Novembre 26th, 2020 Riccardo Fucile “UN’OSCENITA’ VOMITEVOLE. ANCORA A SPINGERE SULLA DONNA COME OGGETTO SESSUALE?”
La donna è la casalinga che va a fare la spesa ma che, anche in un contesto come quello del
supermercato, non deve mancare di risultare sexy agli occhi dell’uomo: il video mandato in onda da Rai 2 nel corso della seguitissima trasmissione Detto Fatto è un tripudio di clichè.
Lo stereotipo della donna sexy che ammicca e ancheggia aveva proprio bisogno di questo tutorial, che spiegasse passo passo come inarcare la schiena per prendere i prodotti in alto sullo scaffale e come piegarsi per raccogliere una confezione caduta a terra mettendo in mostra le proprie grazie.
L’indignazione crescente del pubblico ha investito anche Roberta Bruzzone che nel commentare la vicenda a Fanpage.it ha detto: «È un’oscenità , è vomitevole, uso un termine un po’ forte. Siamo nel 2020 in piena emergenza violenza sulle donne e c’è gente che va a mettere in scena roba di questo tipo? Ancora a spingere sulla donna come oggetto sessuale? Fuori da ogni logica, fuori da ogni messaggio».
La criminologa, ben consapevole delle derive pericolose di stereotipi sessisti e maschilisti come questi, a Fanpage.it ha commentato l’intera vicenda auspicandosi che qualcuno ci metta la faccia e ne paghi le conseguenze.
«È un messaggio platealmente scorretto»
Proprio oggi, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, in cui dovremmo dedicarci a parlare di donne nel modo più costruttivo e sensibile possibile, ironia della sorte ci troviamo invece di fronte a un episodio gravissimo che fa parlare della donna ancora come fosse un oggetto sessuale.
Roberta Bruzzone ha usato parole molto dure per quanto accaduto: «Sarebbe agghiacciante anche in qualunque altro giorno dell’anno, ma oggi è platealmente scorretto come messaggio, pericolosissimo. Questa donna oggetto non riusciamo proprio a levarcela dalla testa, è spaventoso: ed è l’elemento base, lo stereotipo base che poi porta a scenari terribili come maltrattamento, abuso, violenza sessuale, omicidio. Nasce tutto da lì, dal concetto medievale di donna costretta a dover sempre e comunque rendere conto ai bisogni dell’uomo siano essi alimentari o sessuali. Meglio ancora se si accomunano».
«Credo che qualcuno debba risponderne»
E oltre al fatto che il tutorial in questione sia andato in onda in un momento così delicato, ad aggravare il tutto c’è anche che a mandarlo in onda sia stata la Rai: «È aberrante che assistiamo a una cosa di questo tipo. L’idea che la Rai lo abbia mandato in onda mi sconvolge. Rispetto l’azienda, però credo che qui qualcuno debba risponderne. Forse qualcuno non ha controllato a dovere. Mi rifiuto di credere che ci sia stata consapevolezza nel mandarlo in onda. Un contenuto del genere è uno dei momenti più bassi della televisione degli ultimi trent’anni. Mi auguro che l’indignazione porti anche dei risultati: chi ha ideato un contenuto del genere ne deve rispondere mettendoci la faccia. Bisogna che la gente ci metta la faccia quando fa stupidate di questa portata»
«Gli stereotipi sessisti sono radicatissimi»
Anni e anni di lotta e battaglie per la conquista di diritti e di parità completamente annullati. Il tutorial di Detto Fatto secondo Roberta Bruzzone «È la concretizzazione di tutti gli stereotipi di genere che stiamo cercando di abbattere. Sono tutti racchiusi in quel messaggio».
Per spiegare meglio: «Sei una donna e devi essere utile: per la spesa, te ne devi occupare tu perchè sei stata progettata per quello, e per l’aspetto sessuale, perchè quello non deve venire meno. Anche quando fai la spesa e assolvi una delle tue principali funzioni accuditive non devi mai perdere di vista l’altra».
E questi stereotipi sono realmente duri a morire: «Sono radicatissimi. Sono sempre gli stereotipi che portano a determinati episodi. Il concetto alla base è sempre: un uomo è superiore a una donna e una donna non può permettersi di umiliare pubblicamente un uomo lasciandolo. Di conseguenza va punita nel modo più severo possibile, a volte con la morte. Quando nemmeno la morte è sufficiente, si puniscono attraverso la morte dei figli».
