Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile
DIDATTICA, NESSUN RECUPERO DELLE ORE PERSE A CAUSA DELLA PANDEMIA E PAGELLE SPOSTATE A LEZIONI IN CORSO (COSÌ SI RISPARMIA)
L’idea del governo di allungare il calendario scolastico in estate è durata il tempo di qualche retroscena sui giornali.
Ora che giugno si avvicina, la realtà che si profila è ben diversa: invece che aumentare i giorni in aula recuperando un po’ del tempo perso a causa della pandemia di Covid, le scuole finiranno di fatto molto prima del previsto.
A deciderlo è stato il ministero dell’Istruzione guidato da Patrizio Bianchi, che la scorsa settimana ha firmato un’ordinanza con la quale ha indicato agli Uffici scolastici regionali la possibilità di anticipare gli scrutini a prima della fine della scuola. Una decisione motivata “in ragione della perdurante emergenza pandemica” e che riguarda tutte le classi “delle istituzioni scolastiche statali e paritarie del primo e secondo ciclo di istruzione”.
Ergo, “fermo restando l’avvio degli stessi (scrutini, ndr) non prima del 1° giugno 2021”, le valutazioni finali e le conseguenti decisioni su promozioni e bocciature sono anticipate “entro il termine delle lezioni fissato dai calendari delle Regioni e delle province autonome”.
L’ordinanza è stata recepita in tutta Italia e qualche Ufficio regionale, nel darne informazione alle varie scuole, ha reso un po’ più esplicite le ragioni di tanta fretta. È il caso, per esempio, dell’Ufficio scolastico del Lazio, che ha chiesto ai suoi istituti di fare presto: “Le istituzioni scolastiche statali svolgono, salvo impossibilità, gli scrutini finali tra il primo e l’8 giugno, quando un termine successivo richiederebbe di autorizzare la spesa aggiuntiva necessaria a prorogare il contratto di lavoro ad uno o più docenti”.
Il problema dunque, al netto della ovvia difficoltà nel gestire i protocolli anti-Covid, è anche economico. Svolgere gli scrutini ad anno scolastico ancora in corso consente infatti di non dover prolungare le supplenze alle migliaia di docenti precari, con conseguente risparmio per le casse pubbliche. La conseguenza più immediata però è che in questo modo gli insegnanti hanno dovuto affrettare i tempi per le ultime prove e le ultime interrogazioni, dovendo chiudere prima del previsto le valutazioni sugli studenti. Col paradosso che poi, a scrutini completati, i ragazzi avranno ancora qualche giorno di lezione che sarà però del tutto ininfluente sul proprio destino scolastico.
Una chiusura anticipata che, come detto, sembra contraddire le intenzioni di cento giorni fa, quando il governo si insediò con il proposito di valorizzare la didattica in presenza – falcidiata dalle chiusure – anche a costo di sacrificare parte delle vacanze estive.
Quel che resta di quel progetto è il “Piano scuola estate”, un insieme di attività distribuite da giugno a settembre per cui gli istituti e gli studenti possono richiedere l’accesso su base volontaria. Si tratta di ore di laboratorio, di orientamento, di iniziative sul territorio e persino di incontri “con mondi esterni”, ovvero “le professioni e il terzo settore”.
Due giorni fa, a domanda diretta del Corriere della Sera sull’apertura delle scuole in estate, il ministro Bianchi ha sviato: “Oltre 5.800 istituti hanno presentato progetti per ricever le risorse Pon. Per il nostro Piano estate le scuole dispongono anche di 150 milioni dal decreto Sostegni”.
Le due cose però – il Pon (Programma operativo nazionale) e il Piano estate – non sono la stessa cosa, visto che il primo, come ha notato il dirigente scolastico dell’istituto Marinelli di Udine Stefano Stefanel su La tecnica della scuola, comprende progetti che le scuole possono sviluppare “entro il 31 agosto 2022 e che quindi non hanno necessariamente molto a che fare con l’estate”.
Senza dimenticare che gli istituti scolastici in Italia, anche escludendo le vecchie scuole materne, sono circa 40 mila.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 21st, 2021 Riccardo Fucile
QUANDO I GIOVANI SONO PIU’ SAGGI DI CERTI POLITICI
La riapertura delle scuole superiori per tutti gli studenti contemporaneamente, per il momento, sembra rimandata. Dopo le forti resistenze mostrate da parte soprattutto di Regioni e presidi, principalmente per motivi organizzativi (distanziamento nelle classi, trasporti, etc.), dal governo arriva una parziale frenata: nel nuovo decreto anti-Covid dovrebbe essere prevista ‘solo’ una presenza variabile tra il 60% e il 100% nelle zone gialle e arancioni (la quota la stabiliscono i singoli istituti), di almeno il 50% in quelle rosse.
