Ottobre 9th, 2015 Riccardo Fucile
CERCASI CANDIDATO DISPERATAMENTE: CHI PUO’ SI TIRA INDIETRO
Ora il problema è il dopo. Ma chi può si chiama fuori. Come il vice presidente della Camera Roberto Giachetti, che ha già fatto sapere di non avere alcuna intenzione di immolarsi alla causa del Partito democratico, caricandosi sulle spalle il fardello della disastrosa esperienza di Ignazio Marino.
L’ex capo di gabinetto di Francesco Rutelli, ai tempi del suo mandato a sindaco di Roma, ha declinato con un perentorio “no, grazie” ogni invito di candidatura.
E anche l’alternativa del prefetto della capitale, Franco Gabrielli, cui il governo ha già affidato il coordinamento su 8 ambiti chiave dell’amministrazione capitolina, tra i quali casa, verde, campi nomadi e immigrati, è una soluzione che suscita perplessità in molti all’interno del Partito democratico.
Così, per raccogliere la difficile eredità lasciata da Marino, non si esclude neppure un ritorno di fiamma per i ‘vecchi’, che sulla poltrona del Campidoglio si erano già seduti in passato, come lo stesso Rutelli e Walter Veltroni.
Archiviate le dimissioni dell’ormai ex sindaco di Roma, a Largo del Nazareno ci si interroga sul futuro: chi correrà alle prossime comunali con la maglia del Pd? Questione di non poco conto e le preoccupazioni non mancano.
“Il problema è che si dovrà andare a votare a maggio e al 99% il Pd perderà le elezioni — spiega a ilfattoquotidiano.it un autorevole esponente del Pd romano —. Non arriveremo nemmeno al ballottaggio, anche perchè gli strascichi delle polemiche e delle possibili inchieste giudiziarie sulle spese dell’ex inquilino del Campidoglio si protrarranno a lungo”.
Ovvio, allora, che trovare un candidato sindaco disposto a sacrificarsi per la causa del partito rischi di diventare un’impresa impossibile.
Specie tra chi ha ancora la prospettiva di proseguire la propria carriera politica. Giachetti, ad esempio, ha già risposto picche. “Roberto lo ha già detto a Renzi: non è assolutamente interessato — spiega dal Pd chi lo conosce bene —. Anche perchè ricopre un ruolo istituzionale importante e non intende lasciarlo”.
Lo scenario, del resto, è di quelli complicati: Roma sarà commissariata e tornerà al voto alla prima finestra elettorale utile.
Quella di maggio 2015, quando si terranno le amministrative anche in altre importanti città , a cominciare da Milano e Napoli.
Troppo poco tempo a disposizione per far dimenticare ai romani le tante polemiche che hanno accompagnato il travagliato mandato di Marino. Troppo poco tempo per convincere uno dei big del Pd ad accettare una sfida che sembra compromessa già ai blocchi di partenza.
Ma anche l’alternativa Gabrielli, che pure ha sfiorato i piani alti della segreteria dem, non è immune da controindicazioni.
Primo: in quanto prefetto di Roma non sarebbe candidabile nè nominabile commissario, almeno che il governo non lo sospenda dall’attuale incarico.
Secondo: far correre un tecnico sarebbe come ammettere la resa (e l’incapacità ) della politica. Nel caso specifico dello stesso Pd. Insomma, un bel guaio.
Così, se fino a ieri, nei corridoi del Partito democratico romano si scommetteva sulla data delle dimissioni di Marino, da stasera i ‘bookmakers’ del Nazareno sono già alle prese con il toto-candidature.
Un vero e proprio rebus. Per risolverlo c’è chi ha proposto addirittura un revival: buttare nella mischia Rutelli o Veltroni.
Certo, sarebbe la rivincita dell’usato sicuro sulla rottamazione ma, se non altro, eviterebbe al Pd l’accusa di aver scaricato sui tecnici il destino della prima città d’Italia.
Antonio Pitoni e Giorgio Velardi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 12th, 2014 Riccardo Fucile
SI È AUTOROTTAMATO, PERà’ ADESSO POTREBBE TOCCARE A LUI… GIOVANE QUANTO BASTA, TONI MORBIDI E PROFILO EUROPEO, IL PRIMO SEGRETARIO DEL PD GARANTE IDEALE DEL RENZUSCONI
Chi è il Candidato, con la maiuscola, su cui Berlusconi ha iniziato a ragionare domenica scorsa ad Arcore con i suoi fedelissimi? Il Candidato per il Quirinale, naturalmente.
La successione a Giorgio Napolitano è il Grande Gioco innescato dalle indiscrezioni di sabato scorso sulla “stanchezza” di Re Giorgio e dalla conseguente ipotesi delle sue dimissioni nel bimestre gennaio-febbraio del ’15.