(da Fanpage)
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Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile LO SCONCIO POST SU INSTAGRAM
25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2020.
E un pub (bar) in provincia di Udine ha la geniale idea di celebrarla con una Instagram Storie che recita: «Vodka, un bicchiere e abbaiano tutte».
Un post intriso di sessismo nel giorno in cui si vuole provare a sensibilizzare (anche se questo dovrebbe essere un tema quotidiano) su una questione che si intreccia ogni giorno con le pagine di cronaca.
Si chiama Maxim Lounge Bar e, come si può notare della foto postate sul social network, è un luogo di ritrovo per molti giovani.
Nei giorni in cui è aperto il dibattito sulla violenza contro le donne, con il caso Alberto Genovese e la sua Terrazza Sentimento che ha riempito le pagine della cronaca nostrana, l’ideona del Maxim Lounge friuliano risulta essere irrispettosa e del tutto fuori luogo.
Le donne descritte come ‘cagne’, perchè dopo un bicchiere di vodka abbaiano è lo specchio dei tempi in cui stiamo vivendo.
E ci si chiede ancora perchè sono stati criticati Vittorio Feltri e Libero quotidiano per quell’articolo sulla giovane ‘ingenua’ stuprata dal fondatore di Facile.it?
La Instagram stories di Maxim Lounge è proprio il riflesso di come ci sia una clamorosa sottovalutazione del problema della violenza sulla donne.
Prima di essere fisica — eventi che vengono raccontati sui giornali -, la vera violenza è psicologica.
Post come quello del locale friulano è la sintesi del senso comune, sempre più diffuso. Evidentemente una sola giornata non basta per cercare di sensibilizzare le persone su un tema come la violenza sulle donne. L’ebrezza di un post social tira più della razionalità .
(da Giornalettismo)
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Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile IDENTIFICATO DA CONOSCENTI E AMICHE VIENE SUBISSATO DA CRITICHE E INSULTI… ORA HA PAURA: QUANDO AI BULLI COMINCIA A BRUCIARE IL CULO DIVENTANO AGNELLI
Il suo video, pubblicato come storia su Instagram e poi cancellato, è diventato virale per la violenza e la stupidità del messaggio che lanciava. Anche Selvaggia Lucarelli lo ha ripubblicato sul suo profilo Facebook. Ora il Corriere Fiorentino fa il suo nome e spiega che si è molto spaventato dopo le minacce che sono arrivate a lui e alla sua famiglia. “Ho fatto una cazzata”, spiega in un secondo video in cui si è scusato
«Avete mai provato una stuprata? Col vostro fisico di merd… se trovate uno come me, vi stupro… smettiamo di mettere tutte queste fotine per piacere…». È steso sul letto della sua camera, si dice malato, alterato e molto scocciato dalle foto che le ragazzine seminude pubblicano sui social. Ha 21 anni, Federico Grazzini, parla con fare supponente e sul suo profilo instagram, proprio sotto il nome, c’è scritto «maschilista».
Un video squallido, pochi minuti, che istiga alla violenza sulle donne: lui stesso giustifica azioni come lo stupro «perchè provocate da vestiti succinti o foto osè».
E lo dice a chiare lettere. Troppo per chiunque ma soprattutto per le coetanee, le «amiche», le persone con cui è cresciuto insieme e che hanno deciso di denunciare, sempre tramite i social, il suo comportamento. Ognuna ha detto la sua.
Sì, perchè da lunedì sera quando è stato pubblicato, il video è diventato virale, soprattutto dopo la condivisione della giornalista e blogger Selvaggia Lucarelli che commenta il video con una frase: «È tutto molto preoccupante».
