Luglio 12th, 2020 Riccardo Fucile INCENTIVI, ZERO TASSE PER CHI RITORNA DALLE UNIVERSITA’ DEL NORD
Le università di tutta Italia sono preoccupate per il nuovo anno accademico in cui — a causa della crisi aperta dalla pandemia e dal distanziamento sociale obbligato — si stima il 10-15% nelle immatricolazioni in meno in tutto il paese.
Al sud le università stanno iniziando a proporre una serie di incentivi per gli studenti che rientrano dalle università nelle altre regioni o che scelgono di rimanere a studiare a casa, il tutto tra le proteste dei rettori del nord che parlano di concorrenza sleale. Si sta aprendo una vera e propria faida tra nord e sud, quindi, con opinioni agli antipodi.
La regione Sicilia ha deciso di offrire 1.200 euro a tutti gli studenti che scelgono di rientrare da altre regioni.
L’Università di Palermo nello specifico, poi, promette iscrizione gratuita — per quest’anno — a coloro che scelgono l’ateneo del capoluogo.
Anche dalla Puglia arriva una scelta simile, con zero tasse per chi torna a studiare in regione (anche dall’estero).
Queste idee sono valse la bocciatura del ministro dell’Università , che ferma subito: «Non conosco nel dettaglio questi incentivi, però non sono favorevole a misure che abbiamo una caratteristica di tipo territoriale, in qualsiasi posto vengano fatti. Dobbiamo garantire pari opportunità agli studenti e libertà di scelta». Le proteste del nord parlano di concorrenza sleale ma dal sud ribattono: «Si tratta di una normale forma di concorrenza, certo non sleale», sottolinea il rettore di Palermo.
Il nord ribatte parlando di incostituzionalità di queste misure, con il presidente della Conferenza dei rettori che le definisce «politiche di corto raggio» e sostiene che «il tema non è tanto la concorrenza, ma non sottovalutare la capacità di scelta dei nostri studenti. La mobilità non può essere forzata, bisogna solo puntare sulla qualità . Nessun protezionismo o chiusura di confini può essere la soluzione».
Dai rettori di Milano e Padova arrivano parole sulla stessa lunghezza d’onda, a sottolineare che non è diversificando le due realtà che si fa il meglio per gli studenti.
(da agenzie)
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Aprile 9th, 2020 Riccardo Fucile LA SICILIA STANZIA UN CONTRIBUTO DI 800 EURO PER I GIOVANI CHE NON SONO TORNATI A CASA, LA TOSCANA CONTRIBUISCE A PAGARE I LORO AFFITTI… LE ALTRE REGIONI DEL SUD QUANDO PENSANO DI SVEGLIARSI?
C’è chi faceva il cameriere, chi la babysitter: lavoretti per mantenersi all’università . Oggi, con
l’epidemia di Coronavirus, è tutto fermo e i ragazzi fuorisede non possono più far fronte alle spese, soprattutto a quelle più onerose: basta pensare al costo di una stanza singola in una città del nord — a Milano per esempio si oscilla tra i 400 e i 600 euro. Molti di loro poi hanno lasciato il Nord per tornare a casa, al Sud, visto che le università sono chiuse da settimane e che è stata attivata la didattica a distanza.Ma adesso chi paga gli affitti? Molti ragazzi sono in seria difficoltà : Sebastiano Pala, di Udu (Unione degli universitari) Milano, è uno di questi. Iscritto all’università Statale, è originario della Sardegna ed è tornato a casa perchè nella sua stanza, nel capoluogo lombardo, «non aveva il wifi».
«Ho un canone concordato per studenti, pago 360 euro più spese, e mi ritengo fortunato rispetto alla media. La proprietaria di casa si è anche detta disponibile a una rinegozazione del canone d’affitto ma non è sempre così. Ci sono le agenzie che ti chiedono di pagare 200-300 euro per la rescissione del contratto anticipato e ci sono anche i proprietari che dicono di no alla riduzione del canone». In altre parole, confessa, «siamo stati lasciati da soli» con i genitori che adesso «rischiano di non guadagnare più nulla con il mercato ormai fermo da settimane».
«Mio padre non lavora ed è in cassa integrazione all’80% dello stipendio», aveva raccontato Francesco La Spina, 23 anni, studente a Torino, che chiedeva di rientrare in Sicilia per poter «risparmiare su affitto, bollette e spesa»: «Non sono un “mammone”, chiedo un rientro organizzato al Sud».