E il “ragionamento” aperto dall’ex Cavaliere è la prova regina che il patto del Nazareno con Matteo Renzi reggerà nonostante l’ammuina sull’Italicum su soglie di sbarramento e compromessi sulle quote di nominati.
Come vanno spiegando, sino allo sfinimento, le colombe forziste “la pietra angolare su cui poggia il Nazareno è l’elezione del capo dello Stato ed è impensabile che Berlusconi si tiri fuori”.
Aggiunge un parlamentare che conosce bene Silvio: “C’è un dato psicologico di cui bisogna tenere conto: tra Ciampi e Napolitano sono 15 anni che Berlusconi non può telefonare al Colle, è sempre stato costretto a fidarsi di vari ambasciatori, a partire da quello principale, Gianni Letta. Il patto del Nazareno serve anche stabilire un filo diretto tra lui e il Colle”.
Ecco perchè il l’ex Cavaliere non romperà con lo Spregiudicato e punta il grosso delle sue fiches (a parte la scontata garanzia sulla “roba” e sulla tutela del conflitto d’interessi) su un nome davvero amico al posto di Napolitano.
E ragionando, ragionando, domenica scorsa ad Arcore c’è stata una prima scrematura dei nomi possibili, con uno che svetta su tutti gli altri.
Quello di Walter Veltroni, africano ad honorem, regista nonchè scrittore nella sua seconda vita da autorottamato.
“Di Veltroni mi posso fidare”, questa la frase berlusconiana che sottintende ai primi abboccamenti in merito con il clan renziano e che prevede Gianni Letta come segretario generale del Colle.
Il premier ha già messo in chiaro che spetterà al Pd fornire l’indicazione del nome e quello di Veltroni è collocato nella primissima fascia.
Ma soprattutto è l’unico autorevole in grado di unire le due sponde del patto.
Non Romano Prodi, detestato da B. ed escluso dalla stesura originaria del patto segreto. Non D’Alema, che è l’incubo di Renzi; non Casini, autocandidatosi, ma che sa di muffa democristiana; non l’ex craxiano Amato, che sarà però il nome che Napolitano farà ai due contraenti, come ultima moral suasion del suo secondo e breve mandato.
Berlusconi vuole una figura “morbida”, rotonda, senza spigoli come Napolitano.
E il profilo veltroniano è perfetto. Non solo.
Il regista che ha raccontato Berlinguer rappresenta il compromesso ideale tra le due “strade” avanzate sin qui nei vari colloqui riservati sulla successione a Napolitano.
Da un lato un presidente esperto e ancora garante verso l’Europa (Draghi, Monti, lo stesso Amato) ma che schiaccerebbe inevitabilmente i due soci del Nazareno.
Dall’altro una soluzione più giovane, magari rosa, tenuta in pugno dal renzusconismo. Veltroni è a meta tra le due “strade” e può soddisfare le condizioni del patto.
Starà poi a lui, icona politica del buonismo e del “maanchismo”, districarsi tra i primi due macigni del suo eventuale settennato: gli azzardi renziani sul voto anticipato, soprattutto quando l’Italicum sarà approvato, e l’eterna richiesta di grazia motu proprio per Silvio. Sogghigna un deputato dem informatissimo sulla trattativa in corso: “Un presidente che si trovasse a fare subito tutte e due le cose, scioglimento delle Camere e grazia a B., si ritroverebbe i forconi in piazza del Quirinale”.
I rapporti tra il primo segretario del Pd e Berlusconi non sono mai stati agitati.
Fa parte ormai della storia di questo Paese, la celebre campagna elettorale delle politiche del 2008, quando Veltroni candidato premier del centrosinistra non citò mai l’avversario. Ovviamente Berlusconi stravinse e arrivò all’acme della sua popolarità con il discorso bipartisan sulla Resistenza a Onna.
Dettaglio da non sottovalutare la trattativa segreta che B. e Veltroni fecero per introdurre la soglia del 4 per cento alle elezioni europee del 2009. Tutto si svolse a partire dal gennaio del 2009, come ha rivelato uno scoop del Male di Vauro e Vincino nel 2011, e l’incontro decisivo si tenne a casa di Goffredo Bettini, l’inventore del modello Roma. Indovinate chi c’era a rappresentare Berlusconi? L’ineffabile Denis Verdini e finanche il faccendiere pregiudicato Luigi Bisignani.
Un tris di logge: P2, P3 e P4.
Poco dopo s’insediò anche Mauro Masi alla direzione generale della Rai. Fu il Riformista, qualche anno prima, a svelare i contenuti dell’accordone tra B. e Veltroni: Rai, legge elettorale, giustizia, federalismo e regolamenti parlamentari.