Il sindaco Sandra Scarpellini ha chiamato i genitori, molto conosciuti in paese, titolari di uno storico ristorante. E lui nel pomeriggio di ieri è tornato in video chiedendo scusa a tutte le ragazze del mondo, difendendo i genitori che al momento sono sotto la lente di ingrandimento. Giustificandosi che era ubriaco e depresso, molto depresso: «Non sto bene con me stesso, non ho dato peso alle parole che ho detto. Ho fatto una cazz… e ne affronto le conseguenze. Però la mia famiglia non c’entra. No alle minacce di morte»
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile E’ DIVENTATO IL COVO SICURO DOVE CONDIVIDONO MATERIALE PORNO NON CONSENSUALE
Non solo revenge porn, il social network è diventato il «covo sicuro» dove gli italiani condividono
materiale pornografico non consensuale. L’indagine dell’associazione PermessoNegato
La «Giornata contro la violenza sulle donne» venne istituita dall’Onu nel 1999, ma all’epoca non avevano idea di come si sarebbe evoluta la tecnologia e soprattutto il mondo dei social. Nel 2013 due russi, Nikolaj e Pavel Durov, fondano e finanziano il servizio gratuito di messaggistica istantanea Telegram che, nel tempo, è diventato il «covo sicuro» di fenomeni come il «Revenge Porn» che la giornata di oggi, 25 novembre, cerca di contrastare.
Ci siamo, purtroppo, abituati a parlare e soprattutto a comprendere il significato di «Revenge Porn», che identifica le «vendette di relazione», ma dobbiamo essere consapevoli che si tratta di un tassello di un fenomeno molto più vasto chiamato «Pornografia Non-Consensuale» (NCP). L’associazione no-profit PermessoNegato APS, nata nel 2019 per supportare a livello tecnologico e legale le vittime di NCP, pubblica oggi un report di questo fenomeno radicato nel Telegram italiano.
Il branco italiano
PermessoNegato ci racconta, attraverso il suo report, lo «Stato dell’Arte del Revenge» attraverso le analisi svolte su Telegram in Italia. Parliamo di 89 gruppi e canali italiani attivi nella condivisione di Pornografia Non Consensuale (NCP) dove il più seguito annovera oltre 997 mila utenti unici iscritti. Il totale degli iscritti a questi 89 gruppi e canali supera di gran lunga la somma dei 6 milioni di account non unici.
La Pandemia Covid19 ha, purtroppo, portato a una crescita del fenomeno. Nel solo mese di febbraio 2020 i gruppi e canali rilevati erano 17 per un totale di oltre un milione di account non univoci. Due mesi dopo, i gruppi erano 29 e c’erano canali per oltre 2 milioni di account. Ad aumentare la crescita e la nascita di nuove realtà sono soprattutto i fatti di cronaca, spesso veicolati dai media che forniscono al pubblico gli elementi che permettono una facile individuazione dei contenuti online e attraverso social come Telegram.
L’operazione della Polizia Postale contro tre canali Telegram che, purtroppo, non collabora: per individuare i proprietari dei canali si sfruttano altre strategie che hanno portato all’arresto di un 29enne bergamasco per Revenge Porn nei confronti della sua ex
Il fenomeno della Pornografia Non-Consensuale non esclude classi sociali o demografica, molti sono gli adolescenti come adulti, cittadini semplici o personaggi noti, o ancora che fanno parte delle Istituzioni. Il materiale diffuso varia: dalle immagini destinate a rimanere private e riprese consensualmente durante il rapporto sessuale a foto rubate da telecamere nascoste o rubate dai dispositivi delle vittime. Purtroppo, non mancano le immagini di stupro riprese durante il corso della violenza sessuale
PermessoNegato spiega che questi gruppi e chat si auto-alimentano, attraverso l’incoraggiamento degli iscritti a caricare video e immagini pornografiche con i loro attuali o ex partner affinchè vengano «valutati» all’interno della community. Una sorta di «gara al miglior fornitore», dove nella peggiore delle ipotesi è la cospicua abitudine di corredare questi contenuti con nome, cognome o collegamenti ai profili social delle vittime. In alcuni casi vengono fornite le email delle vittime o addirittura i loro numeri di cellulare.
Un altro lato oscuro si nasconde dietro queste realtà , la pedopornografia dove i minori vengono contattati tramite messaggi privati e convinti in cambio di denaro, o costretti tramite forti pressioni, a diffondere materiale porno che riguarda loro o i loro coetanei.
Il ruolo dei social e dei media
Sono oltre i 400 casi seguiti da PermessoNegato in Italia durante questo primo anno di attività , ma a differenza di Facebook con la sua «tolleranza zero», la piattaforma Telegram «fa orecchie da mercante» evitando di collaborare con le autorità , la Polizia Postale, e rendendosi complice delle violenze che le vittime subiscono all’interno della loro piattaforma 24 ore su 24, sette giorni su sette e per tutto l’anno. I media hanno un ruolo importante nella tutela delle vittime di violenza, di Revenge Porn e di tutte le altre forme di Pornografia Non-Consensuale. Basta una notizia in cui vengano rilasciati dettagli come il nome della vittima o la sua attività lavorativa legata ad altre parole chiave come il luogo di residenza e parte la caccia al video, alla foto, a quel contenuto da fornire al branco affamato nei gruppi e nelle chat Telegram.