Camilla Guarino di Link Coordinamento Universitario, invece, pone l’attenzione sul problema della rinegoziazione del canone d’affitto mensile: «Tutto viene rimesso al buon senso dei proprietari che, però, non essendo costretti, in alcuni casi si rifiutano. Per questo bisogna far sì che per gli oltre 500mila studenti universitari fuorisede si trovino altri soluzioni».
«C’è chi sta agendo direttamente come la Regione Toscana e chi, come la Regione Siciliana ha stanziato 7 milioni di euro»
Toscan
Interveniamo intanto con fondi regionali, ma l’auspicio è che su questa criticità intervenga anche il governo”. “I giovani universitari sono una ricchezza della Toscana — aggiunge la vicepresidente e assessore alla cultura Monica Barni — Abbiamo il dovere di mantenere vitale il tessuto di relazioni di cui sono protagonisti i tanti studenti fuori sede che vivono nelle città che ospitano gli atenei. Con l’azienda per il Diritto allo studio stiamo lavorando per aiutare gli studenti borsisti fuori sede in questa fase di emergenza sanitaria ed economica, aiutando a sostenere i canoni di locazione. L’impegno della Regione a favore del diritto allo studio e della cittadinanza studentesca è una priorità “.
Sicilia
Si tratta di quattro milioni destinati «agli studenti iscritti in atenei al di fuori della Sicilia, anche all’estero»: «Per loro 800 euro, se hanno mantenuto la permanenza, in quelle sedi, dal 31 gennaio fino a oggi». Altri tre milioni, invece, andranno agli studenti fuorisede, ma residenti in Sicilia, «che abbiano richiesto il contributo alloggio all’Ersu — l’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario — per l’anno accademico in corso e siano risultati idonei, ma non assegnatari del beneficio».
«I destinatari del primo contributo dovranno, inoltre, essere regolarmente iscritti all’anno accademico 2019/2020, appartenere a un nucleo familiare con una certificazione Isee non superiore ai 23 mila euro annui e non godere di altri benefici economici erogati per le stesse finalità », spiega la Regione Sicilia.
Un sostegno, quasi un “premio” a chi ha deciso di non tornare a casa, che verrà erogato tramite gli Ersu. A spiegarlo è il governatore dell’isola Nello Musumeci: «Abbiamo ritenuto doveroso riservare una particolare attenzione a quei giovani che hanno affrontato il sacrificio della lontananza dalle loro famiglie in un momento particolarmente difficile, rinunciando a rientrare in Sicilia». Il bando sarà disponibile entro mercoledì 15 aprile sul sito del dipartimento dell’Istruzione e della formazione professionale della Regione Siciliana e su quelli degli Ersu regionali.
La proposta: «Congelare gli affitti»
Sebastiano di Udu Milano, invece, propone il «congelamento del pagamento degli affitti mensili senza incorrere in sanzioni». In altre parole, non pagare nulla in questo periodo per poi «spalmare la cifra non corrisposta nei mesi successivi». Ma c’è anche Stefano Chiappelli, segretario generale nazionale del Sunia, il Sindacato Unitario Nazionale Inquilini e Assegnatari, secondo cui bisognerebbe «favorire la rinegoziazione dei contratti agevolando i proprietari con detrazioni fiscali. Altrimenti, finita l’emergenza, ci ritroveremo con un aumento vertiginoso degli sfratti».
(da Open)
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Dicembre 21st, 2018 Riccardo Fucile IL PACCO DI NATALE DI SALVINI E DI MAIO AL MONDO DELL’UNIVERSITA’
La Dignità , a prescindere da quello che racconta Di Maio, non si acquisisce per Decreto. Per
questo, dopo l’elemosina dei fondi incrementati alle università italiane, che mantiene le spese per gli atenei allo 0,4% del PIL, ecco il regalo di Natale del governo Lega-M5S ai ricercatori e ai professori: il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, che non interrompe le procedure concorsuali in corso o future, ma posticipa ogni assunzione a valere su risorse ordinarie del 2019 al 16 novembre 2019.
Il blocco fino al 16 novembre 2019, ed è bene che tutti lo sappiano, è una decisione che viene presa oggi, ovvero un anno prima, al netto dei 30 miliardi che il governo dovrà scovare da qualche parte entro la fine dell’anno per evitare gli aumenti dell’IVA: questo significa che molte spese oggi rinviate rischiano un ulteriore rinvio alla fine dell’anno.
Il governo auspica che una nuova commissione dopo il voto alle elezioni europee possa essere più accomodante nei confronti degli sforamenti di bilancio, ma se questo non avverrà dovrà continuare a tagliare.
E il fatto che alcune riforme come il reddito di cittadinanza e quota 100 abbiano costi crescenti non promette nulla di buono dal lato del fabbisogno.
