CI HANNO PRESO PER IL CAIRO: RINVIO DI TRE MESI DEL PROCESSO A PATRICK ZAKI
“LA ‘FORTE ATTENZIONE” MANIFESTATA DALLA PREMIER ITALIANA GIORGIA MELONI AL PRESIDENTE EGIZIANO AL-SISI DURANTE L’ULTIMO COP27 NON SI È TRADOTTA IN NULLA
No, a giudicare dalla decisione del Tribunale di Mansura, che ha rinviato di altri tre mesi il processo kafkiano contro Patrick George Zaki, “la forte attenzione” sui casi Zaki e Regeni manifestata dalla premier italiana Giorgia Meloni al presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi durante l’ultimo Cop27 non si è tradotta in nulla.
Come se le parole di Sharm el Sheik fossero state scritte sull’acqua, come se quello tra Meloni e al Sisi fosse stato più che un primo tentativo di disgelo una vera e propria normalizzazione tra due Paesi stanchi di sacrificare gli interessi economici e commerciali sull’altare dei diritti umani.
C’erano ventuno giorni di tempo perché la diplomazia battesse un colpo. E sono passati nel silenzio assoluto.
C’erano due date simbolo per capire se l’incontro di oltre un’ora tra due leader che si studiavano pesandosi reciprocamente avrebbe segnato, oltre alla rinnovata cooperazione strategica di partner mediterranei, un reale cambio di passo sulle vicende, diversissime ma parallele, dello studente dell’università di Bologna vittima di una persecuzione giudiziaria lunga ormai quasi tre anni e del ricercatore friulano assassinato al Cairo il 3 febbraio 2016 dopo una settimana di torture.
La prima, ieri, è caduta nel vuoto sottolineato in solitaria da Amnesty International come nel vuoto è caduta la difesa di Patrick Zaki, accusato di presunta “cospirazione contro lo stato” per un articolo sulla vera persecuzione dei copti, minoranza religiosa a cui lui stesso appartiene.
La seconda è un cerchietto rosso sul calendario: 13 febbraio 2023, il giorno in cui riprenderà il procedimento sull’omicidio di Regeni sospeso a ottobre nella speranza che nel frattempo Roma riuscisse ad ottenere dalle autorità egiziane gli indirizzi dei quattro agenti dei servizi segreti indagati perché ritenuti i responsabili materiali della morte del ricercatore friulano. Cadrà, anche questa data, nel vuoto? L’Egitto risponderà ancora picche?
L’Italia, che negli ultimi anni ha oscillato tra rigidità e riavvicinamenti tattici, passando dal richiamo dell’ambasciatore nel 2016 al pressing della Procura di Roma per una collaborazione sempre rifiutata dagli inquirenti di al-Sisi, è guidata oggi da una maggioranza di destra che seppure dai banchi dell’opposizione non abbia mai dimostrato particolare empatia nei confronti di Zaki e Regeni ha fatto del rispetto della sovranità nazionale il proprio vessillo identitario.
Come vuole porsi il governo Meloni di fronte a un partner certamente importante ma che non ha dimostrato finora alcun rispetto né dei diritti umani né dell’Italia, sbeffeggiando prima la morte di un nostro connazionale e poi ignorando le proteste per la sorte di uno studente regolarmente iscritto all’ateneo di Bologna? Il primo tempo è perso. Resta il secondo, poi sarà normalizzazione con un regime tra i più liberticidi e oblio.
(da La Stampa)
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