Un altro punto dolente riguarda certi media e personaggi influenti che, anzichè tutelare le vittime, le dipingono come «colpevoli» della violenza subita attraverso le formule narrative del tipo «se l’è cercata» o «è stata ingenua», mettendo in secondo piano il focus sul carnefice e fornendo una giustificazione morale a coloro che poi diffondono i contenuti pornografici all’interno delle loro community. L’esempio più classico? «È colpa sua, poteva evitare e non è colpa nostra se circola online».
La mossa di Facebook
Facebook, al contrario di Telegram, è intenzionato a combattere il fenomeno e lo fa attraverso un Programma pilota sulle immagini intime condivise senza autorizzazione che coinvolge diverse realtà nazionali di diverse parti del mondo — in Italia troviamo proprio PermessoNegato — con l’obbiettivo di tutelare le persone che temono la diffusione senza il loro consenso delle proprie immagini intime. In che maniera? Inviandone una copia in modo sicuro e protetto per impedire che questi contenuti vengano condivisi sul social, su Messenger e Instagram.
La persona che si sente minacciata può contattare l’organizzazione partner di Facebook del proprio Paese affinchè possa segnalare l’eventuale rischio e definire l’assistenza per partecipare al progetto pilota. Una volta compilati gli appositi moduli, la persona denunciante riceverà un link monouso dove poter caricare e inviare le immagini e i video compromettenti in proprio possesso a Facebook.
Un team dedicato di dipendenti Facebook esaminerà personalmente i contenuti che, se soddisfatti determinati criteri, ricorrerà alle proprie tecnologie capaci di scovare la corrispondenza dei video e delle immagini per bloccarne la condivisione su Facebook, Messenger e Instagram. In questo modo, se una persona estranea cerca di condividere il contenuto su una delle tre piattaforme sarà impossibilitato a farlo.
(da Open)
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Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile AVVOCATI ROMANI: “NORME GIUSTE, GIUSTIZIA LENTA LE DEPOTENZIA”
Ottanta condanne, quasi 4mila procedimenti in corso. Mille di questi riguardano il revenge porn, denunciato quasi da tre persone al giorno.
E, ancora, molte inchieste partite dopo le denunce di donne che hanno subito maltrattamenti in famiglia durante il lockdown.
Quando mentre i reati di violenza sessuale di gruppo e stalking diminuivano, tra le mura di casa tante donne subivano abusi.
§A poco più di un anno dall’entrata in vigore del Codice Rosso, e alla vigilia della giornata contro la violenza sulle donne, il ministro Alfonso Bonafede ha presentato un rapporto sull’applicazione del pacchetto di norme varato a luglio 2019. Erano i tempi del primo governo Conte e la legge fu fortemente voluta, oltre che dal Guardasigilli, anche da Giulia Bongiorno, già ministro della PA e avvocato.
La normativa prevede una “corsia preferenziale” riservata alle donne che denunciano le violenze subito. L’obiettivo è assicurare priorità nella trattazione di questi casi, facendo in modo che le donne siano ascoltate dal pm entro tre giorni dall’apertura del fascicolo. Con lo stesso provvedimento sono state innalzate le pene per stalking, violenza sessuale e maltrattamenti.
Ma quanto è efficace questa nuova legge che ha previsto, tra l’altro, quattro nuovi reati? I numeri, aggiornati al 31 luglio 2020, ci dicono che la macchina un po’ si è messa in moto. I mesi della prima ondata di Covid hanno inevitabilmente rallentato tutti i processi, non le denunce. O almeno non in tutti i casi.
Le segnalazioni alle forze dell’ordine per maltrattamenti in famiglia sono aumentate dell′11%, “trend che può essere imputato alle misure di contenimento da lockdown che hanno portato a situazioni di convivenza forzata”, ha spiegato Alfonso Bonafede. Diminuite, invece, nello stesso periodo – e verosimilmente per lo stesso motivo – le denunce per gli altri reati che vedono le donne come vittime: violenza sessuale -4%, corruzione di minorenne -10%, violenza sessuale di gruppo -17%, stalking -4%.