Il mondo dell’università , che a fatica stava uscendo dai tagli Gelmini e dagli interventi in austerity del governo Monti, è insorto.
Contro i 5 Stelle, rei di non aver difeso gli atenei.
Rettori e ricercatori – alcuni, in scadenza, nel 2019 non potranno essere assunti – si sono sollevati: «I precari possono sperare nella pensione quota 100 o nel reddito di cittadinanza», ha scritto Michele Bugliesi, guida dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Sono rimasti fuori dal blocco assunzioni le forze dell’ordine, strenuamente difese da Salvini, la scuola e la ricerca.
I membri di Arted, associazione dei ricercatori a tempo determinato, sono furiosi per “il pacco sotto l’albero di Natale per i docenti ed i ricercatori precari dell’Università ”. Il ministero dell’Istruzione si vede anche bloccare 100 milioni, con un stop a 70 milioni da riversare sulle università e ad altri 30 milioni per la ricerca.
A oltre 40 milioni ammonta poi il “parcheggio forzato” delle risorse a disposizione del ministero degli Affari esteri, quasi tutte inglobate nel fondo per la cooperazione allo sviluppo.
Tra i ricercatori invece c’è chi si chiede che fine faranno gli RTD-b, ovvero i ricercatori senior abilitati che finiscono il loro triennio nel 2019.
“Nella legge di bilancio ci sono fondi per mille posti da RTDb, figura di ricercatore che -se abilitata- può essere stabilizzata come professore associato al termine del proprio triennio, ma tale numero è piccolo se consideriamo che nel 2019 sono previsti circa 1.700″, scrive proprio Arted. Ma cosa ne sarà degli oltre 1200 RTDb assunti nel 2016, che in caso di conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale, dovrebbero essere inquadrati come professori associati al termine del proprio triennio, che si chiuderà proprio nel 2019?
Chissà se adesso i ricercatori ascolteranno Fioramonti e non voteranno M5S alle elezioni europee.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile LA SCUOLA NORMALE DI PISA E LA LOTTA DELLA LEGA CONTRO IL PERICOLO NAPOLETANO
“Pisa è salva” ha esultato il sindaco leghista Michele Conti dopo l’incontro con il ministro
dell’Istruzione Bussetti, anch’egli soldato della milizia di Alberto da Giussano.
Stava infatti accadendo una cosa terribile: il rettore, il noto sovversivo Vincenzo Barone, si era detto favorevole a che la Normale aprisse una sede secondaria al Sud, precisamente a Napoli.
Incurante che la contaminazione del brand e la sua meridionalizzazione avrebbe intaccato l’allure della scuola superiore, portandola al piano inferiore.
Una scuola come tante, insomma. Era chiaro che la succursale napoletana, conoscendo la città e i suoi abitanti, avrebbe provocato una dispersione dell’intelligenza creativa, una riduzione del rigore e anche un allentamento della severità degli studi con un complessivo appannamento dell’immagine.
Il partito di Salvini, che su Napoli, il Vesuvio e la possibile lava che avrebbe potuto definitivamente ripulirla, si è già espresso con chiarezza in tempi non sospetti.
Oggi il suo sindaco pisano, insieme alla delegazione parlamentare e poi al ministro, si sono opposti a questa possibile barbarica aggressione meridionale, vincendo il braccio di ferro.
“Abbiamo sventato un atto contro la nostra città ”, ha detto il sindaco.
Prima gli italiani. Anzi: prima i pisani!
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 8th, 2018 Riccardo Fucile ROBERTO PAGANI: “QUI LA GENTE E’ CREATIVA E RILASSATA. SE I GIOVANI ITALIANI VENISSERO PAGATI COME FANNO QUI, NESSUNO STAREBBE CON LE MANI IN MANO”
Roberto Pagani ha lasciato l’Italia il 23 agosto 2014, aveva in mano una laurea in lingue
nordiche e in inglese, con un anno di Erasmus a Edimburgo.
“Sono andato via quando ho capito che la burocrazia mi avrebbe sempre tarpato le ali — racconta —. Non conosco molti altri Paesi in cui avrei potuto insegnare all’università già a 25 anni”.
Oggi a 28 anni Roberto è dottorando in linguistica e codicologia islandese all’università di Islanda a Reykjavàk, dove insegna anche lingua e letteratura italiana e fa il supplente del docente titolare nei corsi di antico nordico.
Tornare? “Preferisco essere messo alla prova che stare in un sistema a vantaggio dei mediocri”.
Precisiamolo. Roberto non si è mai sentito costretto ad andare via. “Mi sono trasferito all’estero per vedere cosa sarebbe successo. Devo dire che la mia si è rivelata una scelta azzeccata”.