Nessun obbligo di apertura totale. Un approccio, questo, che incontrerebbe i favori anche degli studenti, come mostra un nostro sondaggio su un campione di 1500 alunni delle superiori: la maggior parte – circa 6 su 10 – si sono infatti detti contrari se non del tutto (31%) quantomeno in parte (28%) al ritorno di massa in aula per concludere l’anno.
Alla base delle forti perplessità sulla ripresa definitiva della scuola ‘normale’ di un numero così ampio di ragazzi ci sono varie ragioni, su tutte la paura.
Del contagio? Non proprio: per 1 su 3 il timore maggiore è che i professori decidano di sfruttare un’ipotetica finestra di lezioni in aula, tutti i giorni, per recuperare il terreno perduto nei mesi scorsi, caricando gli alunni di interrogazioni e verifiche a ripetizione. Il 17%, invece, è preoccupato che riaprendo le scuole possa aumentare nuovamente la diffusione del virus, partendo proprio dalle classi e dai mezzi pubblici. Il 5% arriva addirittura ad affermare di non sentirsi pronto a tornare in mezzo alla gente dopo un periodo d’isolamento così lungo. Ma la fetta più consistente (43%) ammette di essere spaventata da un po’ tutti questi aspetti.
Preoccupazioni, le loro, poi non così infondate. Lo dimostra il dietrofront, per ora ipotetico ma quasi certo, del governo. Lo confermano i racconti degli stessi ragazzi. Sul fronte trasporti, per esempio, tra chi frequenta quotidianamente bus, tram, metropolitane e treni per andare a scuola appena il 10% promuove il servizio in termini di rispetto del distanziamento sociale. Per il 45% ci sono spazi a sufficienza solo alcune volte, mentre per il restante 45% i mezzi pubblici sono costantemente pieni negli orari in cui vengono utilizzati. Discorso simile per le distanze in classe, tra i banchi: con riferimento alla propria scuola, solo il 28% è sicuro che sia possibile garantire, con tutti gli studenti in presenza, la possibilità di essere distanziati l’uno dall’altro.
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2021 Riccardo Fucile
COSI’ IL GOVERNO HA DOVUTO RINUNCIARE ALL’OBBLIGO DI PRESENZA AL 100%
È accaduto l’inevitabile. Dopo giorni di proclami sulla scuola, oggi si deciderà per abbassare l’obbligo minimo della presenza dal 100% al 60%, anche in zona gialla. L’unica eccezione riguarderà probabilmente le ultime classi delle superiori, ché vanno incontro all’esame di maturità. Il ritorno alla cautela è stato maturato ieri, 20 aprile, durante l’incontro Stato-Regioni, dove i presidenti dei territori e i sindaci hanno messo sul tavolo le stesse difficoltà di sempre: i trasporti insufficienti, gli edifici vecchi, le classi pollaio. Pensare di poter trovare una regola unica che andasse bene per oltre 8 mila scuole superiori presenti in Italia era un azzardo. E non sarebbe stato vincente contro il Coronavirus.
Lo stesso Agostino Miozzo, consulente del Ministero dell’Istruzione, aveva fatto capire già due giorni fa che l’ipotesi di abbandonare la Dad non era più sul tavolo (e forse non c’era mai stata davvero). Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, ha confermato la volontà di abbassare l’asticella, dichiarando di preferire l’all in solo per gli studenti della quinta superiore.
«Io sono sempre stato aperturista per le scuole – ha detto – e la Toscana fu la prima regione che l’11 gennaio già aprì con il 50% alle scuole medie superiori. Però in questa prima fase sono cauto, aspetterei almeno maggio per pensare a un’apertura a tutti». Antonio Decaro, presidente dell’Anci e sindaco di Bari, è sulla stessa linea: «Sarebbe meglio evitare, come è successo nel passato, di partire e poi accorgerci che c’erano problemi sui trasporti e fare retromarcia», ha detto.
I presidi: «Giusto lasciare autonomia alle scuole»
Poco dopo la fine della riunione di ieri, i presidi si erano espressi positivamente. Bene lasciare autonomia decisionale agli istituti, che più di tutti conoscono la situazione delle loro scuole. Il cambio di marcia è «una scelta di buonsenso e ragionevolezza», ha detto il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli, «ed è bene che siano i dirigenti a decidere le percentuali degli studenti in presenza, perché lo faranno considerando le condizioni del territorio e delle istituzioni scolastiche».