Quanto ai provvedimenti del giudice, da quando il Codice Rosso è legge novanta sono state le sentenze di primo grado per i reati introdotti dal provvedimento, 80 di queste sono di condanna: “Altri 120 processi sono tuttora in corso in fase di dibattimentale”, spiega il Guardasigilli.
Le indagini avviate sono 3.932, 686 in tutto le richieste di rinvio a giudizio. Più di un quarto (1081) dei procedimenti riguarda il revenge porn, il reato che punisce la ‘diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti’.
La maggior parte delle denunce riguardano poi il mancato rispetto del provvedimento che vieta l’avvicinamento alla persona offesa: sono 2.735. Per 350 è stata chiesta l’archiviazione, per 527 il rinvio a giudizio. Tra i casi arrivati già a sentenza solo due assoluzioni e un proscioglimento, mentre sono 74 provvedimenti di condanna e patteggiamento.
Molte di meno le inchieste aperte dopo la denuncia di donne che sono state ferite al volto: sono 82. Ancora poche le sentenze sul tema: per ora ci sono state tre condanne e due assoluzioni.
Quanto al reato di ‘costrizione o induzione al matrimonio’, anche questo introdotto con il Codice Rosso, le inchieste aperte sono 32, con 3 richieste di rinvio a giudizio e 7 di archiviazione, mentre sono 2 i processi in corso di svolgimento in tribunale.
Il Codice Rosso è un contributo alla lotta contro violenza di genere, ma certamente non è sufficiente da solo. E il governo sa che c’è tanta strada ancora da fare: “Alcuni dati mostrano che qualcosa comincia a funzionare meglio che in passato ma siamo consapevoli che il Codice Rosso non è la panacea. I dati sui femminicidi ci dicono che il percorso da fare è ancora lungo”, ha detto il premier Giuseppe Conte in un messaggio per la presentazione del rapporto. “Il Codice è solo un tassello fondamentale importantissimo che riguarda il momento in cui la violenza è già avvenuta: non basta. Un intervento serio richiede tempo, un approccio sinergico e la consapevolezza che la strada per invertire darà i suoi frutti nel tempo ed è questa la strada che come governo, insieme ai ministri, ci impegniamo a percorrere”.
Il monitoraggio presentato oggi, ha precisato il ministro Bonafede: “La strada è ancora lunga e richiede un impegno corale di tutte le istituzioniserve anche e forse soprattutto, a individuare i punti critici dell’applicazione della legge e quindi le aree sulle quali bisogna ancora intervenire, in maniera trasversale, raccogliendo e facendo tesoro di tutte le sollecitazioni che arrivano non soltanto dagli uffici giudiziari, ma anche ad esempio dai centri antiviolenza e dalle associazioni di volontariato che operano in questo settore”, con una “una strategia a 360 gradi”. Il report può “rappresentare una base di lavoro utile per gli interventi che vorrà fare il Parlamento”. Per la ministra Elena Bonetti, che ha mandato un contributo all’evento, è necessaria una “strategia nazionale per il contrasto alla violenza contro le donne”
Sull’applicazione del Codice Rosso era arrivato ieri l’allarme degli avvocati romani, che hanno annoverato la recente legge tra gli strumenti “sulla carta utilissimi” che però “i ritardi della giustizia rischiano di depotenziare gravemente”. Ritardi resi ancora più complessi ed evidenti dalla pandemia. Il presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, Antonino spiega: “Inasprire le pene nei confronti di chi pratica la violenza di genere, sia essa di qualunque tipo, fisica o morale, è stata indubbiamente una necessità e un’operazione lodevole ma serve a poco se poi le pene restano sulla carta, se la lentezza dei procedimenti, aggravata dalla pandemia, manda i reati in prescrizione. Reati peraltro che spesso restano nell’ombra, se è vero che, come denunziato dagli ultimi studi in argomento, durante l’emergenza sanitaria molte convivenze forzate dai lockdown si sono trasformate in maltrattamenti e violenze che le vittime non sempre hanno denunciato, con la prospettiva di restare confinate in casa con il proprio aguzzino”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile RAPPORTO EURES: NEL 69% DEI CASI AVVENGONO IN UNA COPPIA… GELOSIA E POSSESSO SONO IL PRINCIPALE MOVENTE
Si contano 91 donne vittime di omicidio nei primi dieci mesi del 2020, praticamente una ogni tre
giorni. Questo il dato raccolto nel periodo gennaio-ottobre 2020 dal VII Rapporto Eures sul Femminicidio in Italia, un dato in leggera flessione rispetto alle 99 vittime dello stesso periodo dell’anno precedente.