Da ricercatore è finito a studiare i manoscritti delle saghe medievali, “i loro tesori nazionali, come per noi certe opere d’arte”, spiega.
La differenza principale è che gli islandesi provano molto orgoglio per il loro passato letterario: “In Italia non avevo mai visto nessuno di più importante del presidente della provincia di Cremona, qui mi sono trovato a ricevimenti a cui partecipavano la prima ministra o il presidente”.
Mi sono trasferito all’estero per vedere cosa sarebbe successo. Devo dire che la mia si è rivelata una scelta azzeccata
A parte l’agilità della burocrazia (“10 minuti per aprire un conto in banca, 15 per comprare una macchina”), l’Islanda si distingue dall’Italia per l’atteggiamento molto rilassato nei riguardi della vita.
La giornata di Roberto varia in base alla stagione: “Di solito arrivo all’università intorno alle 9, ma in inverno quando il buio continua fino alle 11 del mattino è più difficile alzarsi presto”, sorride.
Roberto lavora nell’istituto àrni Magnàºsson per gli studi islandesi, all’interno del campus universitario. “Sulla mia scrivania ho sempre una catasta di libri aperti tappezzati di note e post-it. Lavoro sui miei manoscritti e inserisco dati su excel a scopo statistico”.
Alle 9:50 c’è una sessione di yoga, alle 10 pausa con caffè e tè, per poi proseguire con ricerche e ore di lezione. “A volte resto in istituto a lavorare fino a tardi, ma è comunque a mia discrezione”.
Vivere gli inverni a ridosso del circolo polare artico non è di per sè semplicissimo: “Il buio e il vento costante possono essere davvero pesanti psicologicamente”, spiega Roberto. Eppure gli islandesi sono “molto meno organizzati degli italiani. Non arrivano mai in orario, non pianificano mai se possono evitarlo e improvvisano impazzendo all’ultimo”.
La gente in Islanda però è anche molto creativa, “maestra nell’arrangiarsi”, e tutti fanno più di un lavoro. “Io stesso — continua il ricercatore — negli anni ho fatto l’insegnante, il maestro di asilo nido, il traduttore e la guida turistica”.
Questa capacità di adattamento rende gli islandesi molto abili nel superare periodi di crisi. Roberto insiste sul punto: “Qui sono molto informali: se dovessi incontrare il presidente in persona mi rivolgerei a lui usandone il nome di battesimo e dandogli del tu. In Italia bisogna sempre divincolarsi nella selva di convenzioni che contemplano forme di cortesia, titoli e quant’altro”.
E in Islanda ci sono dei vantaggi anche dal punto di vista economico. “Sento spesso dire dagli italiani che i giovani non hanno voglia di lavorare. In Islanda dai 16 anni in su lavorano tutti: alle casse dei supermercati ci sono soprattutto ragazzini, così come nei bar e nei ristoranti. Se i giovani italiani venissero pagati come li pagano qui, con le ferie e le tutele che ci sono qui, e con la facilità di assunzione (e licenziamento) che abbiamo qui, nessun ragazzo italiano starebbe con le mani in mano”.
Per Roberto il mercato del lavoro italiano è “sbilanciato, gli stipendi sono bassi, c’è troppa differenza salariale tra lavoratori e dirigenti”. Questo crea “invidia sociale e mina la coesione”.
In Islanda, nonostante non manchino gli scandali di lavoratori stranieri sfruttati e sottopagati, “non si teme di perdere il portafogli, dimenticare la porta di casa o dell’auto aperta, perchè il tasso di criminalità è molto basso. In più qualsiasi lavoro, nella maggior parte dei casi — spiega Roberto — permette di farsi i weekend a Tenerife o a Londra e comprarsi un iPhone”.
L’ipotesi del ritorno in Italia al momento c’è, ma solo per le vacanze. “Mi sono trasferito in Islanda perchè mi sono innamorato del Paese, ma tanti vogliono muoversi solo perchè in Italia non vedono nessun futuro. Se devono trovarsi un lavoro umile di ripiego, tanto vale farlo in un Paese come questo, che permette di farsi una vita dignitosa”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 6th, 2018 Riccardo Fucile LO STANZIAMENTO DI 60 MILIONI E’ IRRISORIO RISPETTO ALLE PROMESSE E IN LINEA CON I GOVERNI PRECEDENTI, NON C’E’ NULLA DA FESTEGGIARE
«Con 60 milioni le Università tornano a respirare». È raggiante la senatrice Paola Taverna quando annuncia che nella Manovra del Popolo il governo ha previsto lo stanziamento di 40 milioni di euro per i fondi agli atenei, 10 milioni per le borse di studio e 10 per gli istituti di ricerca.