D’altronde, non è possibile pensare che 25 alunni stipati in una classe piccola – e che non sono stati tamponati – non siano un assembramento, né che i presidi siano pronti a correre il rischio.
Solo ieri l’Ats di Milano ha segnalato che nella settimana dal 12 al 18 aprile sono state ricevute 669 segnalazioni di casi di tamponi positivi al Covid-19 nelle province di Milano e Lodi: 571 alunni e 98 operatori scolastici, per un totale di 5.187 persone in isolamento (5.005 alunni e 182 operatori).
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
FAVOREVOLE IL 64%, SOLO IL 31% CONTRARIO
C’è un dato che sembra andare in controtendenza con le manifestazioni di alunni e genitori che, negli ultimi mesi, hanno premuto per il ritorno a scuola dei ragazzi.
Il 64% degli italiani giudica positivamente i ricorso alla didattica a distanza nelle scuole superiori. Il 31%, invece, si è detto contrario alla misura del governo, mentre il 5% non si è voluto esprimere sul tema.
Sono i risultati del sondaggio Demos & Pi, pubblicato da Ilvo Diamanti su Repubblica.
Spacchettando i dati, emerge come soltanto l’8% del campione intervistato abbia un giudizio molto negativo nei confronti della chiusura delle scuole secondarie di secondo grado.
Analizzando ulteriormente il campione in base alle categorie socio-professionali, sono i disoccupati ad avere un giudizio particolarmente positivo sulla didattica a distanza: il 24% si dice molto positivo. Subito dopo, ci sono gli stessi studenti, che nel 18% dei casi danno il massimo dei voti a questo tipo di insegnamento. Al terzo posto, tecnici, impiegati, dirigenti e funzionari, al 16%.
Anche la fascia di età di appartenenza restituisce uno spaccato interessante sulla percentuale di gradimento della Dad alle scuole superiori.
I più favorevoli, con un 21% di giudizi che rientrano nella categoria “molto positivo”, sono i giovani di età compresa tra i 18 e i 29. I più scettici, con un 13% di “molto negativo”, sono le persone che rientrano tra i 30 e i 40 anni.
Se dal punto di vista strettamente numerico l’indagine sembra corroborare la scelta di tenere chiuse le scuole per questioni di sicurezza legate al Coronavirus, c’è un altro aspetto che non si può sottovalutare.
Il sociologo Diamanti rileva come «la “scuola a distanza”, per quanto utile, ci abitua ad agire e a vivere “da soli”. Sostituendo il digitale al contatto personale. Con il rischio di costruire una società di “persone sole”. E “da soli” è difficile essere felici.
Di certo, il “distanziamento” annuncia il declino del “legame sociale”. Cioè, della società — Diamanti conclude con una considerazione per il post festività natalizie -. Il ritorno della didattica in presenza, previsto a partire dal prossimo gennaio, dunque, è opportuno. Per contrastare il virus della solitudine. A condizione, ovviamente, di non liberare…il Coronavirus».
(da agenzie)
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Settembre 28th, 2020 Riccardo Fucile
SONO 32.000 LE CATTEDRE MESSE A BANDO
Il concorso straordinario per docenti di scuole medie e superiori ha finalmente una data. Il 22 ottobre si comincerà con la prova scritta per tutti gli insegnanti con almeno tre anni di servizio. 32 mila posti disponibili messi al bando dopo mesi di polemiche e tentativi di mediazione tra governo e sindacati della scuola.
Alla data di inizio seguiranno poi altre successive fino alla metà di novembre, così da distribuire la presenza dei 64 mila candidati e rispettare le misure anti-Coronavirus nelle aule scolastiche e universitarie. Con più di 37,5 o con una sintomatologia respiratoria in atto non si accede, la stessa cosa vale per le persone in quarantena. Sullo scaglionamento è invece corsa contro il tempo, serviranno soprattutto aule di informatica, particolarmente utili per garantire il distanziamento necessario.
Nessuna preselezione ma un’unica prova per tutti. Niente più crocette ma un quiz a risposta aperta a cui i candidati dovranno saper rispondere. Competenze disciplinari e didattiche saranno i macrotemi delle cinque domande presenti, più un sesto quesito per la lingua inglese. Centocinquanta minuti per meritarsi una delle 32mila cattedre a disposizione, con un punteggio minimo necessario di 7/10.