Unica controindicazione alla candidatura renzusconiana di Veltroni è il posto da dove è partito per la prima volta il suo nome: il Foglio di Giuliano Ferrara, monolocale giornalistico dell’inciucio permanente.
Fassino, su quelle colonne, nel 2006 lanciò D’Alema.
E venne fuori Napolitano.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 7th, 2014 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE VIETA DI AFFACCIARSI DAI TERRAZZINI IN 5 NEW TOWN SU 19… LA PARABOLA DEGLI ALLOGGI REALIZZATI DOPO IL SISMA DEL 6 APRILE 2009
Il 3 settembre scorso ci aveva pensato il sindaco de L’Aquila a vietare ai cittadini di affacciarsi dai balconi.
Ieri invece è intervenuta la magistratura che ha avviato l’operazione “sigilli” che interessa 800 terrazzine in cinque New Town sulle 19 realizzate dopo il sisma del 6 aprile del 2009.
Si tratta di una serie di alloggi — fatti costruire dall’ex premier Silvio Berlusconi, per gli sfollati che rimasero senza abitazione a seguito del sisma adesso non potranno neanche affacciarsi alla finestra: sono stati montanti anche i tubi innocenti alle finestre del piano terra per impedire fisicamente il passaggio al balcone in modo da evitare il rischio di rimanere colpiti dal crollo di quelli del piano superiore.
L’operazione “sigilli” è stata avviata dopo il maxi sequestro delle 800 strutture esterne disposto dal gip del Tribunale de L’Aquila nell’ambito dell’inchiesta aperta a seguito del crollo di un balcone in legno del 2 settembre scorso.
In quel caso il balcone posto al secondo piano della palazzina, è crollato, schiantandosi su quello sottostante, per fortuna senza ferire nessuno.
Dopo l’apertura dell’inchiesta per crollo colposo e frode in pubbliche forniture (per ora ancora contro ignoti) era intervenuto il sindaco del capoluogo abruzzese Massimo Cialente, che, per precauzione, con un’ordinanza aveva vietato di affacciarsi dai balconi di 22 palazzine.
Da ieri però sono state avviate anche le operazioni della forestale, che si concluderanno l’11 ottobre. Condizioni particolarmente preoccupanti sono state ritrovate a Cese di Preturo dove una trentina di famiglie sono state evacuate.
Ma andando casa per casa, gli agenti si sono ritrovati davanti anche altre irregolarità che non riguardano i balconi ma la gestione degli appartamenti del Progetto Case: ci sono infatti affitti fittizi, nel senso che alcune persone non abitano le case pur mantenendone la titolarità , ci sono famiglie che mancano da mesi, ci sono inquilini che sono all’estero, e non mancano casi di subaffitto.
Anomalie che finiranno in una relazione al vaglio degli inquirenti.
Ieri sull’operazione in corso è intervenuto anche il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli che ha anche annunciato che il suo dipartimento si costituirà parte civile di un procedimento penale “qualora venisse accertata la frode nelle pubbliche forniture”.
Il riferimento è alla vicenda che riguarda una fornitura in legno fasulla destinata proprio del balconecrollato a Preturo, riscontrata dalla procura di Piacenza mentre indagava sul crac di una ditta e che ha inviato gli atti ai colleghi de L’Aquila.
“Come al solito arriviamo sempre un po’ prima — ha affermato il capo della Protezione civile — Ci siamo presentati parte civile nel procedimento penale instaurato a Piacenza perchè, al di là delle contingenze, i procedimenti penali si possono sviluppare sul piano del tempo anche in altri territori”.
Intanto il prossimo 10 ottobre comincerà anche il processo di appello a carico degli ex componenti della Commissione Grandi rischi, organo scientifico consultivo della presidenza del Consiglio dei ministri.
Gli imputati sono sette e sono già stati condannati in primo grado a sei anni di carcere per omicidio colposo e lesioni: l’accusa è quella di aver dato false rassicurazioni agli aquilani al termine della riunione dell’organismo del 31 marzo 2009, che si tenne nel capoluogo a cinque giorni dal terremoto.
Altre inchieste, stesse vittime: gli abitanti de L’Aquila che dal 2009 subiscono ancora le conseguenze del terremoto.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 7th, 2014 Riccardo Fucile
“PUO’ DIVENTARE IL MIGLIOR SERVIZIO PUBBLICO IN EUROPA”
Interviste non ne rilascia più, perchè Walter Veltroni – parole sue – si sta «disintossicando».
Non guarda neanche i talk show, «perchè tanto so già come vanno a finire», scherza l’ex segretario del Pd con Paolo Mieli, che lo intervista a Spoleto, al Festival dei due Mondi.
Non si riesce a tirar fuori un solo commento politico, da Veltroni, che è tutto preso dal suo documentario: «Sono in giro con il film su Berlinguer», dice, come fosse una tournèe rock.