A diminuire significativamente sono tuttavia soltanto le vittime femminili della criminalità comune (da 14 ad appena tre nel periodo gennaio-ottobre 2020), mentre risulta sostanzialmente stabile il numero dei femminicidi familiari (da 85 a 81) e, all’interno di questi, il numero dei femminicidi di coppia (56 in entrambi i periodi), mentre aumentano le donne uccise nel contesto di vicinato (da 0 a 4).
Sono 3.344 le donne uccise in Italia tra il 2000 e 31 ottobre 2020, pari al 30% degli 11.133 omicidi volontari complessivamente censiti ed elaborati dall’Istituto di Ricerca Eures.
L’incidenza del contesto familiare nei femminicidi raggiunge nel 2020 il valore record dell’89%, superando il già elevatissimo 85,8% registrato nel 2019.
Analogamente, all’interno del contesto familiare, i femminicidi consumati all’interno della coppia salgono al 69,1% (erano il 65,8% nell’anno precedente).
E se la gelosia patologica e il possesso continuano a rappresentare anche nel 2020 il principale movente alla base dei femminicidi (con il 31,6% dei casi), le prescrizioni imposte dal lockdown e la forte estensione dei tempi di convivenza spiegano il forte aumento dei femminicidi seguiti alla esasperazione delle condizioni di litigiosità /conflittualità domestica (27,8%, a fronte del 18,1% del 2019) così come quelli correlati ad una situazione di disagio della vittima (o dell’autore), passati di litigi e dissapori che, evidentemente, in una situazione di costretta e continuativa convivenza, hanno generato veri e propri corto circuiti, esasperando le microconflittualità quotidiane precedentemente rese più gestibili dalle minori occasioni di contatto
Aumentano anche le donne uccise per l’incapacità dell’autore (generalmente il coniuge) di prendersi cura della malattia (fisica o psicologica) della vittima (dal 10,8% al 20,3% del totale) o dell’autore (dal 16,9% al 17,7%): il disagio complessivamente inteso, in assenza di un adeguato supporto socio-sanitario, arriva a spiegare nell’anno del lockdown oltre un terzo dei femminicidi censiti.
Marginale appare invece il movente economico, passato dal 4,8% al 2,5%.
La coppia continua dunque a rappresentare il contesto relazionale più a rischio per le donne, con 1.628 vittime tra le coniugi, partner, amanti o ex partner negli ultimi 20 anni (pari al 66,2% dei femminicidi familiari e al 48,7% del totale delle donne uccise) e 56 negli ultimi 10 mesi (pari al 69,1% dei femminicidi familiari e a ben il 61,5% del totale delle donne uccise). Gli autori sono “per definizione” nella quasi totalità dei casi uomini (94%), con valori che nel corso dei singoli anni oscillano tra il 90% e il 95%.
Un fenomeno certamente correlato alle modificazioni del femminicidio (moventi e profili della vittima) legate alla pandemia e alla spinta all’isolamento che ne ha accompagnato i modelli di contenimento è quello del fortissimo incremento dei femminicidi-suicidi: tale dinamica era infatti riscontrabile nel 23% dei femminicidi tra gennaio e ottobre 2019, salendo al 43,1% nei primi 10 mesi del 2020, con un incremento del 90,3% (da 31 a 59 casi in termini assoluti). Più in dettaglio si segnala un incremento dei femminicidi-suicidi tra quanti hanno ucciso la propria moglie o convivente (da 10 a 21, con un tasso suicidario che raggiunge il 50%), così come negli altri ‘femminicidi di coppia’ (da 3 a 5 casi).
Osservando i diversi ruoli familiari delle donne vittime di femminicidio si rileva una significativa crescita delle coniugi e conviventi (+13,5%), cui corrisponde una parallela flessione delle donne uccise da partner/amanti (-20%) e da ex coniugi/ex partner (-33,3%), a conferma di come la convivenza abbia costituito, nel corso dei primi dieci mesi del 2020, un consistente acceleratore del rischio omicidiario.