Le assunzioni, che dovrebbero secondo legge essere spalmate su tre anni, avverranno però probabilmente tutte entro settembre 2021. Il flop del gran numero di immissioni in ruolo che nelle settimane scorse non aveva trovato candidati tra i vincitori dei vecchi concorsi o tra gli iscritti alle Gae (Graduatorie ad esaurimento) fa pensare a possibili nuovi incarichi immediati.
(da agenzie)
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Agosto 29th, 2020 Riccardo Fucile
SONDAGGIO: LA MAGGIOR PARTE DEGLI STUDENTI E’ A FAVORE DELLA DIDATTICA MISTA
Secondo un sondaggio di Skuola.net c’è preoccupazione tra gli studenti per il ritorno della scuola in presenza, anche data l’assenza di notizie certe sui protocolli anti-Covid. E 1 studente su 3 dice che non indosserebbe la mascherina in aula
Si avvicina il momento del ritorno a scuola in presenza. Un ritorno ai tempi del Coronavirus che ancora non convince tutti. Il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca mette in dubbio che potrebbe accadere davvero e l’associazione del trasporto pubblico locale Astra lancia l’allarme sulle difficoltà e i disagi causati della riduzione nell’offerta di trasporto.
Un’altra incognita riguarda poi il comportamento che gli studenti adotteranno in classe rispetto alle norme anti-contagio del ministero. Una domanda a cui ha cercato di rispondere Skuola.net con un sondaggio fatto su un campione di circa 5mila studenti.
Le mascherine
In media 2 su 3 studenti si dicono disposti ad accettare la mascherina per tutta la giornata e la separazione dettata dai banchi monoposto, mentre soltanto 1 studente su 2 sarebbe vorrebbe indossarla durante la ricreazione. Circa un terzo degli studenti interpellati infatti sostengono quindi di non essere disposti a sopportarla per tutto il tempo. Una percentuale simile (27%) vede di cattivo occhio anche la separazione delle classi in gruppo più piccoli così da permettere la ripresa delle lezioni mantenendo il distanziamento fisico.
La misurazione della temperatura
Circa un quinto degli studenti racconta che non abbracciare i propri compagni sarebbe una vera e propria tragedia. Ma la maggioranza (relativa) è chiaramente disposta a sopportare le misure restrittive per evitare di trasformare la propria scuola in un focolaio. Lo stesso vale per i banchi singoli: il 41% infatti si dice a favore dell’eliminazione del banco doppio. C’è però scetticismo riguardo all’autodisciplina dei propri compagni: circa 8 su 10 infatti sostengono che qualcuno non rispetterà le norme e non si misurerà la temperatura prima di andare a scuola.
Didattica a distanza e didattica mista
Tra la maggior parte degli studenti intervistati si muove anche una certa preoccupazione vista la mancanza di certezze sul ritorno a scuola. Circa la metà si dice moderatamente preoccupato e c’è anche chi — un terzo — preferirebbe continuare con la didattica a distanza, nonostante le tante difficoltà che comporta. Un altro terzo invece crede che la strada da seguire sia quella della didattica mista. C’è anche chi propone un periodo di prova: una o due settimane per «valutare l’organizzazione degli spazi, degli studenti» per poi decidere se riaprire o meno.
(da Open)
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Agosto 19th, 2020 Riccardo Fucile
NUOVI BANCHI IN ARRIVO DALL’8 SETTEMBRE FINO A FINE OTTOBRE… VADEMECUM SULLA GESTIONE IN CASO DI POSITIVITA’
Osservare le tre regole auree della protezione dal Covid-19 – mascherina, lavaggio delle mani, distanziamento. È il mantra del ritorno nella scuola post pandemia, che Governo e Comitato tecnico scientifico ripetono di volere tenere fermo al 14 settembre, liquidando dubbi e perplessità pure espressi da tecnici ed esperti sulla fattibilità dell’impresa considerando i tempi stretti, le tante questioni ancora irrisolte e il numero dei contagi in aumento.
Dovesse cambiare il quadro epidemiologico, risalire l’indice Rt, la data di inizio delle lezioni slitterà ? Se lo chiedono in tanti, mentre i ministri – oggi lo hanno fatto, nell’ordine, Boccia e Speranza – continuano a ripetere che “riaprire il 14 è una priorità assoluta”.
Di certo, spiega ad HuffPost una fonte, il Cts continuerà a discutere e a monitorare la situazione nelle prossime settimane, non perdendo di vista l’indice di contagiosità Rt, sempre con la speranza che i numeri dell’epidemia non subiscano aumenti.