Non parla di politica, Veltroni, ma la politica parla di lui, ancora.
Ne parlano i giornali, che ciclicamente riportano voci che lo vorrebbero l’uomo sempre buono per la poltrona sempre giusta, che sia la presidenza della Fgci (intesa come quella del calcio), quella della Repubblica, o la presidenza della Rai.
Già , la Rai. È la voce più insistente.
E «quelle tre lettere» racconta Veltroni a Mieli, senza timore di alimentare retroscena e indiscrezioni, «sono iscritte nel mio dna».
Sono l’eredità del padre, Vittorio, primo direttore del telegiornale, «di cui non ho alcun ricordo, neanche fotografico».
«Una volta però Ettore Scola, amico di mio padre» continua Veltroni, ospite delle Conversazioni di Paolo Mieli, organizzate da Aleteia Communication, «mi fece notare che quando sono seduto muovo sempre le gambe, così». «Lo fai perchè così faceva tuo papà », spiegò Scola a Veltroni.
Non c’è una foto che li ritrae insieme, Veltroni e suo padre Vittorio, morto quando il futuro sindaco di Roma aveva solo un anno.
«C’è però una foto di mio padre» continua Veltroni, «una delle prime che ho visto: con la tuta della Rai, su una moto, mentre faceva la radiocronaca del Tour de France».
Sulla tuta, tre lettere, appunto, «quelle tre lettere che, come il movimento delle gambe, sono impresse nel mio dna»: Rai.
Tra dna e destino c’è di mezzo un incarico complicato, ovviamente.
C’è il veto dei 5 Stelle («Renzi smentisca l’inquietante indiscrezione» ha detto Roberto Fico, presidente della commissione di vigilanza, la prima volta che il Tempo scrisse del possibile incarico), e c’è il rapporto con Matteo Renzi.
Poi, chissà se c’è la voglia, in fondo. Il programma, quello sì, c’è: «Il mio sguardo sulla Rai è lo sguardo di chi pensa che quell’azienda può tornare a rivestire una funzione decisiva».
C’è da tempo, soprattutto sapendo che Veltroni giù venti anni fa, alla Rai e ai suoi programmi, dedicava impegno politico e alcune fatiche saggistiche, firmando per Feltrinelli «I programmi che hanno cambiato l’Italia», e che ovviamente sono quelli televisivi, e non quelli dell’Unione nè del Pd. E, nel 1990, «Io, Berlusconi (e la Rai)».
«Il punto non sono i 150 milioni», non sono i soldi che Renzi ha chiesto alla tv pubblica, no: «La Rai può tornare a essere quello che era, sinonimo di apertura, coraggio, modernità . Può tornare ad essere il miglior servizio pubblico europeo. Però deve tenere un profilo editoriale industriale». La qualità deve «giustificare» il canone, e anzi «la Rai deve ridistribuire al Paese le risorse del canone in termini di prodotti».
Fiction, film, e anche «mini serie per youtube», possono esser prodotti in Italia, programma Veltroni: «facendo come quando ero ministro e misi l’obbligo di investire in produzioni nazionali».
«La gente paga il canone per avere servizio pubblico, non un rete privata travestita da servizio pubblico» dice ancora Veltroni, e dite voi se non è un proclama.
«Per il servizio pubblico l’Auditel non può essere l’unico metro di giudizio» e «se sei la Rai, con i soldi dei cittadini, non devi pensare al punto in più o in meno, alle puntate sbagliate». No. «Bisogna avere il coraggio di investire nei programmi, credendoci». «Se si sbagliano le prime puntate, la prima stagione, non è un problema se quel programma si fa perchè fa parte di un piano editoriale».
Il Veltroni, in modalità presidente Rai, si porta avanti col lavoro e disegna le reti del futuro, «non più differenziate per orientamento politico» («che peraltro è andato progressivamente sfumandosi», precisa), ma per «vocazione editoriale».
Una televisione moderna, pubblica, ma che sia la televisione di un paese che non si più «un “Paese di guelfi e ghibellini” dove il nemico resta nemico e non una persona da coinvolgere». Perchè il principio vale per la politica, vale per la tv, e viceversa.
Vale per Renzi, a cui l’ex segretario riserva parole di apprezzamento. Sempre parlando di se, che viene meglio, ma Veltroni difende pure il Renzi-Fonzie, col chiodo in visita ad Amici di Maria De Filippi: «Io accompagnai Natta da Raffaella Carrà » ricorda Veltorni, «e quando fui direttore del giornale fondato da Gramsci, lo feci uscire in edicola con le figurine Panini». Figurarsi quindi se non aprrezza il giubbotto di pelle del premier.
L’importante è aumentare il pubblico, per la tv come in politica: «allora io pensai fosse giusto allargare il pubblico dell’Unità , oggi Renzi va ad “Amici” perchè vuole parlare a un pubblico più vasto».