Secondo la senatrice pentastellata «finalmente il Governo agisce e pone l’istruzione fra gli obiettivi principali».
Ma davvero 60 milioni di euro sono una boccata d’ossigeno? La risposta è no.
Secondo Paola Taverna lo stanziamento dimostra che il governo Conte ha l’istruzione universitaria tra gli obiettivi principali.
Ma cosa sono sessanta milioni di euro di fronte ai 9 miliardi previsti per il Reddito di Cittadinanza e ai 7 miliardi che ci costerà il “superamento” della legge Fornero? Niente.
Dire che il governo pone l’istruzione tra gli obiettivi principali presentando il tutto come un enorme regalo di Natale per gli atenei italiani è una sonora fregnaccia.
I 40 milioni di euro graziosamente donati alle università del Bel Paese andranno a finire all’interno del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO). Sapete a quanto ammonta la dotazione del FFO per il 2018? Sette miliardi e trecento milioni di euro.
Messa in questa prospettiva è evidente quindi come l’Università non sia tra gli obiettivi principali dell’esecutivo. E come potrebbe essere altrimenti.
Ma per Paola Taverna su una manovra da 37-40 miliardi di euro mettere 40 milioni “nelle casse dei nostri atenei” equivale a mettere al centro la spesa per l’istruzione.
Al massimo si può dire che il governo gialloverde sta facendo quello che hanno fatto tutti i governi dal 2010 ad oggi: aumentare impercettibilmente la dotazione del Fondo.
Riguardo invece ai 10 milioni per le borse di studio, basti qui ricordare che gli studenti universitari italiani sono 1.654.680.
Non tutti naturalmente avranno diritto alla borsa di studio. Ma quante sono le borse di studio erogate annualmente?
Nel 2016 vennero erogate 136mila borse di studio e nel 2017 i fondi statali per il diritto allo studio ammontano a 217 milioni di euro (nel 2013 erano 149 milioni).
Di nuovo: ben vengano i 10 milioni di euro in più ma non sono certo uno stanziamento clamoroso.
Anzi, il partito che prometteva «un rilancio forte di formazione, università e ricerca» dicendo che avrebbe portato entro la fine della legislatura la spesa per l’Università e la ricerca «in media con l’Unione europea: al 5% del Pil per la formazione e al 3% per la ricerca» forse avrebbe potuto fare di più.
Anche perchè il M5S aveva scritto nero su bianco quanti soldi servivano per questo ambizioso programma di rilancio di formazione, università e ricerca: 25 miliardi di euro in cinque anni. Ovvero cinque miliardi di euro l’anno.
Paola Taverna però festeggia perchè sono stati stanziati 60 milioni di euro, non esattamente quello che era stato promesso.
Il professor Michele Boldrin commenta su Twitter il grande annuncio della senatrice Taverna dicendo che «il governo Lega-M5S è disposto ad investire nel futuro dei giovani meno di 1/200 di quanto intende regalare ai sessantenni per farli stare in pensione 30 anni».
Il tutto a carico di chi quelle pensioni dovrà pagare il futuro, cioè i giovani (se troveranno lavoro).
Dati alla Mano la misura a sostegno dell’Università e della ricerca porta la spesa per l’istruzione universitaria dallo 0,16% del PIL allo 0,16% del PIL.
Non sposta quindi nulla. Ma il M5S la vede diversamente e twitta «Altro che tagli: con noi al Governo lo Stato torna a fare lo Stato!».
Le cose non migliorano se si va oltre i confini italiani e si guarda quanto spendono gli altri stati membri della UE per l’istruzione, l’università e la ricerca.
I dati Eurostat del 2016 e mostrano come il nostro Paese investa il 3,9% del PIL nell’istruzione (la Francia investe invece il 5,4% del PIL, la Germania il 4,2%) .
In particolare per quanto riguarda l’istruzione universitaria (tertiary education nei grafici qui sopra) l’Italia spende lo 0,3% del PIL (Francia lo 0,6% e la Germania lo 0,8%). Nel 2017 la spesa per l’Università era salita allo 0,4% del PIL, sempre poco rispetto a quanto fanno nel resto d’Europa.
Con l’incredibile manovra del popolo però questa spesa rimarrà sostanzialmente uguale.
Il MoVimento 5 Stelle si è dato 5 anni di tempo (ma nel contratto di governo tutti questi riferimenti sono scomparsi) per portare la spesa per l’istruzione al 5% del PIL, ovvero aumentarla dell’1,1%. Perchè quindi festeggiare lo stanziamento di 40 milioni di euro?