Il peggioramento del quadro epidemiologico renderebbe più complicata la lotta contro il virus nelle scuole con le sole armi di mascherina e distanziamento.
Per ora – insieme al lavaggio frequente delle mani – i capisaldi dell’azione anti contagio definita dagli esperti del Comitato, che oggi si sono riuniti con i ministri Speranza e Azzolina e il commissario straordinario per l’emergenza, Domenico Arcuri, anche per esaminare il documento elaborato dall’Istituto Superiore di Sanità con l’Inail che stabilisce come affrontare i casi di contagi nelle scuole.
Restano centrali la necessità della distanza tra gli alunni di almeno un metro e l’uso della mascherina ed è previsto un supporto di medici di famiglia e pediatri per gestire al meglio la sicurezza.
Anche oggi, si spiega in una nota,“è stato ribadito l’obiettivo di garantire quanto prima in tutte le scuole il necessario distanziamento interpersonale” e che non c’è nessun rischio di eventuali responsabilità penali per i presidi.
Il Cts, dunque, resta fermo sulla convinzione dell’uso esteso delle mascherine tra i banchi soprattutto dai 6 anni in su, come negli ultimi giorni ha spiegato più volte il coordinatore e dirigente della Protezione Civile, Agostino Miozzo. Il commissario Arcuri è pronto a distribuire 11 milioni di mascherine al giorno e 170 mila litri di gel a settimana alle Regioni che poi le faranno arrivare alle scuole.
Quanto agli eventuali contagi, Miozzo, dicendosi “sicuro che, con otto milioni di studenti e due milioni di persone che vi lavorano, nelle scuole ci saranno dei casi” aveva anticipato le linee definite nel documento dell’Iss, vale a dire che un contagio non comportera automaticamente la chiusura dell’istituto nel quale viene registrato, perchè “si esaminerà il contesto di volta in volta e, se necessario, si metterà in quarantena una classe o l’intera scuola: sarà discusso caso per caso con le autorità sanitarie locali e il dirigente didattico”.
Verrà diffuso da Cts un preciso protocollo sulle modalità di gestione dei casi di positività negli istituti scolastici.
A proposito di banchi, i nuovi monoposto non arriveranno prima del 7-8 settembre. Comincerà allora, infatti, la distribuzione agli istituti che ne hanno fatto richiesta nelle varie regioni – al momento al primo posto c’è la Sicilia,col 69% mentre la Val d’Aosta si è fermata all’8%. Media alta anche per la Campania, col 61%.
Le consegne da parte delle imprese che hanno vinto il bando è prevista fino a tutto il mese di ottobre. In serata la ministra Azzolina e il commissario Arcuri ne hanno parlato in una riunione con sindacati, dirigenti, Anci, Upi che hanno sottolineato la necessità di stringere e rispettare i tempi se davvero si vuole riaprire per il 14 settembre.
Ottenendo la rassicurazione che ci saranno sanzioni per quelle imprese vincitrici che dovessero sforare i tempi di consegna.
Ma con quali criteri si distribuiranno i 2 milioni e 800 mila nuovi banchi? Si darà la priorità alle Regioni col maggiore tasso di contagio? Arcuri avrebbe chiesto ai rappresentanti dei lavoratori del mondo della scuola di decidere insieme.
Resta l’allerta dei sindacati, sul piede di guerra anche sul fronte dei test sierologici da effettuare ad insegnanti e personale non docente di tutte le scuole – dell’infanzia, primarie e secondarie pubbliche, statali e non statali, paritarie e private e Istituti di istruzione e formazione professionali – sempre per l’inizio del nuovo anno scolastico. I test consegnati alle Regioni sono già due milioni. Lo screening partirà dal 24 agosto, in Toscana le attività per gli esami sierologici scatteranno già da domani.
Intanto il tempo stringe e mentre il 14 settembre si avvicina, all’orizzonte compaiono altre questioni da affrontare. La riorganizzazione del trasporto pubblico locale legata alla riapertura delle scuole. Il Cts aveva proposto di differenziare gli orari di ingresso negli istituti per evitare assembramenti sui mezzi, ma sembra l’indicazione non sia stata accettata dagli enti locali. Lunedì prossimo, in un nuovo tavolo tecnico, gli esperti insieme ai ministri dell’Istruzione e dei Trasporti, con Anci, Upi e Regioni cercheranno una nuova soluzione. Il mantra sarà lo stesso: mascherina, distanziamento
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 18th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA A PAOLA PEDRINI, SEGRETARIA DEL SINDACATO MEDICI DI FAMIGLIA: “ABBIAMO BISOGNO DEGLI ELENCHI IL PRIMA POSSIBILE”
Un mese, anzi, 28 giorni per essere precisi: il tempo che divide il mondo della scuola dal suono della prima campanella stringe.