Ed è giusto così, perchè «se l’obiettivo è conquistare i tuoi, devi rassicurare», e quindi niente figurine, niente Carrà , niente chiodo. Ma se «l’obiettivo è conquistare anche chi è diverso» allora «devi cercarlo là , dove sai di trovarlo».
Luca Sappino
(da “L’Espresso“)
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Ottobre 15th, 2012 Riccardo Fucile
LA MOSSA CREA PROBLEMI ANCHE ALLA BINDI E ALLA FINOCCHIARO
A Pier Luigi Bersani, con cui ha parlato ieri sera, l’ha spiegata così: «E’ una scelta del tutto personale, senza altre letture. Non è per fare polemica: avevo preso un impegno nel 2006 e dentro di me l’avevo confermato quando mi sono dimesso da segretario». Ma è indubbio che, al di là delle sue intenzioni e della sua volontà , la scelta di Walter Veltroni è destinata a mutare il corso delle cose nel Partito democratico.
Ed è singolare in questo senso che, seppure per caso, il suo annuncio sia caduto proprio nel giorno del compleanno di quel Pd che lui ha fondato.
Da settimane l’ex leader spiegava di «non poterne più di essere messo nel calderone dei vecchi che hanno fatto cattiva politica», da mesi ripeteva che «la storia del patto tra i big del partito per cui io mi sarei prenotato la presidenza della Camera per la prossima legislatura è una balla».
E ora si sente finalmente «in pace» con se stesso.
Il che non vuol dire che si defilerà dalla lotta.
Lo ha assicurato al segretario: «Farò campagna elettorale e mi impegnerò per far vincere il Pd». Bersani ha ringraziato sia per la promessa fattagli sia perchè con questa decisione Veltroni spiana la strada al leader che vuole rinnovare «senza umiliare o mettere da parte nessuno»: «Dobbiamo far vedere che anche noi vogliamo il ricambio, anche perchè è vero».
E adesso tutti si chiedono che cosa farà D’Alema.
Perchè l’annuncio di Veltroni pone un problema ai maggiorenti di lungo corso del Pd. Per dirla con il giovane onorevole Fausto Recchia «in molti oggi si sentiranno invecchiati».
Bersani spera in suo autonomo passo indietro.
Il presidente del Copasir ha ammesso in più di un comizio che due mesi fa aveva pensato di dimettersi ma che poi di fronte «all’aggressione di Renzi» ha cambiato idea. E ora? Ora che Emanuele Fiano dice «facessero anche gli altri questo gesto».
Ora che Alessandra Moretti, portavoce del comitato elettorale di Bersani, non ha fatto e non fa mistero di voler pensionare anche lui, che cosa farà D’Alema?
È spiazzato, di certo, perchè questa sua scelta l’ex segretario del Pd l’aveva maturata da solo, una settimana fa.
Ne era al corrente, in qualche modo, Bersani, ma erano pochissimi quelli che sapevano tutto: la moglie Flavia e l’indispensabile braccio destro Walter Verini.
Il presidente del Copasir sostiene che «come sempre, farà quello che è bene per il partito».
E lascia intendere che potrebbe defilarsi. Ma intanto non si sa quanto spontaneamente più di seicento politici, economisti, uomini di cultura meridionali oggi su l’Unità sosterranno che per loro «D’Alema è un punto di riferimento».
Si badi bene, questo non è un tentativo di ricandidatura da parte del presidente del Copasir.
Semplicemente, D’Alema è amareggiato per il trattamento riservatogli: «Sono stato preso come il simbolo negativo della politica».
E il fatto che i vertici del Pd non lo abbiano difeso gli ha fatto male.
Un conto è uscire dalla mischia politica tra i fischi, un altro uscirne tra gli applausi. Ma non c’è solo D’Alema a essere spiazzato – e nel suo caso anche anticipato – dalla mossa di Veltroni. C’è anche Rosy Bindi.
È in Parlamento da una vita e Renzi glielo ricorda ogni volta che può. Lei dice «mi rimetto alle decisioni del partito».
Però spiega anche perchè e per come si è meritata la ricandidatura. Ora non potrà riscendere in pista senza fare la figura di quella attaccata alla poltrona.
Perciò sta riflettendo sul da farsi.
Lo stesso dicasi per Anna Finocchiaro. Non ha problemi invece l’ex presidente del Senato Franco Marini che, qualche mese fa, in un’intervista alla Stampa disse che non si sarebbe ricandidato.
Ora c’è chi per rito o chi per convinzione, chiede a Veltroni, come fa Enrico Letta, di «ripensarci».
Ma lui spiega: «Non ritornerò mai sui miei passi». E non esclude in un prossimo futuro un altro viaggio in quel continente che, al di là delle ironie che sono state fatte, gli è rimasto nel cuore: l’Africa.