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 16th, 2018 Riccardo Fucile E’ LA CORTE DEI MIRACOLI, TRE CAMBI DI LINEA IN 12 ORE
Lo si legge chiaro e tondo nel comunicato che questa mattina il governo italiano ha fatto pubblicare sul sito della presidenza del Consiglio dei ministri: “Si abolisce il numero chiuso nelle facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di accedere agli studi”.
Un’affermazione perentoria e sicura che nel corso della mattinata è diventata una boutade.
In un tweet il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss), Walter Ricciardi, che per ovvi motivi risalenti al decreto Lorenzin non si aspetta certo di essere confermato dall’esecutivo in quel ruolo, dice che si tratta di una decisione folle.
Poi arriva la prima mazzata: a margine di una conferenza stampa organizzata a Venezia il ministro della Pubblica Istruzione Marco Bussetti fa sapere che la decisione è stata presa a sua insaputa: “Voglio essere sincero, a me non risulta questa cosa. Farò le dovute verifiche ma non mi risulta nulla di simile”.
Verso mezzogiorno arriva la nota congiunta di Bussetti e di Giulia Grillo, ministra della Sanità e altra interessata al provvedimento: qui arriva una mezza retromarcia che però va letta tra le righe.
I Ministri Bussetti e Grillo hanno chiesto in sede di Consiglio dei Ministri di aumentare sia gli accessi sia i contratti delle borse di studio per medicina.
Lo si apprende in una nota ufficiale che precisa quanto uscito oggi in alcuni siti che parlava di una abolizione del numero chiuso.
“È un auspicio condiviso da tutte le forze di maggioranza che il Governo intende onorare — si legge poi — Si tratta chiaramente di un percorso da iniziare già quest’anno per gradi. Per assicurare l’aumento dei posti disponibili e avviare un percorso condiviso, a breve sarà convocata una prima riunione con tutti i soggetti interessati a cominciare dalla Crui”.
Alle 12,30 finalmente parla Palazzo Chigi: “In merito al superamento del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina, la Presidenza del Consiglio precisa che si tratta di un obiettivo politico di medio periodo per il quale si avvierà un confronto tecnico con i Ministeri competenti e la Conferenza dei Rettori delle università italiane (CRUI), che potrà prevedere un percorso graduale di aumento dei posti disponibili, fino al superamento del numero chiuso”.
Insomma, il governo non ha abolito il numero chiuso, obiettivo di medio periodo, ma ha cominciato ad annunciarlo per portarsi a casa i risultati di breve periodo.
Quelli elettorali-
L’effetto di una cosa del genere sull’organizzazione delle Università sarebbe dirompente, basti pensare che quest’anno su 67mila candidati sono passati in 10mila, coiè coloro che hanno superato il test e sono entrati nel numero chiuso. E’ facile comprendere quale sforzo organizzativo richiederebbe agli atenei far entrare tutti e non solo dal punto di vista delle aule dove si svolgono i corsi. In generale andrà riorganizzata tutta la didatica, cosa che richiederà fondi extra.
Tanto più che probabilmente il numero chiuso scoraggiava alcuni giovani diplomati, che temendo di essere bocciati non si presentavano nemmeno. Con l’apertura a tutti, dal prossimo anno a Medicina potrebbero iscriversi ancora più persone di quelle che normalmente si candidano al test.
Il problema principale del reclutamento dei medici da parte del servizio pubblico in questo momento, tra l’altro, ha a che fare con le scuole di specializzazione, cioè si presenta in una fase successiva rispetto all’ingresso alle Università .
Per formare cardiologi, internisti, chirurghi generali eccetera quest’anno sono state bandidte 7mila borse di studio per laureati in medicina.
Si tratta di un numero inferiore ai circa 10mila laureati ma anche a quello dei medici che dovrebbero andare in pensione (circa 8mila).
Ammettere tutti a Medicina senza aumentare le borse di specializzazione non servirebbe quindi ad far crescere il numero degli specialisti pronti ad entrare in ospedale o a diventare medico o pediatra generico, perchè l’imbuto si trova appunto nelle scuole di specializzazione.
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2018 Riccardo Fucile ISTITUTO CATTANEO: I LAUREATI IN ITALIA GUADAGNANO MENO DEI LORO COLLEGHI DI ALTRI PAESI… UN GIOVANE SU QUATTRO CON DIPLOMA O LAUREA NON TROVA LAVORO
In Italia si studia di meno rispetto agli altri Paesi europei, e ancor meno rispetto agli stati Ocse. Non solo: chi ha una laurea guadagna, in proporzione di meno rispetto ai laureati degli altri Paesi. A laurearsi, poi, in generale, sono i figli dei laureati.