Mentre i presidi chiedono al governo una sorta di “scudo penale” per non rispondere di eventuali contagi di Coronavirus all’interno del proprio istituto — qualora i protocolli di sicurezza fossero rispettati, ovviamente — e lamentano il ritardo nella consegna dei 2,5 milioni di banchi monoposto, che in alcuni casi non arriveranno prima della fine di ottobre, il test sierologico di massa sul personale scolastico sta per iniziare.
Si parte il 24 agosto per concludere la batteria dei cosiddetti “pungi dito” su circa 2 milioni di insegnanti e bidelli entro il 7 settembre.
Un lavoro enorme, per il quale le Regioni prevedono di appoggiarsi ai medici di famiglia: sono loro le professionalità incaricate di prelevare la goccia di sangue dai dipendenti del mondo scuola e verificare la presenza di anticorpi con i kit rapidi.
Nel caso in cui il reagente indicasse la presenza di immunoglobuline relative al Sars-CoV-2, spetterà all’Asl prendere in carico la persona ed effettuare il tampone entro 48 ore. «Ce la faremo, sono numeri sostenibili», assicura Paola Pedrini, segretaria della Fimmg Lombardia, sindacato della medicina di famiglia italiana.
Dottoressa Pedrini, 2 milioni di test sono tanti: ce la farete in quindici giorni a eseguirli tutti?
«Ho parlato di numeri sostenibili perchè, innanzitutto, l’adesione da parte dei medici di famiglia all’iniziativa è avvenuta su base volontaria. Con le partecipazioni raccolte, abbiamo stimato che ogni medico dovrà eseguire circa 20 test sierologici dedicati a insegnanti e personale scolastico. Per i territori in cui le adesioni non sono state cospicue, ci penseranno le Asl a completare lo screening».
Ci sono le condizioni di sicurezza per accogliere nel proprio studio un numero più elevato di pazienti rispetto alla quotidianità ?
«Rispetto alla prima fase della pandemia, i dispositivi di protezione individuale si reperiscono più facilmente. Certo, c’è qualche territorio che ancora fatica a recuperarli, però si tratta di casi minoritari. Se in alcune zone mancano i dispositivi, è giusto che i test sierologici vengano fatti dalle Asl. In Liguria alcuni medici di famiglia stanno protestando perchè non hanno ricevuto un numero sufficiente di dispositivi di protezione personale. Le Regioni Toscana e Lazio sembrano voler fare i test all’interno delle strutture delle aziende sanitarie. Sono scelte che devono essere assunte su base territoriale, a seconda del contesto».
È tutto pronto per far partire questo maxi screening del mondo scuola?
«Mancano alcune cose. Devono ancora arrivare ai medici di famiglia gli elenchi delle persone che hanno diritto a questo test: prima ci arrivano questi contatti, più facile sarà organizzare l’esame “pungi dito” su appuntamento. Non è il momento migliore per tardare sulla consegna dei nomi, visto che è ancora periodo di ferie e la disponibilità dei medici di famiglia non è illimitata».
Nel caso in cui un alunno avvertisse sintomi riconducibili alla Covid-19, le indicazioni per il contagio prevedono che la famiglia avvisi immediatamente il medico che prenderà in carico la questione segnalando il possibile caso all’Asl di competenza. Preoccupa il numero di chiamate che potrebbe arrivarvi?
«No, questo no. Come è stato fatto con qualsiasi lavoratore che, con la temperatura superiore a 37,5°C doveva chiamarci, così sarà per gli alunni».
Quali sono le criticità che vede lei, da medico di famiglia, nel ritorno a scuola di circa 8 milioni di studenti?
«Le norme per prevenire il contagio, mi riferisco a utilizzo della mascherina e distanziamento fisico, le conosciamo bene. Tutti gli istituti scolastici stanno attuando le linee guida fornite dal governo. Quindi ritengo che ci siano i presupposti per riaprire in sicurezza. L’impresa dev’essere individuare subito le persone sintomatiche per intervenire immediatamente. Più che l’apertura delle scuole, sono un po’ allarmata dall’organizzazione che si dà la macchina sanitaria nei diversi territori italiani. È essenziale per mantenere aperti gli istituti scolastici non ripetere gli errori fatti in primavera: diagnosi, tracciamento dei contatti e terapia devono far parte di un’organizzazione fluida del sistema sanitario».