Maria Teresa Meli
(da “Il Corriere della Sera“)
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Giugno 22nd, 2012 Riccardo Fucile
L’EX SEGRETARIO RITIENE CHE BERLUSCONI SIA PRONTO A STACCARE LA SPINA AL PROFESSORE…MA NEL PD LAVORERANNO PERCHE’ NEL PDL RESTINO ATTACCATI ALLA CORRENTE DELL’ALTA TENSIONE
Doveva essere una riunione come tante altre, una di quelle in cui si fa il punto dello stato dell’arte, si parla degli impegni futuri, si fa un’analisi politica di quello che sta avvenendo e ci si confronta.
E, invece, quella di due sere fa alla Camera è stata una riunione del gruppo del Partito democratico del tutto inusuale.
Anzi, è stata una riunione di svolta.
Per la prima volta da tanto tempo, qualcuno ha buttato un macigno nello stagno delle sicurezze legate al futuro della legislatura, del governo e delle possibili elezioni anticipate.
Quando, insomma, nessuno se lo aspettava, uno solitamente silenzioso come l’ex segretario Walter Veltroni ha preso la parola e ha lanciato un allarme, quasi a voler condividere con i “compagni” non solo una premonizione infausta, ma qualcosa di più: l’imminenza dell’apertura di un nuovo capitolo di lotta parlamentare.
A fronte del quale il Pd sarà chiamato a fare delle scelte che, se sbagliate o intempestive, potrebbero anche rivelarsi esiziali per il suo futuro.
à‰ successo poco dopo la fine della diretta dal Senato e il voto sull’arresto dell’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi.
E subito dopo che le agenzie di stampa avevano battuto la notizia di un Silvio Berlusconi di nuovo sulle barricate sulla questione dell’uscita possibile dall’euro.
Il segretario Pier Luigi Bersani aveva parlato fino a quel momento con tono più grave del consueto, a quello che raccontano alcuni dei presenti.
Il suo discorso era stato tutto incentrato sulla riforma del lavoro. Che sì, “la dovremo votare — avrebbe detto il segretario Pd — ben sapendo che colpisce direttamente quelli che ci votano”, che, insomma “questa riforma cade tutta su di noi, non su di loro”, intendendo con “loro” il Pdl.
Visto il tono del segretario, sembra che sulla riunione sia calato un silenzio molto pesante, interrotto solo dall’intervento di una deputata che ha ripreso le fila del discorso del segretario auspicando un’azione del Pd che potesse riacciuffare quelli che “ci hanno votato” ma che, con la riforma del lavoro, dopo forse ci penseranno su un po’.
Poi è arrivato Veltroni. “Ma non vi siete accorti — ha esordito l’ex segretario — di che cosa stanno facendo quelli? ”.
Dove “quelli” sono il Pdl e Berlusconi. “Non vi siete accorti proseguito — di come sono cambiati i loro toni anche dall’ultima fiducia, quella sulla legge anti-corruzione? Non vi dice nulla tutto questo? ”.
Nel silenzio tombale, Veltroni ha spiegato la sua versione dello stato delle cose.
Che, cioè, Berlusconi si starebbe preparando a staccare la spina al governo Monti.
Se il premier tornerà da Bruxelles con meno risultati del previsto o — peggio — a mani vuote dal consiglio europeo del 28 giugno, allora scatterà l’addio ai tecnici.
I segnali, secondo Veltroni, sono inequivocabili, a cominciare da quei sondaggi che, secondo voci della ex maggioranza, continuano a parlare in negativo.
Tanto in negativo da indurre Berlusconi a pensare di poter staccare la spina al governo per andare ad elezioni anticipate, non certo per chiedere un rimpastino, un Monti bis.
Una disamina, quella di Veltroni, che ha ammutolito per qualche lunghissimo minuto tutto l’uditorio.
Sembra che Bersani abbia ascoltato l’intervento con aria molto preoccupata, ma di fatto condividendo appiano la visione ventroniana dell’imminente show down causato dai berlusconiani in cerca di mantenere l’elettorato scontento e in libera uscita. “Quello che dobbiamo fare noi — è stata la conclusione di Veltroni — è fare in modo che se questi staccano la spina, poi restino attaccati alla corrente dell’alta tensione”. Quasi un grido di battaglia. Che è stato capito da tutti. Ma poi nessuno ne ha più voluto parlare.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 22nd, 2012 Riccardo Fucile
ROMPE IL TABU’ NEL PD SULL’ART.18…ED E’ SUBITO FAIDA INTERNA
L’hanno coniata a tempo di record i geniacci perfidi di Spinoza: “Come è noto nel Pd esistono due visioni delle cose: una miope e una astigmatica”.
