CHE COINCIDENZA: LE PERSONE SPIATE CON IL SOFTWARE DELLA “PARAGON” SONO TUTTE CRITICHE DEL GOVERNO MELONI
GIORNALISTI CHE PARLANO DEI GIOVANI FASCISTI IN FRATELLI D’ITALIA, ATTIVISTI PRO-MIGRANTI, OPPOSITORI LIBICI CHE ACCUSANO I SERVIZI: CHI AVEVA INTERESSE A TENERLI SOTTO CONTROLLO?
La decisione di porre fine al contratto con l’Italia ha fatto seguito alle rivelazioni che un giornalista investigativo italiano e due attivisti critici nei confronti dei rapporti dell’Italia con la Libia erano tra le persone che erano state presumibilmente prese di mira con lo spyware. Il lavoro di tutti e tre gli individui è stato critico nei confronti del governo di destra del primo ministro italiano Giorgia Meloni.
Rispondendo alle accuse di coinvolgimento nella tarda serata di mercoledì, l’ufficio della Meloni ha negato che dietro le presunte violazioni ci siano servizi segreti nazionali o il governo.
Seguire i profili di chi, inconsapevole, ha scoperto di avere lo smartphone inquinato dallo spyware Graphite, aiuta a disegnare una prima mappa per orientarsi in una storia ancora piena di ombre.
Una storia che ne intreccia un’altra, in cima alle cronache politiche di questi giorni: la vicenda della scarcerazione di Almasri, torturatore libico inseguito da un mandato di cattura della Corte penale dell’Aja che l’Italia ha volutamente deciso di non eseguire.
Una scelta politica che solo nelle ultime ore trova la sua motivazione in due parole, inconfessabili fino a qualche giorno fa per la premier Giorgia Meloni e i suoi ministri: sicurezza nazionale.
La Libia è il grande buco nero delle certezze democratiche italiane, il terreno dove gli apparati di intelligence operano su diversi livelli di intesse. Da quello che sta emergendo, i target dello spyware prodotto dall’israeliana Paragon vanno cercati tra le Ong, nella galassia degli attivisti che si battono per i diritti umani calpestati dai miliziani libici e che, per gli innumerevoli salvataggi in mare, sono entrati più volte nel mirino del governo italiano.
Secondo la nota pubblicata mercoledì da Palazzo Chigi, le utenze italiane colpite dall’attacco hacker sarebbero sette. Finora, assieme a Francesco Cancellato, direttore del sito Fanpage – autore di una documentatissima inchiesta sui fenomeni di razzismo e antisemitismo tra i giovani di Fratelli d’Italia – era emerso il nome di Luca Casarini, di Mediterranea Saving Humans.
La Stampa è venuta a conoscenza del fatto che altri due attivisti della stessa organizzazione hanno subito l’infiltrazione nel proprio smartphone: uno è un rifugiato sudanese, l’altro è Beppe Caccia, l’armatore della nave umanitaria.
È un indizio incontrovertibile di dove sarebbero state indirizzate le attività di spionaggio. A cui se ne aggiunge un altro che abbiamo ricostruito. Il software israeliano di sorveglianza, come è noto, ha puntato anche su Husam el Gomati, oppositore libico che vive in Svezia e che su Telegram denuncia i rapporti indicibili e di ferro tra il governo italiano e i trafficanti di esseri umani.
Da anni El Gomati sostiene la tesi della complicità degli 007 italiani in Libia, arrivando a ipotizzare un loro coinvolgimento addirittura nell’omicidio di Bija, forse il più noto trafficante libico, ucciso nella sua auto a Tripoli lo scorso settembre.
Appena una settimana fa, il 31 gennaio, El Gomati denuncia come «falso» un articolo pubblicato su Il Giornale. Siamo nel pieno del caso Almasri. Il quotidiano vicino al governo Meloni, edito da Antonio Angelucci, eletto con la Lega, assume la difesa dell’esecutivo e prova a far emergere dalla polveriera libica le ragioni che avrebbero portato alla liberazione del comandante accusato di sistematici stupri e vari omicidi.
Partendo dai documenti pubblicati da El Gomati, l’articolo racconta di un «piano per indebolire il governo italiano» orchestrato «ad arte dai servizi segreti di Tripoli che rispondevano a fazioni non favorevoli all’Italia».
I quotidiani The Guardian e Haaretz hanno svelato (non smentiti) che l’azienda Paragon ha interrotto il contratto con il governo italiano perché sarebbe stato violato il codice etico per l’utilizzo dello spyware. Palazzo Chigi continua a sostenere di non c’entrare nulla con questa storia
Se né la premier Meloni né il delegato ai servizi di sicurezza, il sottosegretario Alfredo Mantovano, erano informati, chi ha ordinato di entrare nelle comunicazioni WhatsApp di figure che sono considerate in qualche modo una controparte avversaria del governo: un giornalista che ha scoperchiato le nefandezze neofascisteggianti di Gioventù Nazionale, almeno tre attivisti di una Ong entrata in collisione con le norme sui migranti della destra, e un oppositore libico che accusa i servizi segreti italiani?
Paragon ha solo confermato che i suoi clienti italiani erano «un’agenzia di polizia e un’organizzazione di intelligence» e Haaretz ha precisato come la società israeliana lavori esclusivamente con entità statali.
La risposta che fonti di primo piano del governo hanno fornito in queste ore aprirebbe due piste: o qualche agente troppo solerte che si è mosso di propria iniziativa per accreditarsi, nella convinzione di fare un favore a Meloni; o più semplicemente è in corso un’indagine della magistratura, che ha tutto il potere di ordinare intercettazioni di questo tipo, magari per provare l’associazione a delinquere nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tutte le opposizioni hanno comunque chiesto al governo di chiarire e di riferire in Parlamento.
(da agenzie)
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