CHI SONO GLI OTTO UOMINI ANCORA RICERCATI COME CESARE BATTISTI
PROF, MANAGER, MORTI PER LEGGE: I TERRORISTI MILANESI LATITANTI DI CUI NESSUNO PARLA… AZIENDE MILIONARIE, CASE ESCLUSIVE A PARIGI, TRAFFICI DI COCAINA IN SUDAMERICA
Un palazzo d’inizio Novecento a Montmartre e una voce maschile che risponde in francese alla segreteria telefonica; la presentazione dell’anno 2014-2015 di un liceo cattolico vicino al jardin du Luxembourg e, nel ruolo di vice-preside e capo dei docenti d’informatica, un italiano dal doppio cognome: Ceriani Sebregondi.
Ovvero Paolo Ceriani Sebregondi, nobile, figlio di una coppia di grandi ed eroici partigiani, killer delle Brigate rosse, da tempo latitante a Parigi.
Anche se preferisce non farsi trovare o comunque non lasciare tracce profonde, per lui il passato è chiuso.
Non per la giustizia italiana e i famigliari delle vittime: Ceriani Sebregondi è uno degli otto milanesi nell’elenco dei trentasei terroristi che chiusero i loro «anni di piombo» scappando all’estero. Per sfuggire alla galera e spesso agli ergastoli.
Otto uomini. Ufficialmente ancora ricercati.
Pallettoni da cinghiale
Nell’elenco, il quarto in ordine alfabetico è Cesare Battisti, di recente arrestato al confine tra Bolivia e Brasile, dove s’era rifugiato, e forse ancora lontano dall’estradizione per l’ennesima volta.
In quella lista, subito prima di Battisti c’è Maurizio Baldasseroni, 66 anni (quattro in meno di Ceriani Sebregondi), deceduto oppure no.
Assassino di Prima linea, Baldasseroni era stato condannato per la strage a Milano in via Adige: tre clienti uccisi il primo dicembre 1978 in un locale con revolver e fucili a pompa caricati a pallettoni per cinghiali; un’azione considerata «inopportuna» perfino da quella stessa formazione eversiva e sanguinaria, che infatti li aveva «espulsi».
Per la legge italiana, il pluri-assassino è stato dichiarato defunto. Ma manca la prova che «certifichi» la morte.
Baldasseroni, che in via Adige operò con Oscar Tagliaferri, ugualmente sparito e latitante, era stato a lungo in Sudamerica e sembra che in Perù si fosse messo nel traffico di droga.
Dopo un primo arresto, era tornato in libertà fino a una seconda cattura, ancora in Perù. Ma la polizia di Lima aveva annunciato il buon esito dell’operazione salvo far sapere che Baldasseroni non era uno di quelli in cella.
L’imprenditore
Le esistenze dei terroristi latitanti seguono un doppio binario. L’allontanamento per appunto in Sudamerica oppure una tranquilla quotidianità appena oltreconfine, nella Francia e beneficiando della «dottrina Mitterand», che concesse il diritto d’asilo anche agli autori di crimini efferati.
Quello di Ceriani Sebregondi, a capo del commando che l’8 novembre 1978 uccise il procuratore capo di Frosinone Fedele Calvosa insieme all’agente di scorta e all’autista, non è l’unico caso.
Ermenegildo Marinelli, nato a Desio il 25 settembre 1956 e appartenente al Movimento comunista rivoluzionario, s’è riciclato con una carriera da imprenditore. La sua «pista» conduce a Vincennes, cittadina di 50mila abitanti e Est di Parigi, e a una società che si occupa di commercio all’ingrosso.
Le «informazioni commerciali» su Marinelli, che durante la stagione terroristica ebbe dei covi a Monza, non hanno riscontri «attuali».
Significa che magari si è ritirato dall’attività o che riposa in un cimitero. Difficile dirlo.