Segno, questo, di una scarsa mobilità sociale.
Ma a cosa è dovuto tutto ciò? L’istituto Cattaneo ha analizzato i dati e provato a tirare le somme, lanciando poi un monito al governo: per invertire la tendenza è necessario investire di più nell’istruzione. A sentire la discussione sulla manovra, però, pare che l’esecutivo sia orientato a privilegiare altri temi.
In media gli italiani studiano o hanno studiato meno dei loro coetanei europei. E, stando a quanto emerge dall’analisi dei numeri, istruirsi non conviene, almeno in termini di occupazione e remunerazione.
In percentuale, infatti, i disoccupati con una laurea in Italia sono il doppio rispetto a quelli degli altri Paesi europei.
Altrettanto preoccupante è il numero di chi, nonostante la laurea, non cerca neanche più un lavoro: un giovane su quattro, in Italia, anche se ha un diploma superiore o una laurea, non ha e non cerca un’occupazione.
Si legge nel report:
In Italia, mentre chi ha solo una licenza elementare o media guadagna in media il 23% in meno di un diplomato di scuola superiore (percentuale calcolata sull’intera popolazione di età compresa tra 25 e 64 anni di età , in linea con la media europea), chi ha una laurea o più riceve uno stipendio pari al 141%, in media, di quello di un diplomato, contro una media europea del 153%. Ovvero, i nostri laureati sono pagati meno dei loro colleghi europei, rispetto ai diplomati. A questo riguardo, è interessante notare che le donne non solo guadagnano meno degli uomini, ma più sono istruite e meno guadagnano (in proporzione). Le laureate italiane, infatti, hanno una retribuzione che si aggira attorno al 71% di quella degli uomini, mentre per le diplomate il valore sale attorno all’81% (le medie europee sono 75% e 79%, rispettivamente). E questo vale anche per le più giovani.
A tutto ciò si accompagna uno scarso investimento nell’istruzione da parte del governo: l’Italia spende per scuola e università solo il 7,1% del Pil. Negli ultimi anni, peraltro, l’investimento è diminuito in maniera costante.
Tale spesa, se è generalmente calata per molti paesi tra il 2010 e il 2014, per alcuni, tra cui Italia, Portogallo, Slovenia e Spagna, è diminuita di più dell’11% in 4 anni, a fronte di un calo della spesa per servizi complessiva molto più modesto.
Per quanto riguarda il grado di istruzione, tra i dati della ricerca che saltano di più all’occhio c’è la percentuale di giovani tra i 25 e i 35 anni che ha frequentato solo la scuola dell’obbligo. Certamente molto è cambiato negli ultimi anni, ma in Italia ci sono – in proporzione – molti meno giovani laureati e diplomati rispetto alla media europea e Ocse.
Si legge nel report dell’istituto Cattaneo:
Il tasso di istruzione primaria e media inferiore — ovvero la quota di popolazione che ha solo frequentato la scuola dell’obbligo — resta altissimo per il nostro paese. Dal 2000 ad oggi, esso è infatti passato dal 43,6% della popolazione di riferimento al 26,1%, contro una media europea scesa dal 23,1% al 14,8% e una media OCSE di poco superiore. La quota di possessori di titolo di studio secondario superiore — nella classe di età — è invece passata dal 46% al 48,3% nel periodo, contro una media europea scesa dal 53,2% al 44,7%. Parimenti, i giovani con titolo universitario sono passati dal 10,4% del totale dell’anno 2000 al 20,7% del 2010, per poi attestarsi al 25,6% attuale. I loro colleghi europei, che erano il 20% del totale nel 2000, sono oggi più del 40,4%.
Se si guarda all’istruzione terziaria i dati sono particolarmente sconfortanti: facendo riferimento alla popolazione che ha un’età compresa tra i 25 e i 64 anni si nota come le persone che hanno proseguito i loro studi fino alla laurea o che hanno conseguito anche un master o un dottorato sono circa la metà rispetto alla media degli stati europei. Il paragone con la media Ocse è ancora più sconfortante:
L’istruzione terziaria (laurea universitaria, master o dottorato), al contrario, resta un obiettivo raggiunto da appena il 17,7% della popolazione adulta (25-64) totale in Italia, contro una media europea del 33,4% e una media OCSE del 36,7%. Non solo, ma se poi guardiamo a come la popolazione più istruita si distribuisce per regione, abbiamo una ragione in più per allarmarci. La figura sotto ci mostra come è variata la percentuale di laureati per regione negli ultimi 3 anni: come si può vedere, le regioni meridionali, con l’aggiunta di Veneto, Trentino Alto Adige, Piemonte e Valle d’Aosta sono sotto la media nazionale e la regione con le quote più alte — il Lazio — è ben lontana dai livelli europei.