Quali sono stati gli intoppi da non ripetersi?
«Ci sono ancora. Non sempre la diagnosi avviene in tempi rapidi: in alcuni casi, passano diversi giorni prima di ottenere il risultato dei tamponi. Se nella maggior parte delle Asl queste criticità sono state superate, nelle altre le difficoltà ci sono: se i casi, in autunno, dovessero aumentare, il rischio che si inceppi di nuovo il Paese è concreto se non si interviene adesso a risolvere questi nodi organizzativi».
Ci faccia un esempio di qualcosa che non ha funzionato in tempi recenti.
«Io sono di Bergamo e l’Ats di qui fa ancora a fatica a eseguire i tamponi in tempi rapidi. A volte il ritardo è dovuto alla comunicazione dell’esito al paziente, e questo ritardo si traduce in un isolamento posticipato rispetto al tempo idoneo per evitare che il malato contagi le persone intorno a sè. Poi, adesso che gli asintomatici sono molto più frequenti, la difficoltà nel tracciamento è aumentata. Sempre nell’Ats della mia zona, la mancanza di fluidità a cui facevo riferimento si palesa nella differente organizzazione sulle tre Asst di competenza. E a proposito di errori che si ripetono ancora oggi, l’Asst di Bergamo Est, quella di Alzano e Nembro per intenderci, aveva dato disposizione di recarsi in pronto soccorso per il tampone a quei viaggiatori che provenivano dai Paesi a rischio. Per fortuna, dopo qualche giorno, l’indicazione è cambiata e il test si svolge altrove».
Tornando al tema scuola, se in un’aula si riscontra un caso di positività , tutta la classe, docenti compresi, devono essere messi in quarantena. È una misura corretta?
«È una misura contraddittoria. Se si parla di rientro a scuola in sicurezza, vuole dire che la catena di trasmissione del virus non può avvenire negli istituti scolastici. Se è stato messo in pratica il distanziamento fisico necessario, anche grazie ai banchi monoposto che il governo sta acquistando, non è necessario che tutta la classe vada in quarantena. Altrimenti sarebbe solo propaganda parlare di rientro a scuola in sicurezza. Il punto fondamentale è far funzionare l’indagine epidemiologica che non c’è stata durante la prima fase della pandemia: perciò eravamo tutti chiusi in casa. Invece adesso occorre saper isolare soltanto le persone giuste per evitare nuovi lockdown, siano essi scolastici, cittadini o nazionali».
(da Open)
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Agosto 18th, 2020 Riccardo Fucile
MA QUANDO MAI ALL’INIZIO DELL’ANNO SCOLASTICO E’ STATO TUTTO A POSTO E PERFETTO?
Ma davvero crediamo all’Apocalisse del 14 settembre? Siamo messi davvero così male da poter dire, come fa qualche sindacato, che siamo sull’orlo di un burrone, parlando della riapertura della scuola?
Ma i sindacati si ricordano l’estate scorsa e quella precedente e quelle degli ultimi vent’anni, quando la scuola arrivava al fatidico giorno senza sapere se avesse professori, Ata, presidi al loro posto?
E qualcuno ricorda, presidi compresi, per quanti anni le scuole hanno aperto in deroga alle leggi sulla sicurezza (ma hanno sempre aperto e la responsabilità penale c’era anche allora)? Qualcuno lo spiegava a genitori e ragazzi? Naturalmente, no.
E, infine, i tanti cantori della scuola perfetta sanno che la vita quotidiana di qualsiasi istituto esiste solo grazie al contributo volontario-obbligatorio delle famiglie e che nessuno, nè tra i tanti autorevoli commentatori, nè tra i politici così tanto prodighi di dichiarazioni in questi giorni si sia posto il problema ora, negli anni scorsi, nei decenni scorsi
Ecco, allora, riportando le cose alle cose e il dibattito sulla terra. Il Covid ha imposto, giustamente, un’attenzione sulla scuola massima. La riapertura del 14 settembre è il segnale simbolico di un Paese che riprende una parvenza di normalità : la vita scolastica è il perno della vita sociale.
Mai come quest’anno sono state prese decisioni, sono stati investiti soldi, sono stati fatti screening sugli istituti del Paese.
Mai come quest’anno i presidi hanno lavorato, in alcuni casi, anche il giorno di ferragosto. E nessuno, dico nessun responsabile d’istituto, si presenterà il 14 settembre con la scuola fuori posto. Ha lavorato anche il ministero.