Coerentemente al forte calo delle donne uccise in eventi connessi alla criminalità comune, nei primi 10 mesi del 2020 si registra una significativa flessione delle vittime straniere, più frequentemente esposte al rischio in questa tipologia di omicidi (spesso correlati alla prostituzione o alla droga). Il 2020 registra quindi una leggera crescita del numero dei femminicidi con vittime italiane, sia in relazione al complesso del fenomeno omicidiario (+1,3%, da 76 a 77), sia per quanto riguarda i femminicidi familiari (+5,7%, da 66 a 68).
In relazione all’area geografica, confrontando i primi 10 mesi del 2020 con lo stesso periodo del 2019, è possibile osservare un significativo incremento dei femminicidi familiari soltanto nel Nord Italia (da 42 a 46 vittime, pari a +9,5%), dove è censita oltre la metà (56,8%)dei femminicidi complessivamente commessi in Italia.
(da Globalist)
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Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile SI AGGRAVA SEMPRE PIU’ IL BILANCIO DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA
Un uomo di 40 anni ha ucciso la moglie con una coltellata al petto, ferendola da parte a parte. L’omicidio è avvenuto a Cadoneghe, in provincia di Padova, proprio nel giorno contro la violenza sulle donne.
L’omicida si chiama Jennati Abdefettah, ha 40 anni, è marocchino e fa il magazziniere.
I tre figli che abitavano con la coppia sono stati affidati a un’amica della madre che abitava vicino a loro. A chiamare i carabinieri è stato proprio l’omicida nella notte.
La donna è stata trovata distesa nel suo letto. In passato sembra che lei avesse denunciato il suo comportamento violento, ma poi aveva ritrattato. Sul posto i carabinieri del nucleo investigativo, il pm di turno Marco Brusegan, il medico legale Antonello Cirnelli.
In Calabria si indaga in queste ore su un altro femminicidio. Una donna di 51 anni è stata uccisa con numerose coltellate a Stalettì, sulla costa ionica catanzarese. Un uomo è stato sottoposto a fermo del pm perchè ritenuto l’autore dell’omicidio.
Si tratta di un 36enne di Badolato che, secondo le indagini dei carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro e della Compagnia di Soverato aveva una relazione extraconiugale con la donna. Il movente del delitto, secondo i primi accertamenti, è di natura passionale.
Il corpo è stato trovato nella tarda serata di ieri dai carabinieri della Compagnia di Soverato occultato tra gli scogli. Da un primo esame esterno è emerso che è stato raggiunto da numerosi fendenti, utilizzando verosimilmente un coltello dalla lama lunga. La donna, secondo la testimonianza dei familiari, era irreperibile dalle precedenti 24 ore.
(da agenzie)
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Novembre 24th, 2020 Riccardo Fucile NEANCHE DI FRONTE A UNA VICENDA DISGUSTOSA “LIBERO” RIESCE A NON AFFOGARE NELLA MERDA
Vittorio Feltri questa mattina è in prima pagina su Libero con un editoriale dal titolo “La ragazza stuprata da Genovese è stata ingenua”.
Feltri inizia spiegando di voler fare una precisazione:”Su Alberto Genovese, napoletano trapiantatosi a Milano e qui arricchitosi smodatamente dopo gli studi bocconiani, ha già scritto abbondantemente il nosto ottimo Filippo Facci, pertanto non ho molto da aggiungere. Posso solo fare una chiosa, visto che della vicenda non si smette più di parlare, come fosse una novità che i drogati vanno fuori di testa e ne combinano di ogni colore il signorino di cui trattiamo consumava cocaina a strafottere e spesso la sera, per vincere la noia, organizzava nel proprio lussuoso attico dei festini con amici e soprattutto amiche che si concludevano con grandi perfomance gastrosessuali”.
Peccato che la sua precisazione sia davvero incommentabile: “Personalmente ho constatato che si fa fatica a sco… una che te la dà volentieri, figuratevi una che non ci sta”.
A questo punto poteva risparmiarsi l’eufemismo del titolo e chiamare la diciottenne, che va ricordato è una VITTIMA degli abusi, in un altro modo, quello che probabilmente ha in testa; del resto, continua il direttore di Libero, la povera Michela “entrando nella camera da letto dell’abbiente ospite cosa pensava di andare a recitare il rosario?”