Analizzati anche i dati sulla mobilità sociale che spiegano, in sostanza, che a laurearsi sono generalmente i figli dei laureati, mentre i figli dei diplomati scelgono spesso di fermarsi al diploma, l’istituto Cattaneo lancia una raccomandazione al governo: curarsi della scuola e dell’università , investire nell’istruzione è un’urgenza. Fare di più per rendere le persone più preparate aiuterebbe non solo il mondo dell’istruzione ma anche, e soprattutto, l’economia, la società e i conti pubblici futuri
Tutto questo quindi, è motivo di urgenza e dovrebbe essere messo ben in evidenza sul cruscotto di guida del governo.
L’Italia è un paese che studia poco, dove chi studia più a lungo fa più fatica a trovare lavoro, dove le remunerazioni per chi studia non li ricompensa a sufficienza dello sforzo fatto.
Certo, molto dipende dalla famiglia di origine ma anche dal fatto, forse, che non si fa abbastanza per favorire l’accesso agli studi superiori e universitari (nella spesa pubblica per istruzione sono infatti inclusi i trasferimenti alle famiglie per lo studio e il diritto allo studio per gli studenti).
Un altro avviso ai governanti, quindi: fate di più perchè il nostro paese investa nella cultura, nelle conoscenze e nelle competenze dei suoi figli. Ne trarrà vantaggio la società , l’economia e in ultima istanza anche i conti pubblici futuri
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 6th, 2018 Riccardo Fucile IL TWEET DEL PREMIER E’ UN CONCENTRATO DI SFACCIATAGGINE, IMPRUDENZA E SPUDORATEZZA
Il Presidente del Consiglio ombra Giuseppe Conte ha twittato per congratularsi con Alessio Figalli, vincitore della medaglia Fields, il premio più prestigioso al mondo per un matematico.
Ecco cosa esterna
Complimenti ad Alessio Figalli, premio #Fields per la matematica. Non accadeva da 44 anni che un italiano ottenesse un riconoscimento così prestigioso, l’equivalente di un premio Nobel. Continuiamo a investire nei nostri giovani e sul sistema d’istruzione e formazione “Italia.”
Il tweet è un condensato dell’impudenza, della sfacciataggine, del disprezzo per l’intelligenza, dell’ipocrisia e della spudoratezza non tanto del mondo politico, quanto di quella parte del mondo accademico che domina nel Belpaese, anzi nel Malpaese. In un sistema universitario marcio fino al midollo, che eccelle in concorsi truccati più che in ricerche di punta, dove si umilia chi è bravo ci si congratula con il genio (nel vero senso della parola) cacciato dal baronato come un reietto, espulso come un corpo estraneo, sputato come un boccone indigesto.
Figalli in Italia era un pericolo per gli equilibri che consentono di assumere somari, meglio se parenti o amanti, senza vergogna, senza dignità , senza pudore, senza controllo.
Figalli con la sua eccezionale bravura avrebbe messo a nudo la mediocrità delle mezze tacche aggrappate a scranni che non meritano, ne avrebbe scolpito l’inadeguatezza, ne avrebbe sputtanato quei patetici giri di sicofanti dediti a leccare le chiappe giuste. Gente che pubblica a malapena fregnacce inutili sulle riviste di quart’ordine dirette dai sodali indecenti.
Mentre nel mondo civile le università competono per accaparrarsi i talenti migliori, in Italia la feccia baronale intima a chi vale di farsi da parte, di scomparire, di mettersi in ginocchio, di tributare l’ossequio paramafioso.
L’esimio Conte twitta su Figalli nella speranza di trarne squallidi vantaggi politici.
Ma cosa ha twittato Ciuffo Bello quando nella sua Università di Firenze, proprio nel suo Dipartimento è scoppiato il marcio della Concorsopoli?
Quando i suoi colleghi sono finiti agli arresti?
A noi non risulta alcuna presa di posizione. Philip Laroma Jezzi, il ricercatore che con il suo esposto ha scoperchiato la fogna a Firenze non ricorda un minimo di solidarietà dei suoi colleghi. Tantomeno di Ciuffo Bello.
Lui è rimasto in silenzio, come i pennuti che non sanno cinguettare.
Tipo gli struzzi col becco piantato nella sabbia.
(da “NextQuotidiano”)
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