Anche Franco Rocca risulta prodigo negli acquisti di ricariche telefoniche. Raffaella Della Bianca (ex Pdl ora Riformisti) invece per biglietti aerei e ferroviari, Alessandro Benzi (ex FdS poi Sel) per un viaggio a Cuba e un centinaio di bottiglie di vino. Molto attivo anche il vicepresidente del consiglio regionale, Luigi Morgillo (PdL), che ha messo a rimborso la bellezza di 3.190 euro di francobolli, sui 24.076 euro che gli vengono contestati.
Nel Pd Antonino Miceli per conti di alberghi, Alessio Cavarra (viaggio a Cracovia), Giancarlo Manti (pranzi vari ai parchi Alpi Liguri).
E ancora: tre pernottamenti all’hotel Plaza di Roma (5 stelle Lusso) dell’ufficio di presidenza di Rosario Monteleone, un nome già emerso nelle precedenti inchieste contabili e transitato anche sul terreno delle inchieste penali: è indagato dalla Procura della Repubblica.
La spesa per un premio di laurea da 700 euro e alcune serigrafie per la fondazione “Casa America” (500 euro) viene invece contestata a Michele Boffa (Pd), all’epoca vicepresidente, poi succeduto a Monteleone alla presidenza del consiglio.
Al PdL vengono contestate alcune migliaia di euro di spese per la presentazione di libri dell’attuale ministro, Maurizio Lupi e dell’ex direttore del Tempo e candidato (senza successo) per Scelta Civica alle elezioni politiche, Mario Sechi.
Tutto pagato con i soldi dei contribuenti.
L’intervento della Corte dei Conti ligure ha messo fine al festino.
Spiega Ermete Bogetti, il procuratore della Corte dei Conti della Liguria che indaga: “Il procedimento contabile prevede due gradi di giudizio. Se le accuse verranno provate gli interessati dovranno rifondere i denari spesi in violazione delle regole. Di tasca propria. In Piemonte numerosi consiglieri regionali indagati hanno preferito restituire i soldi per evitare il processo”
In nove anni di attività in Regione, come consigliere non ho mai presentato uno scontrino per un rimborso spese>, commenta Claudio Burlando, governatore della Liguria: “Come presidente della giunta mi attengo strettamente ai compiti istituzionali. Tutto ciò che sta fuori, non va mai in conto spese. A Bari a seguire Matteo Renzi ci sono andato a mie spese. Eppure si trattava di un impegno di natura politica e non personale>.
Molto prudente. E saggio, Burlando. “Ma no… Il problema è che la legge precedente era troppo lasca e di fatto non suggeriva controlli efficaci. Qualcuno non ha valutato bene come muoversi. La mia proposta è: azzeriamo e rifondiamo tutto. I gruppi si facciano carico degli errori e ripaghino il denaro indebitamente percepito”
Renzo Parodi
(da “La Repubblica“)
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