Una sintesi satirica — ma non per questo meno sbagliata — del caso che è nato intorno all’intervista dirompente di Valter Veltroni sull’articolo 18.
E così — ancora una volta — il partito torna ad agitarsi intorno allo spirito etereo del veltronismo.
E così — ancora una volta — il Pd torna a metabolizzare arsenico, vecchi merletti, antichi rancori e frammenti di battaglia politica malamente sedata intorno alle coordinate conflittuali di odio amore per il suo fondatore.
Perchè le cose sono complesse in questa ennesima faida democratica: solo una storia rimossa e non metabolizzata, quella delle dimissioni con cui Veltroni nel 2008 lasciò traumaticamente la segreteria (senza spiegare perchè), infatti, può far comprendere l’ondata di rabbia di una parte dei militanti che su twitter e su internet ha investito l’ex sindaco.
E solo un senso di revanche può spiegare la linea dell’ex leader che annuncia di smantellare la propria corrente, rompe sul tema più delicato per il partito (il mercato del lavoro) e allo stesso tempo fornisce una sponda al pezzo di popolo democratico che tifa Monti.
Su Repubblica, intervistato da Curzio Maltese, l’ex segretario ha detto che Il Pd deve sostenere Monti entusiasticamente, e non certo con il mal di pancia (“Non possiamo lasciarlo alla destra”).
E poi ha aggiunto la frase che fa da detonatore, quella secondo cui l’articolo 18. “Non deve essere considerato un tabù”.
Quasi curioso lo stupore suscitato da queste parole.
Da tempo i veltroniani non facevano mistero di considerare il governo Monti non una dura necessità (come dicono i bersaniani o come ripete la Bindi quando dice: “Questo non è il nostro governo”) ma un punto alto nella storia del riformismo italiano.
Aveva fatto epoca una battuta di Walter Verini, deputato e dioscuro del segretario, che dopo il primo sondaggio di Ballarò in cui si rivelava per la prima volta il buon gradimento demoscopico del premier, ripeteva ai colleghi: “Adesso questo me lo ritaglio, per farlo rileggere a tutti quelli che pronosticavano catastrofi e crolli di consenso!”.
E nemmeno era un mistero che per Enrico Morando, altro pilastro dell’area Modem “La nascita del governo Monti è la più grande fortuna che sia toccata al nostro paese”. O che Beppe Fioroni ha immaginato una pregiudiziale “montiana” persino su Genova: “Come possiamo sostenere Marco Doria, uno che per tutta la campagna delle primarie ha criticato il governo?”.
Ma Veltroni ha calato il suo asso nel momento più delicato del dibattito politico, proprio quando intorno alla triangolazione governo-Pd-Cgil Pier Luigi Bersani sta giocando la sua partita più delicata per tenere insieme tutti i pezzi.
Dopo l’intervista-choc al Corriere della Sera in cui per la prima volta la Fornero prospettava l’abolizione dell’articolo 18 (e anche in quel caso ricorrendo alla parola “tabù”), Bersani era riuscito a frenare la deflagrazione della polemica interna.
Adesso accade esattamente il contrario e a mettere il carico è stata la lettera aperta di Stefano Fassina a L’Unità : “La prima regola per un dirigente nazionale — ha attaccato duro — sarebbe quella di affermare la posizione del partito di cui è parte. La posizione del Pd sul mercato del lavoro e sull’art. 18 è diversa dalla tua, ovviamente legittima, ma minoritaria nel partito e più vicina, invece, alla linea del ‘pensiero unico’ e alle proposte del centrodestra: è una constatazione, un fatto”.
Certo, anche ieri Verini sottolineava che a essere sopra le righe per lui era Fassina: “Che cosa vogliono da noi? Che ci cuciamo la bocca in nome della posizione ‘maggioritaria’ del partito? Suvvia — sorride il deputato — non credo che sarebbe una buona cosa”.
E gli uomini dello staff, senza negare le tante proteste aggiungono che a Veltroni, in forma pubblica (ma soprattutto privata) sono arrivati tantissimi “Sostegni pesanti”, non solo da cittadini, ma anche da altri dirigenti del Pd.
Su twitter Veltroni continuava a replicare.
Sull’articolo 18: “Ho detto molto meno di quanto ha detto mille volte Bersani”.
E subito dopo: “Bisogna avere il coraggio di discuterne. Civilmente. Senza che una opinione diversa diventi una opinione del nemico. Teorie pericolose”.
E infine, più tardi: “Comunque grazie a tutti. Davvero. Anche delle posizioni più critiche. Spero di aver fatto capire meglio. Avere opinioni diverse è democrazia”. Sempre su Twitter, arrivano consensi e dissensi.