Siamo ancora al se l’è cercata su una prima pagina di un giornale. Chissà se Feltri ha letto come si sente la ragazza dopo essere stata trattata da colpevole:
«Quelle ore di paura non si possono neanche immaginare, io ho avuto paura di morire. Anzi io ho rischiato di morire. Ho avuto paura di non poter più rivedere mia mamma, mio papà , mia sorella, il mio gattino, i miei amici».
Con un file audio inviato alla trasmissione di Canale 5 “Non è la D’Urso”, la diciottenne stuprata e sequestrata per oltre venti ore da Alberto Genovese, nel suo super attico con vista sul Duomo di Milano, Vania – come viene chiamata da Barbara D’Urso – racconta come quella notte l’abbia cambiata. «In questi giorni, dopo che è uscita la notizia del suo arresto, ho iniziato a leggere tante cose e i miei ricordi si sono fatti sempre più precisi».
Se ce ne fosse bisogno, dopo che l’inchiesta della procura ha recuperato dal sistema di videosorveglianza l’intero video della notte nella camera di Genovese, Vania si ritrova a doversi difendere dai giudizi offensivi sui social e in tv. «La cosa che mi fa più male è sentire i commenti di tante persone che cercano di darmi la colpa o di giustificare quello che mi è stato fatto. Molta gente specula, commenta… Mi sono vista dipinta in tanti modi, cosa che non giustificherebbe comunque quello che mi è stato fatto. Ma mi infastidisce perchè io non sono così. Io sono la vittima… Mi sono sentita più volta offesa, attaccata ingiustamente, perchè dopo quello che ho vissuto penso che questa violenza mediatica non sia assolutamente giusta».
Proteste dal Pd e Iv per l’editoriale pubblicato da Libero a firma di Vittorio Feltri, in merito allo stupro nei confronti di una 18enne da parte dell’imprenditore Alberto Genovese.
Nell’articolo dal titolo, “i cocainomani vanno evitati. Ingenua la ragazza stuprata da Genovese”, Feltri scrive, parlando dell’imprenditore: “gli piacevano le donne e non credo faticasse a procurarsene in quantità . Che necessità aveva di ricorrere allo stupro per impossessarsi di una ragazza bella e giovane, dopo averla intontita con sostanze eccitanti? Ciò è incomprensibile sul piano logico”.
E ancora, “quanto alla povera Michela, mi domando: entrando nella camera da letto dell’abbiente ospite cosa pensava di andare a fare, a recitare il rosario?”. “Sarebbe stato meglio rimanere alla larga da costui (…). Concediamole attenuanti generiche, ai suoi genitori tiriamo le orecchie”.
Parole definite “vomitevoli e disgustose” dalla senatrice del Pd, Simona Malpezzi. “Questa è violenza di genere, è vittimizzazione secondaria, è sessismo”, aggiunge l’altra senatrice del Pd, Valeria Valente. “Disgustoso giustificare uno stupro. Non è libertà di stampa ma offesa a tutta la società ”, fa eco la senatrice Laura Garavini, vicecapogruppo vicaria Italia Viva-Psi
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile SALVINI E LA MELONI NON HANNO NULLA DA DIRE SU QUESTO “CRIMINE DEGLI IMMIGRATI” ?
Centosessanta stupri ai danni dei figli delle sue compagne avvenuti nell’arco di quattordici anni.
Questi sono i reati che hanno fatto scattare, in Francia, il fermo per un cittadino italiano di 52 anni. Come riferisce l’agenzia France Presse, l’uomo è stato fermato nei pressi di Strasburgo, a Rumersheim-Le-Haut.
Gli episodi risalgono agli anni compresi tra il 2000 e il 2014 e vedono vittime le figlie delle compagne che si sono avvicendate al suo fianco in questi anni.
Gli episodi sono avvenuti tutti in Germania, dove è stato spiccato mandato d’arresto europeo.
L’uomo è accusato, tra le altre cose, di aver violentato ripetutamente per 10 anni sua figlia. Lo stesso orrore sarebbe stato commesso nei confronti delle figlie minorenni di una sua fidanzata. Tutti gli stupri riguardano il suo ambiente familiare.
Secondo le forze dell’ordine francesi, in Germania sarebbero 122 le inchieste aperte a suo carico. Per le autorità francesi che hanno effettuato il fermo, sarebbe fuggito dalla Germania per trovare rifugio in Alsazia.
(da agenzie)
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