Come per Sergio Tornaghi, elemento di quella colonna Walter Alasia delle Br che mietè vittime (il direttore sanitario del Policlinico Luigi Marangoni e il maresciallo di San Vittore Francesco di Cataldo). E come Franco Coda, uno dei fondatori di Prima linea.
La visita ai fratelli
Manca l’esattezza temporale, comunque collocata a 25-30 anni fa.
Quando Coda, come ricorda l’avvocato che ha seguito la famiglia, dall’estero comparve a Milano per affidare ai due fratelli una «procura» relativa all’eredità di un appartamento. Come arrivò, sparì.
Anche per Coda, classe 1953, è giunta la dichiarazione dello Stato: «Morto». L’atto è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale.
La biografia criminale lo colloca in cima ai principali nemici: «Massimo esperto di esplosivi, Franco Coda è uno dei più pericolosi terroristi ancora latitanti».
Le indagini e le sentenze lo collegano all’omicidio dell’agente Fausto Dionisi, assassinato nella rivolta al carcere delle Murate di Firenze, il 20 gennaio 1978, durante un tentativo di evasione di detenuti di Prima linea.
Spagna, Brasile, Venezuela e Cuba sono soltanto quattro dei luoghi dove Coda potrebbe aver vissuto e vivere tutt’oggi. I suoi fratelli hanno smesso di cercarlo.
Lui, nel 1985, inviò una lettera alla mamma di Dionisi per chiedere perdono e dissociarsi dal sangue versato. Parole non seguite da nessun gesto.
C’è una sorta di comandamento che accomuna questi terroristi all’estero: godersi il presente, indipendentemente dalle tragedie commesse. E di questa scelta, Alvaro Loiacono Baragiola, nato in città nel 1955 e brigatista di «primissimo livello», è stato il massimo interprete.
Il «cecchino» modaiolo
Loiacono Baragiola (quest’ultimo è il cognome della mamma) è stato uno dei killer preferiti dai vertici delle Brigate rosse.
Meticoloso, glaciale, giudicato «un vero cecchino», è stato condannato per la strage di via Fani e coinvolto nelle indagini per l’assassinio dello studente di destra Miki Mantakas e del giudice Girolamo Tartaglione.
Nel 1988, Loiacono Baragiola fu stanato dalla polizia cantonale e dai carabinieri di Milano in un bar a otto chilometri da Lugano. Non faceva niente per passare inosservato, convinto che la seconda cittadinanza svizzera l’avrebbe protetto. Aveva ragione.
Utilizzò la potenza dei soldi e la rete di relazioni della famiglia: nella lussuosa villa della madre, si scoprì in seguito, vennero organizzati party a base di rosè del ’77 con fra gli invitati influenti membri del Consiglio di Stato.
La permanenza in prigione fu una parentesi istantanea. Scarcerato, preferì scomparire. Amante di belle compagnie e vestiti di lusso, Loiacono Baragiola tornò «pubblico» nel 1990, quando la giustizia italiana lo (ri)trovò su una spiaggia della Corsica. Investigazioni vane: il brigatista non fu estradato.
Il «nuovo gotha»
Formatosi in Lotta continua e divenuto uno dei «soldati» di Prima linea comandati da Sergio Segio, il 61enne Massimo Carfora è l’ottavo della lista di milanesi nell’elenco dei terroristi latitanti.
Nel gennaio 1983, messo a segno l’arresto dello stesso Segio, uno degli ultimi presunti grandi inafferrabili, polizia e carabinieri milanesi classificavano Carfora nel gruppo, «apparentemente di secondo piano agli occhi dell’opinione pubblica», che contava «pedine di rilievo nel nuovo Gotha del terrorismo».
Carfora abita a Parigi. Gode d’ogni privilegio da uomo libero quale è.
Ha avviato una società editrice e nel 2016 ha fatturato un milione e seicentomila euro.
(da “il Corriere della Sera”)
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