Quello di Nichi Vendola, coordinatore di Sel che dichiara di essere “trasecolato” e dice: “Veltroni indica come un retaggio novecentesco tutto ciò che è appartenuto al campo delle conquiste sociali e dei risultati di decenni di lotte.
È una curiosa idea di modernità e riformismo — conclude — quella che guarda con antipatia alla Fiom e con simpatia a Marchionne”.
E poi quello di Pier Ferdinando Casini: “Speriamo che alcuni sinistri non vogliano mandare Veltroni al rogo per le sue idee sull’articolo 18”.
L’unico a non dire nulla è Monti. Atarassico, olimpico, distante.
La politica, anche quando sceglie di sostenerlo, e quando si illude di prendere la sua parte, sembra solo un gioco di ombre cinesi sulla parete della caverna.
Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 22nd, 2010 Riccardo Fucile
NELLE 22.000 PAGINE DELLO SCANDALO DEGLI APPALTI PUBBLICI C’E’ UNO SPACCATO DEL PAESE INTERO…DA MASSAGGIOPOLI A ESCORTOPOLI, DA MAGISTROPOLI A VATICANOPOLI, DAI POLITICI AI MASSIMI DIRIGENTI PUBBLICI…TUTTI CONTRO TUTTI, MA UNITI NELLA TORTA
Se uno avesse tempo e stomaco di leggersi il contenuto delle 22.000 pagine degli allegati all’ordinanza del tribunale di Firenze sulla cricca degli appalti pubblici, più che di fronte a una Tangentopoli si troverebbe davanti a uno spaccato del nostro Paese, con un intreccio di interessi, amicizie, rapporti privilegiati che non risparmiano alcun settore della vita pubblica italiana.
Per due anni quelle intercettazioni sono rimaste segrete, ma al momento della deposizione dell’ordinanza l’effetto della deflagrazione è stato devastante.
Abbiamo potuto seguire cosi le puntate di “Massaggiopoli”, con il capo della Protezione civile, in stretto contatto con l’imprenditore Anemone e le sue massaggiatrici, mentre si perde nei corridoi del Salaria Sport Village alla ricerca della brasiliana Monica o mentre prenota terapie speciali contro il mal di schiena.
Siamo stati informati sulle puntate di “Escortopoli” e sulle esigenze di un gruppo di funzionari pubblici che prenotavano a Venezia visite guidate in albergo e si lamentavano anche della scarsa qualità della fornitura, o di altri disperati che raccattavano escort per strada davanti persino a una gelateria di Treviso.
Si può parlare dei politici coinvolti anche solo indirettamente, sia di destra che do sinistra, spaziando da Verdini a Letta da un lato, fino a Veltroni e Rutelli d’altro, tutti sponsor pare di imprese che qualche succoso appaltino l’hanno monetizzato. Continua »
argomento: Berlusconi, denuncia, elezioni, emergenza, Giustizia, la casta, PD, PdL, Politica, radici e valori, subappalti, televisione, Veltroni | 1 Commento »
Febbraio 24th, 2009 Riccardo Fucile
ORA IL SOGNO DI WALTER SI PUO’ REALIZZARE: E’ DA DIECI ANNI CHE DICE DI VOLER ANDARE IN AFRICA A FAR DEL BENE… PRODI CHE HA AVUTO UN INCARICO ONU NON TEME L’ARRIVO DI COLUI CHE LO FECE CADERE QUANDO ERA PRESIDENTE PER CONSIGLIO PER PRENDERE IL SUO POSTO… MA SI VENDICA CON UNA BATTUTA SU “SCIUPONE L’AFRICANO”
“In Africa c’è posto per tutti”, sghignazza Romano a chi gli domanda se non è preoccupato per la nuova concorrenza che gli arriva da Walter Veltroni, “pensionato” ora anche lui dal Pd, che magari finisce per sfilargli la missione africana avuta dall’Onu, dopo avergli sottratto il Partito Democratico e Palazzo Chigi.
Nella conferenza stampa di addio, Walter ha di nuovo ricordato il suo sogno, quello di andare in Africa, “luogo naturale per chi ha una coscienza civile e ha la possibilità di scoprirlo e verificarlo”. E ha precisato che l’Africa “è una meta irrinunciabile per chi crede che la politica sia lotta alle diseguaglianze che in nessun altro posto sono così evidenti. Si apre per me un tempo nuovo con la scoperta della vertigine del tempo che mi mancava da trent’anni”.
Oddio c’e’ da dire che sono 10 anni che Walter dice che vuole partire per il Continente nero e che pare con i bagagli già pronti e in regola con il vaccino contro la febbre gialla e poi alla fine ce lo ritroviamo sempre ad assistere alle prime cinematografiche in comode poltrone romane: qualche perplessità è lecita sulla sua effettiva partenza. Continua »
argomento: PD, Prodi, Veltroni | 1 Commento »