Il Comitato tecnico scientifico ha prodotto un documento il 28 maggio, poi ci sono stati dei pareri il 7 luglio e il 7 agosto. Al di là del clamore dei titoli dei giornali la linea di condotta principale nelle scuole, soprattutto superiori, resta il distanziamento, il cosiddetto metro tra le rime buccali.
Dà lì non si schioda, anche se il Cts deve per forza di cose garantire eccezioni, perchè non siamo e non saremo mai asburgici e certamente qualcosa non sarà a posto al millimetro per il 14 settembre.
E, quindi, il Cts deve dire quel che ha detto e cioè che se non dovessero esserci i banchi singoli per quella data, le aule attrezzate come si deve, etc, etc, si comincia lo stesso tenendo i ragazzi in classe con la mascherina, ma mai e poi mai il Cts ha trasformato l’eccezione in regola: fanno fede le indicazioni del 28 maggio e quelle tutte le scuole devono seguire. Il ministero della Sanità ha prodotto un protocollo. Insomma, non manca nulla.
Il Cts si riunisce il 19 agosto per ulteriormente precisare. Si sanno già obblighi e deroghe, si sa già , giustamente, come devono essere organizzate le classi, dagli asili alle superiori. Nove milioni di persone sanno e sperano che vada tutto bene (ma, ricordiamolo, lo fanno ogni anno nel disinteresse generale).
Ai politici che parlano a vanvera (non solo loro) il Cts non risponda, proponendo la misurazione della temperatura all’ingresso delle scuole perchè sarebbe il caos. Se la ministra Azzolina dice, misuratela a casa, viene derisa, con Salvini a tirare la fila.
Ma vi immaginate cosa significhi misurare la temperatura in istituti con duemila alunni (e ce ne sono)?
E poi, dove è finito il senso di responsabilità delle famiglie? Che fanno, vogliono tutto a posto e poi mandano i figli in vacanza in Croazia, a Malta, oppure ai balli assembrati in ogni parte d’Italia, prima del 16 agosto, s’intende?
E poi chiedere conto, ma allo Stato, se tornano positivi, se poi diventano positivi anche i familiari?
Ma a scuola, a settembre, ci deve andare la ministra Azzolina? Chiediamoci tutti cosa possiamo e dobbiamo fare per seguire quei tre minimi principi di precauzione (portare la mascherina, lavarci le mani e stare distanziati) per stare in salute.
Al raggiungimento dll’obiettivo del 14 settembre non concorre solo il ministero dell’Istruzione. Un ruolo decisivo lo hanno gli enti locali (e quindi sarebbe meglio fare che dilungarsi in inutili dichiarazioni allarmistiche in cui si perdono alcuni governatori).
Grazie al Covid quest’anno si sono sbloccate situazioni incancrenite, disponibilità di aule mai viste, firme su autorizzazioni rinviate per anni senza un valido motivo.
Ma tanto altro si deve fare e su questo l’opinione pubblica deve pressare e pretendere. Le Regioni, i Comuni spesso nemmeno sanno quanti spazi, ex scuole dismesse, locali in passato adibiti ad altri usi, forse in alcune grandi città qualche migliaia, possiedono.
Un censimento che devono fare, se ancora non lo hanno fatto. I banchi singoli arriveranno e se non arriveranno il 14 continueranno ad arrivare e sarà nostro compito chiedere conto ad Arcuri e alla Azzolina.
L’Associazione nazionale presidi lancia allarmi sul 14 settembre, lo fa con regolarità . E’ giusto, ma bisogna ricordare che non tutti i presidi sono associati all’Anp (che ne rappresenta poco più della maggioranza) e chi sta zitto e lavora non lo fa per scarso corporativismo o mancanza di senso di responsabilità . Forse, non è d’accordo.
All’allarme sulla scarsità di risorse altri replicano che le risorse sono anche troppe e non si sa come spenderle; alla richiesta di una tutela penale avanzata dal presidente Anp, Antonello Giannelli, altri ricordano che la responsabilità penale è connessa al ruolo di datore di lavoro, c’è nel profilo professionale del dirigente scolastico, Covid o non Covid (la discussione sulla modifica della norma non riguarda solo il Covid, ma la responsabilità penale nel suo complesso).
Altri presidi ricordano che uno dei limiti sta nell’avere la responsabilità penale, ma di non poter disporre pienamente di locali messi a disposizione che restano di proprietà degli enti locali.
(da “Huffingtonpost”)
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